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Autore: ilaria_dreamer    30/10/2014    2 recensioni
[Norman Reedus/Emily Kinney]
"New York. Le luci, i colori, la gente. Amavo quella città, mi faceva sentire a casa. Devo tanto a New York, persino qualcosa legata alla mia musica: l’ispirazione. Sì, mi bastava anche solo passeggiare per trovare l’ispirazione. Passeggiavo lungo il fiume Hudson, mi piaceva fermarmi a pensare. Ogni volta che mi ritrovavo lì, vivevo una sorta di déjà-vu. Il mio pensiero andava ad una persona che mi faceva sentire spiazzata. Scrivevo, buttavo giù strofe e parole sincere. Ciascuna frase mi ricordava lui. E’ trascorso molto tempo dall’ultima volta che l’ho visto. Quei suoi occhi piccoli e scuri, i suoi capelli marroni e un po’ ribelli… Tutto di lui mi faceva sentire le farfalle nello stomaco."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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"Difficile da nascondere"

 
Da quel pomeriggio, io e Norman non ci siamo più visti, né sentiti. Non mi aspettavo una sua telefonata o un suo messaggio, volevo soltanto pensare alla mia musica e concentrarmi soltanto su di essa. Trascorsero circa due settimane. Per fortuna mi sono distratta facendo altro, ho registrato le canzoni allo studio, sono uscita con le mie amiche e ho continuato la lettura del libro “La via dell’artista.” Il mio sguardo cadde su una pagina in particolare. C’era un rigo che riportava questa frase: “Gli artisti, amano altri artisti.” Sapevo a cosa stavo pensando, ma non volevo pensarci.

Erano le 10 del mattino, decisi di andare al parco, magari per rilassarmi un po’. Non appena fuori, vidi una motocicletta che mi era familiare, quella di Norman. Era davvero lui? C’era tanta gente e non riuscivo a vederlo, ma ad un tratto, la sua immagine fu chiara. Era seduto su una panchina, aveva la testa chinata e le mani unite. Ma cosa ci faceva lì? Una parte di me mi diceva di lasciar perdere, di incamminarmi verso una strada differente, ma l’altra parte di me mi diceva di andare lì da lui per parlargli. Mi sedetti accanto a lui e si voltò verso di me. Era meravigliato, forse non si sarebbe mai aspettato che mi sarei avvicinata a lui. Continuò a fissarmi, era a corto di parole. Poco dopo il suo sguardo cadde sulla mia camicia a quadri, poi cominciò il discorso con una frase stentata.

Emily.. Come stai?” Non sapevo se rispondergli o meno. Subito dopo, anch’io gli risposi con una frase stentata.
Bene.” Mi fece un sorriso, poi si voltò dall’altra parte. Seguirono dei minuti di silenzio, poi riprese a parlare.
Mi dispiace. Questa mattina sono saltato in sella alla mia moto, con la speranza di trovarti in casa. Non sapevo se venire da te o meno. Sai… Probabilmente ti saresti arrabbiata. Credo che siamo partiti con il piede sbagliato e ho dato una cattiva impressione di me. Avevo bisogno di vederti, tutto quì. Ero venuto per dirti questo.” Si ammutolì subito, io cominciai a sudare.
La sua presenza mi rendeva nervosa. Avrei voluto che parlasse soltanto lui e così fece.
Volevo farti vedere una cosa. Ti va se andiamo in un posto?
Dove?
Andiamo, ti piacerà.” Si avvicinò a me e scherzosamente, mi infilò il suo casco. Salimmo in sella alla sua moto.

Inizialmente non sapevo se aggrapparmi intorno al suo busto per non cadere. Avevo una vergogna tremenda. Non appena mise in moto, il mio istinto fu proprio quello di aggrapparmi a lui. Era così bello sentire il suo calore. Dopo una trentina di minuti, arrivammo a Brooklyn. Lui viveva lì, eravamo proprio di fronte casa sua. Mi chiedevo dove fosse Julie, poi dissi a me stessa che importava poco, in quel momento volevo concentrarmi soltanto su ciò che stava per accadere.
Cosa ci facciamo qui?” gli dissi un po’ sorpresa. Nemmeno mi rispose, poi mi fece cenno con la mano con l’intento di essere seguito.

Eravamo in ascensore, stavo cominciando a diventare ansiosa. C’eravamo solo noi due. Ci fu silenzio, poi mi accorsi che lui si era voltato in prossimità dello specchio per aggiustarsi i capelli. Feci un sorriso silenzioso, era così buffo. Se ne accorse e mi sorrise a sua volta. Le porte dell’ascensore si aprirono, mi guardai intorno e mi sentivo così inerme. Non sapevo come comportarmi, non sapevo cosa avesse voluto mostrarmi. “Vieni, non essere timida.

Casa sua era così grande e disordinata. C’era di tutto in giro: libri, riviste, scatole e scatoloni. Ma la cosa che più mi colpì, furono i numerosi dipinti e fotografie. Rimasi quasi incantata. Norman era entrato in una stanza, ci mise un po’ , prima di tornare da me. Non sapevo come gestire la situazione, le mie mani tremavano. Finalmente mi raggiunse nel soggiorno. Aveva in mano una tavola ed un cavalletto per dipingere. Era forse impazzito? Mi chiedevo cosa avesse in mente di fare. “Vieni quì. Voglio mostrarti una cosa.” Mi avvicinai a lui, si spostò dietro di me e afferrò il mio braccio destro. Avevo in mano un pennello, ero così goffa. La sua mano sinistra toccò il mio fianco, ad un tratto la vista si annebbiò e ripresi a sudare. Avevo il cuore a mille. Agitava il mio braccio, voleva farmi dipingere qualcosa.
Disegna un paesaggio. Voglio metterti alla prova. Fammi vedere cosa sai fare.
Si sedette sul divano nero in pelle e mi osservò.
Perché devo farlo?
Dipingi per me, sono curioso di vedere la tua opera d’arte.
Cominciò a sorridermi e non sapevo se fissare il suo sorriso o la tavola per dipingere. Dopo un po’ di tempo, il mio “capolavoro” era terminato. Lo osservò per un po’, poi si complimentò con me. Arrossii e mi sentivo imbarazzata. Ora cosa avrei dovuto fare? Sedermi accanto a lui, oppure andare via? Era una situazione insolita. Si alzò dal divano e si diresse verso la cucina. Tornò con due tazze di caffè fumante.
Il tuo dipinto mi piace molto, devo dire che sei brava con la pittura. Dovremmo farlo più spesso.

Mi sentivo felice ma allo stesso tempo confusa e Norman nel frattempo, mi fece sedere accanto a lui sul divano. Il suo telefono squillò, era Julie. Rifiutò la chiamata e spense il cellulare.
Non.. Non rispondi?” gli chiesi stupita.
Pfff! Non mi va.
Prese a fissarmi dritto negli occhi e mi sentivo bloccata, non sapevo davvero cosa fare. Aveva degli occhi bellissimi, azzurri come i miei. I suoi occhi, così piccoli.. E il suo sguardo, così sexy. Ci guardammo ancora un po’, poi mi avvicinai a lui e d’istinto gli diedi un bacio. “Oddio scusami! Ma che diavolo sto facendo, sono una stupida! Perdonami, sono mortificata.

Avevo praticamente le guance colore bordeaux e mi alzai subito dal divano.
Scusa, non volevo farlo, devo andare, si è fatto tardi.” Mi fermò prendendomi per il braccio.
No, resta qui con me.
Stavolta riprese lui a baciarmi, si trattava di un bacio più intenso, fino a mordermi le labbra. Mi prese dai fianchi e mi fece stendere sul divano, all’improvviso l’atmosfera si era accesa. Cominciò a sbottonarmi la camicia e nel frattempo una delle sue due mani, scese dal mio viso, fino ad arrivare sul collo e sul seno. Gli feci cenno di smettere, prima o poi Julie sarebbe arrivata, ma la mia mente già fantasticava, lo desideravo più che mai. Sentivo il suo respiro e il suo profumo, in un attimo ero in estasi. Poi si fermò e mi baciò lungo il corpo, fino a farmi perdere la testa. Ad un tratto sentimmo suonare il campanello. Lui non voleva fermarsi, poi decisi di scostarmi dal suo corpo, anche se a malincuore. Mi guardò e si alzò dal divano per andare ad aprire la porta.

E’ la mia ragazza.
Non appena sentii quella frase, “la MIA ragazza”, avvertii un senso di vuoto allo stomaco.
Vado via. Cosa le dirai adesso? Mi vedrà sicuramente.
Ammiccò e mi disse di uscire di nascosto, avrebbe portato Julie nella sala da pranzo. Lei era lì, entrò e non appena vide Norman, gli diede un bacio. Quella scena mi disgustò parecchio. Uscii di corsa, non appena lui e Julie entrarono in cucina.
Entrai in ascensore, non mi accorsi di avere ancora la camicia metà sbottonata. Mi guardai allo specchio, ripensai ai nostri corpi così vicini. Abbottonai la camicia e poggiai la testa sulla parete dell’ascensore, prossima allo specchio. Dentro di me pensavo, “Emily, ma cosa stai facendo? Lui ti ferirà.” Conoscevo Norman, mi è sembrato di conoscerlo da sempre già dal nostro primo incontro, alla mostra. Mi ha raccontato così tante cose di lui e neppure mi conosceva, forse era il suo modo di rimorchiare? Ho avuto altri ragazzi ma lui non riesco a togliermelo dalla testa. Non voglio innamorarmi, non posso.
 
 

 
   
 
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