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Autore: Glitch_    01/11/2014    8 recensioni
[Sterek Maleficent!AU]
C’è Derek che per vendicare la sua famiglia e proteggere quel che resta della sua terra chiede aiuto a Madre Luna per diventare uno stregone oltre che un lupo, e poi c’è Stiles, coinvolto nei piani di Derek di riflesso.
Derek adesso vorrebbe solo poter riformulare il suo maleficio, o che il vero amore esistesse davvero…
Genere: Commedia, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Kate Argent, Malia Hale, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: amo le AU e visto che scriverle mi fa dannare e allo stesso tempo divertire come una pazza, mi piace farne di nuove. Ho cinquantamila trame AU in mente, alcune non penso di essere in grado di realizzarle perché come tipologia non rientrano fra le mie corde, però ce n’erano tre che mi stuzzicavano da sempre: l’AU ispirata a un film, l’AU ispirata a una fiaba e l’AU in stile medioevo. Con questa ho fatto tombola, quindi permettetemi di sorridere come una scema compiaciuta.
Ovviamente la trama di Maleficent qui è stata del tutto adattata e re-interpretata per piegarsi verso il canone di Teen Wolf, e qua e là c’è anche qualche plot twist perché questa è una Sterek, e di conseguenza non credo sia strettamente necessario aver visto il film per capire la storia, anche se così le analogie andranno perse; se non avete visto il film però siete curiosi, potete trovarne un riassunto molto dettagliato qui, sulla wiki italiana. Sostanzialmente troverete: Maleficent!Derek, Aurora!Stiles, Fosco!Malia, Stefano!Kate, Enrico!Gerard, le tre fatine!Deaton-Morrell-Braeden (ho scelto di usare solo i cognomi dei primi due per renderli più facilmente riconoscibili durante la lettura), Filippo!Heather + qualche altro personaggio citato qua e là (in pratica tutto il resto del branco). Derek e Malia sono un po’ in stile Mignolo e prof ("Che facciamo stasera, Derek?" "Quello che facciamo tutte le sere: andiamo a distruggere la vita di Kate e tutta la sua corte!" "Quindi andiamo ad ammazzarli tutti?" "No! Sono un predatore, non un assassino!" "Peccato").
L’inizio della storia è un vero e proprio estratto dell’inizio del film, così come gran parte della scena del maleficio nel giorno della festa per la principessina.
Questa storia è WIP, sarà composta da tre parti, e se non fossi stata ormai a buon punto con la seconda non mi sarei azzardata a postare la prima :)
Detto questo, a parte i lati drammatici della storia, mi sono divertita molto a scrivere tutto ciò, e mi auguro possa divertire e piacere anche a voi :)
Buona lettura!
(su tumblr, se volete, potete trovarmi come lastbluehowl)





Prima Parte



C'erano una volta due regni vicini, e l'uno era il peggior nemico dell'altro. Si diceva che la discordia tra loro fosse così profonda che solo un grande eroe o un vero cattivo avrebbe potuto farli riavvicinare.

In uno dei due regni vivevano persone come voi e come me, governate da un re vanesio e avido; esse erano sempre scontente e invidiose della ricchezza e bellezza del regno vicino, perché nell'altro regno, la Brughiera, vivevano innumerevoli e strane prodigiose creature, a cui non servivano né re né regine perché si fidavano le une delle altre.

Sopra un grande albero chiamato Nemeton, che affondava le sue radici su un'imponente rupe nella Brughiera, c’era costruita la casa in cui viveva un branco di queste misteriose creature; si potevano scambiare facilmente per normali esseri umani, ma non erano solo umani, erano anche lupi e portavano il nome di Hale.

Gli esseri della Brughiera coesistevano in maniera pacifica perché nutrivano da sempre dei forti sentimenti verso le proprie famiglie: crescevano in branchi o piccole tribù, erano molto consapevoli dell’estremo dolore che arrecava la perdita di un membro del branco – era come perdere un arto – e per questo non si attaccavano mai fra di loro ed evitavano degli scontri futili. Tuttavia, erano altresì consapevoli del pericolo crescente al limitare della Brughiera, dove le truppe di re Gerard, assetato da sempre di sangue e potere, campeggiavano in attesa di addentrarsi fra gli alberi e impadronirsi dei preziosi tesori della Brughiere e delle sue illimitate risorse – come la pozza delle gemme.

Nella Brughiera, gli Hale erano il branco con le origini più antiche, e per questo erano molto rispettati; perlopiù mantenevano un aspetto simile a quello degli umani, ma se volevano potevano utilizzare artigli, zanne e una vista simile a quella dei lupi – cambiando il colore delle loro iridi – o trasformarsi del tutto in lupi. Si diceva anche che la Luna era la loro Madre, e che se ci fosse stato bisogno Lei avrebbe ascoltato il grido disperato di un suo figlio per aiutarlo a vivere ancora.

Come un comune branco di lupi, gli Hale avevano la propria coppia alpha, Talia e il suo consorte, che guidavano con affetto e giudizio i loro fratelli e sorelle e i loro figli. Proprio Talia, quel giorno, era presente alla riunione delle creature per discutere come affrontare le truppe di re Gerard.

Derek era il secondogenito di Talia, un vivace ragazzino di soli quindici anni che soleva correre per la Brughiera a piedi scalzi e umani sui prati – infastidendo in modo irriverente i folletti dei fiori, che al suo passaggio chiudevano in fretta i boccioli, le loro casette, spruzzando polline con fare indignato – e a quattro zampe quando saltellava sulle rocce sporgenti sul letto del fiume – provando a rincorrere le piccole ninfe dell’acqua che nuotavano veloci lasciando una scia colorata e fluorescente alle loro spalle. Derek era giovane e curioso, ansioso di poter vedere cosa c’era oltre la Brughiera, perché non capiva come mai gli esseri umani invidiassero così tanto le creature sovrannaturali; pensava che anche loro di certo avevano qualcosa di speciale: se le due fazioni erano così diverse ci doveva essere un motivo, e non era il caso di invidiarsi o essere gelosi, forse bastava solo osservarsi meglio. O condividere tutto come facevano nella Brughiera.

Derek aveva sentito dire a suo zio Peter che quel giorno alla riunione nella radura sua madre e gli altri capo branco e capi tribù sarebbero giunti alla decisione definitiva nei confronti di re Gerard, quindi lì ci sarebbe stata un sacco di gente. Era curioso di vedere i nuovi ospiti della radura: la Brughiera era molto grande, non sempre c’era l’occasione di incontrare esseri così diversi da lui.

Si aggirò di soppiatto fra i cespugli più alti e la grande folla di spettatori, fino a riuscire a intravedere i tre rappresentanti che avevano mandato le tribù degli stregoni del sud-est, riconoscibili per la loro pelle scura color dell’ebano – Deaton, Morrell e Braeden – e poco più in là notò Kali, un capo branco del nord-est dalla strana eleganza selvaggia.

Al momento quello che stava parlando era Ennis, un capo branco del nord: durante il suo viaggio verso la radura insieme a dei suoi beta, mentre costeggiavano il confine della Brughiera erano stati attaccati da dei soldati di re Gerard, e un suo compagno di branco era rimasto ucciso; chiedeva vendetta e si dichiarava a favore di un attacco immediato.

«No» obiettò una voce, mentre la sagoma di un uomo si faceva spazio verso il centro della radura; era Deucalion, un altro dei capo branco del nord e un buon amico di Talia. «Re Gerard da sempre ci giudica degli inferiori e degli esseri selvaggi: se l’attaccheremo per primi rispondendo alle sue provocazioni, faremo il suo gioco e gli sarà più facile aizzarci contro gli altri umani e aumentare il numero dei suoi alleati».

«E allora cosa dovrei fare?» replicò Ennis, furioso e sarcastico. «Dovrei stare qui a piangere il mio beta morto e non far niente affinché ciò non si ripeta? Se in questo momento la nostra forza come creature figlie della Luna è nulla, allora io invoco il potere di nostra Madre!» Staccò un ramo sottile da un alberello e cominciò a tracciare una spirale a terra, il simbolo di vendetta con cui i lupi disperati potevano appellarsi alla Madre Luna e ottenere il suo potere.

Talia avanzò decisa e gli tolse dalle mani il ramo prima che potesse ultimare di tracciare il simbolo. «No» gli disse secca. «Non possiamo disturbare Madre Luna quando possiamo ancora fare affidamento sulle nostre risorse ancora non sfruttate».

«Ma è per la nostra sopravvivenza!» ribatté Ennis.

Morrell si avvicinò a lui con incedere lento e solenne. «Noi esseri della Brughiera abbiamo già molto più potere rispetto agli umani: richiamare e usare il potere della Luna in maniera inopportuna potrebbe portare uno squilibrio nella Natura, e ciò è inaccettabile».

Talia trasse un respiro profondo. «Gerard è pazzo e non credo sia possibile trattare con lui, ma almeno fino a quando sarò viva non permetterò che nella Brughiera si usi la violenza pura e o si chieda aiuto a Madre Luna in modo inopportuno».

La discussione prese toni più accesi; Derek, annoiato, arricciò il naso e sgusciò fuori dalla folla, andando a cercare dell’intrattenimento altrove. Si arrampicò sugli alberi più alti per cercare dove fossero andate a cacciarsi le ninfette d’acqua più giovani: non gli sarebbe dispiaciuto andare a guardare cosa facevano, o magari portare un po’ di scompiglio mentre loro provavano a fare giochi colorati con l’acqua; la sua sorellina Cora era rimasta con Laura, la primogenita e prossimo capo branco in linea diretta, quindi Derek non aveva nessun altro con cui andare a schizzare acqua alle ninfette o far dispetti in generale.

Vide dei lievi bagliori di luci fluorescenti dall’altra parte della Brughiera, quasi vicino al confine con la terra degli umani, alla pozza delle gemme; tendendo di più le orecchie, il suo udito da lupo gli confermò che gli spiritelli acquatici erano proprio lì, e sorridendo compiaciuto scese giù dall’albero e corse da loro.

La pozza delle gemme era un piccolo laghetto con una cascatella, sul cui fondale si potevano trovare delle pietre bianche e lucenti che riflettevano la luce lunare in modo particolare; erano uno dei tanti tesori della Brughiera di cui gli umani volevano impadronirsi, non capendo che nessuna cosa al mondo aveva più valore una volta strappata via dalla propria casa.

Le ninfette più piccole adoravano giocare nella pozza, perché quando nuotavano veloci o schizzavano forte l’acqua lasciando una scia colorata dietro di loro, le gemme sul fondale ne riflettevano il colore aumentando l’effetto spettacolare dei loro giochi.

Giunto alla meta, Derek si sedette vicino alla riva, pronto a sorprendere le ninfette che fra non molto sarebbero sbucate fuori dall’acqua saltando come lunghi e sottili pesci alati – erano esseri non più alti di un palmo, dall’aspetto umano ma con delle ali cangianti da libellula e una coda da pesce argentea al posto delle gambe. Non fece però in tempo a preparare il suo primo scherzo, perché fu lui a essere colto di sorpresa da qualcuno: sentì un lieve schiaffetto umido sulla nuca.

«Ahio!» si lamentò seccato, massaggiandosi la parte lesa e voltandosi a vedere chi fosse stato a colpirlo. Trovò Paige che volava a un palmo dal suo naso, imbronciata e con le braccia incrociate sul petto. Doveva averlo colpito con la sua coda – le pinne di una ninfetta potevano essere perfino taglienti, se usate nel modo giusto – e ora lo stava fissando seccata, svolazzando di proposito così vicina alla sua faccia per schizzarlo con le ali bagnate.

«Siamo qui per esercitarci, e tu volevi interromperci» esordì Paige. Dietro di lei, sbucarono da sotto la superficie dell’acqua altre ninfette, che annuirono infastidite.

«Non stavate mica preparando uno spettacolo!» le ribatté. «Tanto ci penseranno i vostri genitori stasera a intrattenere gli ospiti venuti oggi nella radura».

«Sì, ma noi abbiamo bisogno di fare pratica, e tu sei qui solo per farci perdere tempo!»

Derek sorrise furbo e le diede delle pacche scherzose e affettuose sul capino colpendola più volte con l’indice. «Andiamo, Paige, non sono uno spettatore così fastidioso! Potrei anche darvi dei consigli, volendo».

La ninfetta aprì bocca per rispondergli, ma venne interrotta dallo schiamazzare delle sue amiche, che iniziarono a gridare spaventate e indignate sbattendo la coda contro la superficie della pozza. Derek si voltò nella direzione che le creaturine stavano indicando: vide una giovane donna china sulla riva opposta, che infilò svelta la mano sottoacqua, prese una gemma e scattò subito in piedi per correre via.

«Non si ruba nella Brughiera!» esclamò Paige, arrabbiata.

Anche Derek era arrabbiato, perché rubare era un grosso torto, ma quella ragazza gli era sembrata un’umana e quindi… era anche curioso: si mise subito a rincorrerla.

Non c’era alcun dubbio sul fatto che conoscesse la Brughiera meglio di quell’intrusa, così per lui non fu difficile raggiungerla e superarla saltando da un albero all’altro, e alla fine la sorprese pendendo a testa in giù da un ramo. Lei strillò spaventata e lui sorrise compiaciuto, dondolandosi come un pipistrello e incrociando le braccia al petto.

«Questa è una piccola rivincita» esordì canzonatorio, «non si ruba nella Brughiera».

«Voglio solo una gemma!» ribatté lei, offesa. «Tanto ce ne sono un mucchio in quella pozza, se ne prendo una non è un problema!»

Derek scrollò la testa mugugnando in cenno di diniego. «Mmn-mnn! Non si ruba nella Brughiera» ripeté.

La ragazza fece un passo indietro e provò a guardarlo meglio inclinando la testa, visto che lui era ancora sottosopra. «Cosa farai quando te la restituirò? Mi porterai dal tuo Gran Consiglio?»

Derek inspirò a fondo soppesando il da farsi; ondeggiò forte e veloce per mettersi in piedi sul ramo, poi saltò giù a terra e osservò la ragazza. Era proprio un’umana, giovane ma senza dubbio un po’ più vecchia di lui, da bei capelli lunghi e biondi e lo sguardo vivace e lucente.

«Dipende» le rispose infine. «Prometti di non rifarlo mai più?»

La ragazza lo fissò indecisa serrando le labbra, ma dopo cedette e assentì.

«La gemma» incalzò Derek, tendendo un palmo aperto verso di lei, chiedendole implicitamente di restituirgli il maltolto. Lei sbuffò, ma l’accontentò.

«Io sono Derek» si presentò sorridendo e invitandola a seguirlo. «Tu come ti chiami?»

«Kate» rispose, guardandosi intorno perplessa ma stando al passo. «Dove stiamo andando?»

Lui scrollò le spalle. «A riportare a casa quello che hai preso senza permesso» replicò sereno; arrivato alla riva della pozza – le ninfette erano tutte scappate via – riconsegnò la pietra al suo fondale.

Kate s’imbronciò. «Avessi saputo che l’avresti buttata via, l’avrei tenuta!»

«Non l’ho buttata via» precisò Derek, «l’ho riportata a casa! Nessuna cosa al mondo ha più valore, una volta strappata via da casa».

«Beh, avrebbe brillato ancora alla luce lunare!»

«Ma non come una volta» sottolineò lui. «Ne sai davvero poco sulla vera natura di ciò che si trova nella Brughiera, vero?» la prese in giro, lei sbuffò di nuovo. «Vieni, per di qua per uscire dalla foresta» le indicò la via e di seguirlo.

«Non è facile saperne molto, se voi abitanti della Brughiera siete così chiusi!» ribatté Kate, dopo qualche passo fatto in silenzio.

«E non è facile parlare con voi umani e raccontarvi di noi, se ogni volta che vi avvicinate ai nostri branchi provate a derubarci o farci del male» le replicò cantilenando con del leggero sarcasmo.

«Non vi deruberò mai più» gli disse Kate, seria, «quindi… almeno tu non potresti raccontarmi un po’ più di voi?»

Si fermarono sul limitare della Brughiera, sul lato in cui non vi erano gli accampamenti degli uomini di re Gerard. Kate lo fissò speranzosa: non aveva fatto del male a Derek, e gli aveva consegnato subito la gemma senza farselo ripetere due volte… e lui era davvero curioso di conoscere a sua volta un po’ di più degli umani. E poi lei era bella.

Abbassò lo sguardo e sorrise timido annuendo. «Va bene».

Kate gli rivolse un sorriso luminoso. «Oh, grazie! Grazie davvero! Non so come ringraziarti, posso… posso…» si guardo intorno, un po’ impacciata. «Posso darti questo?» Strappò dal prato ai loro piedi un fiore viola e glielo porse.

Derek stese le mani avanti in cenno di difesa, abbozzando però un sorriso a mo’ di scusa. «Mi dispiace, ma non posso accettarlo: la strozzalupo è una pianta velenosa per quelli come me».

Lei restò sorpresa. «Oh, scusa! Non lo sapevo! Non ne avevo proprio idea…»

Lui scrollò le spalle. «Non fa niente…»

Kate strinse il fiore nel pugno, stritolandolo, e poi lo buttò via. «Ecco, così non ti farà più male!»

Derek sorrise contento e imbarazzato. «Allora… ci vediamo? Tornerai a cercarmi qui?»

«Senz’altro!» gli promise, prima di voltare le spalle e correre via.

Derek l’osservò allontanarsi sentendosi le guance in fiamme e il cuore in gola.



Mentre Derek passava giorni sereni, eccitato dall’idea di stare finalmente conoscendo un’umana, il Gran Consiglio della Brughiera cercava ancora una soluzione per re Gerard.

«È malato» disse una volta zio Peter, con soddisfazione e un velo di sadismo – Derek glielo sentì annunciare poco prima di sgattaiolare via dalla casa sul Nemeton, per andare ai confini della Brughiera da Kate. «Credo che stia per morire: forse ne dovremmo approfittare ora, per attaccarlo…»

«O forse» suggerì Deucalion, «dovremmo aspettare la prossima mossa del Fato: alla sua morte ci sarà un successore, magari con lei, o lui, ci sarà possibile trattare in maniera pacifica».

Talia concordò. «Gerard ha due figli: si dice che il suo primogenito sia meno guerrafondaio di suo padre e sua sorella… forse dovremmo davvero dare tempo al tempo».

Derek non si lasciava toccare da simili ragionamenti pesanti e opprimenti: erano roba per adulti, compiti che non spettavano a lui e da cui comunque i suoi genitori lo allontanavano ogni volta che c’era una riunione del Gran Consiglio, affidandogli Cora – quando Laura era impegnata – o invitandolo ad andare pure a trovare Paige.

Derek era impegnato a scoprire le cose che Kate gli insegnava giorno dopo giorno, sia le storie e gli annedoti sugli umani di cui lui non sapeva niente, sia le sensazioni nuove che grazie a lei stava imparando a conoscere. Derek era giovane e ingenuo, e il giorno in cui finalmente pose sulle proprie emozioni il nome di "Primo Amore", Kate gli sorrise dolce, e portandosi i capelli dietro le orecchie con un gesto timido gli parlò a bassa voce.

«Ho un regalo per te». Avvicinò lentamente il viso al suo, inclinò appena la testa di lato e gli schioccò un bacio languido sulla bocca, il primo bacio di Derek. «Questo è il bacio del Vero Amore» gli mormorò stringendogli le mani fra le proprie, «custodiscilo bene! Tu hai niente per me?» gli chiese sorridendo.

Lui si mordicchiò un labbro, sorridendo impacciando, e poi annuì. «Ti andrebbe di vedere dove abito? È nel cuore della Brughiera, nessun umano è andato fin lì, tu saresti la prima!»

Gli occhi di lei si illuminarono e gli rispose di sì con gioia.

Derek la portò di nascosto fino al Nemeton, guidandola su strade nascoste che di solito usava per uscire di casa – o rientrarci – senza essere visto o annusato dagli altri del branco. Restarono fuori, lontani dai piedi dell’albero, ma Derek le indicò ogni finestra illuminata raccontandole chi viveva in quella stanza e quanti ospiti c’erano per ora nella Brughiera.

Kate si mostrò entusiasta, gli strinse la mano per tutto il tempo, e andarono insieme alla pozza delle gemme a guardare il tramonto. Si sedettero sulla riva, parlarono ancora un po’ e Kate gli offrì da bere dalla sua borraccia.

Derek poggiò il capo sulla spalla di lei e, sereno, si addormentò senza neanche rendersene conto.

Fu l’intenso odore di fumo e di morte a risvegliarlo.

Erano le prime luci dell’alba, il giorno era appena iniziato, ma era come se per lui il mondo fosse appena finito.

Il senso della desolazione e della solitudine derivata dall’aver perso il suo intero branco lo colpì al petto come un pugnale, e ancor prima che potesse realizzare cosa stesse davvero succedendo. Si sentiva la mente offuscata, come quando si risvegliava dopo che Deaton l’addormentava per guarirlo da delle ferite gravi – sonnifero, realizzò – e il dolore, la confusione e la frustrazione lo portarono ad alzare lo sguardo al cielo verso la luna e ululare forte.

Nessuno rispose al suo richiamo, e con sconcerto notò anche come quell’ululato fosse stato forte e potente, come quello di un alpha, il capo branco: si specchiò sulla superficie della pozza e spinse i suoi occhi a mostrargli il colore delle iridi da lupo. Le sue iridi erano diventate rosse, come quelle di sua madre.

Se proprio lui aveva ereditato il suo stato di alpha, allora non solo non c’era più sua madre, non c’era più neanche sua sorella, o qualcun altro che prima di lui potesse ereditare quel titolo.

Sentendosi gli occhi e la gola bruciare, corse disperato verso il Nemeton, vedendo come il fumo si stava allargando su tutta la Brughiera, e seguendo la luce e il calore dell’incendio che vedeva e percepiva.

Attorno a quella che una volta era stata la sua casa trovò decine di creature sporche di fuliggine impegnate a spegnere il fuoco prima che si allargasse a tutta la Brughiera: il Nemeton era stato tagliato alla base e i suoi rami erano stati dati alle fiamme, e di conseguenza il fuoco si era esteso ai resti dell’abitazione che c’era sopra l’albero. Accanto al gigantesco ceppo del Nemeton c’erano i corpi tagliati in due di non solo tutto il suo branco – la sua famiglia – ma anche quelli dei branchi che ospitavano. Frastornato dall’orrore, notò che qualcuno aveva perfino osato cavare gli occhi di Deucalion, prima di tagliare il suo corpo in due.

E poi tremante e col volto rigato di lacrime passò in rassegna i resti dei suoi familiari, sfigurati dal fuoco e tagliati da lame indubbiamente impregnare di strozzalupo – Derek ne sentì l’odore mischiato al sangue – e sentì di non avere nemmeno le forze per urlare di dolore.

Gli era stato tolto tutto: la famiglia, la casa e perfino la sua specie. Era rimasto l’ultimo di loro nella Brughiera. E avevano perfino avvelenato la Brughiera con quell’incendio, gli avevano tolto quindi anche la speranza, la possibilità di ricrescere. Gli avevano tolto anche il futuro.

«Derek!» sentì una voce femminile chiamarlo accorata, e poi delle mani si posarono sulle sue spalle. Si voltò ancora basito e tremante: vide che era Braeden, che lo fissava piangendo a sua volta. «Ti abbiamo cercato ovunque, dov’eri?! Abbiamo pensato che fossero riusciti a spazzarvi via tutti

«Cos’è successo?» le domandò flebile e atono.

«Re Gerard è venuto fin qui con i suoi uomini e sua figlia! Non abbiamo idea di come abbia fatto a raggiungerci senza farsi vedere o spargere il suo odore! Ed erano armati, Derek, sapevano esattamente come far del male alla tua specie! Abbiamo pensato di aver perso anche te, dov’eri?! Dobbiamo correre a nasconderti e proteggerti!»

Il sonnifero… le informazioni su come arrivare al Nemeton non visti… le armi che potevano far del male ai lupi…

«La figlia di re Gerard, hai detto?» chiese, percependo come il suo mondo si stesse crepando e frantumando sotto i suoi piedi. «Sai per caso come si chiama?»

«Kate, la principessa Kate».

Derek smise di tremare e di essere spaventato, confuso, addolorato e frustrato. Irrigidì le spalle e la mascella, prese atto della ragione di tutto quello che era appena successo, e di conseguenza formulò il suo prossimo obiettivo; il suo mondo diventò di colori freddi e patinati di grigio, e fu in quell’attimo che il suo cuore diventò di pietra.

Braeden gli mise le mani sulle spalle e lo scosse, perplessa. «Derek? Derek, ne sai qualcosa? Sai come hanno fatto a scoprire i vostri punti deboli? Perché se è così dobbiamo…» Lui la interruppe scrollandosi le sue mani di dosso e marciando furioso verso un ramo spezzato e bruciacchiato del Nemeton.

«DEREK!» gridò Braeden, intuendo le sue intenzioni quando lo vide puntare il ramo verso il terreno per iniziare a tracciare qualcosa.

Lui in risposta ringhiò rabbioso mostrandole zanne e occhi rossi.

Morrell avanzò verso di lui a passi fermi e con sguardo impassibile. «Derek» gli disse puntando gli occhi nei suoi, «non lo fare, non invocare Madre Luna per chiederLe di darti il suo potere: non rovinare l’Equilibrio della Natura».

«L’Equilibrio è già stato rovinato!» urlò lui, con la voce distorta dalle zanne e dalla rabbia. «Loro sono venuti qui a portare Morte e Distruzione, sono rimasto l’ultimo della mia famiglia e della mia specie: ho il diritto di vendicarmi!»

Deaton si avvicinò a lui e provò a calmarlo. «Lo so che questa è una situazione disperata e che potrebbe sembrarti giusto appellarti a Madre Luna, ma credo che esistano altri modi per riparare a quello che è successo: sei troppo accecato dall’odio in questo momento, Derek, questa potrebbe essere una mossa sbagliata».

Derek sorrise amaro e sarcastico e scrollò la testa. «O siete con me, o siete contro di me». Li fissò in faccia uno per uno, e quando lesse nel loro sguardo che erano pronti a fermarlo, ringhiò e più veloce di loro ruotò più volte tracciando sul terreno la spirale della vendetta per chiedere a Madre Luna il suo potere.

Una colonna di luce argentea discese dal cielo fino alla Brughiera, investendo Derek: tutte le vene del suo corpo s’illuminarono sotto la sua pelle, e per un lungo secondo la Natura circostante fu pervasa dal potere disceso su di lui. Quando la luce andò via e il sangue di Derek smise di brillare, cadde il silenzio.

Non era più solo un lupo, adesso, era anche uno stregone, forse uno dei più potenti che fossero mai esistiti.

Deaton, Morrell e Braeden lo fissarono delusi, lui li ricambiò con uno sguardo pieno di rabbia.

«Derek» gli disse Deaton, «non hai idea di quali conseguenze possano portare dei poteri simili quando si è nel tuo stato mentale: una sola decisione avventata e potresti scatenare molto più di ciò che vuoi davvero».

«Voglio solo vendetta» gli rispose fra i denti, «e se non è vostra intenzione aiutarmi, fatevi pure da parte e lasciatemi in pace».

Voltò loro le spalle, schioccò le dita per cambiarsi i vestiti – da quel giorno in poi una divisa da caccia nera sarebbe stata più che a sufficienza – e andò in un posto dove potesse star da solo a piangere per un po’ per i suoi cari, prima di passare all’azione.



A nord, nella parte più fredda e abbandonata della Brughiera, c’era un vecchio castello inabitato e ormai quasi in rovina. Si diceva che più di un secolo prima ci vivessero delle donne umane che decidevano di dedicare la propria intera vita alla Madre Luna, pregandola giorno e notte e coltivando la terra voltando le spalle alla compagnia maschile.

C’erano solo delle leggende riguardo quel posto, ma comunque a Derek importava solo trovare un tetto sotto cui stare – anche se malandato – in un luogo dall’aspetto desolato e orrendo in cui nessuno pensasse di addentrarsi, per poter così stare per i fatti suoi. Quel posto era l’ideale.

Salì le scale dell’ingresso e, troppo esausto dalle proprie emozioni turbolente per poter andare avanti, crollò a sedere contro il muro della prima sala. Evocò un mantello nero e pesante e lo usò per coprirsi e mantenersi caldo. Avrebbe potuto sfogarsi trasformandosi in lupo, correndo per la Brughiera fino a perdersi nella propria disperazione: affondando nel proprio dolore, sarebbe diventato del tutto un animale, e forse non avrebbe provato più nulla – nessuna emozione umana avrebbe voluto dire nessuna sensazione di perdita. Però prendere le sembianze di un lupo l’avrebbe fatto sentire più vicino alla propria famiglia che ormai non c’era più, e considerando anche come l’aveva tradita spifferando a Kate tutti i loro segreti, forse non se lo meritava di sentire i suoi cari così vicini.

Un giorno, quando avrebbe smesso di piangere lasciando posto solo alla rabbia glaciale e più controllata, allora magari avrebbe ripreso l’aspetto di un lupo.

Era anche uno stregone, adesso, con poteri che a detta delle leggende dovevano essere terribili e stupefacenti – e che non vedeva l’ora di provare su Kate – forse era pure l’ideale restare per un po’ umani, per abituarsi alla nuova doppia natura con più senno.

Nel frattempo, però, era solo, e quando provava a guardare la sua situazione da altri punti di vista notava soltanto in quanti modi diversi fosse solo.

Era senza famiglia e senza una casa. La Brughiera era stata squarciata dall’incendio e quindi era in un certo senso anche senza territorio. Era senza alleati perché gli stregoni del sud-est gli avevano voltato le spalle. Era un alpha, ma non aveva un branco. Ed era l’ultimo della sua specie.

Non aveva i consigli di sua madre, né quelli di qualcun altro, o un suo simile che potesse capirlo. Non aveva basi o speranze su cui ricominciare, e a coronare quella situazione c’era la scoperta di un amore che non era in realtà mai esistito: aveva dato a Kate il suo cuore, e lei lo aveva fatto a pezzi.

Non voleva ascoltare le ragioni di nessun altro se non le sue.

Si addormentò ammantato di nero e del proprio dolore, piangendo inespressivo.

Si risvegliò quando ormai era tardo pomeriggio e solo perché percepì la presenza di un essere estraneo: udì battere il cuore di un essere, un animale carnivoro – o almeno così sembrava dall’odore e dal ticchettio di zampe contro il pavimento cementato del castello.

Aggrottò la fronte, sorpreso e perplesso, quando vide un coyote affacciarsi dalla porta d’ingresso del salone. La bestia uggiolò, perplessa quanto lui, ma Derek per tutta risposta mostrò un accenno di zanne e gli occhi rossi.

«Vai via!» le intimò con un ringhio basso e vibrante, e la bestia ubbidì subito senza farselo dire due volte.

Derek non era dell’umore adatto per ricevere visite, né per fare amicizia con animali sconosciuti – anche se fino a un giorno prima gli sarebbe piaciuto eccome, pensò con amarezza.

Dopo qualche minuto, si alzò dal pavimento e stringendosi nel mantello si affacciò sulla soglia: col suo olfatto da lupo seguì nell’aria le ultime tracce dell’incendio, ne conservò il ricordo di proposito per alimentare la sua voglia di vendetta, e andò in cerca di qualcosa da cacciare e mangiare.

Forte e sicuro dei suoi nuovi poteri, oltrepassò allo scoperto il confine della Brughiera, in cerca di lepri selvatiche nel territorio degli uomini. Aveva appena affinato l’udito da lupo per sentire se nelle vicinanze battevano dei cuori di erbivori, quando sentì un animale guaire di dolore e un umano ghignare soddisfatto.

Sentire un umano soddisfatto era una cosa che gli dispiaceva: meglio porvi rimedio.

Avanzò di soppiatto per osservare prima a cosa si dovesse quel trambusto: vide un contadino prendere a calci un animale intrappolato in una rete di corda, lo stesso coyote di poco prima.

«Adesso la finirai di mangiare i miei maiali, eh?» esclamò sarcastico l’uomo.

Derek inspirò a fondo, calcolò il da farsi e poi schioccò le dita, mormorando in direzione del coyote «Diventa un essere umano».

La bestia venne investita dalla magia di Derek e subito dopo si mise su due zampe mentre la sua figura si allungava: si trasformò in un’adolescente nuda, che sotto la rete si fissò le mani stupita. Il contadino strillò terrorizzato e scappò via.

Derek uscì dal suo rifugio all’ombra e andò verso la ragazza, che si tolse la rete da dosso e lo fissò accigliata e quasi offesa.

«Qual è il tuo nome?» le chiese Derek.

«Malia».

«Derek» le ribatté, presentandosi secco e inespressivo.

Lei si mise in piedi e si strinse nelle spalle strofinandosi le mani sulle braccia. «Perché mi hai trasformata in un’umana? Sono senza pelliccia, adesso, ho freddo!»

Derek inarcò un sopracciglio, sarcastico. «Ti ho salvato la vita» le fece notare. Schioccò le dita e la dotò di vestiti maschili pratici, comodi e dello stesso colore del suo manto da coyote.

«Grazie» borbottò lei, restando però sulla difensiva. «Cosa ti devo?»

Derek soppesò il suo debito. «Sei sola?» Gli rispose annuendo. «Non hai un branco?» Scosse la testa in cenno di diniego. Derek le sorrise con un accenno di zanne. «Diventa i miei occhi e le mie orecchie, allora».

Lei non sembrò molto convinta, ma tuttavia lo seguì al castello.



Malia sapeva ritorcere quanto Laura e apprendeva facilmente quanto Cora: se da una parte averla intorno gli ricordava troppo le sorelle perdute, dall’altra gli ricordava cosa voleva fare e perché farlo. In più era una discreta compagnia, visto che non era né umana né una creatura sovrannaturale, ma solo un animale con un aspetto umano. E poi era anche un’eccellente e violenta cacciatrice di lepri grasse.

Derek sapeva che se voleva davvero far del male a Kate doveva toglierle tutto solo quando fosse giunta all’apice del suo potere, nel momento in cui si sarebbe sentita più tranquilla, e per questo era necessario raccogliere più informazioni possibili e giornaliere. Per farlo utilizzava Malia: la trasformava in un uccello, e lei posandosi sui davanzali delle finestre del castello, od origliando le lavandaie della corte, otteneva ogni notizia necessaria al suo piano.

Prima di ogni cosa, però, Derek decise di proteggere e difendere la Brughiera: l’aria lì era ancora intrisa di fumo e la terra sapeva di cenere, e tutta la Natura circostante piangeva la perdita del gigantesco albero millenario che da tempo immemore era la colonna portante del territorio delle creature sovrannaturali e la casa del branco degli Hale; niente e nessuno era pronto all’assedio che re Gerard, a detta di Malia e le informazione da lei raccolte, aveva intenzione di attuare sfruttando quel momento di debolezza.

Quella di Gerard sarebbe stata una mossa meschina degna della sua fama e Derek non gli permise di attuarla: con i suoi nuovi poteri innalzo lungo i confini della Brughiera un’altissima muraglia di giganteschi rovi neri impenetrabili. I soldati provarono a bruciarli per eliminarli, ma loro presero vita muovendosi come enormi serpenti infuocati, abbattendosi su di loro e spazzando via le catapulte e gli accampamenti.

Le tribù degli stregoni del sud-est non davano alcun cenno di volersi schierare con Derek – forse addirittura temevano i suoi poteri e la sua rabbia – e cercavano ancora mezzi non violenti per raggirare re Gerard: Derek non ritenne necessario informarli del suo piano di difesa, prima di erigere le mura di rovi. Questo non giovò ai loro rapporti, ma a Derek importò poco.

Malia riferì a Derek che ormai re Gerard era prossimo alla morte – nonostante ancora si ostinasse a guidare a cavallo il proprio esercito – e che per decidere chi fra i suoi figli dovesse essere il suo successore li aveva sfidati a trovare una via per entrare nella Brughiera e ferirla una volta per tutte. Era stato per questo che Kate si era sentita motivata a manipolarlo e distruggere la sua vita, per vincere la sfida col fratello e assicurarsi la corona di regina.

«Andiamo a ucciderli tutti?» gli domandò inespressiva Malia, stendendo però le mani artigliate, dopo avergli riferito dell’incoronazione – re Gerard era morto.

«No» le rispose Derek, affacciandosi da una delle finestre della torre del castello malandato; gli artigli affondarono nel davanzale. «La mia intenzione è vendicare la mia famiglia, non solo la mia specie e la mia terra, e quindi intendo onorare la memoria di mia madre: lei diceva sempre che eravamo predatori, ma non per questo dovevamo essere anche degli assassini. Non ucciderò Kate».

Malia aggrottò la fronte. «Allora cosa le farai?»

Derek sorrise crudele, fissando l’orizzonte attraversato dalla muraglia di rovi neri. «La costringerò a vivere giorno dopo giorno un inferno molto speciale».

«Sta diventando sempre più nervosa, aspetta una tua mossa» aggiunse Malia.

«Lo so» sospirò soddisfatto. «Mi ha lasciato vivo indubbiamente di proposito, forse si aspetta di potermi utilizzare in un altro modo, ma comunque sa che prima o poi mi farò avanti: vedrò di sfruttare al meglio la sua paranoia, questa volta sarà lei a essere manipolata grazie alle sue emozioni».

Intanto i mesi passavano, Derek si divertiva a osservare i vani tentativi degli uomini di Kate di abbattere le mura di rovi magici, e Malia si divertiva a mordere le caviglie e i sederi dei soldati. Nella Brughiera, dove tutto era stato bruciato, nessuno provava a ricostruire qualcosa – forse anche per paura delle reazioni di Derek, diventato ora di colpo così potente e fuori di sé – e quel poco che riusciva a ricrescere o tornare ad andare avanti lo faceva imbevuto di una luce grigia, polverosa e fredda.

Un giorno però, Derek vide Malia con l’aspetto di un falco tornare volando verso la sua finestra irradiando soddisfazione e malizia. Schioccò le dita e lei atterrò accucciata sul davanzale in veste umana.

«Grandi novità, Derek!» esordì con un ghigno, e saltò giù sul pavimento. «La corte è in fermento: la consorte del principe Christopher è in dolce attesa!»

Derek inarcò un sopracciglio, riflettendo sull’informazione ricevuta. «E Kate?»

«Ne è estasiata» scandì bene. «Le sguattere delle cucine del castello oggi pettegolavano di come la regina non intenda sposarsi, quindi il primogenito di suo fratello sarà il prossimo erede al trono, il suo pupillo!»

Lui sorrise con tanto di zanne. «Questo mi dà qualche idea…»

«Andiamo finalmente a uccidere tutti?»

Derek roteò gli occhi. «No, Malia, te l’ho già detto: non uccideremo nessuno».

«Peccato» tirò su col naso. «Potresti però evitare di trasformarmi in un falco? Non mi piacciono i falchi!»

Lui la guardò scettico. «E perché mai? Il falco è un rapace, è un predatore come il coyote».

«No!» protestò. «Il falco non vive in un branco come un coyote, non ha il nostro senso di lealtà, non mi piace! E poi non sceglie un compagno per tutta la vita! Trasformami in una tortorella! Le tortorelle sì che si accoppiano per sempre!»

Derek roteò di nuovo gli occhi. «Finirai in bocca a un gatto» l’avvertì.

«Gli caverei prima gli occhi a beccate!»

Lui agitò una mano. «Come vuoi, l’importante è che tu venga subito a informarmi quando il bambino nascerà».

Malia ci rifletté sopra. «E poi lo rapiremo per mangiarcelo?»

«No!» sbottò esasperato. «Te l’ho detto che noi non uccideremo nessuno!»

«Ma uccidere e mangiare non sono esattamente la stessa cosa: il fine è diverso!»

Derek sospirò stanco e schioccò le dita facendola tornare un coyote; lei uggiolò offesa per qualche minuto e poi si accucciò rivolgendo la coda verso di lui – e ondeggiandola, stizzita.

In fondo, uno dei motivi per cui Derek teneva Malia con sé, era perché poteva battibeccarci come faceva con le sue sorelle.



Nove mesi dopo, Malia volò da Derek per annunciargli la nascita – da falco, perché Derek ci teneva a non perdere il motivo dei loro litigi.

Era ormai giunto il tempo e già la mattina di quel giorno Malia l’aveva avvisato che la principessa Victoria aveva le doglie, quindi, non appena la coyote prese il suo aspetto umano, Derek non perse tempo.

«Allora?» chiese spiccio.

«È una femmina» l’informò inespressiva. «L’hanno chiamata Allison. Non ha le braccina cicciotte, suppongo quindi che non sia così buona da mangiare» ponderò pensosa.

Derek fece finta di non sentire il suo commento. «L’hanno già presentata al popolo?»

«No, però a giorni ci sarà una gran festa per il suo battesimo! Verrà un sacco di gente a vederla!»

Lui sorrise soddisfatto. «Ottimo, avrò un sacco di spettatori, quindi…»

«E ci sarà anche un banchetto!» aggiunse Malia, entusiasta. «Noi ci imbucheremo, vero? È questo il piano! Pensi che ci sarà anche della carne di cervo? Io amo il cervo, voglio rubarne un bel pezzo!»

Le rivolse un’espressione sorniona. «Vedrai, Malia, ruberemo molto di più che della carne…»



Derek marciò verso il castello sicuro e deciso, sfoggiando un sorriso sarcastico mentre spazzava via chiunque ostacolasse il suo cammino con delle raffiche d’aria imposte col cenno di una mano; Malia, con il suo aspetto originario da coyote, seguiva il suo passo agitando la coda in modo pigro.

Tolte di mezzo le guardie, Derek spalancò con la magia il pesante doppio portone di legno della sala del trono, spegnendo di colpo tutte le candele e lasciando così che la stanza venisse illuminata solo dalla luce del giorno morente.

La folla dei presenti si divise in due mormorando spaventata, e lui avanzò abbassandosi sulle spalle il cappuccio del mantello nero. Udì qualcuno sussurrare il suo nome con sconcerto: erano sorpresi di vedere che il famoso stregone Derek, colui che aveva creato dal nulla le mura intorno alla Brughiera, fosse in realtà un ragazzino.

«O forse ne ha solo l’aspetto» aggiunse sottovoce una vecchia signora.

Derek sorrise furbo e schioccò le dita: l’imponente treccia della donna, acconciata come una corona sul suo capo, si sciolse e si ficcò dentro la sua bocca, mettendola a tacere.

«Non sono solo uno stregone» l’informò Derek ad alta voce, senza guardarla e continuando a camminare lungo la navata, «sono anche un lupo: ho un udito inumano. Per il resto, vi assicuro che sono esattamente ciò che vedete».

Si fermò solo una volta giunto davanti al trono.

Su due troni di legno più piccoli e posizionati di lato, c’erano seduti il principe Christopher e la sua consorte; la culla con la principessina era sistemata dal lato opposto. Sul trono centrale, massiccio e dorato, c’era seduta Kate, che lo guardava furente ma per nulla spaventata.

Derek sorrise spavaldo e si abbassò a grattare Malia dietro le orecchie. «Bene, bene» disse sarcastico, «quale scintillante consesso, regina Kate» osservò, marcando il suo titolo come se fosse un insulto. Finse di guardarsi intorno ammirato. «Reali, nobili, dignitari» osservò inarcando un sopracciglio, e infine il suo sguardo cadde su Deaton, Morrell e Braeden, sistemati vicino alla culla – e senza dubbio pronti a difendere la bambina.

Storse il naso. «Che cosa curiosa, c’è perfino la feccia» commentò con un velo di rabbia.

«Siamo qui in veste di ambasciatori» gli spiegò Deaton, fermo e inespressivo. «La bambina non c’entra nulla con i nostri scontri, e noi siamo qui a offrirle dei doni nella speranza che il principe Christopher li accetti».

«Oppure» lo corresse Derek, «nella speranza che la regina Kate muoia presto: state cercando di imbonirvi il successore, eh?»

Morrell gli rivolse un’occhiata penetrante. «Siamo qui solo in pace».

Derek sorrise sarcastico tornando ad accarezzare Malia. «Credo che questa frase non sia sconosciuta alla regina qui presente». Alzò lo sguardo verso Kate, che lo fissava serrando la mascella. «Devo dire che mi ha ferito non ricevere un invito».

Kate gli mostrò un ghigno crudele quanto disgustato. «Non sei il benvenuto, bestia».

Derek si finse oltremodo dispiaciuto. «Oh, che situazione imbarazzante».

Il principe Christopher s’intromise per la prima volta nella discussione, parlando esitante. «E… non siete offeso?»

Derek schioccò la lingua. «No, e perché mai dovrei esserlo? E per dimostrare che non porto alcun rancore, farò anch’io un dono alla bambina». Sorrise in maniera troppo zuccherina e si avvicinò alla culla, non prima di aver fatto schiantare dall’altra parte della stanza i tre stregoni presenti con un solo cenno della mano.

«Mia nipote non ha bisogno di nessun dono da parte tua» sibilò Kate, artigliando i braccioli del trono e guardandosi intorno con gli occhi lucenti di rabbia: stava di sicuro cercando un modo per contrastare Derek, ma nessuno sapeva come combattere un lupo stregone, e tutto il suo esercito finora aveva fallito ad abbattere il muro di rovi che lui aveva costruito.

«No, insisto» le ribatté, «da qualche parte nelle fondamenta di questo castello ci sono ancora i resti di un cuore che ti ho dato: lo sai quanto posso essere generoso, permettimi di esserlo ancora».

«Sei un mostro e sei il mio trofeo» gridò Kate. «Non osare venire nel mio castello a fare ciò che vuoi quando in realtà il tuo scopo è vivere per mostrare cosa sono capace di fare! Ricordati chi è che ti ha reso l’ultimo della tua sporca razza: sono ancora in tempo a portare a terminare il mio lavoro, sai?»

Derek la fissò inarcando un sopracciglio. «Un trofeo? Ma davvero? Allora deve essere proprio irritante per te vedermi fare questo…» e con aria solenne posò le mani sulla culla.

«No!» gemette il padre.

Derek sorrise e rivolse lo sguardo alla neonata. «Oh» esalò, e si voltò verso Malia, «avevi proprio ragione: è davvero troppo magra!» La coyote concordò uggiolando.

«Beh» aggiunse Derek, «non perdiamo altro tempo». Alzò in alto la mano, rivolgendo il palmo verso l’alto e iniziando a richiamare la magia necessaria per un sortilegio.

«Ascoltatemi bene, tutti voi» annunciò, fissando la bambina, «la principessa crescerà davvero in grazia e bellezza, e chiunque farà la sua conoscenza finirà con l’amarla».

Il padre deglutì a stento e rilassò appena le spalle. «È un bellissimo dono» commentò speranzoso.

Derek lanciò delle occhiate furtive intorno alla sala, in cerca di ispirazione; il suo sguardo venne attirato da uno scintillio: si voltò a guardare meglio e vide un arcolaio. Ghignò e proseguì a parlare.

«Ma prima che il sole tramonti sul suo sedicesimo compleanno, ella si pungerà il dito con la punta del fuso di un arcolaio, e cadrà in un sonno simile alla morte, un sonno dal quale mai ella si desterà». Strinse a pugno la mano e la strana magia verde che aveva evocato e raccolto si avvolse attorno alla culla della neonata, come fosse del fumo colorato.

Il principe Christopher sfuggì dalla presa della moglie, che stava cercando di trattenerlo, e corse verso Derek, disperato. «No, ti supplico, non mia figlia…»

Derek lo guardò scettico inarcando un sopracciglio. «Tu che supplichi?» lo schermì. «Fallo ancora».

«Christopher, no!» sibilò Kate, rabbiosa. «Non umiliarti davanti a un mostro inferiore alla nostra stirpe!»

Il principe s’inginocchiò, ma lo sguardo di Derek si posò su Kate. «Sta bene» sospirò Derek, ostentando falsa rassegnazione, e abbassò gli occhi verso il principe. «Voi avete preso la mia famiglia e il mio futuro, e io adesso prendo la vostra famiglia e il vostro futuro». Si voltò verso la folla e urlò il resto del sortilegio.

«La principessa sarà destata dal suo sonno di morte solo dal bacio del Vero Amore. Il maleficio durerà fino alla fine dei tempi, nessun potere terreno riuscirà a toglierlo».

Si alzarono le grida disperate del padre della principessina, e gli strilli frustrati di Kate che lanciava a Derek insulti irriferibili e maledizioni senza alcun potere; Derek si limitò a voltare spalle e andare via, abbandonando il castello con espressione trionfante.

Ce l’aveva fatta: aveva pagato Kate con la sua stessa moneta togliendole qualcosa di prezioso e il futuro del regno – colei che avrebbe dovuto succederle – e allo stesso tempo non aveva sparso del sangue, rispettando la volontà di sua madre.

Niente aveva fermato il suo piano.



Fu per questo che restò sorpreso e perplesso quando vide Malia volare verso di lui irradiando preoccupazione, rabbia e fastidio. Schioccò le dita e la fece atterrare da umana all’interno della sua stanza nella torre.

«Che succede?» le domandò, aggrottando al fronte.

«Kate ha minacciato i tre stregoni del sud-est: ha detto loro che se non l’avessero aiutata a contrastare il tuo maleficio, lei avrebbe ucciso tutta la loro tribù, a cominciare dai bambini».

Derek sentì i suoi senti diventare zanne, e di certo i suoi occhi dovevano essere rossi. «E loro cos’hanno fatto?»

«Hanno ceduto» disse con voce flebile, stringendosi nelle spalle e facendosi piccola in risposta a tutta la rabbia che stava emanando Derek.

«Nessun potere terreno può riuscire a togliere il mio maleficio!» tuonò.

«Vero» assentì Malia, intimorita dalla sua furia ma anche corrucciata dal fallimento. «Però a quanto pare può essere riflesso su qualcun altro, almeno per una sola volta» precisò, stendendo un dito. «E nessuno a parte Kate, i genitori della principessina e i tre stregoni sa che il maleficio è stato solo riflesso e non tolto».

Derek ponderò la mossa di Kate. «In questo modo la corte non vedrà Kate come una reggente debole perché avranno l’illusione che la principessina non sia più vittima del maleficio?» ipotizzò.

Malia assentì. «Non avranno bisogno di proteggerla dagli arcolai fino al suo sedicesimo compleanno, non ci sarà mai un’attenzione particolare per tenerla sotto controllo e così nessuno sospetterà mai niente! In verità, però, il maleficio è stato riflesso su qualcun altro e se succederà qualcosa a questa persona, succederà anche alla principessina…» l’informò.

«Sono stati scaltri» aggiunse ancora Malia, «nessuno sospetterà mai che la vera vittima in realtà è nascosta e sotto la protezione dei tre stregoni del sud-est! Pensano che finché sarà con loro, non gli succederà mai niente, e nel frattempo la bambina vivrà una vita normale a corte, dove tutti crederanno che Kate sia ancora la più forte!»

«Hai visto su chi hanno riflesso il maleficio?» incalzò Derek.

Malia annuì e sporse il broncio. «Il riflesso avrebbe potuto avere effetto soltanto su qualcuno molto giovane e nato lo stesso giorno della principessina: hanno preso il figlio del capitano delle guardie reali».

«Li hai seguiti? Sai dove l’hanno nascosto?»

«Sono partiti qualche ora fa con un calesse carico di provviste: vivranno con il bambino in una casetta nella foresta, lontano da tutti e tutto, proteggendolo e nascondendolo fino a quando lui non compirà sedici anni».

«Perché allora anche la principessina sarà fuori pericolo» osservò Derek, pensoso.

«Già».

«E quanti anni ha adesso questo bambino?»

«Otto».

Derek sorrise crudele. «Torna pure a rallegrarti, Malia, semmai questa svolta volge a nostro favore: dovremo aspettare meno tempo, prima che la principessina si addormenti per sempre! Solo otto anni, invece che sedici!»

Malia ci rifletté sopra. «Anche se non sto capendo perché aspettare: perché hai fatto un sortilegio a lungo termine?»

«Perché l’attesa snerva i tipi come Kate, e perché la vendetta è un piatto che va servito freddo» le rispose.

Lei si accigliò. «Piatto? Allora stai facendo come gli umani, aspetti per metterlo all’ingrasso così poi è più buono da mangiare?»

Sospirò rassegnato. «All’incirca, anche se ti ricordo che l’obiettivo non è mangiarlo. A parte questo, però» schioccò le dita per richiamare il proprio mantello e ridare a Malia il suo aspetto originario di coyote, «indicami pure la strada, fammi vedere dove hanno nascosto il bambino che fra otto anni dovrò guidare verso un arcolaio».

Sorrise soddisfatto e seguì il trottare di Malia lungo la Brughiera e la foresta.



I tre stregoni del sud-est avevano recuperato e ristrutturato con la magia una vecchia casetta di pietra, legno e paglia situata nel cuore della foresta degli umani, dove gli alberi erano più fitti e sgorgava la sorgente del fiumiciattolo che attraversava un buon tratto del territorio.

Non sospettavano minimamente che Malia li aveva spiati e che quindi Derek era venuto a conoscenza di come il maleficio era stato riflesso, e la loro intenzione era proteggere il bambino affinché superasse i suoi sedici senza essere punto dal fuso di un arcolaio, perché solo così la principessina Allison sarebbe stata salva.

Il bambino di chiamava Stiles e non faceva altro che strillare che non potevano tenerlo lì, perché la sua mamma era morta poco tempo prima e quindi il suo papà senza di lui sarebbe stato solo. Malia aveva detto a Derek che Kate aveva minacciato il capo delle guardie reali di uccidere uno dei suoi sottoposti al giorno, qualora avesse cercato di recuperare il figlioletto od osato dire in giro che il maleficio era stato solo riflesso e non sventato.

Il mocciosetto cercava sempre di scappare, ma i tre stregoni tutte le volte schioccavano le dita facendolo riapparire in casa, e ciò aumentava sempre di più la sua frustrazione.

In quel momento, Derek e Malia se ne stavano seduti sui grossi rami di un albero, nascosti all’ombra e fra il fogliame dell’albero; mangiavano una mela ciascuno in modo pigro e guardavano da lontano cosa stava facendo il piccoletto, cioè inciampare sui ciottoli che invece avrebbe voluto prendere a calci arrabbiato.

Derek lo fissò masticando un boccone, inespressivo. «È pallido, con gli arti lunghi e sproporzionati e gli occhi troppo grandi, è sgraziato e scoordinato. È brutto» affermò scrollando le spalle.

Malia deglutì un grosso boccone e gli replicò monocorde. «Magari è buono dentro».

Stava per risponderle che lui non si fidava degli umani a prescindere e che non credeva che ci fosse qualcosa di buono dentro quel mostriciattolo, quando capì che forse stava sbagliando interpretazione. «Ti stai riferendo alle sue interiora

Lei annuì convinta. «Molte prede sono davvero brutte, però il loro fegato è davvero delizioso».

Derek sospirò alzando lo sguardo al cielo. «Noi due dobbiamo discutere delle tue abitudini alimentari».

«Allora dovremo discutere anche delle tue, visto che sono io che caccio le lepri per te!» gli ribatté imbronciata.

Derek esalò rassegnato e tornò a fissare il bambino. «Comunque è troppo magro per te da mangiare».

Lei scrollò le spalle. «Potrebbe pur sempre essere un buono spuntino».

La loro discussione fu interrotta dal bruttissimo verso che fece lo stomaco di Stiles: il piccolo aveva fame, ma era arrabbiato con i tre stregoni e quindi si ostinava a non mangiare niente di quello che proveniva da loro.

Malia incrociò le braccia al petto. «Di questo passo fallirà anche il piano di metterlo all’ingrasso per i suoi sedici anni».

Derek storse la bocca in una smorfia e saltò giù dall’albero. «Se morirà di fame, tanto meglio: porterà con sé anche la nipote di Kate».

Malia espirò a fondo afflosciando le spalle e, prima di scendere anche lei dal ramo, agitò una mano in cenno di saluto verso Stiles. «Ciao, Spuntino» mormorò triste.



Tuttavia, quando quella notte Stiles piangeva sussurrando di voler andare dal suo papà, standosene seduto sul letto con le ginocchia strette al petto, un falco grande e maestoso si posò sul davanzale della sua finestra aperta, reggendo col becco un tovagliolo di stoffa a quadretti annodato a fagotto.

Stiles guardò stupito il rapace, strofinandosi il dorso della mano sugli occhi umidi e arrossati, e titubante prese quello che l’uccello gli offriva. Sciolto il nodo, vide che il contenuto erano un paio di mele profumate dalla buccia rossa e lucente, e il loro odore e la loro vista fece di nuovo gorgogliare il suo pancino per la fame.

Prima però che potesse ringraziare il falco o dirgli qualcos’altro, lui volò via nella notte.

Derek osservò la scena stando seduto sul ramo di una quercia, con la schiena contro il tronco; Malia atterrò sul suo guanto rinforzato di cuoio nero e lo fissò inclinando appena la testa di lato. Lui la ricambiò guardandola accigliato. «Che c’è, non eri stanca anche tu di sentirlo frignare?» Lei gli beccò la fronte. «Ahia! Continua così e non ti trasformerò mai in tortorella!»

Derek continuò a osservare con malinconia come il bambino mangiava i frutti mordendoli con foga, tirando sul col naso di tanto in tanto e stringendo il tovagliolo al petto facendosi ancora più piccolo. In fondo, poteva comprendere cosa voleva dire essere soli ed essere strappati dalla propria famiglia, capiva la rabbia del bambino; ciò non lo distoglieva dal suo piano, però poteva immaginare cosa stesse provando quel mocciosetto.

Vide Stiles nascondere i torsoli sotto il materasso per poi raggomitolarsi sotto le coperte; Derek accarezzò il piumaggio di Malia, poi sospirò e schioccò le dita per chiudere con delicatezza la finestra di Stiles con la magia.

Fece librare Malia in volo e infine saltò giù dall’albero, prendendo il suo aspetto da lupo nero durante la caduta; atterrò sulle zampe e trottò alla volta della Brughiera: non era tempo di indugiare nella malinconia per colpa di qualcuno che tra l’altro doveva essere la sua vittima.

«Perché dobbiamo spiare Spuntino mentre gioca, ma non possiamo giocare con lui? Mi annoio» si lamentò Malia, facendo dondolare i piedi dal ramo su cui era seduta – su quello sopra di lei c’era Derek.

Lui le rispose inespressivo. «Te l’ho già detto: non possiamo rivelare ai tre stregoni che sappiamo dove si nascondono, e non credo che quella peste lì terrebbe chiusa la sua boccaccia sulla nostra presenza».

Era una cosa comprovata che Stiles non smetteva mai di parlare: chiacchierava di continuo con gli animali. Non avendo altri compagnetti di gioco, s’intratteneva perseguitando coniglietti, scoiattoli e puzzole – quest’ultime però si vendicavano con il loro fetore. Quando riusciva finalmente a incastrare fra le sue braccia una povera bestiola, provava a convincerla a restare a giocare con lui parlandogli fino allo sfinimento. Non aveva ancora capito che non era una buona tecnica. Inoltre, era sua abitudine intraprendere lunghissime discussioni a senso unico con gli uccellini, interpretando a piacimento i loro cinguettii.

Quel giorno, Stiles era impegnato a rincorrere un coniglietto terrorizzato dalla sua fervente voglia di giocare.

«Potrei fare meglio di quello stupido coniglio» borbottò Malia, «potrei fare avvicinare abbastanza Spuntino a me, ondeggiare piano la coda e poi scappare via di nuovo. Ci divertiremmo di più sia io che lui!»

Derek sbuffò e finse di non averla sentita.

«E comunque» aggiunse Malia, con voce un po’ stridula ed emanando uno strano odore di preoccupazione, «Spuntino sta correndo dritto verso un dirupo».

Derek alzò lo sguardo e vide che era vero; scrollò le spalle. «Non è un problema: se muore lui, muore anche la principessina Allison».

«Ma Spuntino spiaccicato non è buono da mangiare!»

Derek incrociò le braccia al petto e fissò imbronciato e arrabbiato il bambino correre incontro alla propria fine senza neanche accorgersene; di sottecchi, vide Malia coprirsi gli occhi con le mani per non assistere alla caduta mortale.

Stiles si accorse troppo tardi della fine del pianoro, e i suoi piedi piuttosto che aiutarlo a frenare finirono per farlo scivolare meglio giù per il dirupo. Derek sospirò, stizzito, schioccò le dita e una delle grandi radici sporgenti dalla parete ripida e rocciosa si protrasse muovendosi come una grande tenaglia, che afferrò Stiles al volo per la collottola e lo riportò su sopra il prato fiorito.

Il bambino guardò meravigliato e a bocca aperta la radice ritrarsi e tornare al proprio posto.

Malia si tolse le mani dagli occhi, e titubante guardò su verso Derek. «Ora posso andare a giocare con Spuntino?»

Derek incrociò le braccia al petto e si strinse nelle spalle accigliandosi; le rispose mugugnando. «Fai un po’ come ti pare».

Lei sorrise contenta e saltò giù dall’albero con un gridolino di trionfo; Derek schioccò le dita e le permise di tornare al suo aspetto originario di coyote: la sentì correre via al trotto verso il bambino.

Qualche minuto dopo, vide Malia raggirare Stiles muovendosi quatta-quatta: scattò a mordicchiarli piano una caviglia e poi si ritrasse; Stiles strillò sorpreso, si voltò e la trovò stesa a tappetino sul prato, che lo fissava scodinzolando piano, come per invitarlo a giocare con lei.

Il bambino la guardò sorridendo incuriosito. «E tu chi sei?»

Malia gli rispose uggiolando, per poi alzarsi e infilare il testone sotto il suo braccio e strofinare il muso contro la sua ascella. Il bambino riso divertito e provò a farle i grattini dietro le orecchie, lei sfuggì e iniziò a corrergli intorno, mentre Stile continuava a ridere e a tentare di acchiapparle la coda.

Derek li osservò da lontano e in silenzio, con un sorriso malinconico sulle labbra: ricordava le volte in cui lui da lupo aveva giocato così con Cora.

Stiles era curioso della Natura quanto lo era stato lui – e infastidiva le altre creature come lui faceva un tempo – e Derek non sapeva quanto gli facessero bene tutti i ricordi e le sensazioni che quel bambino evocava in lui.

Scese dall’albero con un salto e abbandonò la scena andando a correre da lupo per la Brughiera.



Quella notte, un falco atterrò di nuovo sul davanzale di pietra della finestra di Stiles, con un fagotto al becco. Il bambino sorrise portandosi un dito sulle labbra, per dire al rapace con aria complice di fare silenzio; sciolse il nodo e stavolta trovò in dono noci e frutti di bosco freschi e profumati.

Il falco volò via intrufolandosi nella chioma dell’albero più vicino alla camera di Stiles; atterrò sul guanto di Derek, che apri il palmo della mano per offrire degli altri piccoli frutti rossi a Malia, che li beccò subito.

Derek osservò Stiles mangiare fino a quando il sonno non cominciò ad avere la meglio sul bambino; Stiles sbadigliò e si stese sul letto, addormentandosi profondamente: Derek schioccò le dita e con la magia gli rimboccò le coperte e chiuse la finestra.



Quel giorno Stiles si era fissato con i funghi.

Era andato a passeggio per la foresta, da solo e portando con sé una sacca di tela, un misero coltellino e un libro rilegato in pelle quasi più grosso di lui. Camminando, aveva informato gli uccellini che cinguettavano al suo passaggio che quel vecchio tomo l’aveva "preso in prestito" da zio Deaton, gliel’avrebbe restituito poi, e gli serviva per guardare le illustrazioni e capire meglio quali funghi fossero commestibili.

Derek, dall’alto di un albero, lo fissò malissimo afflosciando le spalle, immaginando già i mille modi in cui quella cosa sarebbe potuta finire in maniera disastrosa o mortale.

Infatti, poco dopo lo vide occhieggiare estasiato un fungo velenoso.

«Lo sapevo» esalò Derek, irritato quanto rassegnato, e Malia non era neanche con lui perché era a caccia di lepri per la cena di quella sera.

Sospirò spazientito rivolgendo gli occhi al cielo e saltò giù dall’albero trasformandosi in lupo nero – almeno, grazie alla magia, poteva trasformarsi senza perdere ogni volta gli abiti, tornando poi umano ma non svestito.

Stiles era chino e contento sul fungo, e stava parlottando fra sé e sé per decidere come recidere il gambo; Derek andò silenzioso alle sue spalle, afferrò con i denti la sua cinta e lo strattonò facendolo cadere all’indietro.

Il bambino strillò spaventato, colto di sorpresa, poi si voltò, lo vide e lo guardò boccheggiando. Derek lo fissò seduto sulle zampe posteriori provando ad assumere un’aria più solenne, dignitosa e giudicante possibile.

Stiles, ovviamente, rovinò tutto.

«Wow» esclamò a bassa voce e meravigliato. «Un lupo! Un lupo vero! Posso accarezzarti il pelo?» chiese esitante, allungando una mano.
Derek emise un ringhio basso e minaccioso; Stiles si ritrasse appena e si alzò, scrollandosi la polvere di dosso con delle manate. «Va bene, amico, non ti tocco» sbuffò scontento; poi aggrottò la fronte. «Cosa stavo facendo? Ah sì! Il fungo!» Riprese il coltellino e mordicchiandosi un labbro provò a tornare all’opera.

Derek, ringhiando, gli afferrò la manica con i denti e lo strattonò fino a fargli allentare la presa sull’utensile.

«Ehi!» protestò il bambino. «Lupo cattivo! Fammi raccogliere il fungo!» lo rimproverò, decidendo di lasciare stare il coltello e strapparlo dalla terra direttamente con la mano.

Derek ringhiò più forte mostrando i denti.

«Ma si può sapere cosa vuoi?!» si esasperò Stiles; nel momento in cui si voltò a guardarlo allontanando la mano dal fungo, Derek si zittì, rilassandosi e scodinzolando per far capire a Stiles che era contento che lui non stesse toccando il fungo.

Stiles lo fissò perplesso, e senza distogliere gli occhi dal lupo riavvicinò la mano al fungo; Derek ringhiò di nuovo; Stiles allontanò la mano e Derek si zittì scodinzolando. Stiles ovviamente ripeté l’operazione più volte per avere mille controprove, fino a quando capì che in effetti sì, quello che Derek non voleva era che lui raccogliesse il fungo.

Alla fine a Derek girò la testa.

Stiles lo fissò imbronciato e severo, incrociando le braccia sul petto. «Perché non posso raccogliere il fungo?» Per Stiles era normale parlare con tutti gli animali, aspettandosi in qualche modo una sorta di risposta – e Malia, giocando sempre più spesso con lui, lo stava abituando troppo a ricevere delle risposte dai toni troppo umani, visto che lei stessa era ormai solita essere umana.

Non sapendo che altro fare, e considerato che ormai Malia aveva fatto la frittata, Derek sperò che Stiles non raccontasse mai ai suoi presunti zii di aver incontrato un lupo così tanto intelligente da sembrare umano, e gli rispose alla meglio: avvicinò il muso al fungo annusandolo in maniera vistosa e poi si stese di colpo a terra su un fianco, come morto stecchito.

«Uh, dici che è velenoso?» mormorò Stiles, dispiaciuto; meno male che era un tipetto intelligente. Poi fissò Derek, supplicante. «Non è che sapresti dirmi dove crescono i funghi buoni?»

Sarebbe stata una buona idea far morire la principessina Allison per avvelenamento indiretto, però quello era il piccolo Stiles, che si ostinava a parlare con gli animali e a importunarli, e che giocava con Malia come Cora un tempo faceva con lui…

Derek lo afferrò per una manica con i denti e iniziò a trascinarlo in avanti, per fargli cenno di seguirlo.

«Ehi, aspetta! Vacci piano con l’entusiasmo, amico!» protestò Stiles, tuttavia sorridendo contento e soddisfatto.

Il bambino seguì il suo passo, anche se ogni tanto inciampò su qualche radice sporgente perché troppo impegnato a fissare la pelliccia di Derek – doveva davvero aver voglia di accarezzarlo. Quando giunsero nel punto del bosco che Derek sapeva avesse il terreno ideale per delle famigliole di funghi, il lupo si fermò e andò a cercare a testa china il suo obiettivo ai piedi degli alberi. Stiles lo seguì, e quando vide i primi funghi squittì come uno scoiattolo contento di aver trovato delle noci.

Il piccolo si mise subito a lavoro col suo coltellino, e Derek restò seduto accanto a lui come un cane da guardia.

Quando la sacca di Stiles fu abbastanza piena, il bambino si voltò a fissarlo intimidito emanando curiosità ed esaltazione. «Posso toccarti?» gli chiese di nuovo, flebile.

Derek si arrese, sospirò e si avvicinò, strusciando il testone contro il fianco di Stiles, ancora accucciato a terra; il bambino esalò meravigliato, e con esitazione iniziò ad accarezzargli il dorso. Quando vide che il lupo né si allontanava né accennava a volergli ringhiare contro, lo toccò con gesti più sicuri e spostò le mani sul suo muso.

Stiles puntò i suoi occhioni grandi-grandi da preda tenera, ingenua e innocente in quelli di Derek, grattandolo appena dietro le orecchie; Derek uggiolò e strusciò la testa contro il collo del bambino, che gli circondo il testone con le braccia emettendo dei mormorii indistinti ma dal suono dolce e consolatorio.

Restarono fermi così fino a quando non si sentì Braeden chiamare Stiles accorata – la peste si era allontanato dalla casetta senza avvertire nessuno – e il bambino di alzò di colpo riprendendo la sacca, il coltellino e il libro.

«Ci vediamo presto?» domandò al lupo, speranzoso.

Lui gli rispose con un altro uggiolio e scodinzolando. Stiles sorrise, lo salutò agitando la mano e corse a casa.

Quando Derek si voltò, vide Malia sbucare fuori dai cespugli con in bocca due grasse lepri dal pellicciotto grigio; schioccò le dita facendola tornare umana – ora teneva le prede in grembo – e riprese il suo aspetto anche lui.

Malia lo guardò mordicchiandosi un labbro e sorridendo contenta e compiaciuta: doveva aver visto tutto.

«Non una parola» l’ammonì Derek, incamminandosi verso casa e precedendola.

«Ok» disse lei, «non una parola su come stai facendo amicizia anche tu con Spuntino».



Quando calò la notte, prima che Stiles andasse a dormire, ancora una volta un falco si posò sul davanzale della sua finestra reggendo un fagotto col becco.

Il bambino aprì il fazzoletto sorridendo contento, e vi trovò dentro castagne sgusciate, more e lamponi. Il sorriso gli si allargò di più sul volto; si abbassò in modo buffo per cercare qualcosa sotto il letto: un piattino coperto da un tovagliolo.

Offrì al falco qualcosa che sbriciolò sul palmo della mano, e quando il rapace finì di mangiare, Stiles mise il resto di quello che c’era sul piatto nel fagotto riannodato, consegnandolo di nuovo all’uccello augurandogli la buona notte.

Malia volò da Derek, seduto su ramo, e si posò sul suo guanto; lui, accigliato e sorpreso, snodò il fazzoletto.

Vi trovò un biscotto.

Stese la schiena contro il tronco e, sorridendo intenerito e malinconico addentò il dolcetto osservando Stiles, che seduto sul letto metteva in riga per colore e grandezza i frutti di bosco prima di mangiarli.

I prossimi otto anni sarebbero stati di sicuro troppo lunghi e densi.
   
 
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