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Autore: Rie_chan    21/10/2008    3 recensioni
E' difficile dire cosa sia esattamente un eroe.
Spesso ci immaginiamo esseri perfetti dall'armatura scintillante, i cui confortanti riflessi dorati sembrano proteggerci, allontanandoci da ogni male. Non sapete quanto ci sbagliamo...

A distanza di qualche anno dalla storia originale, i protagonisti ormai adulti cercano di trovare una risposta, combattendo con un passato difficile da cancellare.
Genere: Drammatico, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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01 - Opening Theme Salve a tutti, sono Rie_chan! Lo so non avete la minima idea di chi sia ed infatti è la prima volta che ho il coraggio di pubblicare una mia storia e vi confesso che l'emozione è forte.
Ho scelto il fandom di Naruto perchè la storia mi ha colpita molto e non di rado ho provato ad immaginare gli eventuali sviluppi a distanza di anni così ho iniziato a scrivere FH, ambientata in un probabile futuro in cui le cose sono andate in un certo modo e, posso anticiparvi, non sono esattamente rose e fiori.
Non ho indicato i pairing, perchè finirebbero con lo svelarvi parte della trama. Posso solo dirvi che ci saranno triangoli - e anche quadrangoli se mi permettete la licenza - anche se alcune coppie saranno fisse. Inoltre posso dirvi è che io adoro letteralmente Naruto. Il personaggio, ovviamente. Per non parlare di Yondaime, ma questa è un'altra storia.
Cos'altro? Ah si. La storia non è conclusa. Ho scritto un paio di capitoli e conto di aggiornare una volta alla settimana, impegni e ispirazione permettendo.
Beh, a questo punto credo di avervi annoiati abbastanza, perciò non mi resta che salutarvi con la speranza che questa fanfic possa appassionarvi, o almeno, assicurarvi qualche minuto di svago. Bye bye^__^






E' difficile dire cosa sia esattamente un eroe.                                                                                                                     
Noi tutti siamo abituati ad immaginare esseri dai poteri straordinari, animati da forza e coraggio, impavidi e fieri. Desiderosi di mettere le loro grandi doti al servizio degli altri, i più deboli.
Disposti a sacrificare ogni cosa, persino se stessi, pur di proteggere la propria terra, i propri ideali. Esseri che hanno fatto la felicità degli altri come la propria ragion d’essere e, per uno strano paradosso, capaci di buttare alle ortiche la propria, se necessario.
Ci immaginiamo figure dall’armatura scintillante, i cui riflessi talmente intensi ci lasciano abbagliati, ma allo stesso tempo ci avvolgono, proteggendoci nel loro abbraccio dorato. E noi, in quell’abbraccio, ci sentiamo sicuri, liberi dalle nostre preoccupazioni, dai nostri affanni e ci sembra legittimo, quasi un dovere, delegare ad altri la nostra salvezza. Perché in fondo noi siamo soltanto miseri uomini comuni. Nessuno può aspettarsi nient’altro da noi se non di vivere placidamente la nostra vita e osservare di tanto in tanto l’orizzonte con la speranza, un giorno, di scorgere l’ombra dell’eroe tanto atteso.                             
Ma chi è questo eroe?                                                                                                                                                       
Da dove viene?                                                                                                                                                                   
Ha una famiglia, degli affetti, un passato?                                                                                                                     
E perché è qui? Perché ha deciso di combattere per qualcuno che nemmeno conosce e da cui sa che non potrà ricevere null’altro in cambio ad eccezione di un po’ di riconoscenza?                                                    
Nessuno se lo chiede mai. Forse perché a nessuno interessa veramente.                               
Una volta arrivato, l’eroe deve soltanto svolgere il suo compito, liberarci dai nostri problemi e, terminata l’opera, andarsene via per la sua strada con solo gli echi dei nostri deboli ringraziamenti come compagni di viaggio. L’eroe arriva ed è in grado di far andare ogni cosa per il verso giusto, quasi per miracolo, anche quando sembra impossibile, anche quando tutte le speranze sembrano essersi dissolte.
Perché, si sa, gli eroi vincono sempre. Altrimenti non sono veri eroi ma solo poveri stupidi incapaci di accettare i propri limiti.                           
Eppure se non fossimo così ottusi, se ci sforzassimo di guardare oltre quell’assurdo stereotipo, di scoprire cosa c’è dietro quell’armatura dorata, saremmo in grado di vedere finalmente il vero volto dell’eroe. Di scorgere la sofferenza dietro quella maschera di serenità, le debolezze dietro quello scudo di coraggio e fierezza, la tristezza e l’inconsistenza di quel sorriso rassicurante, troppo ostentato per non essere finto.
Saremmo capaci di accorgerci che, talvolta, tutto quell’oro non è che una misera placcatura.        

Perchè, credetemi, essere un eroe non è così facile come sembra.



FALLEN HERO


Chapter 01: Opening Theme


Strinse di più la presa sul suo collo. Seguì uno scricchiolio sinistro e quello smise di respirare. Ne fu in un certo modo sollevato. Quegli occhi timorosi ma anche stupidamente ostinati avevano smesso di fissarlo per lasciare il posto ad uno sguardo vacuo e spento. Uno sguardo vitreo che lo faceva sentire certamente molto di più a suo agio rispetto al precedente. Nessun muscolo del suo viso si mosse, incapace di lasciar trasparire alcuna altra emozione che non fosse assoluta indifferenza. Il suo volto rimase impassibile anche quando lasciò la presa sul corpo ormai inanimato del giovane, permettendogli di raggiungere il pavimento con un tonfo sordo. Non che provasse un particolare gusto a fare quel genere di cose. Di giovani imbecilli che si lasciavano raggirare da vane promesse di gloria e conquista ce n’erano  fin troppi e probabilmente, in altre circostanze, li avrebbe lasciati liberi di ravvedersi in modo spontaneo e soprattutto indolore.
D’altra parte, se avessero deciso di continuare con le loro stupide convinzioni, fregandosene bellamente, li avrebbe abbandonati al loro destino. Destino che, irrimediabilmente, li avrebbe portati a morire o per mano del nemico o per quella dei loro stessi alleati. Per questo non riusciva minimamente a capirli.
Personalmente riteneva la guerra nient’altro che uno stupido gioco al massacro. Un gioco senza regole, il cui unico obbiettivo realmente realizzabile è quello di restare vivo, di sopravvivere a qualsiasi costo. Un gioco in cui tutti i valori ed i principi vanno a farsi benedire e alla fine ti ritrovi un kunai piantato nel petto da quello che solo un attimo prima avevi chiamato compagno.
Istinto di sopravvivenza?
Puro e semplice egoismo?
Quale che sia la risposta il risultato rimane sempre lo stesso: tradimento. Una colpa di cui nessuno dovrebbe mai macchiarsi. Già, contrariamente a quanto di più normale ci si potesse aspettare da un ninja, detestava ogni cosa che avesse a che fare con una guerra. Sordo a qualsiasi prospettiva di ricchezza, di prestigio, di potere, desiderava semplicemente evitarla.
Impedire l'avvento di un'altra guerra non soltanto avrebbe evitato altre morti inutili, ma anche limitato inutili sofferenze. E per farlo, si sarebbe abbassato a fare ogni cosa fosse in suo potere, caricandosi lui solo dei peccati che sottraeva al mondo intero. Così forse, alla fine, sarebbe riuscito a cambiarlo quel mondo oppure sarebbe morto nel tentativo. Ambizioso direte voi. No, non poteva definirsi ambizione, tantomeno smania di potere o delirio di onnipotenza come i più malfidati potrebbero pensare. Quello, per dirlo con parole più familiari, era soltanto il suo credo ninja.
E proprio per rispettare tale credo che adesso doveva sapere. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per riuscirci e in quegli anni aveva imparato che per ottenere informazioni non c’era metodo migliore che incutere paura, timore ancora meglio. Perciò inscenare tutto quel casino gli sembrò una condizione più che accettabile, il male minore, senza alcun dubbio. Anche se lui, impulsivo com’era, non si era mai preoccupato delle conseguenze delle sue azioni.

Si voltò verso l’altro essere che oltre a lui in quella stanza, era capace ancora di respirare e, con passo deciso, prese ad incamminarsi nella sua direzione, ansioso di concludere in fretta il lavoro. Dal canto suo, il ninja rimasto, poco più che un ragazzo, lo fissava ad occhi sgranati, cercando di appiattirsi il più possibile contro la parete alle sue spalle, nel disperato tentativo di diventare un tutt’uno con essa e trovare un nascondiglio sicuro. Dimentico di qualsivoglia tipo di addestramento appreso in accademia, non tremava solo perché la paura lo aveva paralizzato a tal punto da fargli scordare persino come farlo. La sua mente faticava ancora a realizzare l’accaduto. Nemmeno due minuti prima era circondato dai suoi compagni intento a gustarsi la meritata cena e adesso invece si trovava rannicchiato in un angolo con il forte impulso di vomitare qualunque cosa il suo stomaco contenesse. Ovunque si posasse, il suo sguardo non faceva che scorgere quel viscoso liquido rossastro: le pareti, il pavimento, i suoi stessi vestiti ne erano impregnati e persino il loro misterioso assalitore non ne era rimasto immune, ma contrariamente a lui, quello sembrava essere perfettamente a suo agio, quasi si trattasse di una pioggerellina fresca.
Beh, in realtà volendo essere precisi, la situazione non era poi così catastrofica. Certo, c’era un po’ di sangue sparso qua e là e la stanza si presentava un tantino sottosopra, ma non era nulla al di fuori della prassi di un normale combattimento, neanche tanto violento a giudicare dalla velocità con cui si era concluso, per niente simile allo scenario post-apocalittico descritto dalla fervida immaginazione del ragazzo. Ma si sa i novellini tendono sempre ad esagerare…

D’un tratto  si sentì sollevare e quando fu di fronte a quegli occhi limpidi, troppo per essere quelli di un semplice assassino, fu come ricevere una specie di colpo di grazia. La vista iniziò ad annebbiarsi e, mentre la sua vescica si impegnava a fare ciò in cui il suo stomaco non era riuscito, cioè svuotarsi del proprio contenuto, il suo stato di coscienza iniziò a vacillare.

“Merda!” imprecò l’altro constatando con amarezza che no, non c’erano più i giovani ninja di una volta, che si, quel tipo in particolare era piuttosto patetico e che forse, solo nel caso in cui non l’avesse sporcato sarebbe riuscito a rimanere ancora in vita.

“Ehi tu, cerca di non dormire. Non ho mica tutto il giorno!” lo scosse, mal celando una nota di impazienza e fu così che il giovane ritornò con suo sommo dispiacere nel mondo reale.
“Dimmi dove sono quei fottutissimi rotoli e non farai la loro stessa fine, ok?”

Una semplice frase ma anche un ultimatum. Osservò i resti dei suoi compagni mentre la presa intorno al suo collo si faceva più salda e quegli occhi spaventosamente limpidi sempre più vicini. Fu allora che decise.
Si, decise che quella stupida missione del cazzo non valeva davvero la sua vita, lui che in realtà era diventato ninja solo per racimolare qualche spicciolo extra in maniera veloce, perché diamine avrebbe dovuto sacrificarsi? E allora mandò tutto al diavolo.

“E' lì!” sussurrò con quel poco di voce rimastagli, indicando uno dei cassetti dell’armadio  a muro.

Lo lasciò immediatamente e raggiunse il mobile in pochi secondi. Frugò nei vari cassetti, partendo da quelli più in alto solo per semplice comodità, e dopo una ricerca non troppo lunga trovò il rotolo. Ruppe il sigillo con malagrazia, impaziente di leggere il contenuto ed imprecò silenziosamente quando ebbe terminato. Lui certo non era un eccellente burocrate, anzi in realtà non aveva la minima idea di cosa fosse la politica, ma non ci voleva poi molto per capire che quelle erano decisamente brutte notizie. Le sporadiche parole che era riuscito a decifrare gli avevano permesso di cogliere il senso del messaggio e fu conscio della gravità della situazione anche senza tutti quei superflui fronzoli letterari. Richiuse il rotolo e, deciso a rileggerlo con calma, lo nascose in una delle pieghe del mantello che indossava. Si sarebbe arrovellato il cervello più tardi, ora la sua priorità era allontanarsi da lì alla svelta, prima che potessero arrivare altri novellini a fargli perdere tempo. Tempo che lui, alla nuova luce dei fatti, ovviamente non aveva.  
Stava così per andarsene e lasciare quella ridicola imitazione di un ninja da solo a fare i conti con la sua coscienza, quando un oggetto attirò la sua attenzione, come un  incantevole oasi nel deserto.

“Ehi tu, non ti dispiace se mi porto via anche questo vero?” chiese per semplice formalità, ben conscio che non gli servisse affatto il permesso.
Ma non ricevette alcuna risposta. Il suo interlocutore era troppo impegnato a vomitare anche l’anima per potergli prestare ascolto e fin quando la cosa interessava esclusivamente il pavimento e non i suoi pantaloni, il ninja, quello vero, non vi trovò alcunché da obiettare.

“Lo prendo per un si!” risolse, agguantando la ciotola ancora fumante, rimasta miracolosamente illibata.
Trovare del ramen in un posto come quello era proprio una fortuna insperata. Si ritrovò a pensare che dopotutto quella giornata si poteva ancora salvare ed ignorando palesemente tutti i suoi precedenti propositi, ispirati da una ragionevole, ma purtroppo solo momentanea, dose di prudenza, si portò un boccone alla bocca, troppo impaziente di gustarsi l’improvvisato bottino. Tanto bastò per fargli cambiare idea.

“Dovreste pretendere un po’ di più per i vostri palati” sbottò, mentre sul suo viso si disegnava una smorfia di puro disgusto e la ciotola veniva scaraventata il più lontano possibile dai suoi occhi e dalla sua bocca.
L’oasi si era rivelata nient’altro che un crudele miraggio.

“Per forza finite ammazzati, se vi ostinate a trangugiare questa sottospecie di brodaglia!”

Stupito oltre ogni dire per il fatto che qualcuno osasse chiamare ramen quell’intruglio e ancor più irritato poiché consapevole che il sapore dello stesso gli sarebbe rimasto in bocca per molto tempo, troppo per i suoi gusti, decise finalmente di abbandonare la stanza e rimettersi in cammino verso la sua prossima meta.









"Nooo, non posso crederci! Mi stai parlando proprio di quella signora Oritsuki?"

L'altra annuì energicamente, un lampo di malevola soddisfazione negli occhi castani.

"Certo, ne conosci altre? Proprio lei ti dico!"

Dal gruppetto di donne si levò un'esclamazione di stupore ed alcune scossero la testa apparentemente indignate.

"Ma tu pensa, e lei che fino a pochi giorni fa si vantava del suo rapporto perfetto con il marito" esordì una di loro dopo il nanosecondo di silenzio che ne era seguito, ravvivandosi la chioma biondo cenere con un accento di superiorità.

"Beh, si vede che non era poi così perfetto se l'ha dovuto cacciare di casa e per giunta nel cuore della notte!" sentenziò quella di fianco a lei, con un sorrisetto divertito ad accompagnarne i lineamenti non più giovani, segno che la classificava come la più attempata della combriccola, insieme alle striature grigie che si intervallavano tra le ciocche nere.

Il commentò sembrò suscitare l'ilarità generale, mentre l'istigatrice del dibattito, assottigliando leggermente i suoi furbi occhi scuri, si preparava a comunicare alle amiche il milionesimo succulento particolare. "Dicono che lei strepitasse come una matta mentre gli rovesciava addosso tutto l'arredamento del soggiorno"

Ancora espressioni stupite seguite da altrettante risate compiaciute.

"Si non me ne parlare, hanno tenuto sveglio tutto il vicinato con il loro teatrino!"
Lamentandosi con la sua vocina stridula, la signora Inoue dimostrò di avere le doti di una vera attrice melodrammatica, assumendo una espressione affaticata spudoratamente falsa, ma che dalle restanti compari venne accolta con commenti dispiaciuti e facce comprensive.

"Io ho sentito che per farli smettere è dovuta intervenire la squadra speciale!" aggiunse nuovamente la bionda, ingigantendo la questione. Figurarsi se la squadra speciale perdeva tempo a placare una semplice lite domestica...

Eppure, nonostante il fatto fosse palesemente inventato, fu accolto come una verità inconfutabile da tutte le partecipanti, troppo prese nel loro spettegolare. "Veramente? Che figura, chissà se oserà ancora mostrarsi nel quartiere con quell'aria altezzosa adesso...." furono infatti le osservazioni delle più invidiose.

"Mamma io esco!" gridò Sakura dall'ingresso, infilandosi in fretta la borsa e dando un ultimo colpetto a terra con la punta delle scarpe, uscendo poi senza aspettarsi una risposta. Sua madre, impegnata com'era nell'indiscrezione del giorno, non le avrebbe concesso alcuna attenzione e lei era troppo ansiosa di allontanarsi da quel covo di vipere, per curarsi di ricevere un saluto adeguato. Credeva di esserci ormai abituata, ma ogni volta non poteva che stupirsi di fronte alla rapidità con cui quel manipolo di casalinghe fosse capace di venire a conoscenza di qualsiasi evento interessasse il villaggio, descrivendo i fatti con una stupefacente dovizia di particolari ed una precisione tale da fare invidia al reparto investigativo. E l'episodio della povera signora Oritsuki, successo soltanto poche ore fa, era soltanto l'ennesima prova dell'efficienza della loro rete di notizie. Certe volte le sorgeva il dubbio che avessero preso lezione da Ibiki Morino per la loro capacità di estorcere informazioni anche dai muri, ma sinceramente per quanto sua madre potesse avere una propensione naturale nell'immischiarsi negli affari altrui, specie quando il suo intervento non era gradito - e lei ne sapeva qualcosa - non ce la vedeva proprio a torturare qualcuno...
Tuttavia il titolo di "gazzettino ufficiale di Konoha" che lei aveva scherzosamente coniato, calzava veramente a pennello.
Sorrise senza rendersene conto, immersa in quelle riflessioni, mentre percorreva distrattamente quel tratto di strada che separava casa sua dall'ospedale, sua meta abituale da quando era diventata una dei giovani medici più richiesta dei dintorni. Si era impegnata duramente per raggiungere il suo obbiettivo e finalmente i suoi sforzi erano stati del tutto ripagati. E alla fine il tempo aveva reso giustizia anche alla sua bellezza, facendo si che il bocciolo si trasformasse in uno splendido ciliegio in fiore. Almeno stando a ciò che Ino amava ripeterle ogni volta che si incontravano.

In effetti era cresciuta Sakura. E non solo fisicamente.
La guerra l'aveva ferita, costringendola a perdite dolorose, ma allo stesso tempo l'aveva rafforzata, disilludendola dei suoi sogni da ragazzina. Aveva visto la vera faccia della realtà e l'aveva affrontata, uscendone tutto sommato vincitrice, ma ricolma di cicatrici invisibili che le macchiavano il cuore e che ai più risultavano del tutto sconosciute. Un'inevitabile fatalità che accomunava chiunque avesse preso parte a quel conflitto. Eppure, anche adesso, in quell'ovattato periodo di pace, troppo tranquillo per le attività di un ninja, ma mai per quelle di un medico, non riusciva a voltare pagina e proseguire oltre. La sua mente era costantemente occupata da un pensiero fisso, che non poteva essere sostituito da nessuno dei corteggiatori che le ronzavano intorno, indipendentemente da quanto avvenenti e facoltosi potessero mostrarsi. A dispetto di tutto ciò che sua madre potesse dirle per convincerla a capitolare, sapeva che i suoi sentimenti non sarebbero cambiati. Nonostante il peso dei suoi stessi errori fosse considerevole. Imperdonabile ai suoi occhi e certamente anche a quelli di lui, che aveva sofferto già abbastanza per sopportare altro.

"Ohayo Sakura-san!"

La ragazza arrestò il passo, volgendosi in direzione della voce a lei familiare, giusto in tempo per vedere Rock Lee raggiungerla con una breve corsa.
Era incredibile come crescendo avesse finito con l'assomigliare sempre di più a Gai-sensei, con quegli improponibili sopracciglioni a fare da contorno. Specialmente se si considerava che i due non erano legati da alcuna parentela. Senza dubbio, non di rado, il rapporto con il proprio sensei finiva con l'esercitare influenze significative sulla personalità degli allievi, ma in quel caso si era andati oltre. Decisamente.

"Ohayo!" lo salutò di rimando, sorridendogli amabilmente mentre questo, tutto contento, sfoggiava un sorriso a trentadue denti.

Benchè il suo aspetto non fosse esattamente quello di un adone, Sakura sapeva bene quanto Rock Lee potesse rivelarsi un buon amico, sempre pronto ad ascoltarla e a consolarla senza chiedere mai nulla in cambio, nonostante ciò che provasse per lei non si limitasse certo alla semplice amicizia. Forse fu proprio quel paragone inaspettato, così dannatamente vicino a ricordi non proprio piacevoli a causarle un improvvisa stretta all'altezza del petto, bloccandole il respiro. Ma quello spiacevole senso di disagio scomparve istantaneamente non appena l'altro riprese la parola.

"Vai in ospedale?" chiese curioso, sebbene conoscesse perfettamente la risposta.

Sakura annuì, aggiustandosi meglio la borsa sulla spalla. "Si, tra un po' inizia il mio turno e Shizune-san mi aspetta per assegnare le nuove apprendiste ai reparti. E tu invece dove stai andando così di prima mattina?"

"Devo fare rapporto all'hokage" chiarì il moro, tornato soltanto ieri da una missione a Suna.

"Allora possiamo farci compagnia per un po' di strada, che ne dici?" propose la ragazza, dopo aver riflettuto per qualche istante. In fondo l'ospedale e il palazzo dell'hokage erano abbastanza vicini e l'idea di proseguire da sola, quella mattina, le risultò inspiegabilmente sgradevole. Prese ad incamminarsi, lasciando Rock Lee, imbambolato in mezzo al viale, ancora incredulo per l'offerta inattesa.

"Ne sarei onoratissimo Sakura-san" cinguettò infine, seguendo la kunoichi con un'espressione di giubilo ad illuminare gli occhi scuri.

E per tutto il tragitto non riuscì a tacere neanche per un secondo, tanto era euforico. Le raccontò di qualsiasi cosa gli fosse passata per la mente. Di quanto si trovasse bene nella nuova casa in cui aveva appena traslocato; degli allenamenti che ancora teneva con Gai-sensei, nonostante non ne avesse affatto bisogno; della missione appena compiuta e, in special modo, delle strategie, non sempre esattamente dignitose, che aveva adottato per sfuggire al caldo torrido del deserto; persino dell'abbuffata che lui e Choji si erano fatti per festeggiare il suo ritorno, sotto lo sguardo vigile di Neji e Shikamaru, determinati ad impedirgli un qualsiasi tipo di contatto con una qualsivoglia sostanza alcolica di natura liquida, solida o gassosa presente nel locale.
E per tutto il tragitto Sakura non aveva fatto che ascoltare divertita, asciugandosi di tanto in tanto le lacrime che le comparivano ai lati degli occhi per il troppo ridere.

"Mi fa piacere vederti così!" disse d'un tratto Rock Lee, dando voce, per l'ennesima volta, ai suoi pensieri.

Sakura arrossì, colpita da quel commento innocente e al contempo così ricco di significato. Sapeva quanto Rock Lee tenesse sinceramente a vederla felice e ciò, se da una parte la riempiva di gratitudine verso di lui, dall'altra la imbarazzava terribilmente, facendola sentire in un certo senso indegna di quella eccessiva gentilezza.
Se solo la conversazione non fosse andata oltre, i due avrebbero potuto lasciarsi sorridenti e spensierati, al ricordo di quella amichevole chiacchierata. E invece le cose andarono diversamente...

"Quando ridi sei ancora più bella del solito, Sakura..." si fermò, resosi conto dell'enorme sbaglio appena commesso. Ma ormai era già troppo tardi.

La ragazza sembrò raggelarsi, mentre l'allegria scompariva lentamente dal suo volto.
Si guardò intorno, accorgendosi solo in quel momento di essere arrivata. Un provvidenziale colpo di fortuna, si ritrovò a pensare senza volerlo. "Oh, ecco l'ospedale." indicò incerta, allontanandosi dal suo accompagnatore e dall'insopportabile dispiacere che gli si era dipinto addosso.

"Allora grazie per avermi accompagnata, è stato davvero piacevole poter parlare un po' con te!" concluse poi, stirando le labbra nel tentativo di un sorriso che, confrontato con i precedenti, non potè che risultare finto.

Rock Lee scosse la testa. "Di nulla, il piacere è stato tutto mio" disse infine palesemente impacciato, per poi riprendere il cammino con una punta di amarezza.

Lo osservò allontanarsi, con il cuore un po' pesante. Sapeva di averlo ferito, ma non aveva potuto reagire diversamente. Come se il suo corpo si fosse mosso da solo.
Non era stata colpa sua, ma non era preparata a quella frase. Riascoltarla dopo così tanto tempo - da una persona diversa - le aveva fatto uno strano effetto. Una volta era talmente abituata ad esclamazioni del genere da trovarle addirittura seccanti, ma adesso che non poteva più sentirle, si scopriva a sentirne la mancanza.

Ad ogni modo, adesso non aveva tempo per pensarci. Più tardi sarebbe passata da Rock Lee per convincerlo di non essere arrabbiata con lui e tutto si sarebbe risolto. Ora però doveva sgomberare la mente da ogni altra preoccupazione e concentrarsi sulla nuova giornata di lavoro che l'aspettava. Si avvicinò al cancello, aprendone una metà.
Il vento soffiò un po' più forte, scompigliandole i capelli. Ma non le diede alcun fastidio.
Lei adorava il tocco delicato della brezza primaverile, quella sensazione di fresco che sembrava circondarla come uno scudo indistruttibile, quasi a volerla proteggere da qualsiasi pericolo; che la seguiva in ogni suo gesto accarezzandola dolcemente e talvolta, nel suo soffiare più impetuoso, sembrava spronarla a proseguire, come se volesse donarle tutta la vitalità di cui disponeva. Quel vento che, inevitabilmente, finiva con il riportarle alla mente memorie del suo passato. Già, lei amava profondamente quel vento, così maledettamente simile a lui.



Coming soon: 02 - Memories of that day

...Con il respiro irregolare ed il cuore che sembrava volergli uscire dal petto, osservava la porta del negozio in maniera quasi ossessiva, mentre il suo cervello lavorava a pieno regime nel tentativo di elaborare un buon piano. Una strategia vincente che fosse capace di salvarlo dal guaio in cui si era appena cacciato o che, per lo meno, gli consentisse di ridurre la pena che inevitabilmente gli sarebbe stata inflitta...

  
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