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Autore: Tury    04/11/2014    6 recensioni
“No.”
Emma Swan era abituata alle titubanze, le apprensioni e le paure dei suoi pazienti. Ma mai, prima di allora, si era imbattuta in una tale ferrea decisione, racchiusa in un’unica sillaba.
Si tolse gli occhiali dalla montatura nera e si passò due dita ai lati del naso con fare stanco, esattamente dove svettavano i segni lasciati dagli occhiali.
“Signora Mills, sarò sincera, questa è la sua unica possibilità di salvezza.”
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CAPITOLI
1-Incontri
2-Regali
3-Di promesse fragili come ali di farfalla
4-AVVISO!
5-Il mio nome è Regina
6-Pirati
7-Tenebre di luce
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il mattino seguente, i corridoi dell’ospedale risuonarono nuovamente dei passi di Regina Mills, diretti allo studio della dottoressa Swan. Quando la donna aprì la porta, senza bussare, Emma non alzò nemmeno lo sguardo dai fogli che occupavano la sua scrivania.
“Se cerca la sua borsa, può trovarla accanto alla porta.” Le disse.
Regina rimase immobile sull’uscio, lo sguardo fisso sulla donna che le stava di fronte, incapace di comprendere se la sua stasi momentanea fosse causata dal fatto che l’altra l’avesse completamente ignorata o dalla vista di quella cuffietta che contornava il capo della dottoressa. Per un attimo, si domandò come quella chioma dorata potesse esser costretta in quel piccolo spazio, senza dare alcun accenno della sua presenza.
Regina decise di lasciar perdere questi pensieri e abbassò lo sguardo, trovando la borsa esattamente dove aveva detto Emma.
“C’è anche un’altra borsa, è sua anche quella.” Continuò la dottoressa, continuando a prestare fin troppa attenzione ai fogli e fin troppo poca alla donna sull’uscio.
“Di che si tratta?” chiese Regina.
“La apra e lo vedrà lei stessa.”
“Potrebbe quantomeno guardarmi mentre mi parla.”
“No.” Rispose semplicemente Emma.
“Scusi?” chiese Regina, una nota di nervosismo nella voce.
“L’ha detto lei stessa, è inutile che io perda tempo con lei quando potrei salvare altre vite. Sto semplicemente seguendo il suo consiglio.” Rispose la dottoressa, senza alzare mai lo sguardo.
Regina rimase per qualche secondo in silenzio, colpita da quelle parole, forse perché una parte di lei aveva sperato. Aveva sperato che qualcuno credesse che ne sarebbe valsa la pena.
Un respiro impercettibile abbandonò le sue labbra, prima di abbassarsi a raccogliere la borsa che le aveva indicato Emma. Quando la aprì per rivelarne il contenuto, il respiro le si bloccò in gola. Restò qualche secondo immobile, la borsa stretta tra le mani e gli occhi spalancati. Infine, decise di spostare la sua attenzione sulla figura della dottoressa. Emma era seduta sulla scrivania e non portava più la cuffietta. La donna si domandò da quanto tempo era seduta a guardarla, dato che non aveva avvertito nemmeno il minimo rumore, ma ignorò questo pensiero, decisa ad aggrapparsi ad altri ben più seri. Perché non riusciva a comprendere ciò che i suoi occhi le mostravano.
“È uno scherzo?”
“Se avessi creduto che il campo delle neoplasie fosse uno scherzo, non avrei mai scelto la strada dell’oncologia, signora Mills.” La voce di Emma era di una calma quasi surreale.
“Cosa significa tutto questo?”
“Lei ieri mi ha detto di non volersi sottoporre ai trattamenti per non perdere i capelli. Io comprendo la sua paura, signora Mills, ma credo ci siano altre motivazioni che la spingano a rifiutare, motivazioni che lei non ha voluto confessarmi. Non sono qui per chiederle di aprirsi con me, perché sappiamo entrambe che questo non succederà mai. Sono qui per metterla davanti alla realtà dei fatti.”
“E quale sarebbe?”
“Vede, signora Mills, lei non solo possiede i suoi capelli, ma ora possiede anche i miei, contenuti in quella borsa che stringe tra le mani. Adesso, seguendo il suo ragionamento, lei dovrebbe avere una forza tale da potermi fermare, perché possiede anche la mia, di forza. Ma la verità, signora Mills, è che a me non importa. Non mi importa mostrarmi davanti ai suoi occhi in questo stato, non mi importa se quei capelli, fatti crescere con tanta cura, ora giacciano tra le sue mani. Perché la verità, signora Mills, è che la mia forza non è mutata, che io non sono mutata. Io continuo ad essere Emma Swan, anche se non ho più i capelli. Ma, soprattutto, io continuo ad essere più forte di lei.”
Regina tornò a guardare i capelli all’interno della borsa, incapace di credere a quanto stesse accadendo.
“Cosa significa tutto questo?” chiese, rivolgendo di nuovo l’attenzione alla dottoressa Swan.
“Praticamente nulla.”
“Cosa intende dire?” chiese la donna, sempre più confusa.
“Quello che ho detto. Vede, per me, essermi privata dei capelli non significa nulla. È un gesto privo di ogni significato e di qualsiasi fine. L’unica persona che può dare un senso a questo mio gesto è lei, signora Mills. Quindi, adesso, sarò io a porle la stessa domanda. Cosa significa tutto questo per lei?”
Regina si soffermò a guardare gli occhi della donna, quegli occhi sempre così vivi. Pensò al loro primo incontro, avvenuto solo il giorno prima, quando si era aggrappata all’idea che la luce emanata da quel volto fosse il risultato di una moltitudine di particolari che coesistevano insieme. Ma ora che la vedeva così, senza capelli, anche quell’unica consolazione le era crollata e doveva fare i conti con la dura realtà, esattamente come aveva detto la donna. Perché, nonostante l’assenza dei capelli, il suo volto continuava a brillare. Forse anche più di prima.
“Sono venuta solo per riprendere la borsa, dottoressa.” Disse, infine.
“Ne ero certa.” Rispose Emma, senza scomporsi.
“Bene, allora io vado. Buona giornata.”
“Buona giornata a lei, signora Mills.” Rispose la donna.
Regina recuperò la sua borsa e uscì dallo studio, sostando qualche secondo fuori la porta e domandandosi come mai, questa volta, la dottoressa Swan l’avesse lasciata andare senza tentare di trattenerla o quantomeno convincerla a sottoporsi alle cure. In quel momento, si accorse che aveva portato con sé anche la borsa che le aveva dato Emma. Si andò a sedere su una delle sedie presenti nel corridoio e, come aveva fatto poco prima, aprì la borsa ma, questa volta, non si limitò solo ad osservarne il contenuto. Regina affondò una mano in quei capelli dorati, sorprendendosi della loro morbidezza. In quel momento, un raggio di sole le inondò il viso. La donna si voltò verso la finestra, perdendosi nella contemplazione di quella distesa azzurra, mentre una nuova consapevolezza si impossessava di lei.
 
Regina attraversò il corridoio che tante volte si era ritrovata a percorrere negli ultimi due giorni, senza degnare di uno sguardo gli altri pazienti che attendevano di entrare. Arrivata alla porta, la aprì senza curarsi di bussare ed entrò.
“Dottoressa Swan…”
“Esca immediatamente da questa stanza.” La interruppe subito Emma, dandole le spalle.
Regina si bloccò all’istante, quanto mai sorpresa dal tono duro e autoritario usato dall’altra.
“Volevo solo dirle…”
“Le ho detto di uscire da questa stanza.-disse Emma, girandosi completamente verso di lei-Non so come lei sia stata abituata, signora Mills, ma qui la maleducazione non è di casa. Esca da questa stanza, immediatamente.”
Solo in quel momento, Regina si accorse della paziente stesa sul lettino, completamente nuda dalla vita in su.
“Mi…mi scusi. Esco subito.” Disse, abbassando lo sguardo imbarazzata e sparendo subito dietro la porta.
La paziente guardò Regina uscire, prima di rivolgersi ad Emma.
“Non crede di esser stata troppo dura con quella donna, dottoressa? Da quando mi è stato diagnosticato il tumore al seno, ho perso il conto delle persone che mi hanno vista in questo modo e posso assicurarle che molto spesso mi sono dovuta spogliare anche davanti a ragazzi molto giovani. Quindi, posso assicurarle che la presenza di quella donna non mi abbia dato alcun fastidio.”
“Non si tratta del fastidio che avrebbe potuto suscitarle, signora, quanto della completa mancanza di educazione e di rispetto verso di me ma soprattutto verso i miei pazienti. Di norma, prima di aprire una porta chiusa, sarebbe bene bussare.” Disse Emma, continuando ad ispezionare il corpo della donna, cercando di notare se c’era qualche rossore dovuto alla radioterapia.
“Dottoressa non fraintenda le mie parole, ma se lei teme che manchi il rispetto verso noi pazienti, perché non chiude a chiave la porta?”
“Perché l’imposizione non permette la presa di coscienza- rispose Emma, passando alla palpazione del seno- Vede, se chiudessi la porta a chiave, impedirei certamente che qualcuno entrasse nella stanza ma, nello stesso tempo, impedirei anche a quella persona di comprendere il torto commesso. Se io tento di aprire una porta e la trovo chiusa, certamente andrò via ma non mi curerò mai del motivo per cui questa fosse chiusa e non mi domanderò mai cosa stesse avvenendo in quella stanza. Noi non siamo solo medici, signora, noi siamo soprattutto persone e come tali siamo tenute ad aiutare il nostro prossimo, donando rispetto e chiedendolo in cambio.”
La paziente osservò per qualche secondo il volto della dottoressa, prima di riprendere a parlare.
“Non teme le conseguenze di questa sua decisione? Qualcuno potrebbe accusarla di non prestare la dovuta attenzione alla privacy dei suoi pazienti.”
Emma sorrise nell’udire quelle parole.
“Effettivamente è vero, potrei andare incontro a questa spiacevole situazione, ma non me ne curo più di tanto. L’unica conseguenza che temo, signora, è quella che temiamo tutti. Il resto è solo una realtà alla quale si può facilmente rimediare.”
La donna continuò a guardare la dottoressa, mentre si prendeva cura del suo corpo. Infine, spostò lo sguardo sul suo volto e su quei capelli inesistenti.
“L’ha fatto per lei, vero?”
Emma si fermò e puntò il suo sguardo in quello della paziente.
“Cosa?”
“I capelli. Li ha tagliati per lei.”
La dottoressa Swan sorrise, riprendendo a visitare la paziente.
“Se devo essere sincera, sì. Quella donna è vittima di troppi demoni.”
“E lei è una persona che non si arrende facilmente.”
“Decisamente.” Rispose Emma, ridendo.
“Il che è un bene per noi.”
Emma si fermò, guardando sorpresa la sua paziente.
“È sempre bello cullarsi nell’idea che ci siano degli angeli nel cielo che ci osservino, dottoressa, che siano nostri amici, cari o familiari. Ma è quando quegli angeli scendono sulla terra, che possiamo dire davvero di essere protetti.”
Emma Swan sorrise, per l’ennesima volta.
“Non credo di poter essere definita un angelo.”
“Questo lasci che lo decidano i suoi pazienti, dottoressa.”
Emma rivolse uno sguardo fugace alla donna, per poi tornare di nuovo alla sua visita. Da quel momento in poi, non furono pronunciate altre parole.
 
Fuori dalla porta, Regina Mills attendeva il suo turno, impaziente di entrare. Stava in piedi, vicino alla finestra, tentando di escludersi dalle persone che la circondavano. Quelle persone così piene di vita. Ogni tanto spiava i loro volti e i loro sguardi, ma ciò che la colpiva di più erano i loro sorrisi. Si chiese se davvero tutte quelle persone fossero come lei, se il nemico con cui si trovava a dover convivere fosse anche il loro. Si rispose di no, che quelle persone non erano come lei, nonostante la malattia. E non seppe dire se quella fosse una fortuna o una sfortuna. Finalmente, la porta si aprì e Regina vide uscire la donna che aveva visto stesa sul lettino. Cercò di distogliere lo sguardo il più velocemente possibile, per nascondere l’imbarazzo che si era impossessato del suo volto.
“Lei deve essere nuova.” Disse la donna, avvicinandosi a Regina.
“Ascolti, per quello che è successo le chiedo…”
“Non abbia paura.” la interruppe la donna, poggiandole la mano su una delle braccia che teneva incrociate al petto, per poi allontanarsi.
Regina la guardò andare via mentre salutava tutti, sorpresa come poche volte lo era stata nella sua vita. Incapace di comprendere perché, un’estranea, si fosse preoccupata così tanto di lei.
La mattinata passò tra porte che si aprivano e chiudevano e pazienti che entravano e uscivano dallo studio. Regina rimase sempre appoggiata al muro vicino la finestra, attendendo il suo turno in un rigoroso silenzio. Non poteva, però, evitare di ascoltare i dialoghi di quelle persone che la circondavano. Dialoghi di comune quotidianità, di una vita che lei non avvertiva più come propria nel momento in cui aveva fatto quella nefasta scoperta. Nonostante il suo viso non manifestasse alcuna emozione, avvertiva dentro di sé una confusione che non aveva mai provato. E si sentì estranea in un contesto che avrebbe dovuto sentire come proprio. Si sentì la spettatrice di una vita non sua, di un mondo che non le apparteneva. Si sentì sola nonostante la presenza di quelle persone. Esattamente come si era sempre sentita.
Quando anche l’ultimo dei pazienti ebbe concluso la sua visita, la dottoressa Swan chiamò il suo nome, invitandola ad entrare.
“Chiama tutti i pazienti con il proprio nome, dottoressa? Dovrebbe fare attenzione, qualcuno potrebbe denunciarla per violazione della privacy.”
“Preferisce essere un numero, signora Mills? Per me non vi è alcun problema a considerarla come tale, solo che dopo dovrà accettare anche le conseguenze che ne derivano.” Rispose Emma, non potendo reprimere il sorriso che era sorto sulle sue labbra. Un sorriso che Regina non avrebbe mai potuto vedere, dato che la dottoressa le dava le spalle, mentre sistemava i fogli sulla sua scrivania.
“E quali sarebbero queste conseguenze?”
Emma si voltò un attimo a guardarla, prima di risponderle.
“Essere un numero significa perdere quanto di umano abbiamo. Diverremmo essenze ignote e anonime, a cui non potremmo associare alcun volto o emozione. Ma la cosa più grave è che perderemmo completamente il senso delle nostre azioni. Diverreste una quantità e la quantità non implica mai la qualità, anzi, molto spesso la esclude. Ed io, signora Mills, mi sono votata alla qualità piuttosto che alla quantità.”
Emma si voltò nuovamente, tornando a dare le spalle alla donna, che non fece altro che osservare quella nuca scoperta e liscia.
Passarono alcuni secondi in assoluto silenzio, silenzio che fu infine rotto da Regina.
“Quelle persone sorridevano.”
Emma sorrise di nuovo.
“Sorpresa?- chiese, voltandosi completamente verso di lei e sedendosi sulla scrivania alle sue spalle- Diversamente da quanto si potrebbe credere, la mancanza di sorrisi non è un sintomo da poter associare all’insorgenza di una neoplasia. È semplicemente una delle possibili conseguenze che potrebbero insorgere nel paziente quando prende coscienza di avere un tumore.”
Regina restò a guardarla, prima di riprendere a parlare.
“Perché l’ha fatto?”
“A cosa si riferisce?” chiese Emma, comprendendo subito a cosa alludesse la donna.
“Perché mi ha colpita? Perché si è privata dei capelli se poi ha deciso di arrendersi.”
“Ma io non mi sono arresa, signora Mills.”
“Lei stamattina ha detto che non valeva la pena perdere tempo con me.”
“Non mi sembra di aver mai detto nulla di simile. Io stamattina ho detto che era inutile perdere tempo con lei quando avevo altre persone da salvare.”
“Esattamente ciò che ho detto io.”
“In realtà, è esattamente il contrario.” Sorrise Emma.
Regina la guardò torva, non comprendendo le parole dell’altra.
“Vede, signora Mills, io stavo perdendo tempo cercando di convincerla a sottoporsi ai trattamenti. E quel tempo era troppo prezioso per essere sprecato così, perché c’è ancora una persona che attende che io la salvi.”
“Chi sarebbe questa persona?”
La dottoressa Swan alzò le spalle e le sorrise.
“È sempre stata lei.”
“Mi prende in giro?” chiese la donna con tono duro.
“Assolutamente. Se il mio intento fosse stato quello di prendermi gioco di lei, può star certa che non l’avrei mai colpita con quel pugno e non mi sarei mai esposta in questo modo davanti a lei.”
“Cosa significa tutto questo, allora?”
“Significa che noi siamo simili, signora Mills, più simili di quanto crediamo. Noi non siamo il tipo di persone che cedono dinanzi a delle belle parole, forse perché, in passato, sono state proprio quelle parole dette con troppa superficialità a scavare, nelle nostre anime, le ferite più profonde. Ed è per questo che l’ho colpita e ho deciso di rinunciare ai capelli, perché fossero i miei gesti a parlare per me, anche se questo avesse significato essere la prima a cedere, tra le due.”
Regina sorrise, scuotendo piano la testa.
“Mi sta dicendo che ho vinto la battaglia contro di lei?”
“Potrei anche aver perso la battaglia, signora Mills, ma era alla guerra che puntavo. E se, per vincerla, ho dovuto rinunciare a qualche battaglia, mi creda, non me ne pento affatto.”
“Perché?” chiese curiosa, Regina.
“Perché avrei perso solo se lei non avesse mai più varcato quella soglia, signora Mills. Ma lei, ora, è di nuovo qui e questo può significare solo una cosa, che io ho vinto la guerra perché la mia vittoria era legata alla sua.”
“A dire il vero, io sono tornata solo per portarle questo.” Disse prontamente Regina, comprendendo subito a cosa alludesse la donna e cercando di non far trapelare la vera motivazione che l’aveva spinta nuovamente da lei. Tra le mani, stringeva una piccola busta regalo.
“Di che si tratta?” chiese Emma, scendendo dalla scrivania e avvicinandosi a lei.
“La apra e lo vedrà lei stessa.” Rispose Regina, con uno strano sorriso dipinto sul volto.
Emma la guardò per un attimo, comprendendo subito il piccolo gioco dell’altra. Quando, finalmente, i suoi occhi misero a fuoco l’oggetto contenuto nella busta, un sorriso si impossessò delle sue labbra.
Regina si meravigliò di quel sorriso, un sorriso che sembrava illuminare l’intero volto della giovane dottoressa. Da che ne aveva memoria, mai nessuno aveva reagito in quel modo ad un suo regalo.
“È bianco.” Disse Emma, non riuscendo a staccare gli occhi dal foulard che stringeva tra le mani e distogliendo Regina dai suoi pensieri.
“Se vuole può cambiarlo.”
La dottoressa Swan alzò lo sguardo verso la donna, sorpresa di sentire quella frase.
“Non ne ho alcuna intenzione. Mi ha semplicemente colpito il colore, in maniera positiva, sia chiaro. Sa perché noi medici indossiamo camici bianchi?”
Regina alzò le spalle. “Credo dovrà dirmelo lei.”
“Perché in questo modo è più semplice capire quando veniamo in contatto con agenti contaminanti e perché i pazienti possano fidarsi di noi. Non ha importanza se un camice è stirato nel migliore dei modi o non lo è affatto, la cosa importante è che sia bianco, perché vuol dire che la persona che lo indossa è pura, senza contaminazioni. Indossiamo camici bianchi per poter essere limpidi e veritieri nelle nostre azioni e nelle nostre parole. Ed è per questo che le dico, con tutta sincerità, che questo suo pensiero mi ha reso davvero felice.”
Le parole appena pronunciate da Emma ebbero il potere di colpire Regina, lasciandola interdetta. Si chiese come fosse possibile che quelle parole l’avessero toccata tanto, che avessero toccato proprio lei, Regina Mills, la donna che aveva fatto delle parole, e dei loro infiniti significati, la sua professione.
“Non è nulla.”
“Secondo me, invece, è tanto. Vuole mettermelo, per favore?”
“Prego?” chiese Regina, credendo di aver capito male.
Come risposta, Emma poggiò il foulard nelle mani della donna e si girò, dandole le spalle.
“Avanti, non si faccia pregare.”
Regina guardò per qualche secondo quel piccolo lembo di tessuto tra le due mani, prima di sospirare e obbedire alla richiesta della donna.
“Allora, come mi sta?” chiese Emma, voltandosi verso la donna.
“Non sono una critica di moda, dottoressa.”
“Non le abbassa mai le sue difese, signora Mills?”
“Non so di cosa stia parlando.”
Emma sorrise, scuotendo piano il capo.
“Allora, dato che non sa di cosa stiamo parlando, glielo dirò io. Domani mattina la voglio alle 8:30 qui, nel mio studio. Puntuale, signora Mills.” Disse, tornando di nuovo seria.
Regina incrociò le braccia al petto, riservando uno sguardo scettico alla donna.
“Significa che mi sta dando implicitamente della ritardataria o che crede che io non abbia il coraggio di decidere della mia vita?”
“Significa che non sarà sola ad affrontare tutto questo, signora Mills. O viene a quell’orario o io non potrò accompagnarla a fare gli esami di cui necessita. Inutile che tenti di contestare.- disse, notando che la donna stava per interromperla- Sappiamo entrambe il vero motivo per cui lei è qui.”
Regina rimase qualche secondo in silenzio, stordita da una moltitudine di emozioni e sensazioni che si era scoperta a provare. Dopodiché aprì la porta dello studio.
“A domani, dottoressa Swan.”
“A domani, signora Mills.”
 
 
Lessi da qualche parte che “A domani” è la promessa più bella che si possa fare e da quel momento ho iniziato a crederlo anche io, ecco perché ho voluto concludere il capitolo così.
In ogni caso, ho voluto che Emma rinunciasse ai capelli per tributare e onorare quelle persone che, nella vita reale, fanno davvero questi gesti, riuscendo ad alleviare e a stare vicino alle persone affette da questo male, siano esse parenti o amici.
Proprio per questo motivo, condivido con voi un video.
https://www.youtube.com/watch?v=Cgku4_3WRT0
Ecco, questo capitolo è per loro e per chi, come loro, ha rinunciato ai capelli per avere in cambio molto di più: lacrime di gioia.

 
 
 
 
 
 
  
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