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Autore: Saya_Zhao    23/10/2008    6 recensioni
Questa Fanfic si è classificata SECONDA e PREMIO ORIGINALITA' al contest "Alternative Universe Special" indetto da DarkRose86
[KibaHina]{Rock Lee, Neji Hyuuga, Naruto Uzumaki}
"Una volta qualcuno le aveva detto che essere avvolta completamente dall’acqua, senza nessuna possibilità di respirare, è come immergersi in se stessi. L’acqua rilassa, l’acqua fa scordare ogni problema. Ci riporta alla vera essenza del nostro io, ci porta all’inizio dei problemi.
Si entra in contatto con la propria coscienza, con le proprie paure, con i nostri ricordi più profondi e apparentemente cancellati. E, alla fine, quando ci accorgiamo che non siamo in grado di trattenere oltre la nostra necessità di aria, ci porta alla soluzione delle incertezze."
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kiba Inuzuka, Neji Hyuuga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Parte Prima

Hinata In Wonderland
日向不思議の


- Hinata, non puoi continuare a piangerti addosso. -
La mora non alzò nemmeno lo sguardo, tenendolo saldamente incollato alle braccia. Era raggomitolata su se stessa, in un angolo della sua buia stanza da letto, in un istintivo gesto di protezione da tutto e da tutti.
Questa volta, le parole di suo padre le avevano fatto veramente male.
- Su, passerà tutto, ancora una volta… - mormorò il ragazzo sedendosi sul letto. Già, era facile, per lui, essere ottimista. Non aveva passato una vita intera a sentirsi dire quanto fosse inutile.
- Hinata, mi fai paura. Dove finito il tuo bel sorriso? – tentò di scherzare lui, senza successo.
Perché stavolta, la voglia di dimenticare una volta per tutte era troppo grande.
- Ehi, bimba, non vieni con noi in discoteca? – urlò una voce da sotto casa. Kiba maledì mentalmente quell’idiota di Naruto, capace di mettere la parola sbagliata in qualsiasi situazione. Guardò ancora Hinata, accarezzandole piano la mano e… ciò che vide lo terrorizzò.
Perle così rare ricolme di dolore e perse nella più completa apatia.
- Vengo. – mormorò atona lei.
Perché Hinata sentiva il bisogno di qualcosa di forte che l’aiutasse a perdonarsi.


C’era qualcosa di strano in quella minuscola pastiglia. Era bianca, con strane striature azzurrognole. O forse quei stralci di colore li aveva solo immaginati: le luci, in discoteca, non mancavano di certo; decine di faretti colorati che servivano soltanto a confondere i pensieri. La pista da ballo, piccola e piena di ragazzi, toglieva l’aria. C’era puzza di sudore, un miscuglio di ormoni e variegati profumi che si mescolavano in un rivoltante intruglio. L’alcool scorreva a fiumi sottoforma di birre e miscugli di vodka e gin.
Ma quella pastiglia era la peggiore di tutti: così piccola, così piccola… ma così potente.
Il mondo aveva cominciato a vorticare precipitosamente. Le persone si erano sdoppiate, i suoni si erano attutiti. I sorrisi gentili dei suoi amici s’erano trasformati, diventando spaventosi ghigni malevoli.
Aveva iniziato a ballare senza sosta, gridando e urlando. Lei era forte, pazza, scatenata. Strusciava contro corpi sconosciuti, accarezzando visi che non aveva mai visto. Rideva e loro ridevano, li baciava e loro facevano anche di peggio. Ma perché fermali? Lei era forte, poteva smettere in qualsiasi momento!
 
Boooom.

Rimbombi dalle casse sonore. Bottiglie che si frantumano al suolo, risate sommesse, ansimi di piacere.
Un grido spaventato e una ragazza che cade a terra.


Nella Tana del coniglio
- Dove sono…?
Era strano. Era certa di essere in discoteca. Le girava da morire la testa e i ricordi erano confusi, sfocati. Per cui non era sicura nemmeno che il quel posto fosse reale.
Magari era solo un sogno.
Magari, quel grande magazzino pieno di luci colorate era frutto della sua immaginazione. Forse, anche tutte le persone che aveva visto erano immagini.
Però anche quel posto era ben strano. Il terreno era pieno di piccole colline ricoperte da un verde brillante. Ma il cielo era rosa! E non un rosa qualsiasi, ma quel bel rosa confetto che invoglia a mangiare le caramelle alla fragola! E le nuvole sembravano proprio zucchero filato, tanto erano spumose e candide. L’aria profumava intensamente di torta appena sfornata. Oppure di biscotti al cioccolato, non ne era sicura. E l’acqua di quel ruscello poco lontano era… arancio!
- Oddio. – Probabilmente la testa le girava anche più del necessario. O forse erano i jeans, così stretti che le toglievano il respiro. Sentiva la nausea… ma perché, poi? Era come se avesse mangiato quintali di cioccolato. Anzi, no, era qualcosa di peggiore… forse quintali di cioccolato bianco?
Chiuse gli occhi. Il vento le passava tranquillamente fra i capelli. Non trasportava nessun suono, nemmeno il più piccolo rumore. Così sentiva solo il rumore del suo battito rimbombare pesantemente fra le sue tempie.
Era una vera e propria prigione, con l’infinito come sbarre.
- È tardi, è tardiii… -
Hinata si girò di scatto. Qualcosa si stava avvicinando molto velocemente, gridando con tutto il fiato che aveva in gola quanto fosse in ritardo. Qualcosa di leggero e batuffoloso. Qualcosa di bianco e soffice...
- Un coniglio?!
Un coniglio bianco e grassottello, con un bel panciotto rosso. Dal taschino pendeva una catenella d’oro luccicante e, fra le mani del coniglio, un orologio a cipolla. Lo stringeva con ossessione mentre correva – o meglio, saltellava. Aveva gli occhi fuori dalle orbite per la preoccupazione e il respiro a mille!
- Aspetti, signor coniglio! – gridò la ragazza, alzandosi e inseguendolo. Tutta l’energia che aveva in corpo si attivò. Doveva uscire da quel posto. Doveva tornare a casa, dai suoi amici… chiunque essi fossero. Se esistevano.
Il coniglio saltò in una buca nel terreno, e lei lo seguì senza pensarci.
- Ma cos…aaaaaaaaaaaaaaaaaah! –
La buca, altro non era che la tana del coniglio. Era larga e profonda; sembrava una lunghissima galleria ma, si sa, le gallerie sono orizzontali… e quel pozzo profondissimo sembrava non finire mai. C’era un buio incredibile, tanto che non riusciva nemmeno a vedere le sue stesse mani. Però poteva sentire le cose. Per la precisione, quello che aveva sbattuto violentemente contro la sua testa doveva essere un cassettone. E quella strana melma che s’era rovesciata sulle sue scarpe era marmellata. Probabilmente di prugne, dall’odore. Però…nel pozzo c’era aria, fresca e pulita. Questo significava che prima o poi sarebbe atterrata…o almeno lo sperava. E intanto cadeva, cadeva, cadeva…
Ma non finisco più di cadere?” pensò incredula. La pressione del vento aumentò e sotto di lei si creò come una cupola che accelerò ancora la velocità della caduta. L’oscurità iniziava a diradarsi mentre il fondo di quel lungo pozzo si avvicinava sempre di più; e Hinata si rese conto – finalmente – che da una caduta del genere non si sarebbe rotta solo qualche osso.
- Aiutoooooooooo… - gridò, terrorizzata. Il pavimento era tremendamente vicino, di lì a poco si sarebbe spiaccicata al suolo ad una velocità di cento chilometri orari… allungò le braccia in un gesto istintivo per rallentare e chiuse gli occhi per prepararsi al contatto e… cadde su un mucchio di foglie.
Si toccò il corpo, controllando se vi fosse qualcosa di rotto. Ora sì, che la testa le girava. Ma, a parte lo spavento e qualche ammaccatura, non s’era fatta niente. Era precipitata esattamente sopra un grosso cumulo di foglie al lato di una sala da ballo. Il pavimento a quadri bianchi e viola era lucidissimo, come se centinaia di persone ci passassero sopra ogni giorno. Le pareti erano piene di porte, ma nessuna era aperta. Non c’erano mobili, non c’era nulla. Solo un piccolo tavolino a tre gambe nel mezzo della stanza, con sopra una bottiglia, un biglietto con “bevimi” inciso con un’elegante calligrafia e una minuscola chiave d’oro.
Sbuffò, sdraiandosi sul mucchio di foglie.
Dalla padella nella brace.
Si alzò, rassegnata. Voleva uscire, no? Se era riuscita a trovare la forza di saltare alla cieca in una caverna senza fondo forse sarebbe riuscita a uscire anche da quella strana stanza. Colpì qualche porta, spingendo con forza, forzando la maniglia, ma niente: erano tutte chiuse a chiave. E non c’erano altre vie d’uscita.
S’avvicinò dubbiosa al tavolino, osservando la chiavetta. La rigirò fra le mani, controllò ogni minimo dettaglio. Era impossibile che quella piccola chiave entrasse in una qualsiasi porta. Ma come dice il proverbio, tentar non nuoce… così provò a usare la chiave nelle porte; ma era decisamente piccola per tutte!
- Rimane solo questa. – borbottò, seccata. La porta più piccola, poco più grande di una tana per topi. Infilò la chiave nella toppa e quella si aprì, rivelando un meraviglioso giardino, enorme e pieno di alberi e fiori.
Ma per quanto si sforzasse non riusciva a vedere nessuna porta che potesse condurla fuori.
L’unica soluzione era esplorare il parco.
Era chiaro come l’acqua che per entrare doveva rimpicciolire, perdere almeno una quindicina di taglie. Guardò con sospetto la bottiglia sopra il tavolino. Il biglietto l’invitata proprio a berla ma… e se era veleno? O uno strano intruglio magico? E se fosse diventata un gigantesco rospo?
Inspirò a fondo ingoiò il primo sorso. E la sensazione fu incredibile: sentì le ossa restringersi, i muscoli diventare più corti. Divenne sempre più bassa e il mondo si fece sempre più grande. La gamba del tavolo diventò un’enorme montagna, le piastrelle colorate sembravano lunghe centinaia di metri.
- Ci siamo. – sospirò la ragazza. Aprì la porta lentamente, come se si aspettasse che da un momento all’altro accadesse qualcosa. La luce del giardino e il buon odore di gigli fioriti la investì in pieno, infondendogli un po’ di sicurezza. Forse quella era la volta buona per tornare a casa.


Il consiglio del bruco
Gli steli dei fiori sembravano grandi grattacieli verdi, e i boccioli dei grandi acquedotti pronti a cadere da un momento all’altro. Ogni goccia per lei era come un temporale, e le piccole pozzanghere nel prato parevano grandissimi laghi. L’erba era alta quanto lei e spessa almeno il doppio. Era una stranissima sensazione vedere nel dettaglio quei piccoli steli che tutti assieme formavano i prati primaverili. E ancor più bello era osservare gli insetti in una dimensione tanto più grande. Da vicino l’esoscheletro delle coccinelle era di un bel rosso brillante, mentre i pallini neri, stranamente regolari, sembravano quasi in rilievo rispetto al resto.
Però faceva davvero un gran caldo, nemmeno l’aria poteva alleggerire la pesante afa. Forse era la vicinanza col terreno o forse per un altro motivo, ma l’umidità fra gli steli d’erba toglieva il fiato. Aveva bisogno di acqua. Non quella sporca e marrone disseminata qua e là  nel prato. Le faceva ribrezzo anche solo guardarla, figurarsi berla. Lei voleva un ruscello, con l’acqua quantomeno pulita e possibilmente fresca. E magari, qualcosa da mangiare. Foglie e fiori giganti non avevano un aspetto appetitoso.
Si sedette, stremata. Camminava da ore. Faceva caldo, troppo caldo. Il sole bollente cuoceva ogni cosa, perfino la sua capacità di ragionare. Non capiva più nulla. Non sapeva cosa stava cercando, non sapeva qual era il suo mondo, non sapeva la propria identità. Non era nemmeno sicura di chiamarsi Hinata Hyuuga. Quella era solo una minuscola sensazione, cresciuta dentro di lei fin da quando s’era svegliata nel sogno. Quell’unico nome le vorticava in testa e, assieme alla definizione che aveva di se stessa, vorticavano anche altre parole indissolubilmente legate a lei. Sakura, Kiba, TenTen, Neji, Naruto,Naruto, Naruto! Ma chi diavolo erano, questi? Perché pensava a loro con tanta intensità? E, poi, parole come amici, casa, coraggio, amore. Le inseguiva senza conoscerne il vero significato. O, forse, stava compiendo un viaggio per trovare una definizione a quelle parole così difficili da usare.
Lo stomaco protestò deciso, urlando a tutto il giardino la sua fame.
- Ok… - borbottò, quasi imbarazzata di se stessa – Forse, è meglio non pensare a queste cose. Forse, è meglio trovare qualcosa da mangiare… -
Il suo stomaco assentì.
Osservò ancora il giardino, questa volta con una ricerca ben precisa in mente. Cibo, cibo, cibo. Dove poteva trovare da mangiare in quell’immensa distesa di foglie?
- Un fungo! – poco distante da lì, l’erba si diradava sotto le radici di una possente quercia. Nascosti fra la sua corteccia, come un prezioso tesoro, c’erano funghi di ogni specie e dimensione, certi commestibili e altri decisamente pericolosi. Tutti alti più o meno quanto lei. Esaminò a lungo il gambo per assicurarsi di non morire per un funghetto. Il cappello era un bel marroncino scuro, il gambo qualche tonalità più chiara.
- Non avrei mica intenzione di mangiare il mio fungo, vero? –
Hinata si fermò, incredula. Alzandosi in punta di piedi, si affacciò all'orlo del fungo; un grosso Bruco azzurro se ne stava seduto tranquillamente nel centro con le braccia conserte, pacifico come un re, mentre fumava una lunga pipa. Era uguale a Shino, notò con sorpresa. Poi si ricordò che non aveva la più pallida idea di chi fosse, questo Shino.
Si fissarono a lungo, in completo silenzio. Si stavano esaminando, come in un vecchio film western. O meglio, il bruco-Shino fissava Hinata, lei teneva lo sguardo basso per l’imbarazzo.
Finalmente si tolse la pipa di bocca e, con voce stanca e strascicata, le chiese:
- Chi sei tu? -
Come inizio di una conversazione, certo non era molto invitante. Hinata titubò un momento, poi disse:
- Credo… credo Hinata. -
- Perché credi? - sbottò quasi sorpreso.
- Beh… un nome è solo un nome, no? Io vorrei sapere chi sono, cosa faccio. Qual è il mio mestiere, la mia famiglia, i miei amici, se sono innamorata… insomma, qual è la mia vita! -
Il bruco inspirò a fondo il fumo della lunga pipa, creando dei bellissimi cerchi e disegni nell’aria.
- Che cosa stupida. Hinata è Hinata. Perché ti servono persone estranee per definire te stessa? -
- Ma non credi sia strano? – chiese dubbiosa.
- "Strano”? Niente affatto! -
- Dipende dalla propria sensibilità. Per me sarebbe sicuramente molto strano.- borbottò timidamente.
- Per te - disse il Bruco - Ma chi sei tu in fin dei conti?! –
Si era ritornati così all’inizio della conversazione. Quella domanda ripetuta non le andava proprio. E quindi chiese, nel modo più severo che conosceva:
- Non le sembra che dovrebbe dirmi prima lei chi è? Assomiglia moltissimo a Shino!-
- E perché mai?- borbottò il Bruco – E chi sarebbe questo Shino? –
Ora sì, che Hinata non sapeva più cosa dire. A ogni sua domanda, quello le rispondeva con un'altra. E il guaio era che lei non sapeva dare risposta. Si sentiva tremendamente a disagio.
Così cercò di dileguarsi in silenzio, per non affrontare quella conversazione.
Era meglio fuggire che combattere i problemi.
- Ferma! Devo dirti una cosa importante.- sbuffò il bruco, dopo aver disegnato un altro bel cerchio di fumo.
- Che cosa non ricordi? Cosa vorresti ricordare?-
Hinata si fermò. Non si girò nemmeno. Perché chiederle una cosa del genere?
- Tutto. – forse era l’unica cosa di cui era certa. Voleva trovare le risposte. Voleva diventare una persona migliore, più sicura di se stessa e delle sue capacità.
Per non scappare ancora.
Il bruco rimase in silenzio, apparentemente soddisfatto.
- Un lato è per il cuore, un lato per tutto il resto.- borbottò, e sparì.
Hinata esaminò il fungo, dubbiosa, cercando di scoprire la diversità dei due lati. Peccato che fosse perfettamente rotondo! Allungò le braccia più che poté per circondare il fungo, e ne ruppe due pezzetti. Uno dall’orlo sinistro, uno dal bordo destro. La polpa del primo era un vivace rosso scarlatto, l’altra di un bel verde smeraldo. Istintivamente ingoiò il boccone di sinistra e scomparve.


Un tè pazzo
Ancora una volta, Hinata si ritrovò a precipitare. E, ancora una volta, atterrò miracolosamente su un morbido appoggio. Una magnifica sedia vittoriana, con il sedile ben imbottito.
- Tu chi sei? - esclamò sorpreso uno strano tipo con una tuba in testa. Un ragazzo molto simile a Neji.
- Hinata – sbottò nervosa. Perché tutti le facevano la stessa domanda, se non sapeva rispondere? Le faceva male la testa! E, ancora una volta, non sapeva assolutamente chi fosse Neji, nonostante il suo volto fosse così famigliare. Tutti quei voli non facevano bene alla sua improvvisa emicrania!
Quando finalmente s’accorse dov’era capitata… il mal di testa tornò ancora, più forte di prima.
All’entrata del vialetto c’era un enorme cartello con scritto “casa della Lepre di marzo”. E di nessun altro poteva essere! I comignoli per i camini erano a forma d’orecchie di coniglio, mentre il tetto era interamente ricoperto di pelo castano. Davanti alla casa, sotto un albero, stava una tavola elegantemente apparecchiata.
C’erano decine di posti, ma solo tre persone erano sedute lì. Una lepre, un ghiro e Neji col cappello.
- Un goccio di vino? – chiese gentilmente la lepre.
- Io… ehm, ecco… non potrei berlo… -
- Dovresti farti crescere i capelli. – osservò il Cappellaio.
- Ehm… se crede che mi starebbero meglio… - borbottò.
- Che giorno del mese è oggi? – chiese la lepre rivolgendosi ad Hinata. Aveva estratto dal taschino un grande orologio e lo guardava con timore, scuotendolo di tanto in tanto e portandoselo all’orecchio.
- Oggi è il quattro. –
- Sbaglia di due giorni! – osservò sospirando l’animale. – te l’avevo detto che il burro l’avrebbe rotto! – aggiunse guardando con disgusto il Cappellaio.
- Il burro era ottimo. – sbottò l’atro.
- Sì, ma devono esserci entrate anche le molliche di pane. – borbottò la lepre. – non dovevi metterlo usando il coltello del pane -.
- Che strano orologio! – esclamò Hinata – segna i giorni, non le ore! –
- Perché le ore? Il tuo orologio segna gli anni, per caso? –
- No. – s’affrettò a rispondere.
- E poi, se segnassimo le ore, dovremmo aspettare molto di più – bofonchiò il Cappellaio-Neji.
- Cosa? –
- Come cosa? – urlò incredula la lepre. S’alzò di colpo sopra i braccioli della sedia, indicando un grosso ritratto appeso sopra la testa di Hinata. – Che qualcuno liberi il principe, no? –
- Liberare il principe? – ora sì, che la testa le faceva male per la confusione. Non era nemmeno riuscita ad assaggiare la tazza di tè che il ghiro le aveva gentilmente offerto che il Cappellaio e la Lepre di marzo l’avevano subissata con una raffica di domande. E ora se ne uscivano con questa storia del principe…
- Ma da che mondo vieni, ragazzina? – gridò il cappellaio – non lo sai che il Principe è addormentato nella sala più alta della torre più alta del castello più alto del… -
- Sì, credo di aver capito -
Il cappellaio la guardò a fondo negli occhi, nascondendo un sorriso beffardo.
- Sei tu che hai scelto il lato del cuore, no? -
Calò un silenzio imbarazzante. Che il “lato del cuore” fosse quel pezzettino di fungo rosso le sembrava piuttosto azzardato. Però il signor cappellaio ne sembrava molto convinto.
- Oh, è l’ora della marea. – borbottò il ghiro.
- La marea?! – esclamò, incredula.
- Già, è vero. –
- Sta per arrivare. –
- Mi spiegate cos’è questa marea? –
Il cappellaio la guardò con aria annoiata. – Quella, no? – disse, indicando qualcosa dietro di lei.
Alle spalle della casetta arrivava qualcosa. Uno strano muro d’acqua marroncino, che emanava un buon profumo di foglie da tè essiccate. Come una gigantesca onda, la marea di tè divorava il terreno avanzando al massimo della velocità. Non riuscì nemmeno a gridare, mentre quel gigantesco tsunami s’abbatteva su di lei trascinandola di qua e di là.

Una volta qualcuno le aveva detto che essere avvolta completamente dall’acqua, senza nessuna possibilità di respirare, è come immergersi in se stessi. L’acqua rilassa, l’acqua fa scordare ogni problema. Ci riporta alla vera essenza del nostro io, ci porta all’inizio dei problemi.
Si entra in contatto con la propria coscienza, con le proprie paure, con i nostri ricordi più profondi e apparentemente cancellati. E, alla fine, quando ci accorgiamo che non siamo in grado di trattenere oltre la nostra necessità di aria, ci porta alla soluzione delle incertezze.

Con un grosso respiro Hinata tornò a galla, muovendo febbrilmente le gambe e le braccia nel tentativo di rimanerci.
- Neji! Neji, aiutami! – gridò, vedendo il cappellaio-Neji navigare tranquillamente sopra un grosso ombrello.
- Chi sono, io? – ridacchiò il ragazzo afferrandole la mano.
- Mio cugino, no? – esclamò sputacchiando il tè.
- E chi sono Sakura, Shino, Ino, Rock Lee, Kurenai… ? –
- Che domande fai, Neji! Sono i nostri amici! –
Il cappellaio sorrise, enigmatico.
- Perché ricordi anche di noi? Tu non avevi scelto il lato del cuore? –
- Neji!
- Trova il tuo principe, mia piccola Hinata… -
E la lasciò andare in balia della corrente.



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Ecco qua! Finalmente ho pubblicato questa fan fic. Non avete idea di quanto avessi voglia di sentire vari apreri! forse perchè è la storia più strana e originale che abbia mai fattoXD e infatti, annuncio con estremo orgoglio...
Hinata in Wonderland si è classificata SECONDA al contest alternative universe!!
cioè, seconda su undici, e subito dopo HopeToSave! Vi rendete contooo??? XDXD
Vabbeh, basta. Spero vivamente che mi lascerete un commentino**
e vi avviso che i capitoli saranno tre, perchè altrimenti al storia si farebbe troppo lunga^^
e, se volete, date un'occhiata a queste due mie fic: Endless[ShikaTema] e Lifes[MinaKushi]!
 mi piacerebbe un vostro parere anche lì **
  
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