CAN YOU BREATHE?
2.
All I know
is that I'm lost in your fire below
Quando il tuo
migliore amico sta per diventare padre
si suppone debba essere la regola sentirsi in colpa nel non potergli
stare
accanto in un momento tanto importante.
Dovrebbe essere
normale stare
attaccati al cellulare, aspettare una chiamata od un sms. Ci si
dovrebbe
mangiucchiare le unghie per il nervoso e bere alcolici per distendere i
nervi.
Sì, probabilmente è così che ci si
dovrebbe sentire. Probabilmente.
Ma se ti ritrovi a pulire il bancone del pub del suddetto migliore
amico mentre
un ragazzo tanto bello quanto bravo a suonare ti prepara l'ennesimo
tè della
serata, allora le premesse di prima non valgono a nulla.
Insomma, che senso ha crogiolarsi nella preoccupazione quando ci sta
qualcuno
che tra una consegna al tavolo e l'altra ti ha totalmente riempita di
tè e
miele e biscotti e "lascia ci penso io" e sorrisi e...
"Posso metterci il miele al... mh... tiglio?" rido appena.
"Ci hai preso gusto, eh?"
"Sinceramente? Io odio il tè. E l'unico miele mai assaggiato
in vita mia è
quello millefiori. Mia madre mi obbligava a prenderlo per il mal di
gola. Ma mi
incuriosisce che in un pub si ritrovi una vasta scelta di prodotti del
genere.
Insomma, qui ci stanno almeno dieci vasetti"
"Che dire, Jake mi vuole bene" mi vanto un po' "Credo che tu
abbia confessato un peccato capitale comunque. Come si fa ad odiare il
tè?
Caspita è la migliore compagnia nelle serate invernali. Un
libro, una matita,
tè e miele. E' la combinazione perfetta"
"No, non è una combinazione. Sei tu"
Fermo un attimo lo straccio e alzo gli occhi. Ha la mia tazza fumante
in mano e
sembra così semplice nella sua camicia a quadri. Quasi come
se i suoi occhi
verdi e l' incredibile bellezza del suo viso non lo eleggessero ad
Essere
Supremo-sbarra-Dio-sbarra-Apollo-sbarra-Bellezza fatta uomo.
Allungo solo il braccio e afferro il contenitore con quel liquido scuro
e
ambrato. Ci fisso gli occhi dentro e sorrido lievemente.
E' vero, sono io.
E lui pur non conoscendomi mi conosce meglio di altri.
"Ti dispiace non aver potuto leggere stasera?" finisce il mio lavoro
mentre io prendo posto su uno sgabello senza smettere di fissarlo.
"Non molto a dire il vero. Recupererò appena tornata a casa.
Mi dispiace
di più non aver ascoltato un po' di musica"
"Oh. Ho appena scoperto un'altra cosa di te. Sei sorda all'occorrenza a
quanto pare. Mi sembra di aver sentito strimpellare Mike fino a pochi
minuti
fa"
A onor del vero non è un po' di
musica
quella che avrei voluto ascoltare, ma la sua musica. Quella che mi cura
come un
balsamo.
"E a te? Ti è mancato suonare?"
"Perché me lo chiedi?"
E tu perché vuoi leggermi l'anima? Non ti basta essere
capace di tenere insieme
i pezzi del mio puzzle mentre canti?
Dio, come vorrei non essere così. Come vorrei essere come
tutte le altre.
Civettare con un bel ragazzo e divertirmi.
Vorrei capire
perché mi sento così e
non ti conosco.
E vorrei sentirti suonare. E cantare.
Perché
è come se in quei momenti
tutto si trovi al suo posto. Come
se io
fossi nata per quei momenti.
Ti prego suona.
"Perché io ho già risposto alla tua domanda. Per
curiosità. O per fare
conversazione. I motivi per il quale te lo chiedo potrebbero essere
milioni. E
ovviamente non posso elencarli mica tutti. Cadrei nel banale e sono
già le due
di notte e la stanchezza potrebbe far... Oddio sei sicuro di averci
messo miele
qui dentro? Sto iniziando a blaterare cose senza senso"
"Era miele, sì" e scoppia a ridere, scuotendo un po' la
testa
"Dubiti così tanto di me?"
"Mh, in fondo non ti conosco. Magari hai finto per tutta la sera, ad
ogni
tazza di tè mi hai rifilato chissà quale sostanza
e il tutto per potermi
mettere ko adesso e appropriarti di tutto l'incasso"
Lo prendo in giro con il sorriso sulle labbra, specchio del suo.
"Okay, credo che per te sia davvero arrivato il momento della nanna,
signorina. Inizi a dare i numeri e posso assicurarti che non si tratta
dei tè
che ti ho preparato"
"Sai, per essere uno che dice di odiare il tè lo prepari
piuttosto
bene"
"E' solo tè, Bella. Voglio dire, acqua calda con un infuso
dentro"
poggia entrambi gli avambracci sul bancone e sporge la testa un po'
più vicina
alla mia.
La mia risposta pronta si perde un attimo nei meandri della mia mente
mentre lo
osservo brevemente.
E in una
frazione di secondo mi rendo conto di quanto
mi possa rendere strana Edward.
L'attimo prima non riesco a reggere il suo sguardo, quello dopo vorrei
parlare
senza staccarmi da quei due magneti verdi. Inspiegabilmente mi rendo
conto che
vorrei sommergerlo di domande.
Sapere quanti anni ha, cosa fa nella vita, come ha imparato a suonare e
dove
trova il coraggio di mettersi di fronte al giudizio delle persone per
quella
che è la sua passione.
Vorrei chiedergli se quegli occhi sono quelli di sua madre o di suo
padre. E se
conosce il nome esatto del suo colore dei suoi capelli.
Vorrei sapere se
è innamorato, se lo è mai stato o se
pensa che mai lo sarà. E vorrei sapere se il suo
tè in realtà si chiama
Jennifer, Monica, Charlotte o… Derek, Richard e..
Già, magari è gay.
All’improvviso
cerco di mettere a tacere tutta
l’angoscia che deriva da questa eventualità. Come
se fosse il peggiore dei
cataclismi mai pensati dalla mente umana e non.
No. Non lo
è. Ovvio che non lo è.
Non
può esserlo.
Dio,
davvero, cosa cazzo c’è in questo tè?
Sbatto le
palpebre e in un attimo riprendo coscienza
della risposta che avevo in mente poco prima e la snocciolo con
convinzione.
"Un tè è molto più di questo. E'
dolce, rende la vita meno amara negli
attimi in cui lo bevi. E' calore che scorre per riscaldare il
freddo che
hai dentro. E' come un abbraccio a volte. Anzi è meglio di
un abbraccio. Perché
non può sparire, anzi lo rendi proprio tuo. Lo fagociti al
tuo interno. Ti
rende un po' di pace... scusa sto farneticando di nuovo"
Stupida
Come se quello che ho appena detto avesse un minimo di senso. Come se a
lui
potesse interessare.
Poggio la tazza sul bancone e punto ancora gli occhi sul liquido
fumante.
Non so nemmeno perché mi sono buttata su questa filippica
su... una bevanda. E'
solo una bevanda, in fondo, per qualsiasi altra persona. Probabilmente
adesso
sta pensando a quanto fosse alto il livello di cazzate sparate dalla
mia bocca
e a quanto in realtà possa sembrare strana e pazza e
logorroica e...
Non dovrei tremare mentre lui poggia lieve un dito sotto il mio mento
per
posizionare di nuovo i miei occhi all'altezza dei suoi.
"Forse allora non hai ancora trovato il tuo tè in carne ed
ossa"
sussurra.
E tu? Tu
l’hai trovato?
"Forse" sussurro.
"E
poi?"
"E poi cosa?"
Sento Leah sbuffare dal suo letto mentre io continuo a restare
incantata di
fronte al piccolo Liam Ephraim Black. Alla fine era nato alle 4.45 del
mattino
e io, dopo solo un'ora e mezza di sonno, mi ero ritrovata a correre in
ospedale
per non perdermelo.
E' una meraviglia della natura. La sua pelle olivastra illuminata dagli
occhi
scuri ma assolutamente lucidi. I capelli nerissimi come il
papà e il nasino
della mamma. Talmente piccolo che a tenerlo in braccio sento la paura
di
potergli fare del male stringendolo anche solo un po'.
"Poi, dopo aver chiuso il locale"
"Niente, siamo andati ognuno per la sua strada. Cosa avremmo dovuto
fare
scusa?"
"E' carino?"
E' un Dio.
"Sì, penso si possa definire carino"
"Hai detto che ti ha preparato un paio di volte il tè"
Più che un paio di volte.
"Mh"
"Era buono?"
Era perfetto.
"Era solo tè, Leah. Non ci vuole una laurea per farlo"
"Per te non è solo tè."
" E per te invece adesso è ora di riposare. Sono le 6 del
mattino e non
dormi da chissà quante ore" le scocco un'occhiata di
traverso mentre
ripongo il piccolo nella sua culletta accanto al letto della mamma
In realtà, non era davvero successo niente. Dopo la mia
ennesima apnea di
fronte al suo sguardo limpido, mi ero fatta coraggio e avevo ripreso
coscienza
di me stessa con una passata di mano tra i miei capelli e un "Mh, credo
dovremmo chiudere".
Lui
non aveva battuto ciglio e dopo dieci
minuti ci trovavamo entrambi fuori, sul marciapiede. Io stretta nel mio
cappotto e con il mio libro in mano, lui con la chitarra in spalla.
Quella chitarra
che ho così tanto sperato che prendesse in mano fino
all'ultimo secondo.
"Hai l'auto o non so hai chiamato
qualcuno per farti prendere? Un'amica o amico o... il tuo ragazzo"
aveva
sussurrato l'ultima parte spostando repentinamente lo sguardo dal mio
come ad
essersi imbarazzato.
Era quasi tenero in quel momento. Gli occhi che vagavano ovunque tranne
che sul
mio viso, il naso rosso per il freddo e le mani a contorcersi l'una con
l'altra.
Ok, togliamo il quasi.
"No, abito praticamente dietro l'angolo. E poi i miei amici sono
impegnati
in sala parto, credo" rise appena tornando a guardarmi.
"Ancora nessuna novità su quel fronte?"
"Nessun vagito a nome Black ha ancora squarciato la notte di Seattle, a
quanto pare" scherzai
"Beh, se la cosa dovesse andare per le lunghe e Jacob dovesse avere
bisogno di una mano anche per domani, io sono disponibile. Voglio dire,
da solo
non ce l'avrei mai fatta ma..."
"Nemmeno io ce l'avrei fatta da sola" mi affrettai ad aggiungere
"E.. e comunque spero di no. Lo spero per Leah. Non può
davvero tirare per
ventiquattro ore. Diventerebbe un parto suicida" scoppiai a ridere
seguita
da lui.
"Forse hai ragione. Mh, quindi nessun passaggio, niente amici
disponibili
e... il tuo ragazzo ti lascia camminare la sera da sola anche se per
pochi
passi? Non muore d'ansia?"
Sì, che muore d'ansia. Certo che Riley si preoccupa. Lo fa
sempre. Lo fa anche
mentre sono a lavoro.
Lui è una risorsa inesauribile di protezione nei miei
confronti. O almeno era
così una volta. Adesso non lo so più. Adesso
spero solo che lui tenga tutto per
sè.
Spero che mi ami in silenzio. Se ne ha voglia. Se ne ha il coraggio e
la
pazienza. In caso contrario capirei.
In fondo lui l'ho davvero già perso per certi versi.
E mi rendo conto che
in realtà avevo appena passato una serata con un ragazzo che
non era nè Riley
nè Jake e che forse ero stata bene con lui come mai prima
d'ora.
"No, a dire il vero sono io che gli chiedo di non venire a prendermi.
Preferisco fare quattro passi e ormai se ne è fatto una
ragione"
"Uh, quindi esiste. Un fidanzato, dico" aveva di nuovo spostato lo
sguardo. Lontano da me. Ed io ne sentii subito la mancanza. Volevo che
il suo
verde restasse incatenato al mio cioccolato.
Sembrava
quasi deluso o addirittura confuso e io feci decisamente finta di non
notarlo.
Feci finta persino di non sentire le sue ultime parole. Fu infatti lui
a
continuare dopo qualche istante.
"Senti, ti accompagno. Non mi va che cammini al buio da sola. E' notte
inoltrata."
"No, davvero. Te l'ho detto, è qui vicino. La macchina non
è proprio
necessaria"
"E chi ha parlato di macchina? Coraggio, Cioccolata, facciamo questi
quattro passi. Allora si va verso destra o verso sinistra?"
"Fa freddo. Torna a casa, Edward. Dico davvero. Cosa vuoi che mi
succeda?"
"Destra o sinistra?"
"Sembri davvero ostinato, sai?"
"Diciamo che non sono un tipo che se ne fa una ragione tanto
facilmente"
Dio, aveva quel sorriso sghembo, così genuino e.. caldo. E
mi guardava
speranzoso che non rifiutassi ancora ma allo stesso tempo quasi
convinto che
non l'avrei mai fatto. Ed aveva ragione. Non avevo rifiutato e alzando
gli
occhi al cielo, con le labbra increspate in un sorriso a cui mi stavo
abituando
da qualche ora, sussurrai appena un "Sinistra".
Non mi rischiai a guardarlo ma so per certo che sorrise. Lo sentii.
In realtà quei quattro passi durarono più di
dieci minuti. Forse perché
camminavamo a passo di formica con andatura da tartaruga o forse
perché la
strada per casa mia si era improvvisamente allungata.
Nessuno dei due aveva fiatato. Ascoltavamo solo il rumore dei nostri
passi e
dei nostri respiri. Alcuni più profondi di altri.
Quando mi trovai di fronte il palazzo di casa mia mi fermai solo dopo
aver
fatto i quattro scalini che portano al portone. Mi voltai e lui stava
lì, di
nuovo a torturarsi le mani.
"Arrivata a destinazione"
"Lo vedo"
"Già. Quindi... Buonanotte?"
"Sì, credo si dica così in queste situazioni"
ridemmo entrambi. Quasi
in silenzio, come se una risata piena potesse disturbare l'intero
quartiere.
Con le chiavi in mano iniziai trafficare per farle entrare nella
fermatura
della porta, quando lo sentii fare uno scalino e mi pietrificai.
"Bella?"
"Mh?"
"Ci vieni anche domani al Redskin, vero?"
Era strano come ogni parola mi facesse sorridere sempre più
dell'ultima volta.
In fondo non diceva niente di speciale.
Semplici frasi composte da semplici parole con semplici significati.
Era una semplice domanda. Ma quel vero alla fine... Quasi come se me lo stesse
chiedendo sperando che io potessi esserci.
Ed io volevo esserci. E non era niente di nuovo perché io al
Redskin ci stavo
ogni sera da così tanto tempo ormai.
Ma in realtà sapevo che volevo esserci proprio
perché me lo aveva appena
chiesto.
Non
per abitudine, non per Jake, nemmeno leggere al mio tavolino. Ma per
quel ‘vero’, sì, volevo esserci.
Restai di spalle e piegai solo la testa un po' di profilo. Non potevo
perdermi
ancora nelle sue pozze verdi.
"Ci sarò"
Lo sentii di nuovo. Sorrise.
Ho sempre
pensato, sin da piccola, che almeno il novanta percento della
popolazione
ascolti la musica perché ne è innamorata.
Io
stessa lo sono e il mio ascoltare una
moltitudine di generi può testimoniarlo. Il mio iPod
è testimone delle playlist
più strane al mondo.
Ho la
capacità
di far convivere pacificamente Marvin Gaye e John Legend, Katy Perry e
Will
Young, The Goo goo dolls e James Blunt. Un buon tuffo nelle migliori
colonne
sonore che parte da I say a little pray for you e piomba su One day
I’ll Fly
away e una sfilza di cover made in Glee.
Poi ci sono le
playlist maledette con il rating che oscilla dalle due alle cinque ore
di
lacrime, sconsigliate per l’intero genere umano ma che
chissà come mai si
finisce sempre per ascoltare.
La playlist che
mette forza, azzeccata nei momenti di sconforto tenue e immotivato.
La playlist,
spesso squallida, che spazia da David Guetta ad Avicii, per darsi la
carica
quando la fiacca batte -vedi prima di uscire di casa o appena rientri a
casa-.
La playlist per
ciò che è comunemente chiamato sport:
per la palestra, per la corsa all’alba e per gli addominali
in cucina
–totalmente inutile perché a)
le mie
iscrizioni in palestra durano giusto il tempo della prova gratuita; b) non ho nemmeno un paio di scarpe da
corsa; c) il tappetino per gli
addominali credo sia rimasto orfano ed abbandonato in una delle famose
lezioni
prova in una qualche palestra in un qualche buco di Seattle-.
Grazie, quindi,
alla mia alquanto strana ma duratura e fedele storia d’amore
con la musica, a
suo tempo, avevo trovato una motivazione in più per poter
lavorare al Music Junkies.
E’ stato dal primo
momento come rendersi conto realmente di non essermi mai sbagliata
sulle mie
convinzioni. La musica va amata. Tu ami lei e lei ama te. Senza se e
senza ma.
Probabilmente
la digitalizzazione aveva un po’
rallentato il sistema discografico ma quel momento in cui un disco,
aspettato
dal settantacinque percento della popolazione facente parte del novanta
precedente, veniva lanciato sul mercato, vedeva il nostro negozio preda
di una
totale trasformazione.
Nel momento in
cui l’ultimo disco dei Coldplay viene messo in vendita una
settimana prima di
San Valentino, succede solo tre cose: massa, confusione, fila.
Fila prima di
aprire il negozio. Fila dentro al negozio. Fila alla cassa del negozio.
Fila
due ore dopo l’apertura. Fila all’ora di pranzo.
Fila quando il
tuo ragazzo arriva alla cassa con il suddetto disco in mano con una
richiesta
che tu avevi totalmente rimosso.
“Io
prendo il
disco e la mia ragazza per il pranzo. Può mettere tutto
insieme in una busta,
grazie”
Scoppio a ridere
per la naturalezza della sua richiesta e alzando lo sguardo mi rendo
conto che
il suo viso fintamente serio è probabilmente una delle cose
più belle della
giornata.
“Passa
qua
dietro, scemo” fa come gli dico e dopo aver alzato la mano
per salutare Angela
da lontano, mi cinge i fianchi da dietro e poggia le labbra sui miei
capelli.
“Non
puoi
mollare per il pranzo, eh?” faccio segno di no
impercettibilmente mentre il
prossimo cliente viene avanti alla cassa.
“Mi
dispiace da
morire”
“Oh,
credimi,
dispiace più a me” altro bacio sulla nuca. Una
mano che passa sul mio ventre.
Sembra tutto
così ordinario. Lui, il suo tocco, il calore che ne
scaturisce.
Quel
calore che resta talmente superficiale da
irritare quasi. “Se restassi qui ad aiutarvi?”
“Dici
davvero?”
lo guardo un attimo di sbieco e lo vedo tamburellare le mani sul
bancone mentre
metto in busta l’ennesima copia venduta.
“Beh,
sì. Oggi
ho mezza giornata libera allo studio”
“Sei
un avvocato
agli inizi. Puoi davvero prenderti mezza giornata libera?”
ride del mio tono
scettico e mollandomi una pacca sul sedere lo vedo allontanarsi in
direzione
della mia amica accanto ad uno scaffale.
“Poche
chiacchiere e più lavoro, Swan”
Mi chiedo ancora
come faccia a resistere. Fa quasi finta di nulla. Come se io non fossi
rimasta
indifferente al suo tocco o alla sua presenza qui.
Anzi, non
totalmente indifferente: un aiuto oggi ci serve davvero.
Vedo il mio
ragazzo come una manna dal cielo o un angelo vestito da commesso
momentaneo.
Bene.
Molto
bene, Swan.
“Ehi,
molla la cassa.
Ti do il cambio così, anche se in negozio, almeno stai un
po’ con Riley”
E’
stanca
Angela. Tanto stanca almeno quanto ama il suo lavoro. Forse solo grazie
a
questo riesce a convivere con il pensiero di altre sette, come minimo,
ore in
queste condizioni.
La coda alta con
i capelli mossi e scuri, più dei miei, è ormai
disordinata e perde ciocche qua
e la a differenza di qualche ora prima. E’ bella lei. Bella
anche con la matita
degli occhi sbavata e le maniche della camicetta arrotolate fin sopra i
gomiti.
Gli occhiali un
po’ troppo calati sul naso e quasi il fiatone a farle da
padrone, forse per la
fretta di fare tanto velocemente o forse perché la calca
inizia a portare un’
afa poco piacevole persino in pieno inverno.
“Mh,
non
importa. Ormai c’ho preso la mano e son
velocissima… Sono sessantasei dollari e
settanta, vuole due buste separate o metto tutto insieme?”
“No,
niente
buste separate. Non esiste, altrimenti non ci basteranno. Visto?
Chissà quanti
danni hai già fatto. Muovi il culo, vai da Riley”
mi spinge con un fianco
posizionandosi al posto occupato prima da me.
“Io
sto
benissimo qui dove sono. Non mi smuoverai dalla mia postazione e sappi
che il
magazzino è pieno zeppo di buste. Non rompere,
Angela” provo a smuoverla da lì
ma con poco successo.
“Ti
ama”
“Lo
so”
“Lo
sai?”
“Certo,
Angie”
“E
allora
smettila di fare così. Va da lui! E’ disposto a
passare il pomeriggio in questo
casino pur di respirare la stessa aria viziata e pregna di sudore che
respiri
tu” Ew.
“Che
schifo, eh”
volta gli occhi con uno sguardo severo che urla Cazzo
non cambiare discorso.
“Lo so
che mi
ama, okay? Ovvio che lo so. Lo sanno tutti. Forse se ne accorgono anche
gli
estranei.”
“Lo
sai ma non
fai nulla. Il punto è: lui ti ama e tu?”
“Ti ho
detto
che..”
“No”
il tono
esasperato e allo stesso tempo quasi dolce, come se stesse chiedendo
una cosa
complicata ad una bambina. Ha gli occhi comprensivi la mia amica. Lei
mi
capisce. Lei mi legge.
“Non
voglio
sapere se lo sai. Non è questa la risposta giusta. E sai
anche questo.”
Mi legge dentro.
Capisce prima che capisca io stessa.
Il fatto che
alle sei del pomeriggio la confusione sembra essersi dimezzata, non
cambia il
fatto che io non ingurgito nulla dalle sette del mattino. No panino, no
tramezzino, no pizza, no patatine.
No tè.
Per quanto io
non sia una grande fan dei pasti completi negli ultimi tempi, ammetto
che avere
l’aria che gira a vuoto nel proprio stomaco non è
proprio questa gran cosa.
Io ho saltato il
pranzo, Angela ha saltato il pranzo, Riley ha saltato il pranzo.
Alla fine non
ero più tornata alla cassa. Vado da un cliente
all’altro ormai da diverse ore
ma questo non ha di certo permesso a me e Riley di avere un attimo per
noi.
Lui,
d’altro canto,
si è davvero dato da fare. Neanche per un momento
è rimasto con le mani in mano
e, nonostante l’impegno sui clienti, ha trovato sempre un
istante per alzare
gli occhi su di me. Un sorriso, un ti amo mimato.
Perché
non sento necessarie queste cose?
Il diminuire
della calca permette, grazie a Dio, il passaggio tra i vari scaffali ed
è come
la quiete dopo la tempesta: dischi per terra, custodie aperte e
lasciate al
caso, neanche si trattasse di immondizia. Ed è mentre sono
intenta nel
risistemare queste cose che lo vedo.
E’ di
spalle con
la mano destra tra i capelli. Si abbassa un po’ per osservare
meglio alcune
copertine poi si rialza e fa qualche passo a sinistra.
Sorrido
perché è
quasi buffo nella ricerca di chissà cosa.
E’
bello. Anche
con il giubbotto che ingombra un po’ e la sciarpa di lana.
E’ bello anche se
non lo avrei mai riconosciuto se non per i suoi capelli.
“Guarda
che lo
stand dei Coldplay sta dall’altro lato” lo
sorprendo alle spalle e lo vedo
mentre si spaventa. E allora rido. Perché con i suoi occhi
fuori dalle orbite e
ancora più buffo di prima.
“Non
si parla
d’improvviso alle spalle delle persone. Te l’hanno
mai detto?”
“Mh,
no. Nessuno
mi ha mai insegnato questa regola” sorride abbassando lo
sguardo. E’ bello.
“Che
ci fai
qui?” mi chiede.
“A
dire il vero
io qui ci lavoro. Quindi la domanda tocca a me. Che ci fai
qui?”
“Lavori
qui?” mi
guarda sorpreso come se fosse un bambino.
“Colpevole.
Quindi, dimmi, come posso aiutarti?”
“Verrai
stasera
al Redskin?”
“Eh?”
“Lascia
stare”
abbassa ancora gli occhi e vorrei impedirglielo perché
è un delitto impedirmi
quella vista.
Quella
richiesta, di nuovo. Come ieri sera.
“Ehm…
io sto
cercando un cd e non riesco a trovarlo per cui..”
“Oh.
Certo, si,
dimmi” mi passa un bigliettino in mano e provo a concentrarmi
su di esso invece
che sulla sua mano vicina alla mia per un impercettibile istante di
tempo.
Inspiration – Piano classics
for Kids
Helen Huang
“E’…
musica per
bambini”
“Esatto”
annuisce con convinzione “Non riesco a trovarlo e se non
sbaglio è questa la
sezione giusta ma è molto probabile che non lo abbiate per
niente. Voglio dire,
sono entrato in ogni negozio di dischi di Seattle e ancora niente
quindi…”
“No, a
dire il vero
lo abbiamo”
“Sul
serio?” si
illumina in volto come la mattina di natale e mi mordo le labbra per
evitare di
elargire l’ennesimo sorriso causato da… lui?
Mi sposto un
po’
alla ricerca della sua richiesta. Forse anche per sfuggire al suo
sguardo. O
forse per sfuggire ai miei pensieri che inevitabilmente non gravitano
sul mio
ragazzo nella nostra stessa stanza.
“Eccolo
qui”
E’
musica per bambini.
E non so
perché
ma questa frase continua vorticarmi in testa.
“Sei
la mia
salvezza! Grazie mille, Bella”
“Beh,
prego
cento” mi guarda un attimo confuso e poi scoppia a ridere per
la squallida
battuta di quinto livello appena uscita dalla mio bocca.
“Questa
era
carina”
“Nah,
non
sforzarti. Era pessima”
“Sì”
ride ancora
più forte “era pessima davvero. Scusa”
E mi contagia
ingenuamente. E’ strano ridere così. Non
è da me. Ma è così dannatamente giusto
in questo momento.
“Adesso
vado.
Qui avete un casino, eh” si guarda intorno.
“Sai
com’è,
Coldplay”
“L’irresistibile
fascino di Chris Martin”
“Sai,
non credo
sia così affascinante”
“Non
dici sul
serio” mi fissa negli occhi divertito.
“Ehi,
non sono
una delle tante donne, ragazzette più che altro, che sbavano
dietro ai
cantanti. Preferisco venerare la loro musica”
“Come
siamo
sagge” dice prendendomi in giro e ridendo ancora.
“Smettila!
Ahm..
La cassa è lì in fondo, ci troverai la mia
collega” indico con la mano Angela e
mi rendo conto di essere io a cercare di mettere fine a questo nostro
momento.
Non so
perché.
In realtà non vorrei farlo ma è come se fosse il
posto e l’attimo sbagliato.
Troppa gente,
troppo caos. Poca pace e lui che mi parla e non suona. Lui che prende
un disco
per bambini e che sembra aver trovato un tesoro non appena
gliel’ho passato in
mano.
“D’accordo.
Quindi..” strascica un po’ la
‘i’, quasi a voler prendere tempo
“..Vado. Pago e
poi.. vado.” Annuisco, fissando ancora per un attimo il suo
verde.
“Ciao”
si
allontana facendo due passi all’indietro, alla cieca. Fissa
anche lui il mio
cioccolato per un altro po’.
Alzo la mano e
sorridendo appena faccio segno per salutarlo. E lui ricambia e spero
che
continui a camminare come un gambero. Ma invece si gira, piegando un
po’ il
capo e rimirandosi le mani con quel disco in mano. Forse
l’unico disco venduto
oggi non dei Coldplay.
“Stasera
il tè
me lo prepara Jake” è un attimo e si gira
“Tu.. insomma non dovremo lavorare”
“Ne
sono felice”
ridacchia. Si gira e fa altri due passi lontani da me per poi fermarsi
ancora.
Girati.
“Suonerò”
“Si?”
un po’
troppa speranza nella mia sillaba.
Testa bassa,
occhi socchiusi, sorriso felice.
Suonerà.
Credo
che queste note si possano iniziano con un enorme Mi dispiace. Vorrei
stare qui
a spiegarvi i motivi che mi hanno tenuta lontana non dalla mia storia
ma dal
pubblicarla; potrei provare a farvi capire ma in realtà non
avrebbe molto senso
perché voi direste “Si, beh, non pubblichi
comunque da Aprile”. Non so che
altro dirvi se non ‘Scusate’.
Non
vi prometto che pubblicherò domani o la prossima settimana,
potrebbe succedere
in qualunque momento. Vi prometto però che ce la
metterò tutta a fare pace con
me stessa per evitare di fare ancora una volta un ritardo del genere.
Grazie
a chi ha letto il capitolo nonostante tutto.
Grazie
se commenterete [anche solo per lamentarvi].
A
presto.
Elena