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Autore: Northern Isa    27/10/2014    1 recensioni
Inghilterra, XI secolo. Una terra di cavalieri e stregoni dominata da re Ethelred l'Impreparato, sopravvissuta alle incursioni vichinghe, si appresta ora a vivere un periodo di pace.
Nonostante la tregua, l'equilibrio tra maghi e Babbani è sempre più instabile, non tutti i Fondatori di Hogwarts condividono l'operato del sovrano e c'è chi auspica un dominio dei maghi sull'Inghilterra. Una nuova minaccia è alle porte: Sweyn Barbaforcuta e i suoi Danesi sono ancora temibili, e questa volta hanno un esercito di Creature Magiche dalla loro. Roderick Ravenclaw, nipote della celebre Rowena, farà presto i conti con quella minaccia. Ma scoprirà anche che il pericolo maggiore per lui proviene dal suo passato.
[Questa storia partecipa al contest "Gary Stu, noi ti amiamo" di Santa Vio da Petralcina]
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corvonero, Godric, Nuovo, personaggio, Priscilla, Corvonero, Salazar, Serpeverde, Serpeverde, Tassorosso, Tosca, Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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Capitolo 19

I giorni a Hogwarts trascorsero in una frenesia sempre maggiore: gli studenti dell’ultimo anno si stavano preparando agli importantissimi esami finali e Roderick, che era più indietro del solito, era sicuro di faticare più degli altri. Inoltre doveva occuparsi dei compiti ulteriori che gli erano stati assegnati da Lord Slytherin. Ormai discorreva fluentemente in norreno, cosa che lo riempiva di grande soddisfazione, così Abigail aveva smesso di dargli lezioni di Antiche Rune. L’altra missione, quella di riuscire ad esplodere palle di fuoco dai palmi delle mani, era invece a un punto morto. Nonostante a volte la carenza di risultati lo facesse sentire molto frustrato, Roderick non si dava per vinto, animato dalla consapevolezza, instillata in lui dai suoi sogni, di essere destinato prima o poi a riuscirvi. Il problema serio era che il ragazzo non sapeva da dove iniziare per ottenere ciò che Lord Slytherin gli aveva chiesto, così aveva consultato alcuni libri sulle Creature Magiche alla ricerca di indizi. Aveva studiato in lungo e in largo le Veela, eppure non aveva scoperto nulla che non sapesse già. Era già al corrente anche del fatto che le Veela si trasfigurassero quando erano furiose, eppure leggerlo su un libro gli diede l’idea di tentare in quella direzione. Forse doveva trovare qualcosa che lo facesse diventare furibondo, ma cosa? Roderick si ripromise di pensarci, nel frattempo avrebbe dovuto concentrarsi sullo studio.
Quel giorno, il ragazzo seguì la lezione di Erbologia con i suoi amici. Quando questa fu terminata, Lady Hufflepuff gratificò gli studenti con un sorriso teso, e annunciò loro che avrebbe lasciato Hogwarts per qualche giorno.
Il ritorno verso il castello fu piacevole: la brezza tiepida si stava impegnando con tutta se stessa a far dimenticare agli studenti i rigori dell’inverno, e l’erba verde frusciava dolcemente contro le suole dei ragazzi. Nonostante il bel tempo, Roderick si sentiva ancora turbato.
Era da qualche tempo che aveva realizzato che Lamia per lui non contava tanto quanto aveva immaginato, e la scoperta lo aveva spiazzato. Non aveva saputo dire quale parte Abigail avesse giocato in quella rivelazione, ma lo stato delle cose era ormai ben chiaro ai suoi occhi. All’inizio aveva cercato di ignorarlo, di dimenticare i suoi atteggiamenti scostanti. Aveva ricominciato a baciarla, a far scorrere le dita nei suoi capelli, a cercare la sua pelle ogni volta che ne aveva occasione, ma non era più la stessa cosa. Forse perché lei non si era sbrinata completamente, forse perché quei gesti avevano sempre meno senso e sempre meno sapore. Alla fine aveva dovuto fare i conti con la realtà e con le implicazioni che quei cambiamenti avevano portato. Lui e Lamia erano promessi sposi, ma su quali basi si sarebbero uniti in matrimonio di lì a qualche mese? Roderick l’aveva tradita e, a quanto pareva, aveva smesso di provare qualcosa per lei. Sentiva di averla oltraggiata abbastanza, e con lei anche suo padre. Ma forse non era ancora tutto perduto.
Salazar calcava con decisione le assi di legno della Guferia, camminando avanti e indietro. Ogni tanto si fermava per lanciare uno sguardo al sole fuori dalla finestra, sperando di veder volare contro di esso la smentita alla notizia che aveva appena letto, ma poi ricominciava a muoversi, incapace di trattenersi.
Spiegò nuovamente il rotolino di pergamena che era arrivato da poco, legato alla zampa di un barbagianni, e imprecò. Ciò che si era effettivamente verificato non sarebbe dovuto accadere nemmeno nella più nefasta delle sue aspettative, e lui non aveva mai nutrito alcuna fiducia in quel maiale di Ethelred. Eppure il sovrano babbano aveva dato il meglio di sé; se l’avesse avuto davanti, Salazar gli avrebbe volentieri torto il collo con le sue mani.
D’un tratto, la porta della Guferia si spalancò, e un’allieva di Rowena – quella dall’aria anonima che le trotterellava spesso dietro, ma di cui lui non ricordava il nome – chinò il capo al suo cospetto.
«Lord Sytherin, Lady Ravenclaw mi ha incaricato di mandarvi a chiamare. Se vi compiace, vi condurrò ai suoi alloggi.»
«So benissimo dove alloggia la tua Capocasa» ribatté Salazar, sputacchiando un paio di goccioline di astio nel rivolgersi a lei.
La studentessa chinò nuovamente la testa per nascondere il rossore che le aveva tinto le guance e fece per andarsene. La voce del mago la trattenne.
«Perché Lady Ravenclaw vuole vedermi adesso? Sono rimasto d’accordo che avrei dovuto vedere tutti gli altri Fondatori appena Lord Gryffindor fosse tornato.»
La ragazza si strinse nelle spalle, incapace di dargli una risposta. Seccato, con un unico gesto della mano Salazar le ingiunse di lasciarlo; lei si dileguò così rapidamente che sembrava avesse avuto le ali ai piedi.
Anziché lasciare la Guferia, Salazar riprese a camminare nervosamente avanti e indietro, stringendo spasmodicamente il rotolo di pergamena tra le dita. Subito dopo averlo ricevuto, ne era arrivato un altro da parte di Godric, in cui chiedeva a tutti i Fondatori di non lasciare il castello prima del suo ritorno e li avvisava di voler parlare con loro. Il suo messaggio traspariva urgenza e severità da ogni poro della carta, Godric doveva aver avuto sentore di qualcosa, eppure Salazar escludeva che sapesse proprio tutto: la notizia non poteva essere circolata così rapidamente. Rowena invece sembrava essere come al solito più avanti di tutti. Ma, anche lei, come faceva a sapere cosa aveva fatto? L’unica ragione della sua richiesta di incontrarsi prima della riunione doveva risiedere nel suo desiderio di accertarsi della veridicità della notizia che aveva avuto chissà come, confrontandosi con il diretto interessato.
Fino a quel momento, l’ira di Salazar si era concentrata esclusivamente su re Ethelred e sul suo ennesimo gesto stupido, solo adesso iniziava a pensare che la sua reazione lo avrebbe fatto incorrere nel disappunto – per usare un eufemismo – degli altri Fondatori.
Dopo aver lanciato un’ultima occhiata al cielo chiaro fuori dalla finestra, Salazar lasciò la Guferia e ridiscese le scale. Giunto finalmente nella torre ovest, bussò alla porta degli alloggi di Rowena, preparandosi ad aspettare qualche istante, come capitava di solito. Invece l’uscio si aprì che il pugno di Salazar era ancora appoggiato al legno, e Rowena gli fece segno di entrare. Quando si richiuse la porta alle spalle, andò a sedersi su uno dei divanetti blu, spiegando nervosamente le pieghe della gonna dell’abito color bronzo che indossava.
«Mi hai fatto chiamare» esordì il mago, appoggiandosi allo schienale del divanetto. Rowena, di fronte a lui, era ritta come un fuso, quasi non fosse capace di assumere una posizione rilassata.
«Salazar, dimmi che quello che so non corrisponde a verità.»
Dal modo in cui corrugava la fronte, l’uomo capì che era nervosa.
«Dipende da quello che sai» rispose con noncuranza.
Il suo atteggiamento disteso irritò la strega. Rowena artigliò un bracciolo del divanetto e si sporse verso di lui, sgranando gli occhi.
«Hai tolto a re Ethelred l’appoggio dei tuoi fedeli» sussurrò.
«Sì, è così» confermò Salazar a bassa voce.
Quando era scoppiata la guerra con i Danesi, i Fondatori erano riusciti a far desistere il sovrano dal proposito di allontanarli da Hogwarts per metterli in prima linea con gli invasori. Come contraltare al suo ripensamento, Ethelred aveva preteso comunque il massimo attivismo da parte loro. Helga aveva ripreso le sue vesti da guaritrice, Rowena le forniva le pozioni e lui e Godric si erano dati da fare con gli incantesimi di protezione, ma non era abbastanza. Gryffindor, con le sue manie da cavaliere, aveva iniziato a consigliare il re nelle vesti di stratega. Salazar doveva dargliene atto: senza di lui, gli Inglesi non avrebbero conseguito nessuna delle vittorie ottenute fino a quel momento, e il conflitto sarebbe stato molto più breve, concluso probabilmente con le loro teste su un egual numero di picche, usate da Sweyn Barbaforcuta per arredare il suo nuovo castello londinese. Godric aveva però preso troppo a cuore il suo ruolo, e aveva creato un ordine di maghi cavalieri fedeli a lui e al servizio del re, costituito perlopiù da suoi vecchi allievi. Fin dall’inizio della guerra, diversi maghi e streghe inglesi avevano partecipato al conflitto, ma presto si era avvertita la necessità di costituirli in corpi organizzati, giacché agendo isolatamente non avevano prodotto grandi risultati. Godric era stato per l’appunto il primo interprete di quella necessità; quando fu chiaro che i Danesi potevano contare tra le loro fila qualche mago e soprattutto diverse Creature Magiche, Helga, Rowena e lui stesso avevano dovuto imitarlo. Prevenuto a causa della necessità di imitare Godric, Salazar aveva messo in pratica quell’iniziativa senza entusiasmo. Non si era divertito a vestire i suoi uomini con armature d’argento e mantelli verde bosco: erano troppo simili ai cavalieri babbani di re Ethelred. Non aveva apprezzato neanche il dover accontentarsi degli scarti di Godric: re Ethelred aveva assegnato a lui la sorveglianza degli obiettivi più sensibili e le missioni più importanti, invece gli uomini di Salazar Slytherin si erano ridotti a pattugliare villaggi di pezzenti e ad affrontare qualche Troll qui e là. L’unica cosa positiva di tutta quella vicenda risiedeva nel fatto che i maghi a lui fedeli gli appartenevano, e lui poteva farne quello che voleva. Sottrarli al sovrano, per esempio.
«Ti rendi conto di quello che hai fatto?»
La voce di Rowena era poco più che un sussurro.
«Ethelred non avrebbe dovuto ordinarmi di mandare i miei uomini nell’Essex. È più folle di quanto immaginassi, dannazione. Il suo piano era un’idea stupida e lo stesso Godric ha cercato di dargli dei suggerimenti alternativi. Sono libero di decidere di non mandare i miei al macello, o no?»
Rowena aggrottò le sopracciglia e arretrò. Conosceva la situazione disperata di quella zona di costa: l’Essex era ormai perso e non c’era niente da fare.
«Tu hai disubbidito al re» osservò la strega, con più calma di quanto Salazar si sarebbe aspettato.
«A un re impreparato, incapace e babbano!»
Un ticchettare ai vetri della finestra attirò la loro attenzione. Un allocco li stava colpendo col becco, legato a una zampa recava un rotolino. Rowena si alzò lestamente per farlo entrare, spiegò la pergamena davanti a sé e socchiuse le labbra.
«Godric è tornato al castello» annunciò, sollevando lo sguardo su Salazar. Capita l’antifona, il mago si alzò e si apprestò ad uscire dalla stanza circolare per recarsi alla riunione. Mentre la porta si chiudeva con uno schiocco alle loro spalle, gli arrivò ancora una volta la voce di Rowena: «Non farti sentire da lui mentre fai questi discorsi, altrimenti sarà peggio per te.»
Roderick chiuse il libro di Trasfigurazione che aveva davanti a sé, incapace di concentrarsi sullo studio. Abigail, accanto a lui, sollevò la testa nell’udire quel rumore secco. Indugiò con lo sguardo sul suo volto, poi domandò:
«Rod, c’è qualcosa che non va?»
Il ragazzo l’aveva a malapena sentita parlare, preso com’era dalle sue riflessioni. Quando realizzò il significato della domanda, si affrettò a ricambiare lo sguardo e a rispondere:
«No, non preoccuparti. Non ho la testa per studiare oggi pomeriggio, scusami. Puoi farmi copiare le tue risposte ai quesiti di Lady Hufflepuff?»
Abigail arricciò le labbra, ma non obiettò nulla.
«E adesso dove vai?» domandò quando Roderick si alzò dal tavolo.
«Devo fare una cosa che ho rimandato per un po’. Ma non preoccuparti, tornerò presto. Tu aspettami.»
Con quelle parole, il ragazzo lasciò l’aula, diretto verso i sotterranei.
Salazar sedeva mollemente appoggiato a uno scranno accanto a un tavolo ovale dalle gambe scolpite. Si trovava in una sala del quinto piano in cui raramente metteva piede, ma che era stata designata da Godric come luogo della riunione. Di fronte a lui, Rowena e Helga erano sedute composte. Una fissava con aria svagata il paesaggio fuori dalle finestre aperte, l’altra osservava con interesse le volte del soffitto. A Salazar era però chiaro che fossero semplicemente impegnate ad evitare di incrociare il suo sguardo.
Quando anche Godric fece il suo ingresso nella sala, le due donne si alzarono per andargli incontro. Il mago indossava un impolverato mantello da viaggio, aveva la barba disordinata e il suo spadone dall’impugnatura tempestata di rubini scintillava al suo fianco. Raggiunto il tavolo, tagliò corto con i convenevoli e piantò uno sguardo deciso su Salazar.
«Ho visto il principe Edmond al castello di re Ethelred. Lui e Lord Caradoc sono preoccupati e francamente perplessi a causa del tuo rifiuto di mandare i tuoi uomini nell’Essex» andò dritto al punto Godric.
«E il re cosa dice?» domandò Salazar con finta noncuranza.
«Non è il momento di scherzare!» Il mago dalla tunica scarlatta sbatté i palmi delle mani contro il tavolo. «Ti rendi conto di quello che hai fatto? Questa è insubordinazione!»
Salazar scattò in piedi.
«E tu ti rendi conto di cosa quel vecchio folle mi aveva ordinato? L’Essex è nelle mani dei Danesi, non serve a niente mandare lì un nostro contingente. L’unica cosa che possiamo fare per liberarlo sarà sconfiggere re Sweyn e suo figlio Knut una volta per tutte, e tu lo sai.»
«E tu hai giustamente pensato di non fare presente queste cose al re, preferendo disubbidire.» Il tono di voce di Godric era sferzante. L’uomo si allontanò dal tavolo e intrecciò le dita dietro la schiena, senza mai perdere di vista Salazar.
«Perché avrei dovuto sprecare il mio fiato?» obiettò questi. «Tu per primo hai sconsigliato questa tattica a re Ethelred, cosa sarebbe cambiato se avessi unito la mia voce alla tua?»
Godric sgranò gli occhi, quasi faticasse a credere di aver udito davvero quelle parole.
«Re Ethelred avrebbe ascoltato due voci anziché una.»
«Sì, dopodiché avrebbe mosso le dita e ci avrebbe costretti a cantare in coro» ribatté acidamente Salazar. «Sii serio, Godric, il re ti adora: se non sei riuscito a fargli adottare un piano diverso, credi davvero che io avrei avuto successo?»
«Non ci hai neanche provato!» urlò in risposta l’altro. Rowena e Helga avevano fissato gli occhi su di lui, Salazar non ricordava di averlo mai visto arrabbiarsi in quel modo. «Non ti interessa niente di re Ethelred o delle sorti del regno, tu pensi solo alla tua pellaccia.»
Salazar assunse un’espressione fintamente scandalizzata che sapeva l’avrebbe fatto innervosire ulteriormente.
«Godric, mi ferisci se dici queste cose!» Era troppo facile provocare Godric Gryffindor, questi digrignava i denti e sembrava volerlo incenerire con lo sguardo. Forse avrebbe anche messo mano alla bacchetta. Tornando serio, Salazar continuò: «Finora ho sempre servito il reame con voi, mi pare di ricordare.»
Godric aggrottò le sopracciglia.
«Sì, finché un bel giorno non ti sei stancato e non hai deciso di uscire dal gioco. Perché questo è quello che hai fatto, dico bene? Non si tratta solo di non mandare i tuoi uomini nell’Essex, tu non hai intenzione di dare il tuo appoggio a re Ethelder mai più.»
Salazar schiuse le labbra e lasciò andare lentamente le braccia lungo i fianchi. Nemmeno Rowena l’aveva realizzato fino a quel momento. Ma lui rifiutò di sorprendersi troppo: Godric non aveva dato prova di grande acume, semplicemente lo conosceva davvero bene.
Sentì gli occhi di Rowena ed Helga su di sé: le iridi cerulee dell’una e ambrate dell’altra sembravano essere in attesa di una risposta, di una controbattuta o di una conferma. La sensazione di essere osservato gli diede ai nervi.
«La verità è che io non riesco ancora a capacitarmi di come voi tre diate ancora retta a quel mentecatto che si fa chiamare re solo perché porta una corona. È stato lui a scatenare questa guerra, ed è lui a condurla nel modo più sbagliato! E noi che stiamo facendo? Ci esibiamo in un coro di “sì, maestà”, mentre lui manda i nostri uomini al macello.»
«Non è vero!» obiettò Helga. Lo sguardo smarrito e il respiro trattenuto tradivano ciò che doveva provare. «Abbiamo sempre consigliato il re. Godric ha cercato di indirizzarlo, io mi prendo cura dei feriti, Rowena…»
«Basta così!» La voce di Salazar era risuonata più alta e dura di quanto avesse inteso, ma ormai era stanco e seccato di una situazione protrattasi per troppo tempo e faticava a controllarsi. O forse non voleva farlo davvero.
«Come osi!» si intromise Godric, muovendo un passo verso di lui e serrando le dita nei suoi guanti di pelle.
«Oh sì, continua a giocare al cavaliere, Godric» rispose l’altro puntandogli contro un dito accusatore. «Anzi, continuate tutti a prostrarvi davanti a un re incapace e babbano!»
L’ultima parola fu quasi urlata. Salazar ebbe una visione fugace dell’espressione adirata di Godric e di quella turbata di Helga, poi si accorse di Rowena e dei suoi occhi imploranti. Sapeva che stava silenziosamente cercando di fermarlo, ma non avrebbe potuto. C’era stato un tempo in cui lei aveva avuto un forte ascendente su di lui, pensò con amarezza il mago, ma quel tempo era passato.
«È stato un errore piegarci a lui.»
«Ma è il re…» cercò di osservare Rowena.
«Non me ne faccio niente del diritto di nascita, se tutto quello che sa fare è berciare e mandare il regno al disastro! È un Babbano, figlio di una puttana babbana, e io non ho nessuna intenzione di farmi dare ancora ordini da un essere inferiore. Avremmo dovuto toglierlo di mezzo, governare noi, e mai i Danesi si sarebbero avvicinati alle nostre coste…»
«Non tollero questi discorsi davanti a me!» tuonò Godric, aggirando con passi rapidi il tavolo ovale.
«Avresti preferito che continuassi a parlarti alle spalle?» lo sfidò l’altro.
Godric ignorò l’ultima provocazione.
«Rimangia quello che hai detto e fai ammenda, Salazar» lo ammonì severamente. «O dovrai affrontarmi per il tuo alto tradimento.»
Salazar esplose in una risata sonora.
«Forse sarai tu a dover affrontare me.» In un attimo la sua mano era già alla bacchetta infilata nel cinturone. Helga scattò in piedi, Rowena urlò e Godric riuscì a produrre un potente Incantesimo Scudo prima che la fattura di Salazar potesse raggiungerlo. Quando la cupola evanescente si dissolse, Lord Slytherin aveva già lasciato la sala. Nessun rumore di passi lo inseguì lungo i corridoi.
Ormai la frattura era irreparabile.





NdA: la lite e la definitiva separazione tra i Fondatori è fondamentale nella storia di Hogwarts, ed è anche importante ai fini della mia trama. Si sa che Godric e Salazar litigarono a causa delle idee razziste di quest’ultimo, e così io ho fatto, inserendo la vicenda nel contesto storico del dominio di re Ethelred e della guerra contro i Danesi. La condotta di Salazar era inaccettabile per gli altri Fondatori: erano intollerabili tanto il suo razzismo, quanto la sua insubordinazione. Quella lite è stato solo il momento in cui la distanza tra Salazar e gli altri quattro è venuta alla luce, in tutta la sua manifesta incolmabilità. Ho voluto scrivere che Salazar attaccava Godric per rendere il suo comportamento ancora più grave, inoltre non mi sembra fuori dal personaggio: del resto Salazar ha ficcato un bestione nella Camera dei Segreti con il preciso intento di lasciare a qualche suo erede la possibilità di sguinzagliarlo per la scuola e far fuori nati Babbani e Mezzosangue, non mi pare esattamente un agnellino.

 
   
 
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