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Autore: Marty Andry    01/11/2014    1 recensioni
La storia che tutti credevamo, la storia di Piero, un soldato.
Un soldato che muore, un soldato che porta il nome di tutti gli altri.
Ma in realtà Piero non è morto.
Perché tra quelle spighe di grano ancora verdi, la sua vita altrettanto giovane non poteva spezzarsi.
Perché Piero voleva vivere. E amava.
"Chi ha paura di morire, muore più d'una volta."
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Una storia ispirata alla canzone di Fabrizio De Andrè "La guerra di Piero".
Genere: Drammatico, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Su quella specie di furgone, assimilabile alla barca di Caronte che traghetta le anime dei dannati, erano in sei, quasi tutti coetanei di Piero, e il loro viaggio fu alquanto movimentato, a causa delle strade non molto facili da percorrere. Tre di quelli sventurati li aveva riconosciuti immediatamente: il figlio del fornaio, l'aiutante del fruttivendolo, il ragazzo che trovavi a suonare la fisarmonica ad ogni sagra. Intento a riconoscere gli altri compagni, ricordò una serata d'estate. Probabilmente la stagione era già entrata nel vivo ed in alcune campagne, gli alberi erano già carichi di albicocche. Gli parve di udire un suono lontano di tamburelli e lui e Salvo che si arrampicavano su un albero per assaggiarne i frutti. Mai aveva gustato albicocche più dolci e succulente; e proprio in quel momento, mentre abbracciava lo zaino e davanti a lui ci era solo il cielo, un campo di grano e papaveri rossi, sentì in bocca il sapore del frutto, come per rincuorarlo.

Il furgone era scomodo, dopo due ore di viaggio il mal di schiena non tardò a farsi sentire. Intorno alle quattro di pomeriggio vennero fatti salire su un treno e, tristi, furono condotti verso l'inferno. I sedili erano di velluto, la troppa polvere lo faceva starnutire, mentre il cielo scorreva davanti ai suoi occhi, così sereno, così irraggiungibile.
Annibale, il figlio del macellaio, di qualche anno più grande, gli aveva rivolto la parola dopo essere entrati nel vagone..
<< Evviva Nicco, e scatta Roccu ca pi te i s'è vutatu scirocco. >> esordì sorridente, troppo, vista la circostanza. 
Piero si lasciò sfuggire un sorriso, il viso rosa e tondo del compagno ispirava simpatia.
<< Come va, Anni'? >> domandò.
<< E comu a sciri, Valè.. >>  sospirò. Poi, con un po' più di allegria, aggiunse << Faci cautu. >> asciugandosi un po' di sudore dalla fronte.
<< Ci parla mali ti la statìa, parla mali ti la Vergini Maria, Annibale, ricorda! >>  
<< Tuni comu ti la sta passi? >>
Piero chiuse gli occhi e provò a rilassarsi un po'. << Mi sposo, credo a luglio prossimo. >>
<< Veramente, cumpà? E cu cini? Eti 'na brava vagnona? >>
<< Caraccioli, la figlia di Zappa. >> rispose orgoglioso.
<< Emmizzica Piero nuestru comu si tratta! Congratulazioni, poi vvisimi ca agghia vinì alla chiesa. >> 
<< Ovvio, Anni'. E tu? Cu Immacolata tua? >>
Era felice che qualcun'altro la pensasse come lui riguardo Teresa.
<< Tra tre mesi nasce Vincenzino nostro. >> lo informò, felice.
<< Complimenti anche a te, allora. >> rispose.
L'allegria che lo aveva posseduto per quei minuti improvvisamente sparì e Piero scoppiò in lacrime poco dopo. Sconfortato, poggiò la testa sulla spalla di Annibale, il quale cercò invano di confortarlo. Il ragazzo si abbandonò ad un sonno tormentato e quando si svegliò, fu per scendere dal treno.  
Arrivarano all'accampamento che era ormai notte, il cielo più limpido che mai. La loro tenda era abbastanza spaziosa per contenerli tutti, i quali passarono tutta la nottata a parlare anziché riposarsi. Piero capì di non essere solo in quella battaglia. 
"Solo otto mesi" pensò mentre, steso su un materasso durissimo, premeva sul petto la foto della sua famiglia. 
Vennero svegliati alle cinque, poco prima dell'alba, da un uomo gracile che sembrava ripetere più a sé stesso che a loro parole che avrebbero udito nei giorni successivi alla medesima ora.
<< Voi, >> urlò << noi, siamo al servizio della patria. Vostro compito è difenderla e sacrificarvi per essa, se necessario. Tutto chiaro?! >> 
Si misero sull'attenti, ancora storditi dal sonno ed un po' infreddoliti. 
<< Ogni qualvolta sarà possibile, raccoglieremo la vostra corrispondenza e la faremo recapitare al destinatario. Non è garantito l'assiduità del servizio, naturalmente. Farete turni, alternandovi ogni settimana, per la cucina. >>
L'aspetto esteriore tradiva la tempra di quell'uomo, che sembrava avere chissà quanto fiato, per urlare in quel modo.

Nei mesi successivi, scoprì che quell'uomo che instancabilmente gridava quelle parole ogni giorno all'alba, anche sotto la pioggia, aveva visto suo figlio morire in trincea poco dopo la liberazione della Crimea. Nel paese in cui viveva aveva lasciato due figli e la moglie, a cui, aveva scoperto Annibale, scriveva interminabili lettere. L'apparenza ingannevole aveva loro mostrato Giorgio Maurini come un uomo cinico, quando invece lui soffriva quanto quei ragazzi. 
Una sera di metà novembre, in un periodo particolarmente quieto, subito dopo che gli Alleati furono entrati a Forlì, quando ormai il freddo iniziava a farsi sentire e la notte non si riusciva a dormire per gli spifferi, in barba alle raccomandazioni, Piero fissava con aria assente le pieghe della tenda verde. Ancora era agli inizi, di sangue non aveva visto più di tanto, ma sapeva che prima o poi sarebbe arrivato anche il loro turno, sarebbero dovuti passare di lì per forza. Assonnato, si avvolse nella coperta ed uscì. Ad una decina di metri dalla tenda era acceso un fuoco, ed una figura minuta sedeva lì vicino, con le mani protese in avanti nel vano tentativo di diffondere un po' di calore nel corpo. Si avvicinò e si accorse che il naso adunco ed i baffi erano quelli di Maurini. Incerto, fece qualche passo avanti, ma lo udì e gli fece cenno di avvicinarsi. Piero riempì quei pochi passi che li separavano e si riaggomitolò anch'egli nella coperta, accanto al fuoco scoppiettante.
<< Sai quanto rischiamo qui, adesso? >> domandò l'uomo.
<< Tanto, signore. >> rispose il ragazzo.
Velocemente si accese un sigaro e, dopo un paio di boccate, lo porse a Piero, il quale rifiutò gentilmente. 
<< Non mi spaventerei neanche se ora il terreno sprofondasse sotto i miei piedi, Valenti. >> 
L'altro annuì, poi Giorgio riprese a parlare. << Posso chiamarti Piero? >> 
La domanda lo stupì. << Certo, signore. >> 
Le fiamme creavano dei giochi di luce sui loro volti nella penombra, mentre quello creava piccoli anelli di fumo che si disperdevano nell'aria. 
<< Sai, di valoroso hai poco. E mi sono anche trattenuto. >>
Lo guardò perplesso, e Giorgio gli spiegò subito. 
<< Ho trovato la tua raccolta di romanzi russi, non sei molto bravo coi nascondigli. Avrei dovuto confiscartela. >>
<< Ma? >> si permise si chiedere.
<< Mi somigli così tanto, Piero. Anche io ero pieno di speranze come te. Come si chiama? >> 
Il ragazzo fece finta di non capire. << Suvvia, non sono così tonto. >> 
Arrossì, mentre pronunciava il nome della futura sposa.
<< Piero e Teresa, suona bene, vero? >> 
<< Sì, signore. >> 
L'uomo spense il sigaro e, stufo, gli disse che, almeno in quelle circostanze, avrebbe potuto chiamarlo Giorgio. Faceva uno strano effetto, ma servì a rincuorarlo un poco. 
<< Sai a cosa vai incontro, vero? >> 
<< Non l'ho scelto io. Altrimenti... >> 
<< Lo so, hai ragione. Ci sono tante lezioni che non vale la pena imparare. È uno strazio, caro Piero, uno strazio. >> commentò.
Dopo qualche minuto di silenzio, Piero disse << Come si chiamava? >> 
Si morse la lingua, gli dispiaceva far rievocare i brutti ricordi alle persone.
<< Alberto. Eravate totalmente diversi, sai? Però credo sareste andati d'accordo. >>
<< Questa è una lezione che non vale la pena imparare? >> 
<< Apprendi in fretta. Come soldato fai un po' pena, ma come intellettuale te la cavi. >>
  
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