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Autore: _Sweet_Dream_    05/11/2014    0 recensioni
Chiunque faccia qualcosa è un'artista… Chi fa' la pasta, chi dipinge è un'artista se sa fare bene ciò che fa'… L'arte di Elettra è la morte e sta per dipingere il suo ultimo capolavoro…
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Quindi ti lascio andare!”
“Non puoi lasciare qualcosa che non hai mai avuto!”

† Ci sei sempre tu †
 

Lasciai che gli occhi si abituassero alla luce accesa che entrava dalle finestre e distinsi delle sagome, persone. Quando misi a fuoco, notai che fossero Jake e Kail.

  - Dio! Mi hai fatto cagare sotto! - Jake nella sua scurrilità era dolce, perché sapevo che ci teneva  a me.

  - Leccaculo! - e lo dicevo nel senso buono della parola, se ne fosse esistito uno. Mi guardai intorno, notando che fossimo nell’infermeria - Cos’è successo? - in realtà non ricordavo molto, forse era stata colpa anche del farmaco che avevo preso. Mi misi a sedere e Joanne entrò nell’infermeria, attrezzata con disinfettante ed ovatta. Feci per scappare via, ma mi tennero fermai. Incominciò

 - Sta’ ferma El - se solo fosse stata ferma anche lei, forse avremmo trovato un buon compromesso.

  - Questa roba brucia! - ma continuava con quella roba a disinfettare le mie ferite, compreso quelle dell’incubo.

   - Dio! Anche quando ritorni ti ritrovi in questo stato - sorrisi, accendendomi una sigaretta, giusto per non pensare al bruciore e funzionò.

  - Cos’è successo? - Jake si sedette vicino a me, sequestrandomi il pacchetto, ma non la sigaretta che stavo fumando.

     - Le finestre sono esplose -

  - Ma come…? - incominciò Kail, ma io scossi la testa, perché non avevo la minima idea di cosa fosse successo.

  - Come hai fatto a ridurre l’impatto con il vetro? - la guardai, stranita, chiedendomi  cosa fosse dovuta quella domanda - Altri ragazzi sono venuti combinati peggio -

   - C’era un ragazzo vicino a me. Forse ha attutito la botta - Jake e Kail si guardarono, poi riportarono lo sguardo su Joanna e su di me. Mi ero salvata il busto e le braccia solamente grazie a quel giaccone di pelle. Un po’ il pantalone si era rotto nei punti in cui i pezzi di vetro mi avevano colpito alle gambe. 

Mi mise dei cerotti sulle mani e sullo zigomo

  - Cerca di non metterti nei guai. Tzè, che lo dico a fare. Va bene ragazzi, sloggiate - e dicendo questo, mi fece l’occhiolino ed insieme ai ragazzi, c’incamminammo fuori.

   - Ho iniziato a scrivere la canzone di tributo - dissi prendendo dalla borsa che Jake teneva in mano, la mia, un foglio, quello della lezione di filosofia, in cui avevo appuntato delle parole a caso.

    - È… bella - disse continuando a leggere, ed a quel punto Kail lo affiancò. Ci fermammo vicino alla finestra e lasciai che l’aria fredda mi raffreddasse.

    - È per lui o per…te? - lasciai uscire il fumo e sott’occhio fulminai Kail con lo sguardo.

    - È solo una canzone che devo cantare, niente di che - a quel punto la campanella suonò e tolsi di mano a Jake il foglio della canzone - Io vado - e mi staccai da loro, facendo segno di uscire, ma in realtà, mi avviai verso la porta di servizio, che accedeva direttamente alla sala musica. La scuola rimaneva aperta per tutto il giorno, facendo in modo che i ragazzi potessero accedere alle varie classi.


Un paio di minuti dopo, la scuola era quasi completamente deserta. Presi la chitarra classica da terra e me la misi a tracolla. Afferrai un plettro dal barattolo e persi qualche minuto ad accordare la chitarra, ferma li chissà da quanto tempo. Era l’unico laboratorio che non veniva mai usato, visto che avevano aperto una nuova sala musica. Quella, esisteva solamente perché l’avevo presa io.

Mi piaceva, era come se nelle pareti fossero rimaste impresse le note delle persone che ci erano state prima di me. Strimpellai un po’ la chitarra, poi misi davanti lo spartito ed intonai il ritornello.
Mi fermai quando notai una sagoma entrare nella stanza e notai che fosse il “nuovo” ragazzo.

    - Che ci fai tu qui? - dissi secca e si, abbastanza seccata del suo arrivo improvviso.

   - Hey, calma i bollenti spiriti - alzai un sopracciglio. Era il primo ragazzo che riusciva a tenermi tsta dalla prima frase a botta e risposta; ammirevole - Sono venuto solo perché avevo sentito della musica. Eri tu? -
 
   - E spiegami perché dovrei dirlo a te? - ci sorridemmo, ma non perché c’eravamo simpatici; in quel momento, capii che fossi qualcosa che gli poteva interessare, perché come me, anche per lui era la prima volt che una ragazza non gli sbavava dietro. Si avvicinò, molto, ma non mi mossi di una virgola.

     - Perché non ti sono molto simpatico e se volessi, potei tormentarti - intendeva nel senso buono della parola, ma qualcosa, nei suoi occhi, non fui del tutto sicura dei miei pensieri.

     - Potrei sempre fermarti - se avessi voluto, ma forse, si sarebbe potuto rivelare qualcosa di… divertente.

    - E perché no? - annuii, continuando a sorridere e strimpellai qualcosa, il motivo senza parole che mi rimaneva da riempire, quasi come se fosse… vuoto. Quando finii di suonare, alzai lo sguardo verso quel ragazzo ed incontrai uno sguardo abbastanza serio - È triste -

     - È la canzone di tributo per la morte del figlio del preside - non sapevo neanch’io perché gli stessi dando spiegazioni, ma c’era qualcosa che mi spingeva a…

    - Non la canzone - aggrottai le sopracciglia. Allora, a cosa si stava riferendo? - Il tuo sguardo, è triste - trattenni il sorriso che aleggiava sulle mie labbra e chiusi per un’attimo gli occhi, riaprendoli nei suoi occhi cristallini. Occhi infuocati in occhi color ghiaccio.

    - Se mi conoscessi, non lo avresti mai pensato -

   - Lo dico proprio perché non ti conosco - e si alzò, dandomi le spalle. Si avviò verso la porta.

   - Non ho capito come ti chiami - gli dissi ed a quel punto si fermò, girandosi leggermente verso di me e sorridendo.

   - Non te l’ho detto - ricambiai il sorriso e lo guardai scomparire. Mi tolsi la chitarra di dosso, rimettendola a posto e mi alzai, prendendo dalla tasca il cellulare che stava squillando. Mio padre.

    - Pronto? - chi dissi, mentre mi alzavo e prendendo la mia roba, uscii da quella stanza.

    - Dove sei? - disse con tono serio ed arrabbiato, mentre cercava di… tranquillizzare qualcuno?

    - A scuola - assottigliai lo sguardo, pensando a qualcosa che mi fosse sfuggito. uscii dalla scuola, inoltrandomi nell’aria gelida della giornata.

    - Beh, muoviti a venire qui. Jim è già li - e dicendo questo, mi chiuse il cellulare in faccia. Lo strinsi forte, a tal punto che avrei voluto che mi si sfracellasse in mano. Notai la limousine vicino alla mia moto e Jim, che mi tendeva il casco.

    - La faccia? - mi chiese, mentre m’infilai il casco.

    - Incidente a scuola - e saltai sulla sella, facendo rombare il motore e partii, quando Hate mi si mise davanti, intralciandomi il passaggio. Mi fece l’occhiolino e mi fece passare, seguendomi a ruota. Prese ad accelerare, quasi come se mi volesse superare, quasi come se fosse una gara. Jim si trovava dietro Hate.

Arrivai a casa mia e Hate mi si affiancò. Quasi fulminò la macchina che c’era nel mio viale; non l’avevo mai vista. Incrociai il suo sguardo furente per poco, visto che accelerò fino a scomparire sulla strada. Parcheggiai fuori dal vialetto, mentre Jim entrò fino e dentro. Scendendo dalla sella, mi tolsi il casco, portando la moto nel garage, nello scompartimento segreto e ci avviammo dentro.

La prima cosa che vidi, fu mio padre, seduto in salone a bere del caffè, poi, notai il retro della giacca della divisa della scuola ed una parte di me capì. Ad alzarsi, girandosi verso di me, fu il ragazzo contro il quale ero andata a sbattere.

      - Tu? -

      - Tu? - ci sorridemmo ed a quel punto anche mio padre si alzò.

      - Vi conoscete? - era ovvio che ci conoscevamo, io annuii, come lui e notai il sorriso che si stava espandendo sul viso di mio padre - Oh, mi fa’ piacere -

     - Hai una casa stupenda - e solo in quel momento vidi una delle oche accompagnare una signora. Ben vestita, collana di perle, tacchi non troppo alti. Un tubino viola con un cappotto poco appariscente. La guardai attentamente - Oh, tu devi essere Elettra. Sono felice di conoscerti. Ho sentito parlare molto di te - era… sua madre - Chiedo scusa, ma mio marito non è potuto venire - fui leggermente più rilassata per quella situazione.

     - Noi andiamo a parlare nel mio ufficio. Perché non gli mostri la casa, El? - me lo stava chiedendo, ma ordinando con gli occhi. Scossi la testa e poi, girandomi verso di lui, gli feci cenno e salimmo le scale.

      - Scommetto che mio padre ti ha assalito - era un vampiro assetato.

     - Non più di mia madre - gli mostrai tutto il piano, fin quando non rimase anche l’ultima stanza, la mia e vi ci entrammo - Sai, me l’aspettavo così - lo guardai camminare. Sulle pareti erano appesi vari miei disegni e poster. Matite e pennarelli erano sparsi qui e la sulla scrivania. Per il resto era tutto in ordine, grazie ad Abigail, era l’unica che poteva entrare nella mia stanza, neanche mio padre. Avrei notato subito se ci fosse qualcosa fuori posto e se fosse stato qualcun altro a sistemare - Non sei il tipo da sfarzi -

      - Diciamo che nella mia lista della spesa non sono inclusi abiti pomposi ed un marito - gli dissi esplicitamente, come per fargli capire che non lo volevo.

      - Nemmeno nella mia, quindi stiamo apposto, no? - nemmeno lui si voleva sposare? - È mi madre che mi ha costretto a venire qui. Mio padre è lontano e mio fratello maggiore non pensa a sposarsi, quindi sono stato trascinato io - stava guardando fuori dalla finestra, aggrottando le ciglia. Quando si sottrasse dalla veduta, si rigirò verso di me - Tu che scusa hai? - lasciando cadere la borsa a terra, mi sedetti sul letto.

      - Mia madre è morta quando ero piccola, quasi non me la ricordo più. Mio padre dopo la sua morte è cambiato totalmente, alimentando un forte odio verso di me. A volte penso di non essere neanche sua figlia. Sono la maggiore di cinque fratelli morti, quindi… - alzai le spalle con nonchalance ed incrociai il suo sguardo. Evangeline aveva provato ad avere altri figli, anche perché mio padre non si fidava molto di me. Cinque fratelli morti, mia madre morì poco dopo.

       - Perché mi racconti questo? -

      - Diciamo che ho un potere. Riesco a sentire se posso fidarmi di una persona - ci sorridemmo a vicenda ed a quel punto mi venne un’idea - Hai mangiato a pranzo? - scosse la testa e prendendolo per un polso, corremmo giù, infilandoci in cucina.

    - Tesoro! - Abigail mi abbracciò, risucchiandomi e mi lasciò andare quando vide il ragazzo - Se posso chiedere, il signorino chi è? - risi, perché non si comportava mai così e mi fece l’occhiolino.

      - Mi chiamo Adam Hate - il mio sorriso si spense quando sentii il suo cognome.

     - Oh, quindi lei è il signorino che vuole sposare la mia bambina? Mia madre diceva che la bontà di un’uomo la si vedeva dalla capienza della sua pancia - ci mise davanti due panini e ci sedemmo.

      - Tuo fratello sta nella nostra scuola? - e dando un morso al panino, sentii le papille gustative danzare. Non mangiavo da un po’, quindi ero affamata.

      - Si. Ci stai facendo l’amore con quel panino? - risi e per poco non mi strozzai. Mandai giù il boccone con un po’ di coca cola.

      - Scusa è solo che… -
 
      - Tu che chiedi scusa. Pensavo fossi diversa - annui; aveva ragione, ma era solo che lo consideravo come un mio… amico. Mi sentivo a mio agio con lui, quasi come con Jake e lo conoscevo da poco.

Quando avemmo finito di mangiare e parlare delle cose che ci piacevano fare di più, sua madre e mio padre, ci raggiunsero in salone, ridendo, quasi come se si conoscessero da sempre.


      - Mi ha fatto piacere rivederti Bill - disse abbracciando mio padre e lui ricambiò.

      - Anche per me Dalia - e sorridendosi, si girarono verso di noi - Allora…? -

     - Amici - dissi io, rispondendo alla domanda indiretta di mio padre e lui annuì, sorridendo. Cosa gli aveva fatto quella donna per renderlo così felice? - Sono felice di averti conosciuto, Adam -

     - Almeno non passeremo tra i corridoi ignorandoci - ci salutammo e dandogli la mano, gli lasciai un bigliettino dentro; quello del locale in cui andavo a cantare stasera insieme ai ragazzi. Gli feci l’occhiolino. Quando se ne andarono, mi voltai verso mio padre.

     - Bill? Dalia? - dissi alzando un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto - Rivederti? Qui c’è qualcuno che non mi ha detto qualcosa? -

     - Chi è il genitore tra noi due? - ma non lo disse arrabbiato, al contrario, sembrava felice, senza pensieri - E tu non dovresti fare i compiti? - scossi la testa, perché li avevo già fatti in classe e gli sorrisi - Io dovrei andare a… - a lavorare, ovvio. Annuii.

      - Se mi cerchi sono nel tuo ufficio - e scompigliandomi i capelli, mi lasciò andare. Entrai nel suo ufficio, togliendomi una catenina dalla tasca. La portavo sempre con me, me l’aveva lasciata mia madre, dicendomi che apparteneva all’ultimo cassetto. Provai ad aprire l’unico cassetto chiuso a chiave e ci riuscii, ma non vidi niente, quando notai una cosa. Presi un taglia carte e lo infilai in uno spacco del cassetto, rivelando un doppio scompartimento, nel quale, c’era un’anello, con dentro un fogliettino. Presi in mano il fogliettino, aprendolo.

Non perdere mai la speranza figlia mia

Presi anche l’anello, infilandomelo e lo guardai. Sopra c’erano dei simboli incisi e sulla struttura, c’era un’iniziale, la E, come il mio nome. Richiusi quel cassetto a chiave e mi alzai, avvicinandomi agli scaffali con sopra i vecchi libri e lasciai scorrerci sopra i polpastrelli delle dita.

Andai nella mia stanza e mi stesi sul letto. Guardai per un’attimo il soffitto, fin quando non si fece mano a mano più scuro.

Questa volta lo scenario non era più la mia stanza, al contrario; era un giardino ricoperto di bianca, candida, fredda, neve invernale. Mi piaceva il bianco, perché era come se riuscisse a coprire tutto, anche le infamità più nere. Mi trovavo dall’altra parte della sponda ed attraversando un ponte ricoperto anch’esso di neve, arrivai dall’altra parte. Incominciai a vedere delle goccioline rosso e quando ampliai la vista fino ad orizzonte, vidi una macchia bagnata rossa, con sopra disteso un corpo. Ingoiai, continuando ad avvicinarmi, quando vidi qualcosa muoversi, un corpo. C’era qualcun altro. Quando alzò lo sguardo, notai le pupille dilatate e gli stessi occhi cristallini del sogno precedente. Alzandosi completamente, notai le mani sporca di sangue. Il suo sguardo era quasi come spaventato e preso di contropiede.

      - Non hai paura? - mi chiese e lo guardai, dritto negli occhi, gli stessi occhi che mostrano apertamente l’anima delle persone. Occhi che possono mettere su un piatto d’argento il proprio cuore, mostrandolo a chiunque, l’avesse voluto vedere.

     - Ho visto di peggio - e non lo dicevo solamente per compatirlo o rassicurarlo. Mi avvicinai a lui, appoggiandogli una mano sulla guancia. Mi guardava, negli occhi e poi, si lasciò guidare dalla frescura della mia mano, mentre io andavo a fuoco, solo toccandogli la faccia; era incandescente. Prima che me ne rendessi contro, mi attirò a se, posizionandomi una mano dietro alla schiena e l’altra tra i capelli. Non m’importava se erano sporche di sangue, io stavo vedendo solo lui e per la prima volta in vita mia, avevo voglia di… baciare qualcuno, di baciare lui.

Ma mi fermai, appoggiando solamente la fronte contro la sua e fu come se un lampo di luce accecante ci stesse risucchiando. Un calore tranquillizzante.

Mi svegliai ansimando, sudata e con il fiatone. Scesi subito dal letto e corsi verso il bagno, vedendo i capelli e la schiena sporchi di sangue.




PS: Ciau :)

  
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