Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: halfblood22    02/11/2014    2 recensioni
[Partecipa al contest "Momenti&Emozioni di DonnieTZ]
-Quando sarai grande, anche tu capirai.
-Perché devi andare via?
-I miei vogliono così.
-Puoi rimanere da me, potrei provare ad aiutarti…
-Ti prego, non rendere le cose più difficili di quanto già non sono.
Nel silenzio di un bosco, rievoco il dialogo che più di ogni altra cosa ha fatto male.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il fiume pareva sussurrare piano, come se volesse provare a consolarmi.
Mi ero inoltrata nella fitta boscaglia, dove ormai erano padrone le sfumature che dona l’autunno al suo arrivo. Ma, appena avevo scorto il torrente, non avevo saputo resistere al fermare la corsa contro il mondo che avevo intrapreso all’inizio di quel pomeriggio, che ormai scivolava via in quel dorato tramonto.
 
Quando sarai grande, anche tu capirai.
 
Quell’infida e perfida frase rimbombava nella mia mente, come se il ricordo di ieri non volesse andarsene.
Cosa dovrei capire? Cosa un adulto capirebbe meglio di me, in questa situazione? Forse solo perché gli adulti a volte hanno il cuore freddo, con la loro anima razionale riuscirebbero a trovare una risposta.
Loro hanno un cuore freddo. Il mio cuore ardeva di rabbia, di disprezzo, ma intanto era schiacciato dalla tristezza immensa che mi congelava.
 
Perché devi andare via?
I miei vogliono così.
 
Il dialogo risuonava ancora, nel silenzio immenso e quasi irreale di quel bosco.
 
Puoi rimanere da me, potrei provare ad  aiutarti…
Ti prego, non rendere le cose più difficili di quanto già non sono.
 
Basta, intimai a me stessa. Era troppo doloroso, troppo stupido, troppo brutto da sopportare me.
Continuai a camminare seguendo il corso del fiume, e fu come se i miei pensieri diventassero concreti e mi si parassero davanti agli occhi, duri e veri come non mai.
 
Non posso sostituirti, non potrò mai dimenticarti. Perché mi fai questo?
 
Alla mia domanda, lui non aveva mai risposto. Aveva asciugato le mie calde lacrime con le sue mani gelide e poi mi aveva baciato, per l’ultima volta.
Dopo, era salito su quel furgone bianco che di solito aspettavo impaziente, ma che adesso custodiva in sé solo odio, ed era sparito nella nebbia di quel maledetto mattino.
 
Continuai a camminare, disposta a non fermarmi più, disposta a non dare più mie notizie.
 
Lente, le foglie cadevano dagli alberi, nello stesso modo in cui scorreva il fiumiciattolo, nello stesso modo in cui stavano cadendo le mie ennesime lacrime.
Però, cacciando via quei cupi pensieri dalla mia mente e cercando di scacciare via la malinconia dal mio cuore, presi a correre, mentre il vento iniziava ad alzarsi e il sole toccava l’orizzonte, corrispondente al centro di quel lago in cui si perdeva il fiume, che adesso si colorava del colore del grano, e mi pareva come un’enorme pozza d’oro fuso, dello stesso colore delle pagliuzze negli occhi di lui.
 
E poi, spostando lo sguardo, vedevo il porpora della moltitudine di pioppi che c’era nel boschetto, proprio come le sue labbra.
Infine, insieme al bianco delle margherite selvatiche, ritrovavo, in quel miscuglio di colori, forse qualcosa per cui sorridere di nuovo.
In qualche modo, forse ancora potevo ritrovare qualcosa di lui, un suo sorriso, una sua risata, in quella macchia autunnale.
 
Presi dal mio zaino un vecchio libro e iniziai a sfogliarlo; la sua copertina, dal bordo verde acqua, presentava dei disegni molto belli.
Scrutai le prime righe e poi lo richiusi; ancora una volta, la semplice poesia di Omero era riuscita a calmarmi.
Mi sedetti su una roccia e continuai la mia lettura, su uno dei capitoli che, stranamente, era uno di quelli che mi piaceva di più: L’uccisione di Ettore da parte di Achille, nell’Iliade.
 
Mi persi fra le righe, finché non diventò buio e la mia ragione mi convinse a tornare a casa. Una civetta e alcuni pipistrelli mi fecero compagnia durante il mio ritorno e poi mi lasciarono, dove finiva il bosco, andando per la loro strada.
 
Il giorno prima, il mio ragazzo mi aveva lasciato, andandosene con i suoi per il paese da cui proveniva, perché suo padre aveva trovato un posto di lavoro che non poteva rifiutare, data la loro precaria condizione economica.
Aveva insistito a interrompere la nostra relazione, non voleva farla durare, non poteva durare, in quell’enorme distanza che li esiliava l’uno dall’altro.
Si, un esilio. Riuscivo a vedere quella situazione e identificarla solo così.
 
Dopo quelli che potevano essere secoli come pochi secondi, arrivai alla periferia della città e presi il primo autobus che c’era, verso casa.
 
Quale casa mi resta, se l’unica vera e calda che avevo erano le tue braccia?
 
Mi addormentai sul bus con le cuffiette nelle orecchie, con le canzoni a palla nell’mp3 e alla fine arrivai al mio orfanotrofio, un edificio che ero costretta a chiamare casa.
 
Con gli occhi umidi entrai nel basso portone e per l’ultima volta guardai indietro, verso le luci della città. La notte gelata si apriva, ghiacciando tutte le insegne sfavillanti, facendole ancora più nitide. Poi, rassegnata e con la certezza che quel furgone non l’avrei mai più rivisto, entrai nel centro accoglienza e in due passi liquidai la mia essenza, lasciando al mondo solo l’ombra di me stessa.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: halfblood22