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Autore: JustAHeartBeat    09/11/2014    3 recensioni
Si ritrovò a sfiorare con uno sguardo curioso i lineamenti tondi, lattei, e gli occhi liquidi d’un argento limpido, ma allo stesso tempo inespressivi, si ritrovò a carezzare la linea imbronciata delle labbra sottili, ed al contempo visibilmente morbide, si ritrovò a perdere un battito del cuoricino nell’osservare la fossetta che in quel momento era comparsa al disopra del suo sopracciglio sinistro, inarcato, e si scoprì desiderosa di scoprire se un paio simili sarebbero comparse ai lati della bocca, se le avesse sorriso, si ritrovò ad osservare i capelli tanto biondi da sembrare bianchi, tirati indietro da qualcosa che sarebbe potuto assomigliare al gel babbano, pensando come sarebbero stati scompigliati . Ma come sarebbe tanta bellezza potuta essere nemica? Cos’era Scorpius Malfoy? Il giorno, forse? O la notte? Proprio non lo sapeva, ma Rose non era stupida, e sapeva che il giorno e la notte sono soltanto due facce della stessa medaglia, e Malfoy, era sicuramente entrambe.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Qualche Lentiggine Di Troppo'
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Buona sera a tuttii!
Come vi va la vita? (Nda voi: taglia corto.) Okay, Okay, sarò breve … Non è vero, amo ciecamente star qui a rompervi le pluffette con la mia presenza (* risata malefica *).. Coomunque, che divi? Che mi sento come una lumachina arrivata a scuola in anticipo! Ragazze, che fulmine! D’accordo, la pianto di gongolare sulla sedia! Vi starete chiedendo cosa ci faccia qui oggi..no?! (*silenzio totale*) vabbene, anche se non v’importa ve lo dico lo stesso U.u..non avevo nulla di meglio da fare. :D! No, scherzo, in realtà non sono riuscita a togliere le mani dalla tastiera, ed ho finito il capitolo con largo anticipo! :)
Anyway, passiamo alle cose serie.. ho deciso di dedicare questo capitolo a due personcine :):
La prima, è jellen, che ogni santissimo giorno, da otto anni a questa parte, mi sopporta, standomi accanto nel momento del bisogno, e devo dire che senza di lei non sarei neppure su questo sito a rompere le scatole al prossimo (sapete con chi prendervela ;D) . GrazieGrazieGrazie davvero chica, ti voglio tanto bine!
La seconda, è Priscilla (Oh Merlino quanto adoro il tuo nome! ;D) che con ogni recensione mi riempie il cuore di gioia, spingendomi a scrivere gli altri capitoli! Davvero, grazie. :)
Pooi, rigrazio tantissimo anche chi ha recensito. Seriamente, vorrei citarvi tutti, ma poi non sarebbe più uno spazio note, ma una specie di ‘Maria De Filippi show’ scritto! Le vostre recensioni sono importantissimissimisse, e vi adoro tutti, uno ad uno!
Okay, per oggi ho finito… (“VI VOGLIO BENE MAMMA E PAPÀ *urlo isterico, al microfono*) va bene, la smetto
-_-“ … il fatto è che mi diverto troppo :’D
Vi imploro in ginocchio, recensite, fatemi sapere se avete apprezzato il capitolo, se vi ha fatto schifo, se mi è scappato qualche Orrore grammaticale.. però fatemi sapere :)

Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat
P.s Vi consiglio di leggere da questo [*] simbolo in poi ascoltando Kiss the Rain di Yiruma


Chapter III
La strana storia di una piccola notizia

Il castello di Hogwarts, arroccato sulla cima della montagnetta, era illuminato dai raggi solari d’un mezzogiorno estremamente caldo, per i standard generali, e soprattutto per una giornata d’inizio Novembre come quella.
I giorni scorrevano lentamente per gli studenti, che imploravano in ginocchio, a Merlino, la precoce dipartita di qualche professore, o più in generale l’arrivo delle tanto agognate vacanze Natalizie.
Scorrevano lentamente le ore. Quelle passate a crogiolarsi sbadigliando ippopotamescamente[1] nella vecchia ed impolverata biblioteca il legno antico;quelle ore passate seduti in un banco, facendo finta di seguire la lezione, gli occhi vaganti a seguire una formica, un ragnetto, le proprie mani, il compagno di banco, o comunque, qualsiasi cosa non avesse un diretto contatto con il professore di turno o la noiosissima lezione in atto.
Scorrevano lentamente persino i minuti! Quei minuti passati a cercare di leggere in fretta le venticinque pagine da studiare, delle quali non si ricordava neppure il numero, quelli passati a sbattere i piede destro a terra, lo sguardo fisso al grande pendolo in mogano scuro, dalla leggera vetrata in cristallo, generalmente gli ultimi dell’ora, i più lunghi, insomma. Per capirci il tempo passava lentamente, quasi per dispetto, aggiungerei, dato l’impellente bisogno di Rose Weasley di tornare a casa e non incontrare gli sguardi maliziosamente derisori di quel … quel … quello sterco di ungaro spinato col parrucchino biondo!
Rose sbuffò, chiudendo di botto l’ennesimo tomo di Pozioni Avanzate, provocando un tonfo assordante molto simile all’esplosione d’una bomba ad orologeria, che le fece guadagnare un’occhiata di fuoco (nel lato negativo dell’espressione) da Madama Pince, il denutrito avvoltoio che da tempo immemore rompeva l’anima a chiunque osasse fare un respiro di troppo nella sua biblioteca. Rose borbottò uno “Scusi” poco convinto, prima di riconsegnarle il libro in pelle di drago, intitolato ‘L’alchimista dell’ombra’, non più molto convinta di voler intrattenere una conversazione con l’ex Serpe aquilina e poi filò via, cartella in spalla, testa alta, passo sicuro.
Perché mai come in quel momento, Rosie aveva bisogno di ostentare sicurezza.
Era da quel maledetto 31 Ottobre che la chioma perlacea di Scorpius Malfoy la seguiva ovunque, in ogni luogo, in ogni stanza, in ogni aula. Sempre. Certo, per quanto rifiutasse ammetterlo, la cosa non le dispiaceva granché … o meglio, non le sarebbe dispiaciuto spaccargli la faccia, se non avesse smesso di spifferare ai quattro venti “l’incidente” del bagno dei Prefetti. Perché si sa, a Hogwarts se un c’era segreto, era così segreto che due secondi dopo aver realizzato di doverlo costudire gelosamente, l’avevano già saputo tutti, quadri sorpresi. Il problema principale, però, non era che tutta la scuola fosse a conoscenza di quello che non era altro che uno stupido incidente, piuttosto che in ogni orecchio nuovo, questo scottante scoop, veniva modificato geneticamente, così che ogni studente, sapesse una cosa diversa. Rose, così, ad una settimana dalla disgrazia, era costretta ad ascoltare bisbiglii indiscreti provenire da ogni dove, insinuazioni infondate ridacchiate in ogni corridoio, e persino richieste sconce da parte di Barnaba il Babbeo Bastonato dai Troll, che ora la stava seguendo lungo l’atrio del settimo piano, passando di arazzo in arazzo -senza neppure chiedere il permesso-.
“Oh madama, accompagnate anche me nella stanza delle vostre brame!” le stava chiedendo, quando fu costretto a saltare da un arazzo raffigurante un grosso grappolo d’uva ed una mela infilzata da una bacchetta. La rossa si girò di scatto, contro ogni aspettativa di Barnaba, che continuò a saltare per un altro paio di arazzi, e che dovette poi tornare indietro, per nulla impaurito dallo sguardo omicida della ragazza. “NON SONO UNA PUTTANA! STUPIDO TROLL!” gli urlò, tanto forte da far fermare tutte le persone, per poi girare i tacchi , smettendo così di costeggiare la parete, infuriata come poche volte in vita sua. “Ma..madama, son un’insegnate di danza provetto, non un troll..VI PREGO, ASPETTATE!” le rispose, tendendo la mano verso di lei, mano che comunque rimase nel limite impostole dal tessuto persiano ricamato –tutto questo senza essersi accordo d’essere ‘ospitato’ da un arazzo rappresentante un minaccioso, ed arrabbiato, serpente a sonagli- . Rose, per tutta risposta, senza neppure girarsi, tese i braccio verso l’alto, alzando il dito medio, sventolandolo a mezz’aria, nel chiaro tentativo di renderlo ben visibile al povero Barbanaba, la quale mascella era calata sino alle ginocchia, a tale ‘barbaro’ gesto.
Già, con ‘ognuno sapeva una cosa diversa’ s’intendeva proprio qualsiasi cosa. La rossa trattenne a stento un urlo dal profondo sconforto, e stress. Non avrebbe retto per molto tutte quelle cose.
Ai piedi della torre dei Grifondoro, v’era come al solito John ad aspettarla, di ritorno dall’ultima lezione della giornata, appoggiato al muro di pietra in una posizione molle, quasi se stentasse appena a reggersi in piedi..ed effettivamente era così..
Se per Rose era stata una settimana estenuante, per Jack, che non parlava con la sua migliore amica da quel fatidico giorno, era stata anche peggiore.
Si sentiva svuotato, Jack, o meglio, si sentiva incompleto. Si sentiva terribilmente incompleto. Come nell’esatto istante che segue un taglio di capelli, quando guardi le crocchette cadere giù, e ti rendi conto che prima, quei sottili capelli, erano parte di te, ed adesso stanno svolazzando giù,giù, sempre più giù, fino a toccare il suolo, il pavimento, lontane dal loro posto d’origine. Jack, però, più che capelli, sentiva come se gli avessero amputato un braccio, o strappato via un organo vitale.. il cuore, ad esempio.
Ogni mattina, la vedeva salutare tutti, la vedeva rivolgere sorrisi radiosi a tutti, la vedeva abbracciare ragazzi, ragazze, la vedeva risplendere, per tutti, ma non per lui. E poi, Merlino la morsa che provava al petto quando vedeva il suo sorriso, quel sorriso, quello solitamente riservato a lui, quello che in qualche modo gli apparteneva di diritto, splendere per qualcun altro. Non gli aveva più rivolto una singola parola. Neppure una. Non uno sguardo. Gli mancava Lily, gli mancava come.. come … non sapeva definirlo, non sapeva definire quelle morse indecentemente dolorose, non era mai stato bravo con le parole, il filo che lo legava alla ragazza era un filo silenzioso, loro parlavano si, ma solo quando era indispensabile, si guardavano, si abbracciavano, si stringevano forte quando stavano male, si spalleggiavano l’un l’altra, come fratello e sorella da sempre. Che poi, Jack oramai non sapeva neppure se lui avesse contribuito a rendere speciale quel rapporto: lui era sempre stato uno spettatore della magnificenza di Lily. Lei lo salvava da sempre. Lei lo riportava a galla quando affondava. Lei combatteva . Per lui. Eppure, qualcosa gli diceva che stavolta sarebbe affondato. ‘Ti prego Lils, salvami ancora, da solo non ce la faccio.’ Pensò. Poi, con un sorriso mesto, salutò Rose, seguendola su per la scalinata di pietra, fino alla signora grassa.

“SCORPIUS HYPERON MALFOY!” stava sbraitando Albus, nell’angusto corridoio dall’inquietante quanto flebile penombra verdognola che portava ai dormitori maschili dei Prefetti Serpeverde.
Scorpius, stravaccato poco elegantemente sul suo letto a baldacchino, la testa inclinata all’indietro, nella bolla del piacere materiale più sporco che ci possa essere, non sentì le urla beduine dell’amico, fino a quando, con un calcio poderoso, questo non spalancò la porta della stanza, facendo sobbalzare il proprietario e l’intrusa. Questa, un’avvenente moretta, spuntò da sotto le coperte di laniccia smeralda, i capelli, originariamente ordinati (ritti in una severa crocchia made-in-purosangue) disordinati da sembrare dello stesso materiale delle coperte, di diverso colore; gli occhi sbarrati, dalla sorpresa, o dal timore d’essere scoperta da qualche compagna di dormitorio (quelle arpie non sapevano tacere nulla, a detta sua) o, peggio ancora dal suo ragazzo; le labbra, arrossate e gonfie, spalancate a dar man forte allo sguardo perso. A Scorpius venne quasi da ridere: no, decisamente la faccia da cucciolo spaurito non le si addiceva..non dopo che..
“Tu! Smamma.” Disse Albus a mo’ d’ordine, rivolto a.. Katie?... Katty?... Kitty?... Patty? tenendo la porta aperta con una mano ed indicandole l’uscita con l’altra.
La ragazza, poco abituata agli ordini, e soprattutto all’ira funesta Albus Severus Potter, spalancò ancora di più la bocca, portandosi al petto le lenzuola a coprire la pelle nuda, le gote imporporate, lo sguardo di chi non ha capito granché.
Il moro sbuffò, poco gl’importava in quel momento della presenza della giovane meretrice a dir la verità. Così richiuse la porta, sbattendola, poi, fece un sospiro e, senza degnare ulteriormente la ragazza di alcun’attenzione si girò a guardare Scorpius, che a petto nudo, stava accendendo una sigaretta babbana, per poi tornare a poggiare comodamente il capo alla testiera di mogano ricamato. “E tu, razza di bastardo! Come ti sei permesso di portarti a letto mia cugina?! Ti avevo avvisato, ti avevo detto che potevi scoparti chi ti pareva escluse Lily e Rose, e tu cosa hai fatto?” gli urlò irato, il volto, generalmente rilassato e solare, corrucciato in un’espressione del tutto nuova a Scorpius, che ignorò bellamente l’occhiata addolorata di Katie. “Tu, mi avevi detto che ero l’unica!” esclamò, gli occhi rigonfi di lacrime. “No … ragazza, sei soltanto una delle troiette che Scorpius si porta a letto!” Le rispose, brutale, Albus. Aveva voluto lei assistere alla conversazione, no?!
Scorpius si portò le mini alla nuca, scocciato dell’ennesima prova di sfiducia dell’amico. “Albus, ti ho detto già un miliardo di volte quello che è successo, come poi lo sappia tutta la scuola, non ne ho idea! Sono andato al settimo piano per farmi un bagno caldo e rilassarmi, ero appena stato con quella gnocca di McLaggen ed il bagno era occupato da Lenticchia, ho approfittato della situazione per farla innervosire, si è incazzata ed è andata via dal bagno mezza nuda. Punto. E’ finita li. Non le ho fatto nulla, e perché abbia detto al mondo il contrario non ne ho idea, forse anche lei ha capito che è un motivo di vanto vedermi senza maglietta.” Gli disse con voce annoiata, tra un tiro e l’altro, per l’ennesima volta in una settimana.
“Ma tu, mi avevi detto che ero l’unica!” fu l’unico bisbiglio che si sentì nei seguenti minuti.
Albus, ora era poggiato ala porta, il capo tra le mani, a sospirare pesantemente, Scorpius, disinteressato, continuava a fumare la sua sigaretta, mentre Katty, Katy o come si chiamava lo guardava ferita. ‘Oh, ma piantala, sapevi benissimo che stavo dicendo una cazzata, dubito che McLaggen non abbia raccontato alla sua migliore amica un’esperienza come..quella.’
“Dimmi che è la verità Scorpius, dimmi che le voci sono soltanto pettegolezzi stupidi, dimmelo.” Gli urlò ancora, col tono scontroso di chi da un ultimatum, gli occhi chiusi allo stress.
E mentre il biondo apriva la bocca per formulare una risposta, al di fuori della stanza, una ragazza dai crespi capelli rossi fuoco correva per gli i corridoi dei sotterranei, determinata, malgrado le occhiatacce dei ragazzi verde-argento, a raggiungere suo cugino prima che spaccasse la faccia al migliore amico, seguita da niente di meno che Hilary Nott.
“ALBUS!” Urlò, schivando due nanetti del primo anno, che la guardarono truci. Ma guarda te se adesso anche le pulci hanno voce in capitolo. “Weasley! Aspetta!” le urlò dietro la mora, suo malgrado terrorizzata dalla consapevolezza dello spettacolo che gli si sarebbe parato davanti. Lei era abituata alle storielle di Scorpius, ma qualcosa, nel suo profondo, le diceva che a Rose non avrebbe fatto piacere.
Ma la ragazza non l’ascoltò e, svoltando l’angolo, si diresse a passo fermo verso una macabra porta il legno scuro, con un’argentea etichetta che recitava ‘Prefetto Malfoy’. L’aprì. “Albus c’è stato un malin...” ma i ragazzi, presi dalla foga della discussione, non si accorsero neppure della nuova arrivata che, entrò cautamente nella stanza, giusto in tempo per assistere alla risposta del biondo.
“Diamine Al, te l’avrò detto un milione di volte! Non mi sono mai avvicinato a Waesley, e mai lo farò! A me non piace tua cugina. Dico seriamente, chi potrebbe mai avvicinarsi senza essere schiantato seduta stante?! La conosci, c’è un motivo se non ha mai avuto un ragazzo, è un repellente per lumache carnivore vivente!” ribatté, abbandonando il tono annoiato, spegnendo la sigaretta sul comodino e gettandola nella spazzatura.
A Rose quelle parole arrivarono dritte al cuore. Erano una fitta. Una stiletta. Erano..non sapeva neppure lei come fossero. Sapeva che il suo stomaco si stava stringendo, che il suo cuore diminuiva i battiti, sapeva che per la prima volta, Scorpius Malfoy, aveva ragione. Non notò neppure Patty, che la scrutava con odio. Si girò, e tornò sui suoi passi, riuscendo a mala pena a sentire un “Beh, hai ragione..”. Rallentò il passo, incontrando sulle scale Hilary che, seppe dallo sguardo vacuo della ragazza, che non aveva fatto in tempo. “Non ti hanno notato eh?” le chiese. Rose scosse la testa e le sorrise. Ahi, se le aveva sorriso era grave.
Rose non aspettò una replica, ma la superò e, dopo un’ultima occhiata, uscì dal dormitorio.
[*]Corse, Rose, senza una meta precisa, delusa da se stessa, delusa da Albus, delusa persino da Malfoy, delusa degli ultimi anni nei quali aveva soltanto sparato fiato, facendo finta di essere una persona che in realtà non era. Si era costretta ad essere Hermione e non Rose, si era costretta ad essere esattamente come tutti si aspettavano, senza badare agli amici. Già, gli amici. Era tanto che non parlava con John, con Hanna, tanto che non rideva con Lys delle pazzie della madre, tanto che non sosteneva conversazioni a proposito di nargilli con Lorcan. Tanto, troppo tempo. Troppo presa dallo studio, dai pensieri, dalle pretese altrui, diventando un repellente per lumache carnivore vivente.
Arrivò ai grandi corridoi esterni al castello, che costeggiavano il Cortile di Trasfigurazione e si sedé a cavalcioni di una delle numerosissime bifore in pietra, gli occhi alla luna, il freddo a perforarle la pelle, attraverso il solo strato delle maglioncino grigio, fino a far male, il freddo nel cuore, il freddo nell’anima.
Non rimase sola allungo, Rose, anzi, pochi attimi dopo venne raggiunta da una piccola figurina. Era una ragazza dai lunghi capelli biondi, dai bellissimi occhi azzurri, e dalla pelle del candore lunare. Dominique Weasley,si sedé accanto alla rossa, in silenzio, volgendo gli occhi al cielo. “Sai, secondo me non dovresti guardare la luna.” Le sussurrò, reclinando il capo fino a farlo cozzare alla fredda pietra, dopo qualche minuto passato nella quiete. Rose la guardò curiosa. “Perché? E’ così bella, è pura, è limpida, guarda come risplende, maggior fonte luminosa in un cielo così cupo.” Le rispose, piegando a libretto le gambe al petto, e girandosi verso la cugina, il volto tondo –prova della giovane età della ragazza- illuminato da un pallido bagliore. “E’ finta, Rose.” Le rispose Dominique con ovvietà, scrollando le spalle. Rose, seppur perspicace, non afferrò le parole della biondo, che continuavano melodicamente a rimbombarle nella testa.
La luna..aveva sempre pensato fosse la cosa più bella che il mondo potesse vantare. Così piccola rispetto questo, ma pronta ad illuminarlo nel momento del bisogno, così pura, limpida.. e poi, quei volti, solo lei li vedeva? Quei corpi abbracciati sulla sua superficie lattea? Loro erano quello che Rose aveva sempre ideato per amore. Soli, distanti, eppure vicini.
“Spiegati meglio” la incitò, abbracciando forte il proprio colpo, quando una folata di vento gelido la raggiunse. “E finta. Tutti la idealizzano come colei che illumina la notte, ma alla fine, cosa sarebbe lei senza sole? Nulla. Non splenderebbe, non illuminerebbe un bel nulla, se non fosse illuminata a sua volta. E’ finta e triste. E.. mi fa pena.” Le spiegò, tanto seriamente da far pensare a Rose che non stesse parlando soltanto della luna. “Insomma, non che la possa biasimare, alla fine, chi non vorrebbe essere illuminata da qualcuno? Dico solamente che la luna non è nulla senza sole. Certo, magari anche lei vorrebbe ringraziarlo, vorrebbe parlargli, vorrebbe stringerlo, ma alla fine, non possono incontrarsi mai, dico bene? Indiscutibilmente legati, ma perennemente distanti tra loro. Triste, non è vero?”Finì con voce rotta, spostando ancora una volta lo sguardo alle stelle, non potendo reggere lo sguardo di Rose. Aveva parlato troppo.
La rossa sospirò. “Sei tu la luna, vero Dominique?” le chiese, solamente, mentre un altro soffio di vento le scompigliava i ricci ribelli, portandola a scostare, con la mano tremante dal freddo, un ciuffo danzante sul viso, portandolo con un rapido gesto dietro l’orecchio.
Dominique deglutì. Si, era lei la luna. E James era il sole. Funzionava così, da sempre. Lei cadeva, lui la rialzava. Lei piangeva, lui le asciugava le lacrime. Lei moriva dentro, lui la riportava in vita. Era lui la sua luce, lui il suo cuore, lui la sua unica ragione di vita, lui il suo sole, lui in suo tutto. Sin da quando erano bambini. Da quel piovoso giorno d’Agosto, che Dominique ricordava benissimo.
Quel giorno la famiglia Potter era andata a pranzare a Villa Conchiglia. Era un periodo brutto per Dominique, che nonostante avesse poco più di sei anni, comprendeva benissimo la pessima situazione familiare nella quale si trovava: il precedente giorno Fleur aveva dato un bacetto ad un altro signore, Bill aveva urlato, aveva bevuto, e molti piatti erano stati tirati. Dominique aveva pianto silenziosamente, accanto al padre, condividendo con lui un momento eterno, uno dei pochi momenti che avevano condiviso in sedici anni, a dir la verità.
Aveva avuto il muso, quel giorno, al ‘grande pranzo’, aveva il muso, gli occhi tristi, e dopo aver assaggiato un paio di patatine fritte, era uscita in cortile, aveva aperto il cancelletto ed era corsa verso il mare.
Non la sopportava quella situazione, i sorrisi falsi della madre, i convenevoli del padre, l’atmosfera tesa che aleggiava in tutta casa, i capricci di Valerie.
Si era seduta sulla sabbia, fregandosene altamente della gonnellina a fiori, o delle scarpette argentate, si era seduta in riva al mare, dove i granelli dorati erano umidi. Aveva rabbrividito.
“Tieni, se ti viene il raffreddore chi giocherà con me?” le aveva detto una vocina, con un piccolo accenno maschile, appena accentuato. Aveva voltato il capo,guardando dal basso la figura minuta di un James Potter spaventosamente serio, che le stava porgendo una giacchetta di velluto, adatta alla stagione. L’aveva afferrata, sorridendo, mente il bambino sedeva accanto a lei.
“Non so cosa non ti faccia sorridere Domi, ma qualunque cosa sia, la odio.” Aveva detto, mettendo su un dolcissimo musetto. Aveva sorriso, Dominique, senza però ribattere a quella semplice affermazione. James allora, aveva fatto uno dei gesti che Dominique non avrebbe mai dimenticato: aveva preso le mani tra le sue, sussurrando “Sorridi, Domi, fallo per me” e le aveva sfiorato una gota fredda con le labbra.
Già, James c’era sempre stato, ed era tutto merito suo se ora poteva ancora sorridere, merito suo, se aveva una ragione per poter definire la sua vita degna di essere vissuta. Dominique annuì, in una ritardataria risposta al quesito postole, poi tornò a guardarla negli occhi. “E tu Rose? Tu cosa sei?” le chiese di rimando, portando i propri capelli davanti alle spalle. Rose sorrise mesta, poi, ricambiando lo sguardo della cugina, sussurrò :”Io..io sono il buio Dominique, io sono il buio.”
   
 
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