Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Giorgia Alfonso    06/11/2014    3 recensioni
"Lontano dagli occhi lontano dal cuore", un motto che potrebbe confermare Gemma Brizzi. Passare dalla piena felicità ad una voragine di sentimenti cupi, contrastanti e senso di perdita, ma non volersi arrendere nemmeno per un secondo. Nemmeno per un attimo di riposo. Eppure, colui che l'ha spinta dentro quel buco nero è l'uomo che un tempo avrebbe considerato la sua stessa vita. Tanti sacrifici buttati in aria, tanti viaggi affrontati solo per lui. E quel fato diabolico che sembra volerle dare un'altra possibilità, un'ultima partenza, un ultimo arrivo, un ultimo viaggio, un'ultima occasione ... per riprendersi quell'amore apparentemente perduto.
Seoul, la grande città coreana che di primo acchitò la spaventò tanto, giungendo lì per una vacanza che, in teoria, doveva essere semplice relax. Invece si era rivelata una manna ... per lo meno inizialmente. Ora invece, tornare a calpestare quel suolo potrebbe portarla alla rovina più completa o ad un nuovo inizio.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
14 Capitolo
 
 
 
 
Nessuna delle due si accorse che qualcuno le stava pedinando da un pò.
Quella donna era stata davvero un punto fin troppo importante della sua vita, se ne rendeva conto benissimo. Per lo meno in passato.
L’aveva lasciata, si era arreso forse senza nemmeno pensarci troppo, istintivamente, irragionevolmente, come un improvviso e sciocco capriccio scaturito da vari fattori. Non si sentiva adatto per stare al suo fianco, non si sentiva più in grado di continuare ad attendere, e tantomeno fare il grande passo un tempo dichiarato. Era giusto finirla. Non aveva soldi, non aveva uno status importante, non aveva un lavoro sicuro sul quale appoggiarsi, non secondo l’ideale della sua terra. Non poteva nemmeno sperare in un altro impiego, senza determinati requisiti: la sua istruzione si fermava al liceo e questo non è il massimo per un uomo coreano. Sfortunatamente non era di famiglia ricca, anzi non aveva nemmeno un solido contesto parentale alle spalle, al contrario doveva nascondere un trascorso tormentato.
Come faceva a mostrare una facciata perfetta, tanto amata dai suoi connazionali, senza il materiale per costruirla? La perfezione, la moralità e l’educazione, sono elementi importanti per la cultura coreana, in continua evoluzione, in continuo conflitto con ciò che si cela dietro agli altarini di perfezione. L’omertà che si impadronisce delle persone, rendendole ancor più schiave di quel che già non sono. Lotte di potere, lotte per il perfezionamento di se stessi, per lo studio, sul lavoro, nella vita quotidiana. Essere, fin da piccini, spesso in competizione con gli altri per una cosa o per l’altra. Vivere una vita di grandi ambizioni, trovare la proprio meta e raggiungerla. Al limite farsi consigliare dai propri cari, che penseranno bene dove indirizzare il ragazzo fino alla più tenera età, per poi lasciare che affronti il percorso da solo. Non importa ottenere ciò che si vuole, arrivare perciò al vertice o accontentarsi di posti sicuri più in basso, basta raggiungere l’obbiettivo!
Qualcuno potrebbe pensare ad una sorta di colonia robotica, ma si parla di esseri umani, non macchine. Esisteranno sempre persone che non hanno ambizioni o che si arrendono prima, anche in questa parte del mondo stacanovista. E ci sono pure coloro che appendono una corda per poi legarsela al collo, decidendo di smettere di soffrire per desideri propri o altrui troppo grandi e a dir loro irraggiungibili. O si gettano dal ponte di Mapo, il “Suicides Through Bridge1.
Vivere in un luogo dove ci si sente abbastanza diversi, se non opposti, al pensiero comune, non deve essere una bella esperienza. I più forti se ne fregano e i più deboli si alienano. Sentirsi sempre insicuro, sottovalutato da se stesso e dagli altri, avvertire un senso di incapacità. In ogni parte del mondo ci sarà sempre qualcuno che prova la sensazione di essere nato nel luogo sbagliato. E come il protagonista impossibile di un drama altrettanto fantasioso, Yon U aveva preso quella drastica decisione. Anche se forse covava dentro di sé motivi più egoistici per farlo, nascondendosi dietro ad altre giustificazioni.
Per quel giorno però non intendeva lasciarla andare. Si era infilato nel vagone successivo, nascondendosi tra i numerosi pendolari. Era rimasto sempre distante, lasciandole il suo spazio, perché non poteva legarla un’altra volta, sebbene sapesse che farlo sarebbe stato troppo facile. Al contrario, Gemma doveva cavarsela, uscire da quella storia, doveva pensare a vivere una vita diversa, senza di lui. Doveva trovare un altro amore e crederci di nuovo.
Seguì la giovane anche dopo che le due ragazze si erano separate. Giunse ad Hongdae, una zona che proprio non gli riusciva di sopportare, ma ottima per fare conoscenze, anche se forse superficialmente poco serie. Di sicuro era il luogo adatto per divertirsi. Insomma, poteva andare molto a genio ad una ragazza ferita e in cerca di qualche avventura passeggiera. Conoscendola però, sapeva bene che Gemma avrebbe potuto accettare solo la prima di tali opzioni. Questo lo tranquillizzava.
La sua ex fidanzata si fermò di fronte ad un edificio di mattoni e lì entrò.
 
****
 
«Un appuntamento al buio? Non credo di voler … » Quando entrò nella hall, vide per forza di cose quell’essere in piedi davanti alla minuscola reception di sua proprietà, come il resto della struttura.  «Non ho nemmeno la sfortuna di avere una madre che le crea queste situazioni, ci manca solo che sia tu a proporle, hyeong!2»  Era distratto dalla conversazione al telefono .
Gemma si spostò verso la porta della sua stanza fissando male il proprietario dell’Ilmol-House, che nel frattempo, spostandosi leggermente di lato, aveva notato la sua presenza. Cominciò così a fissarla superficialmente, finché la giovane non entrò nel suo antro di privacy.
Im Song Rok tornò al fulcro principale: «No! Non attacca, lascia stare. Comunque grazie del cappello da contadino di risaie cinese, l’ho già appeso!» Fissò il souvenire di cui stava parlando. Un classico cappello a cono fatto di paglia e lo aveva appeso nella bacheca dietro il bancone.
Sorrise ironico. «Non lo indosserò mai! Un regalo più utile non potevi proprio eh? … Ora ti lascio che devo tornare al lavoro, mi racconterai del viaggio un’altra volta. Passa in teatro appena puoi, capito?»  Chiuse la chiamata e si sedette nella sua poltrona dietro la scrivania, ma alzò quasi immediatamente gli occhi quando avvertì qualcuno entrare nella hall. «Eoseoseyo.3» Diede il benvenuto com’era solito fare, forse questa volta solo un tantino precocemente. Per sua fortuna l’ospite aveva appena sceso la scalinata, ancora intento a fissare il pavimento, forse per paura di cadere. Song Rok lo riconobbe immediatamente e preso alla sprovvista, cercò una via di fuga. Logicamente conosceva l’Ilmol-house come le sue tasche e sapeva che non aveva via di scampo, non avrebbe potuto nemmeno rintanarsi nel bagno a fianco. Così prese il cappello che il suo hyeong gli aveva portato dalla Cina e lo indossò, il tutto con un movimento super rapido, che rifletteva il suo stato di panico.
Jin Yon U vide di fronte a sé una persona, dietro ad un piccolo banco dalla forma di ferro di cavallo. Fece un mezzo inchino in segno di saluto, osservando stranito l’individuo per ciò che stava portando sopra il capo. Anche il “cappellaio matto” rispose a quel saluto, nello stesso modo.
Il ragazzo poi riprese a scrutare ciò che lo circondava. Sorrise, pensando che fosse alquanto accogliente, un bel posticino. Passò ogni porta e le varie numerazioni, chiedendosi quale fosse quella della sua ex fidanzata. Avanzò verso la sua sinistra, facendo il giro dell’atrio, attorno al tondo tavolone, continuando a dare attenzioni alle stanze presenti. Iniziò dalla numero uno, poi due, tre, quattro, passando la reception e il suo strano omino cinese, ricominciando poi il conteggio a ritroso: otto, sette, sei, terminando con la numero cinque. Concluso il giro si voltò a dare un ultimo sguardo al posto, sospirando. Ed infine uscì risalendo le scale.
Il finto cinese sollevò appena quell’accessorio di paglia, per controllare meglio la situazione e in  quell’esatto momento uscì dalla sua stanza proprio la persona che certamente quel ragazzino stava cercando. Il fatto che il giovane fosse entrato qualche minuto dopo il rientro a casa della ragazza, era alquanto sospetto. Pensò fosse possibile che l’ex fidanzato l’avesse pedinata.
Abbracciando i libri, si bloccò a metà via, fissando con sguardo leggermente corrucciato lo strano abbigliamento del direttore.
«C’è un motivo se indosso questa cosa.» Avvisò lui, serio in volto.
«Ahn sì?» La convinzione, nel suo tono, era del tutto assente.
Song Rok tolse il cappello con un gesto infastidito e si alzò per andare a prendere una bottiglietta d’acqua fresca dal frigo, mentre la ragazza si spostava verso il tavolo, posandovi i pesanti libri e ignorando tutto ciò che girava attorno a quell’uomo e alla sua forse improvvisa pazzia. «Dovrebbe mettere una scrivania o un tavolino in camera.» Suggerì aprendo i suoi volumi e cominciando a studiare.
Mr Im fece un grande sorso d’acqua, prima di affermare: «Alcune camere  ne sono sprovviste in effetti.» Le si avvicinò, curiosando su ciò che stava per fare. «Hai incontrato qualcuno per strada?» Cominciando così una sorta di interrogatorio. Ma fare il vago non servì a nulla, perché quella domanda attirò immediatamente uno sguardo interrogatorio:
«Perché?»
Allora piegò la bocca e scosse la testa debolmente. «Niente, chiedevo.» Lasciandola tornare alle sue faccende, Song Rok posò le labbra al collo della bottiglia, facendo altri piccoli sorsi, allungando nello stesso momento l’occhio per fissare i quaderni sul tavolo. «Coreano, eh?! Di questi tempi, sono molti gli stranieri incuriositi dalla nostra lingua e cultura.» Rrifletté ad alta voce. «Fai bene a continuare lo studio, il tuo coreano è comprensibile e abbastanza buono ma non perfetto.» Sentì la ragazza sospirare pesantemente, ma nonostante questo non si arrestò: scivolò ancora di più verso di lei, leggendo gli esercizi che erano riportati nel libro. «Ad esempio questa frase è sbagliata!» Annunciò indicando il punto.
Gemma da prima seccata, si ritrovò improvvisamente e sinceramente interessata. Corrucciò notevolmente la fronte rileggendo la frase. «Perché è errata?»
«Un coreano non userebbe mai quell’espressione.» Spiegò con fare saccente. «Ad esempio, hai presente che alla domanda “sai questa lingua?”, in inglese si risponde “no non la so”? Bene, in coreano invece è solito dire “mot haeyo”, che  voi letteralmente lo tradurreste con “non posso farlo”.»
«Lo so! Ma il verbo “fare” in coreano ha molteplici significati. Possiamo considerarlo quasi un jolly, quindi in quel contesto può essere inteso come “non sapere”.» E con quella puntualizzazione dimostrò più di quel che voleva dimostrare.
Il coreano appoggiò un braccio sul tavolo, come per accomodarsi meglio. Gli occhi di Gemma nel frattempo erano rimasti incollati ai libri, ascoltando però quel professore improvvisato. «Sì, ma ci sono delle espressioni coreane, per dire determinate cose, da dover usare per forza, se si vuole la perfezione. Frasi che nella vostra lingua inglese non avrebbero senso. Anzi a volte se l’espressione è sbagliata, per quanto a te la traduzione sembri giusta, uno coreano potrebbe non capire affatto ciò che vorresti dire.»
«Sì, so anche questo, ma … Insomma! Mi sta dicendo che traduco troppo alla lettera?»
Sempre fissando l’argomento di discussione, appoggiò anche la seconda mano, quasi circondando la studentessa. «Sì, da quel che vedo a volte la tua traduzione è letterale conforme alla tua lingua. Insomma per certe cose va bene, ma per altre no. Comunque non è tutto da correggere qui … mi sembra! Però dovresti pensare direttamente in coreano secondo me.» Mr Im prese la penna di fronte a sé e si accinse a segnarle gli errori.
La studiosa lo lasciò fare. Anche se non sopportava quella persona, in quel momento la stava comunque aiutando con lo studio. «Ad ogni modo io non sono inglese.» Precisò tagliando il silenzio che si era ormai instaurato.
«E da dove vieni? Oh! Anche questa è errata!» Ne corresse un’altra.
«Dall’Italia.»
«Buongiorrrno!» Pronunciò scandendo bene la erre.
Gemma si spostò un po’ di lato, alzando lo sguardo per poterlo fissare dubbiosa. «Oh bravo!» Nella sua voce c’era un certo sfottò, che forse lui non comprese, perché rimase concentrato nel suo “dovere” e alzò solamente le spalle.
«Qualche parola la so. Anche qui c’è un errore, ci va il soggetto.»
 
A vederli così, da un esterno, potevano sembrare davvero più che amichevoli. Ed è questo che pensò immediatamente Yon U, trovandosi davanti tale scenetta. Riconobbe in un secondo momento l’uomo che le stava accanto.  Lo stesso di quella sera.
«Ho sbagliato tutto!» Esclamava innervosita Gemma.
«No, alla fine sono errori stupidi.» La rincuorava colui che ormai era stato scambiato per il suo attuale fidanzato. Finché i due non si accorsero dell’intruso.
Jin Yon U era tornato indietro per chiedere allo strano receptionist in quale stanza alloggiasse Gemma Brizzi. Invece si era trovato la ragazza direttamente nella hall, in dolce compagnia.
Entrambi lo guardando non poco sorpresi. Song Rok, imbarazzato, drizzò la schiena lentamente, volendosi allontanare dalla giovane, mentre Gemma non sapeva orientarsi, chiedendosi cosa ci facesse lì il suo ex e come fosse riuscito a rintracciarla.
«Vederti così mi fa stare più tranquillo», confessò però Yon U, « direi che ora posso davvero sentirmi libero.»
I pugni di Gemma si chiusero di scatto, stringendo tanto da conficcare le unghie nella carne. Perfino l’estraneo al suo fianco si era raggelato, sentendo le taglienti parole del ragazzino e mettendosi involontariamente nei panni della ragazza a cui erano mirate, sapendo che quella lo amava ancora tanto da sperare di tornarci insieme.
Eppure non era nulla, nulla a confronto alla successiva confessione: «Anche io potrò uscire con qualcun altro liberamente. Non vedevo l’ora che tagliassi il cordone ombelicale che ti teneva legata a me.»
Gemma trattenne le lacrime e lasciò andare la presa solo quando Yon U le voltò le spalle per uscire velocemente dal goshiwon. Cercò comunque di trattenere il singhiozzo, avendo ancora un estraneo dietro di sé, ma non riuscì a lungo nell’impresa. Si appoggiò allora al tavolo, nascondendo il volto tra le braccia e lasciando così che la sua amarezza si liberasse.
Im Song Rok rimase in disparte, a qualche passo di distanza, serio in volto. Non erano affari suoi dopotutto.
Quasi sobbalzò quando la ragazza, improvvisamente, si alzò di scatto, facendo per poco cadere la sedia. La vide asciugarsi le lacrime e correre fuori, all’inseguimento. Una volta uscita in strada, Gemma purtroppo comprese di aver perso ogni traccia del giovane coreano. Tirò fuori allora il cellulare. Inutile andare a cercarlo se non sapeva nemmeno quale direzione aveva preso o in quale via si fosse infilato. Hongdae non era piccola come zona. Pensò di mandargli un messaggio, ma si bloccò nel farlo.
Quando Im Song Rok lasciò l’edificio per recarsi a teatro, passò davanti alla sua cliente senza dire una parola, osservando il cellulare che teneva ancora in mano.


Suicides Through Bridge è così denomito il ponte di Seoul, il Mapo Bridge per l'enorme affluenza di suicida che decidono di fare la fine gettandosi nelle acque gelide dell'Hangang (Han river). 
Hyeong (형) è il modo con cui i ragazzi (solo maschi) chiamano un amico o fratello di età superiore.
Eoseo-oseyo (어서오세요) è composto da "Eoseo" in fretta + "oseyo" esortazione a venire, in questo caso dunque entrare. Tipica frase di accoglienza.

 
 
 
 
 ~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
 
 
  
 
 
15 Capitolo
 
 
 
 
Avevano appena finito di provare il copione tutti insieme, lasciando poi ognuno ai propri impegni. Dopo aver risistemato alcuni appunti e controllato i costumi di scena, ordinando al fornitore quelli che mancavano, era uscito per prendere una boccata d’aria. Rimasto dunque all’entrata della scuola di teatro, lasciandosi pizzicare dall’aria fresca, aspettò la sua collega.
Avevano deciso di uscire quella sera, per bere qualcosa insieme. Non se la sentiva di frequentare nessuno in quel periodo, troppo impegnato nelle sue varie faccende, ma uscire con Sae Bon era meglio che accettare il classico sogeting, ovvero appuntamento al buio, per di più organizzato da altri. Alcuni coreani prendono la cosa normalmente o con curiosità, provando ad uscire con sconosciuti scelti dai genitori o dagli amici, o ancora conosciuti via internet. Altri invece vengono praticamente costretti, specie se è la parentela a mettersi in mezzo, spingendo affinché l’incontro avvenga. Sulla soglia del duemila quindici, ci sono ancora alcune persone che si sposano per interesse. Matrimoni combinati da altri o da se stessi.
La famiglia Im invece non la pensava così, forse perché i coniugi, al tempo loro, si erano uniti proprio grazie a sentimenti arrivisti. Fu un rapporto decisamente poco sincero e per questo stesso motivo vide la fine. Ormai si erano separati da anni ed entrambi sembrano sempre troppo impegnati per ricordare che avevano messo al mondo una persona. Ma Song Rok non si lamentava: in questo modo non era costretto a sorbirsi le lamentele di suo padre verso l’ex moglie e non doveva ogni volta declinare gli invito di sua madre in quegli incontri al buio per cercare giovani promettenti mogli.
Afferrò il cellulare all’interno della giacca appena avvertì la vibrazione, senza aspettare qualche secondo che partisse la suoneria. «Yeobeoseyo?» Domandò con la sua voce calda e profonda.
«Salve Im sajangnim, sono Sarah.» Aveva usato il termine “sajag”, ovvero direttore, per risultare più cordiale e rispettosa.
«Non vorrei essere sgarbato, ma il nome non mi dice niente.» Rispose freddamente, ma pur sempre con garbo.
La ragazza ci rimase comunque male per un attimo, ma poi lasciò perdere il suo stato d’animo, per precisare meglio: «L’amica di Gemma Brizzi.»
Song Rok corrucciò la fronte. Pensò che quella persona doveva aver sbagliato numero, se non fosse per il particolare agghiacciante: conosceva il suo nome. «Non conosco nemmeno lei.» In fin dei conti non mentiva: sembrava strano a dirlo, ma non si erano ancora presentati.
«La ragazza straniera ospite del suo goshiwon, quella con cui è uscito per fare ingelosire il suo ragazzo.» Disse tutto ad un fiato. «Ricorda?»
«Ah!» Esclamò lasciando per un attimo la bocca aperta, non sapendo bene che altro ribattere. «E’ quello il suo nome?»
«Sì e il mio è Sarah.» Cinguettò dall’altra parte della cornetta.
«Chi è che le ha dato il mio numero?» Quasi le parlò sopra, frettoloso di sapere chi gli aveva creato il danno. «E’ stata lei?»
Sarah ci rifletté un attimo: perché il direttore pensava che Gemma le avesse dato il numero? Gemma era forse a conoscenza del numero di Mr Im e non lo aveva riferito? «N-no. Mi sono informata da sola tramite la scuola di recitazione.»
Il diretto interessato alzò gli occhi al cielo facendo una smorfia poco elegante. «D’accordo. Ora però non ho molto tempo, e confido di non averne mai, perciò mi spieghi brevemente il significato di questa chiamata.»
Avvertì la risata imbarazzata di Sarah Kim. «Beh, i motivi potrebbero essere tanti.»
«Me ne dica solo uno.»
«Ah! Sì. Ehmmm … Ho saputo cos’è successo oggi. Dovevo incontrare Gemma proprio per parlarne, ma alla fine non si è presentata all’appuntamento e quando sono andata a vedere all’Ilmol-haouse non ha risposto.» Fece una breve pausa. «Per caso è con lei?»
«No.» Fu rapida come risposta.
«Non sa dove potrebbe essere?»
«Come potrei saperlo? E’ amica sua.» Fece notare ancor più freddamente.
La voce di Sarah invece faceva trasparire l’asia, «Spero solo che non stia facendo cazzate.»
Song Rok sospirò. «Senta, io adesso devo andare.»
«Se dovesse incontrarla mi potrebbe avvisare?»
«Se dovessi tornare all’Ilmol-house e vederla, sì.» Per lo meno l’accontentò. «Anche se non credo che ci farò ritorno per questa notte.»
«Allora mi chiami, ci conto. Il mio numero ormai ce l’ha.» Sottolineò volutamente.
Chiuse gli occhi al sol pensiero di poter essere continuamente importunato da una tipa come lei. «S-sì. Ma temo che tra qualche giorno io dovrò cambiare il mio. Arrivederla.» E mise giù prima che la ragazzina potesse in qualche modo bloccare la sua fuga.
Una bellissima donna lo stava osservando da un po’ di tempo, aveva un naso perfettamente fino e leggermente piegato all’insù, tanto da sembrare “alla francese”. Un naso dalla dubbia naturalezza, gli occhi non molto grandi, ma ben aperti, con la doppia palpebra dono di natura o anch’essa regalata dal bisturi. Capelli tinti di un bel castano rame, bocca carnosa ma stretta.
«Ammiratrici?» Domandò avvicinandosi ancor di più al collega. Era alta forse un metro e settanta senza tacchi, che le conferivano anche una decina di centimetri in più. Poteva intimorire un uomo qualunque, per lo meno uno al di sotto di un metro e ottantacinque, ma non Song Rok e il suo metro e ottantotto. Vestiva elegante, con un abito bianco semi trasparente da metà coscia, adatto per mostrare le lunghe gambe snelle. Le fasciava bene anche il seno, abbondante e alquanto provocante su una figura asciutta come la sua.
Le sorrise, facendo trapelare un po’ di stanchezza. «Seccatrici più che altro.»
La donna gli afferrò il braccio, quasi aggrappandosi a lui. Mostrò un sorriso dolce e seducente allo stesso tempo. «Andiamo! Questa sera offro io.»
 
****
 
Le scarpe tacco dodici tenute elegantemente in mano. Una persona può risultare aggraziata anche abbassandosi improvvisamente di molti centimetri, stando a piedi nudi. Era il caso di Baek Sae Bon, attrice di teatro per passione, modella per professione. Anche se la sua appartenenza sociale le permetteva di non lavorare affatto. Proveniva infatti da una ricca famiglia di Daeju.
Labbra sempre tinte di una qualche eccentrica tonalità, per farle risaltare; mai una sbavatura, nemmeno dopo una bevuta tra colleghi. Gli occhi ancora ben truccati. Non esagerava mai con il make up, anche se aveva bisogno di ciglia finte per apparire più interessante e a volte amava usare anche il trucchetto delle circle lens per ingrandire l’iride.
«Da me … o da te?» Chiese guardando l’uomo al suo fianco in modo malizioso.
Costui abbozzò un sorriso lieve, ma non le rispose.
«Me lo devi se non sbaglio. Abbiamo già mancato un’occasione poco tempo fa.» Lo spronò.
L’accompagnatore intercettò un taxi, facendo un gesto per indurlo a fermarsi. «Ho bevuto troppo e anche tu. Per questa sera è meglio prendere due vie diverse.» Le riferì, tornando a darle attenzioni. Aprì la porta del mezzo, poi le si avvicinò, afferrandole il braccio la obbligò gentilmente a salire.
«Per lo meno facciamo un pezzo di strada insieme. Andiamo nello stesso versante dopotutto.» Pregò.
Song Rok annuì entrando a sua volta sul taxi.
«Sei sicuro di volerlo?» Chiese Sae Bon una volta che la macchina era stata messa in moto. «Possiamo fermarci da te per un caffè o se non vuoi mostrarmi il tuo antro di privacy … Ti invito io nel mio», ogni tanto faceva qualche pausa, aspettandosi una risposta positiva, «potrebbe non capitare più un’offerta simile da parte mia.»
Solo in quel momento lui la guardò, riservandole un dolce sorriso accondiscendente. «Allora, a quel punto, dovresti aspettare il mio invito, no?»
La fece sbuffare, cosa che la rese quasi infantile, ma senza perdere l’indole provocante. Non era una persona che demordeva tanto facilmente, infatti passò nuovamente all’azione, accarezzandogli il dorso della mano. «Non mi fido di te. Potresti farmi aspettare in eterno.» Si avvicinò scivolando sul sedile. «Non ho mai nascosto il mio interesse per te. Inoltre sappiamo entrambi di piacerci. Che differenza fa se siamo un po’ alticci? O meglio io lo sono, tu non lo sembri proprio», gli posò la mano sulla spalla, «sono paziente e lo sarò ancora un po’, ma non succederà per sempre.» Prese a sfiorarlo con l’altra mano, disegnando cerchi delicati. «Facciamo a casa mia, dai.»
Sorrise, colpito dalla sicurezza di quella donna, che sembrava aver appena superato la trentina e invece aveva addirittura qualche anno in più di lui. Non poteva non ammettere che sapeva come stuzzicare un uomo, anche uno difficile come lui. Spostando lo sguardo verso il finestrino, osservò le immagini passare velocemente, cercando di decidere il da farsi: accontentarla e accontentare il vile maschio che era in lui, oppure rifiutare per il momento? La zona era parecchio popolata, in specie da giovani e alcuni vestiti di tutto punto, altri dall’inconfondibile stile hip hop, percorrevano le vie in skateboard. Le luci e il caos si sprigionava, ma non come in un qualunque posto di Seoul, si poteva ben capire che da quelle arti vi era una maggiore concentrazione di divertimento. Dovevano essere ad Hongdae. Il suo ghigno sornione si affievolì, diventando forzato, infastidito, annoiato.
Sospirò. «Scusa.» Proferì ad un tratto. «Non posso proprio stasera.» Si mosse sul sedile, voltandosi verso la collega e distanziandosi da lei.
Lo sguardo di Sae Bon era pieno di delusione e incomprensione. «Come mai all’improvviso …»
«Ho dimenticato una cosa», si giustificò. «Ajeossi, può fermarsi per cortesia? Dovrei scendere.» Prese il portafoglio, contando delle banconote.
Sae Bon sollevò un sopracciglio e posò delicatamente la sua mano sulle sue affermando: «Lascia stare. Offro io questa corsa, così dovrai ripagarmi assolutamente.»
Il mezzo intanto si era fermato. «Perdonami, ma davvero ho dimenticato di inviare dei documenti importanti per l’Ilmol. Non è una scusa. Anzi, immagino che ne avrò per un po’ stanotte.»
«Ti credo, non ti devi giustificare. Ma sia chiaro che sei in debito.»
Vide un’espressione divertita sul volto del direttore, prima che scendesse e la salutasse.
 
Era una promessa, e nonostante gli importasse poco di quella ragazzina e della sua compagna di giochi, mantenere le promesse fatte era un obbligo per lui. Almeno una capatina all’Ilmol-house doveva farla: assicurarsi che l’italiana fosse in camera o constatare che non vi fosse e comunicare la cosa a colei che lo aveva disturbato qualche ora prima. Un’occhiata veloce, e poi a casa. Si era ripromesso. Il giorno dopo invece avrebbe fatto bene a cambiare il numero di cellulare, così da non essere più importunato da tizie appiccicosamente fastidiose.
Scese le scale velocemente, fermandosi nell’ultima rampa, sentendo delle voci e riconoscendone quella della presunta dispersa:
«No, I don’t  want go out, thank you. I just want study.»4 La lingua usata era quella inglese.
«What do you study?»5 Domandò improvvisamente una voce maschile.
«Hangukeo dangyonhaji6 La ragazza poi sospirò, traducendo: «Korean
Qualcuno batté le mani. «Cool! You could teach me korean?»7
«Anindeyo … Babbaseoyo.» Rispose nuovamente in lingua coreana al giovane che però non sembrava comprenderla.
Infatti questo si ritrovò a domandare: «What?»
«Busy, busy!»8 Disse frettolosamente e freddamente lei.
Song Rok ormai era sceso fino ad arrivare all’atrio, di fronte alla scena precisa: l’europea seduta al grande tavolo, di fronte i suoi libri e accanto un uomo che poteva avere si e no una trentina di anni, forse qualcuno di meno. La struttura non aveva molte stanze, quindi riconobbe uno degli ospiti del goshiwon, un vietnamita giunto a Seoul per una vacanza. Il tipo in questione allungò la mano, per scostare una ciocca dalla fronte della ragazza, che ebbe una reazione quasi intimorita, sorridendo però forzatamente, come se fosse pure imbarazzata:
«Sorry, but … but now i really want study. So ...»10
Il vietnamita rise brevemente. «So, you can study. No one hinders you11
«Yes instead! You!» Ribatté ritrovando un’improvvisa sicurezza. «I don't know who you are, but you're too close. So i want know, why?»12
Quel ragazzo era così diverso da come era apparso a Gemma il giorno in cui era giunta nella struttura. Sia a lei che a Sarah aveva dato l’impressione di essere un tipo tranquillo, ma alla fine come si fa a comprendere l’indole di una persona con un unico sguardo? Impossibile.
In realtà in quel momento, il giovane asiatico non era del tutto in sé e il leggero odore che emanava lo confermava. «Once time i had the American girlfriend. I loved her a lot. Her eyes was like yours.» Tornò all’attacco il  presunto marpione. «You know? I've noticed you since the first time you get here. But … do you remember me?»13
Im Song Rok non poté fare a meno che osservare la scena in disparte, non sapendo se dover aiutare la ragazza o lasciare che se la cavasse da sola. A parte l’insistenza, quel ragazzo non sembrava avere cattive intenzioni, inoltre era un suo cliente e non poteva rischiare di rasentare la maleducazione con un ospite del posto.
Gemma improvvisamente si scostò a causa di un secondo tentativo, da parte del vietnamita, di sfiorarle il volto con le dita. Forse lei stessa comprese l’esagerazione della sua reazione, tanto che tentò di tranquillizzarsi e, facendo finta di nulla, prese i suoi libri e cercò di andarsene. Quella persona però la imitò, offrendole pure aiuto. La sua leggera ondulazione nell’alzarsi, sottolineava il sentore della ragazza.
L’italiana bloccò sul nascere la sua gentilezza. «Can i do it!» Si scostò in modo tale che non potesse nemmeno toccare un libro.
«Why you want to go? Sorry ... maybe i bother you?»14
«Yes you are doing it!» Lo affrontò nuovamente e con più decisione, quasi incattivita dal suo atteggiamento sconveniente. «And I think you're drunk!»15 Quell’odore di alcool era inconfondibile.
«No. I drank only a little ... But in my room i have a bottle of Makgeolli, if you want i can let you try. Have you ever drank Makgeolli?»16
Quella proposta di andare a bere in camera sua il distillate di riso coreano, fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. Cercò di evitarlo anche con lo sguardo, quasi voltandosi e scappando da lui, quando l’asiatico le afferrò una spalla, obbligandola a restare. Ma Gemma non era un tipo da arrendersi così facilmente: tentò di resistere a quella presa, con il risultato di peggiorare ulteriormente la situazione. Per fortuna era abbastanza ubriaco o non metteva troppa forza in quello che faceva.
«I can help you take a books. They seem heavy!»17 Giustificò l’abbordaggio mascherato falsamente da altruismo.
«No!» Gemma diede un colpo secco di spalla, per togliersi la mano ancora appiccicata a lei.
Quando la ragazza riuscì a scivolare via, lui le afferrò forse istintivamente la spallina della canotta, stringendo la stoffa, che con il tiro secco si strappò.
Lasciò cadere i libri, toccandosi il punto in cui l’indumento stava cedendo.
Il colpevole si dimostrò sinceramente dispiaciuto, scusandosi, allungando indeciso un braccio, «It’s my guilty.»18
Una mano afferrò il polso del vietnamita tutt’ad un tratto, arrestando la sua intenzione. Entrambi i protagonisti di quella scena, si ritrovarono a fianco un uomo parecchio alto e ben vestito. Nessuno dei due faticò a riconoscerlo.
«Now the customer can go.» Pronunciò Im Song Rok con uno strano accento e il tono di voce basso, molto pacato. « I'll take care of this girl.»19
Nel frattempo Gemma approfittò di quell’improvvisa comparsa, nascondendosi dietro la snella colonna della sala. Un magro nascondiglio, ma sembrava che potesse bastarle, ora che era giunto qualcuno a sistemare le cose. In fondo, se non sapeva prendersi cura lui dei suoi clienti, chi altro?
«Ajeossi, misunderstand. I did not do anything!» Lo straniero parlò al direttore con uno sguardo che quasi chiedeva pietà o per lo meno di essere creduto. E così sembrò avvenire, perché Mr Im annuì e lo lasciò andare. Era sincero e da quello che aveva constatato voleva fare solo amicizia con la bella occidentale, certo, utilizzando un comportamento non molto adeguato a causa del suo stato un po’ alticcio.
Il vietnamita osservò il leggero profilo della ragazza, ancora nascosta dietro la colonna. «I just wanted to make friends.» Sospirò. Era il suo turno di sentirsi infastidito e forse perché si sentì quasi spalleggiato dal proprietario del luogo, cominciò ad assumere un atteggiamento arrogante: «These European women think they are the stars?» Voltò le spalle e fece per andarsene, concludendo con: «Bitch!»20
Nonostante fosse un uomo che ai pugni preferiva le più eleganti parole, Im Song Rok non riuscì a trattenersi in quel momento. «Ya…»21 Pronunciò debolmente prima di afferrare la spalla del cliente, facendolo girare, tirandogli successivamente un pugno sul mento. Il mezzo ubriaco cadde al suolo, fissando il direttore dell’Ilmol-house con sguardo più che scioccato.
«I'm sorry, but tomorrow i want you out of this place. So you have to pack up and can’t come back again. A man who treats a woman like that, is not welcome here. Don’t worry, I'll give you your room’s money back. »22
«You know?  I could denounce you.»23 Disse stizzita quella persona.
«Keurae keureom … haseyo.» Ribatté nella sua lingua, per poi tradurre: «You do it! But you know that the girl might denounce you for harassment? So, don’t you agree. Shut up and get out! You're not welcome anymore.»24 Rimase a fissarlo per qualche momento, vedendo l’indecisione negli occhi dello sgradito ospite. Sospirando poi si voltò, andando verso Gemma e lasciando che il vietnamita si alzasse e se ne andasse.
Tolse la giacca del completo, composto da pantaloni del medesimo blu scuro e una maglia bianca, semplice con scollo a v, maniche corte. Era più giovanile del solito, ma non per questo meno elegante. Appoggiò l’indumento sulla ragazza, in piedi ferma come una statua. Il volto ancora turbato.
Gemma lo lasciò fare all’inizio, ma poi, presa da qualcosa simile alla disperazione, si lasciò andare in un inizio di pianto, gettando a terra malamente la giacca offertale.
Im Song Rok trattenne l’indignazione, fissando il suo indumento. Si piegò per raccoglierlo, sospirando pesantemente. Lo ripulì con un gesto deciso, notando che la ragazza era scivolata a terra, dove sembrava voler soffocare in una valle di lacrime silenziose. I suoi occhi, dalla punta orientale, si soffermarono sulla spalla di lei, denudata dalla canotta scucita.
Si accovacciò, riposandole la giacca, per poterla coprire. Non che servisse, alla fine l’intimo si vedeva a malapena e l’indumento non sembrava doverle cedere per quell’unico punto mancante. Ma quella sua galante e delicata gentilezza attutì un po’ il lenore che Gemma avvertiva nel cuore. Cominciò infatti a riprendere fiato. Le lacrime pian piano cessarono.
«Ti disperi per quel che è successo poco fa o … » le diede il tempo di tranquillizzarsi ulteriormente. «Per caso c’è un altro motivo?»
Gemma questa volta accolse la giacca e si strinse in quel calore, senza però rispondere alla domanda.
«Chiama la tua amica e dille che non te la senti di rimanere sola questa notte.» Suggerì.
A quel punto fece oscillare la testa. «Aveva un appuntamento oggi.»
«Per te lo sposterà di certo.» Ribatté.
La ragazza sospirò, gli occhi arrossati ormai persi nel vuoto di fronte a sé, le lacrime ormai secche sulle guance. Ci mise un po’ a formulare una nuova frase, come se per un attimo si fosse incantata: «Quel ragazzo vive qui.»
«Non preoccuparti troppo per lui. Era un po’ ubriaco e non voleva farti del male, ne sono convinto. A parte l’essere sgarbato. Quello sembrava voluto.» Cercò di rassicurarla. «Anzi, domani mattina potrebbe anche presentarsi con delle scuse. Quando sarà tornato del tutto in sé. Comunque se ne andrà, gli ho già detto di fare i bagagli. E scuse o meno, domani mi assicurerò che se ne vada.»
«Non deve per forza farlo. Così perderà un cliente.»
«A causa di un altro.» Concluse la frase per lei. «Il cliente ha sempre ragione, ma quando due si scontrano? Che fare?» Si chiese leggermente divertito. «Tranquilla! Non lo faccio proprio per te! E non ci perdo nulla. Ho una certa etica anche negli affari, e se non rispetti la mia morale … non importa se sei mio ospite, in quanto sgradito …»Lasciò che completasse lei da sola il suo pensiero.
Lei ascoltò bene le sue parole e alla fine si sentì il dovere di dire: «Grazie.»
Song Rok annuì e fece per alzarsi, forse era il momento di lasciarla sola. Quando una mano gli afferrò la camicia. Guardò verso il basso, notando degli occhi chiari impietositi dal rossore e dall’umidità delle lacrime. «Hai l’abitudine di afferrare gli uomini per la camicia? E’ un nuovo sport?»
«Non voglio stare da sola.» Ammise.
«Per questo ti ho detto di chiamare la tua amica.»
Gemma ritirò la mano, abbassando lo sguardo e poco dopo si trovò davanti agli occhi un cellulare, offertogli dal direttore stesso. Lo prese e compose il numero. Attese per un po’ ma alla fine suonò a vuoto. Sollevò il volto verso il proprietario del telefonino e gli fece cenno di diniego con la stesa.
Lui sospirò. «Non posso stare qua, devo assolutamente rincasare.» Disse, mentre la ragazza riagganciava.
Restituendo il cellulare osservò le grandi mani di quella persona: «Non ha la fede.»
«Non sono sposato.» Le fece un’espressione ovvia.
«Allora … » Ci pensò: perché un uomo della sua età aveva fretta di rientrare a casa? «La sta aspettando la sua ragazza?»
«Cosa? No.» Sollevò una sopracciglia, perplesso.
«Figli?!» Esclamò colpita.
Song Rok corrucciò la fronte improvvisamente. «Figli? … Niente di tutto ciò.» Il suo sguardo passò dall’essere quasi indignato, a causa dell’interrogatorio, al sostenuto. Si schiarì la voce, prima di riflettere: «Ti inviterei a seguirmi, ma immagino sia sconveniente per una giovane donna dormire a casa di un sigle.»
Gemma si alzò di colpo, trattenendo la giacca elegante. «Vado a cambiarmi, ci metto un attimo. Mi aspetti.» E corse verso la sua stanza, chiudendocisi dentro.
Song Rok si immobilizzò di fronte alla nonchalance della straniera, nell’accettare un’offerta simile. Si grattò leggermente e lentamente il collo. «Forse ho capito male.» Ma rimase li ad attenderla, in caso contrario. Inoltre teneva ancora in ostaggio la sua giacca.
E infatti tornò indietro un minuto più tardi, dopo aver cambiato la canotta, optando invece per una maglietta a manica lunga, visto che dovevano uscire.
«Scusa, ho capito bene? Mi stai dicendo che non hai problemi a stare sotto lo stesso tetto di un uomo … per la notte?» Sembrava pure un po’ preoccupato della cosa.
Gemma sorrise, « è diverso! Lei è un gentiluomo, no?» Gli porse l’indumento di sua proprietà, che Mr Im afferrò senza darci troppa importanza. Lo tenne sotto braccio, senza rindossarlo, guardandosi intorno confuso.
Era lui all’antica o le giovani, di anno in anno, stavano diventato sempre più ingenuamente audaci?



«No, I don’t  want go out, thank you. I just want study.» "Non voglio uscire, grazie. Voglio solo studiare"
«What do you study?» "Cosa studi"
6 «Hangukeo dangyonhaji!» "certamente il coreano"
7 «Cool! You could teach me korean?»​ "Forte! Puoi insegnare anche a me?"
«Busy, busy!» "impegnata ipegnata"
10 «Sorry, but … but now i really want study. So ...» "Scusa, ma ora voglio davvero studiare quindi ..:"
11 «So, you can study. No one hinders you.» "Quindi? Puoi studiare. Nessuno te lo impedisce"
12 «Yes instead! You!» - «I do not who you are, but you're too close. So i want know, why?» "Sì invece, tu!"-"Non so chi sei, ma sei troppo vicino. Quindi voglio sapere il perché?"
13 «Once time i had the American girlfriend. I loved her a lot. Her eyes was like yours.» - «You know? I've noticed you since the first time you get here. But … do you remember me?» "Una volta avevo una ragazza americana. Ero innamorato molto di lei. I suoi occhi erano uguali ai tuoi."-"Lo sai? Ti ho notata da quando sei arrivata qui, ma tu ti ricordi di me?"
14 «Why you want to go? Sorry ... maybe i bother you?» "Perché vuoi andare? Scusa ... ti sto annoiando?"
15 «Yes you are doing it!» - «And I think you're drunk!» "sì lo stai facendo!"-"e credo tu sia ubriaco"
16 «No. I drank only a little ... But in my room i have a bottle of Makgeolli, if you want i can let you try. Have you ever drank Makgeolli?» "no ho bevuto poco ... ma nella mia camera c'è una bottiglia di Makgeolli, vuoi ti faccio provare. Hai mai bevuto il makgeolli?" Makgeolli (막걸리) è una bevanda alcolica coreana.
17 «I can help you take a books. They seem heavy!» "Posso aiutarti a portare i libri. Sembrano così pesanti"
18 «It’s my guilty.» "è colpa mia"
19 «Now the customer can go.» - « I'll take care of this girl.» "Ora il clinete può andare"-"mi prendo cura io di questa ragazza"
20 «Ajeossi, misunderstand. I did not do anything!» - «I just wanted to make friends.» - «These European women think they are the stars?» - «Bitch!» "ajeossi ha capito male, non ho fatto nulla" - "Volevo solo farmela amica"- "Questa donne europee, pensano di essere delle star?"- "puttana"
21 «Ya» espressione coreana per richiamare l'attenzione, una sorta di "hey"
22 «I'm sorry, but tomorrow i want you out of this place. So you have to pack up and can’t come back again. A man who treats a woman like that, is not welcome here. Don’t worry, I'll give you your room’s money back. » "Mi scusi, ma domani volgio che lasci questo posto. Quindi può fare le valige e non tornare più. Un uomo che tratta così una donna, non è gradito qui. Non si preoccupi, le restituirò i soldi della stanza"
23 «You know?  I could denounce you.» "lo sai che posso debunciarti?"
24 «You do it! But you know that the girl might denounce you for harassment? So, don’t you agree. Shut up and get out! You're not welcome anymore.» "lo faccia. Ma lei lo sa che la ragazza portebbe denunciare lei per molestie? Quindi chiudi la bocca e vattene. Non sei più il benvenuto"

 

Un saluto direttamente dalla città dov'è ambientata la storia: Seoul! ^ ^ 

Image and video hosting by TinyPic
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Giorgia Alfonso