Mi svegliai il mattino dopo con un forte mal di testa. Conoscevo bene quella sensazione: i postumi della sbornia, il sovraccarico di pensieri.
Ancora vestita, cercai di alzarmi dal letto e, notai un livido abbastanza grande sul ginocchio. Mi spaventai non tanto per il dolore che sentii quando appoggiai i piedi sul pavimento, ma, più per il fatto che non ricordavo proprio nulla di com'ero riuscita a procurarmelo. Probabilmente ero caduta da qualche scalino o inciampata sul cemento. Tipico da me d'altronde, non avevo mai avuto tanto equilibrio. Nè fisico, nè mentale. A dire il vero, riguardo l'equilibrio fisico ero sempre stata una ragazza sbadata, con la testa fra le nuvole e gomiti e ginocchia sbucciate ma mentalmente, dopo essere partita per la Francia, avevo raggiunto un vero e proprio equilibrio, una stabilità. Ero serena e senza pensieri. A differenza del mio passato a Greensburg, ero molto diversa, con mille problemi e sbalzi d'umore. No, non ero affatto felice.
Accesi il cellulare e vidi con mia sorpresa che erano già le undici del mattino. Era un sacco di tempo che non mi svegliavo così tardi dato che, lavorando in Francia, avevo l'abitudine di alzarmi sempre prima delle otto. Controllai poi se avevo ricevuto sms e infatti ne avevo uno proprio da Dylan.
"E' stato bello farti da assistente e spero di avere un buon rapporto con te in futuro. Ti prometto che nessuno saprà ciò che ci siamo detti la scorsa notte. D"
Lì per lì mi sentii molto confusa poi iniziai a riflettere. "Forza Amber... pensa pensa pensa!" dissi fra me e me. Avevo molte domande, relative al messaggio di Dylan, a cui non riuscii a dare risposta. "Ma a cosa si riferisce?" "Di che avevamo parlato?"
Decisi comunque di non mettere ulteriormente in difficoltà la mia mente che già soffriva per i postumi.
Così mi spogliai e mi feci una doccia poi, non prima però di mangiare qualcosa.
Con mio stupore notai che in casa c'era un silenzio assordante e capii che mia madre era fuori. Evidentemente era andata a prendere il pane o fare una passeggiata.
Per quanto ci provassi, non riuscii a togliermi dalla testa il messaggio di Dylan e tutte le domande da lì collegate così decisi di fargli una telefonata.
Dopo diversi squilli mi resi conto di quanta ansia stava crescendo dentro di me. "Rispondi Dylan, rispondi!"
La sua voce, quando rispose al cellulare, mi provocò un forte nodo allo stomaco ma allo stesso tempo un senso di sollievo in quanto avrei potuto soddisfare tutti i miei dubbi.
-Amber?-
-Dylan... che diavolo significa quel messaggio?-
Ci fu un lungo silenzio tanto che pensai fosse caduta la linea.
-Dylan, ci sei?-
-Sisi... ecco... è successa una cosa la scorsa notte... ti ho accompagnata a casa... eri ubriaca e stavi male così sono stato con te fino a quando ti sei addormentata-
Chiusi gli occhi per un secondo cercando di nuovo di ricordare. Finalmente qualche frammento riemerse nella mia mente: Dylan mi teneva in braccio e mi portava in bagno poi mi aveva stesa a letto dopo avermi lavato il viso.
-E cosa ci siamo detti?- mormorai
Un altro lungo silenzio e sentii l'ansia aumentare.
-Ecco... è complicato... è difficile... lascia stare dai, non è importante-
-No, voglio saperlo- dissi con fermezza
-Si hai ragione- sospirò poi continuò raccontandomi ciò che ci eravamo detti: l'avevo invitato a fermarsi a dormire ma lui si era rifiutato perchè sapeva di me e Leo e perchè era fidanzato con Jennifer. Non ricordavo nulla di quella conversazione e probabilmente era meglio così. Mi era sempre stato difficile sentirmi dire in faccia verità scomode. Provai un forte senso di colpa, l'avevo messo in difficoltà. L'avevo davvero messo in imbarazzo quella notte. Ero certa dicesse la verità, conoscevo bene il mio ex ragazzo e sapevo ormai quando mentiva, anche solo dal tono di voce.
-Scusa- mi limitai a dire
-Tranquilla... come ti senti?-
-Ora meglio... i postumi della sbornia... era da un po' che non li provavo-
-Mi mancherai...- sospirò
La chiamata terminò lì. Mancavano ancora due giorni alla mia partenza e il pensiero di dover lasciare Dylan, mia madre, Jennifer e Greensburg mi fece scendere una lacrima.
Avevano ragione, che mi fosse piaciuto o no, Greensburg era pur sempre casa mia.
Dopo due ore dal mio risveglio, mia madre non era ancora tornata a casa. Iniziai a preoccuparmi: non era da lei rimanere così a lungo fuori casa sapendo che sua figlia era con lei. Decisi allora di telefonarle ma aveva scordato il cellulare a casa. Gli squilli infatti, provenivano dalla sua camera da letto. Il suo nokia 1100 suonava e sul display notai la scritta "Amore".
Il fatto che ancora aveva quel nome segnato in rubrica mi regalò un sorriso. Mi amava davvero, solo non era molto brava a dimostrarlo. E più passavo del tempo con lei, più mi convincevo che era così.
Notai però, un biglietto accanto al telefonino. Era scritto da lei ed era per me.
"A differenza tua, sono una persona debole. Volevo darti una vita da principessa, figlia mia, ma non ci sono mai riuscita. Non sono mai stata una brava madre ma, devi sapere, che ti amo e non ho mai smesso di farlo. Abbiamo sofferto molto insieme, soprattutto per la morte di tuo padre. Sappiamo bene cosa significa perdere chi amiamo e non voglio farti piangere ancora. So che avrei dovuto dirtelo ma era più forte di me, il tuo sorriso era così bello che non avevo la forza di spegnertelo. Così te lo dico in un biglietto. Sono partita stanotte mentre tu eri alla festa. Sono molto malata e mi resta poco. Non mi cercare, non voglio rivivere quelle sensazioni provate dieci anni fa. Ricordati solo che sei la persona più importante della mia vita e so che sei forte. Ed è per questo che mi fido di te e so che supererai anche questa. Perdonami"
Scoppiai a piangere incredula. Le mie mani iniziarono a tremare e mi accasciai a terra. Controllai nell'armadio e come dimostrava il biglietto, lei era davvero partita.
Scoppiai a piangere incredula. Le mie mani iniziarono a tremare e mi accasciai a terra. Controllai nell'armadio e come dimostrava il biglietto, lei era davvero partita.
Fu in quel momento che capii quanto potesse essere prezioso avere una madre. Mia madre si sbagliava, io non ero forte. Fingevo, credevo di esserlo.
Rilessi più volte ciò che aveva scritto e giurai a me stessa che l'avrei trovata.
Cercai di calmarmi. In quel momento capii perchè mia madre insisteva così tanto per farmi andare a quella dannata festa. Non voleva salutarmi, avrebbe fatto più male: non potevo biasimarla, in fondo, mi ero comportata allo stesso modo quando partii per la Francia.