Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: The_winter_honey    01/11/2014    3 recensioni
-Le persone possono redimersi, Daisy Ester Freeblack.- mi sforzai di ribattere, seppure sentivo la voce affievolirsi a ogni parola che mi sgorgava dalla gola secca e ferita.
Il corpo esile e rivestito completamente di rosso sangue della ragazza iniziò a scuotersi in modo convulsivo, lasciandomi sgomento per alcuni istanti, poi rabbrividii quando la sentii. Una risata. La sua risata. Era così fredda e lontana, così sbagliata.
-Oh. che sciocco che sei! Ma cosa mi sarei dovuta aspettare da uno come te? Dal figlio di un angelo perso nel passato? Credi ancora nelle favole, Alaric Bastian Castiel?- mi sbeffeggiò -Sei agonizzante ai miei piedi e continui a credere nelle storielle della buonanotte?-
-Non sono storielle e tu dovresti saperlo.- ribattei severo, evitando le sue dita che mi avevano graffiato la guancia facendomi gemere.
-Sei così stupido...- mormorò, e giurai che ci fosse qualcosa oltre all'ironia -Peccato che questa sia la realtà.-
Con quelle ultime parole tirò indietro la mano, con le dita grondanti del mio sangue, pronta a spezzare la mia vita. I miei occhi d'oro non si chiusero ne si spostarono di un centimetro dai suoi d'argento.E in quel momento le nostre labbra, inspiegabilmente, si toccarono.
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Scoperte



 

Il sole accarezzava la chioma del faggio sotto al quale mi ero sdraiato per studiare, il borsone
a tracolla per i libri abbandonato di fianco a me, gli occhiali da sole tra i capelli e il libro di
algebra sulle ginocchia. Non lo stavo neppure guardando, a dir il vero...chiusi gli occhi, cercando
di liberare la testa da tutti quei numeri e sospirando. 
La verifica del giorno dopo di matematica non era propriamente un grave problema, constatando che
avevo un ottima media e che un'insufficenza non l'avrebbe di certo abbassata, ma mia zia era rigida su
ciò che riguardava la scuola. 
-Alaric! Alaric!
Sospirai, riaprendo gli occhi e trovandomi di fronte la mia migliore amica, Freya, con i ricci bruni
scompigliati e i suoi grandi occhi scuri socchiusi mentre provava a prendere fiato, piegata in due
dalla corsa.
Era una ragazza magra, con i tratti del viso morbidi e tondeggianti dove quei suoi occhi neri
risaltavavno ancora di più, perfetti sulla sua pelle olivastra. Ci conoscevamo dalle elementari ed era
come una sorella per me, gli ero stato accanto nei momenti difficili come quando aveva scoperto di
amare le ragazze e per questo a scuola l'avevano derisa, e lei c'era stata quando mio padre era stato
trovato morto due settimane prima. Anche lei non credeva al suicidio, l'ultima visita che gli avevo
fatto vi aveva partecipato anche lei e lo aveva trovato normale e sano.
Non capivamo come fosse potuto succedere...
La ragazza si passò una mano tra i capelli corti e scompigliati, per poi lasciarsi cadere di fianco a me,
sbuffando nel suo tipico modo un po' da maschiaccio.
-Miseriaccia, Alaric! Ti ho cercato dappertutto, ho dovuto persino attraversare metà città in taxi e tu
sai quanto io detesti i taxi che allimentano soltato il buco nell'ozono e l'inquinamento atmosferico!- mi
aggredì, togliendomi dalle mani il libro di algebra e ficcandolo nella mia borsa -Sai che sta sera
c'è la festa a casa di Dianne! Devi sorbirti con me la sua "immersione" nello shopping alla ricerca del
vestito giusto!
-Freya...Dianne è la tua ragazza, non la mia!- le ricordai, alzandomi e mettendomi a tracolla il
borsone.
Ormai avevo capito che quel pomeriggio non l'avrei potuto trascorrere in alcun modo se non
uscendo con la mia migliore amica e la sua rossa fidanzata.
-Ma lei ci tiene al tuo parere, e poi mi sa che vuole prenderti qualcosa di "decente" per sta sera...
-Perchè così non vado bene?- inoridii, guardando le mie scarpe da ginnastica consumate, i jeans
streti strappati sulle ginocchia e la maglia dei Nirvana sotto alla mia felpa verde militare. Mi piaceva
il mio stile, insomma, ero un ragazzo normale amante della buona musica e dei luoghi tranquilli, a
parte i concerti delle mie band preferite e della mia band. 
-Comunque tu inizia ad andare, tanto non ti abbandono e vi raggiungo al centro commerciale, devo
comprare le corde per la mia chitarra, ieri quel coglione di Ethan me ne ha rotte due...- grugnii
lievemente al ricordo, mentre lei rideva.
-Per questo io canto soltanto nel gruppo e mi sono rifiutata di fare la seconda chitarra!
-Lo sai che sono stonato...- le feci notare, mentre arrivavamo all'uscita del parco.
-Va bene, ti aspetto là con Dianne!- mi sorrise, dandomi un pugno sul braccio come suo solito
sorriso e incamminandosi con le mani in tasca mi fece l'occhiolino.
Mi passai una mano tra i capelli chiarissimi, prima di dirigermi verso casa, infilandomi gli auricolari
e mettendo una canzone dei Nirvana. 
La mia canzone preferita: As you are. 


 

Come as you are, as you were,

As I want you to be

As a friend, as a friend, as an old enemy...



Attraversai la strada e mi diressi verso la mia solita scorciatoia, che passava per i vicoli scuri lontani
dal centro, ma più rapidi e meno affollati delle strade centrali.
Dovevo tornare a casa per avvisare mia zia, che mi stava già aspettando con tutta probabilità...quella
donna era la persona più apprensiva che conoscessi.
Voltai l'angolo e mi bloccai, corrugando la fronte, ritrovandomi la strada bloccata.
Davanti a me, una ragazza alta poco meno di me mi fissava con occhi chiarissimi, che non erano
azzurri, ma argentei, brillanti in un modo assurdo, che mi fecero pensare a lenti a contatto, a
qualcosa di finto. Era straordinariamente alta per essere una ragazza, ioero un metro e novanta, lei
poteva essere un metro e settantotto.
Aveva lunghi capelli neri dai riflessi blu, che le arrivavano fino alla vita in morbide onde spettinate e
intrecciate a fili blu e rossi, vestita di rosso scuro vermiglio che mi lasciò stupito. Doveva avere la
mia età, ma aveva un viso indcifrabile e distante, con tratti fini, labbra intense di un rosso cupo e
sopracciglia arcuate.
Ma la cosa che mi spinse a fa re un passo indietro fù ciò che teneva in mano.
Un pugio.
Un corto coltello affilato risalente all'epoca dei Romani,con l'elsa stretta e arcuata. la lama sottile ma
larga in grado di far morire dissanguata una pesrona.
Sapevo cosa fosse perchè mia zia ne aveva uno in casa, conservato come una reliquia giuntaci da
qualche lontano avo.
-Alaric Bastian Castiel?
Sentii un brivido quando pronunciò il mio nome e feci un altro passo indietro, ma lei mi afferrò per
un polso spingendomi contro il muro e premendo lievemente la lama contro il mio collo con un
ghigno divertito sul volto distorto da un espressione malvagia.
-Lo prendo per un sì...- mormorò al mio orecchio.
-Ma sei impazzita?Chi diavolo sei?- esclamai cercando di liberarmi, per essere una ragazza così
sottili aveva una forza sovrumana.
-Potrei essere il tuo peggior incubo...- mi avvisò mentre un lieve rivolo di sangue mi bagnava il collo
graffiato dalla lama che stranamente i bruciava sulla pelle -...ma per ora sono solo un'ambasciatrice,
ti devo portare dal mio padrone...-
Quella ragazza era pazza, pensai, cercando di liberarmi ma senza riuscirci, non riuscii neppure a
spostarla di un centimentro, eppure non ero esattamente una mezza sega...
Poi improvvisamente qualcuno la scaraventò lontano da me, facendola cadere sulla strada sudicia.
Tornai a respirare normalmente, ma senza capire ciò che fosse successo, prima ancora di riuscire a
mettere a fuoco la ragazza una voce intervenne dura:
-Vattene, 
Daisy Ester Freeblack, oggi nessuno ti seguirà nei meandri del tuo Inferno!
Quella voce aveva un timbro potente e terribile, di chi pronuncia parole gravi ben conoscendone il
significato.
La ragazza scomparve in una nube di fumo nero, mentre una mano mi toccava una spalla
aiutandomi a rialzarmi.
Un uomo sulla trentina con corti capelli neri e intensi occhi verdi, mi sorrise rassicurante, ma io
scostai la sua mano cercando di allontanarmi.
-Calma Castiel...non ho intenzione di farti delò male, sono...ero un amico di tuo padre - affermò
sorridendo tristemente -Il mio nome è Raziel, sono qui per proteggerti.
-Da cosa?- corrugai la fronte sempre più confuso -Cos'era quella? E perchè a provato ad uccidermi?
Raziel sospirò, chiudendo per un attimo gli occhi, pareva stanchissimo:
-Credo che queste siano le prime di molte altre domande che mi porrai... Forse è meglio parlarne in
n osto più sicuro, giovane angelo...
E con queste parole mi superò senza aggiungere altro, camminando con passo sicuro e lento, come
chi cammina da troppo tempo su questo mondo eppure non è ancora abituato...

Un attimo...come mi aveva chiamato?









 






 

  
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