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Autore: Sinnheim    11/11/2014    1 recensioni
Uomini, non morti, mostri, demoni, dei. Collocati in un mondo dove apparentemente non vi è nessun nesso tra di loro, un unico filo conduttore unisce tutti loro: il non morto prescelto. Egli, che prenda le loro anime o che le salvi, entra in contatto con ognuna di queste esistenze ma... cosa si sa effettivamente di loro? Queste sono le storie delle loro vite ormai dimenticate nel tempo.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4: PRISCILLA

 

C’era una volta un abominio.

Penso che sarebbe questo il modo con il quale i genitori inizierebbero a raccontare la mia storia ai loro figli. Perché cos’altro potrei essere se non un abominio?  Un mero esperimento attuato da mio padre, con il puro e semplice scopo di vedere cosa poteva nascere da lui, drago traditore ormai vuoto e folle… Seath il Senza Scaglie lo chiamano. Io l’ho sempre chiamato solo papà, anche se per lui ero solo una cavia da studiare. 

Non so come ci sia riuscito: nel momento in cui creò la mia anima artificialmente, pur derivata dalla sua di anima, iniziai a vedere tutto, e più vedevo più volevo morire, dissolvermi nell’aria come bollicine. C’erano tante ragazze e tanti ragazzi dove mi trovavo ma tutti, nessuno escluso, piangevano e stavano rinchiusi in gabbie di cristallo; il loro terribile destino non mi fu mai rivelato da mio padre ma mi era ben intuibile. Mia madre è la dea Gwynevere, figlia del dio Gwin e principessa del Sole; mio nonno concesse enormi privilegi a mio padre per aver ribaltato le sorti della guerra contro i draghi, così tanti che perfino il vescovo Havel decise di opporsi categoricamente al drago… e per tutta risposta, Gwin lo rinchiuse in una torre, pur essendo un suo carissimo amico. 

Mio padre commise le più grandi atrocità che questa terra abbia mai visto, eppure mio nonno continuava a lasciarlo fare, fin quando non nacqui io: sotto la benevolenza di Gwin, mia madre Gwynevere acconsentì a portare in grembo l’esperimento di Seath, rassicurata dalla promessa che il nascituro sarebbe stato per tutto umano, ma con i poteri di un drago. Chissà, forse mia madre e mio nonno speravano in una sorta di miracolo in grado di ravvivare la fiamma primordiale… ma quando vidi la luce, occhi disgustati fissavano quella piccola creaturina candida come la neve: allora ero una neonata, ma ho dei capelli lunghissimi e bianchi, il viso di mia madre, gli occhi e la coda di un drago e una morbida pelliccia argentata. 

Ero un mostro. 

Vedevo facce inorridite allontanarsi da me, mio nonno non riusciva neanche a guardarmi… l’unica che mi rimase accanto fu proprio mia madre, che per quanto io fossi mostruosa lei non riuscì a non amarmi. Lo scandalo era troppo e le voci giravano: contro il volere di Gwynevere, mi rinchiusero nel castello di mio padre e restai con lui per parecchio tempo; prima di partire, mia madre mi donò una bambola dalla quale non mi staccai mai.

Era così morbida… lei non scappava da me, proprio come mia madre. Crebbi insieme ai mostri come me: mio padre faceva esperimenti su esperimenti, su non morti di cristallo, sulle fedeli di mia madre rapite e poi trasformate in… cose, piromanti deformati, semplici non morti sventurati… e di tutti quegli esseri, io ero senza dubbio il fenomeno da baraccone più curioso di tutti. Mi trattavano tutti bene, stranamente: ero come una sorella maggiore per la maggior parte di loro, in breve tempo diventarono la mia seconda, grande famiglia.

Mio padre non mi degnava di uno sguardo, se non per studiare l’evoluzione dei miei poteri: egli derubò l’antico popolo di Oolacile delle loro stregonerie più potenti e fece numerosi esperimenti per imparare ad usarli, uno dei quali lo usò anche su di me. Fu abbastanza facile per me prendere padronanza della capacità di diventare invisibile a mio piacimento, mio padre ne era completamente affascinato: tanto più sviluppavo poteri particolari, tanto più si interessava a me; così iniziai ad esercitarmi tutti i giorni per migliorarmi, per farmi notare da lui… desideravo disperatamente il suo amore. Essendo cieco, non si accorgeva mai quando mi avvicinavo furtivamente alle sue code e provavo a prenderle: faceva finta di non accorgersene, ma sono sicura che giocava con me. 

Forse nei momenti di lucidità mi voleva bene davvero…

Gli anni passavano ed io diventavo sempre più grande: le notizie che mi portavano dall’esterno narravano di una caccia spietata a tutto ciò che riguardava il dio Velka da parte degli dei; che fossero stregonerie, piromanzie, armi, armature, poco importava, veniva portato via tutto. 

Papà mi spiegò che Velka è il dio del peccato e che intorno a lui si era creato un vero e proprio culto, ma del perché gli dei ne avessero tanto timore non mi seppe dire nulla. Il tempo passava, e con lui crescevano anche le pile di oggetti considerati pericolosi e taboo per gli dei: presto non solo gli oggetti, ma anche gli esperimenti di mio padre entrarono a far parte della lista. La mia famiglia. 

Un grande pittore, Ariamis, dipinse un quadro gigantesco che nascondeva un segreto terribile: gli dei crearono un mondo vero e proprio nel dipinto, un luogo inaccessibile dove nascondere tutte quelle indegne cose che non rispettavano il loro volere; in breve tempo radunarono anche gli esperimenti di mio padre e li sigillarono là dentro con tutto il resto, c’era perfino il tizzone oscuro per forgiare armi occulte, letali per le divinità. Chissà quanta morte avevano sparso per recuperarlo. Nel castello regnò un silenzio doloroso per molto tempo: ero sola, di nuovo, non potevo più sopportarlo. Feci una proposta a mio padre, il quale accettò senza troppe storie: non avevo più niente di interessante da studiare, fuori non mi era permesso uscire, avrei vissuto un’esistenza in completa solitudine, quindi decisi di rinchiudermi nel mondo di Ariamis con coloro che mi volevano bene.

Il giorno stabilito c’erano tutti: mio nonno, mia madre, la servitù, addirittura mio zio Gwendolyn; egli, quando mi vide, non provò disgusto, bensì inaspettata solidarietà, tanto che mi donò una falce per difendermi in caso di necessità. Sentivo molti mormorii tra le persone presenti, mi chiamavano Priscilla la Mezzosangue.

Non era per niente male, mi piaceva molto. 

Gwin mi nominò guardiana del dipinto e di tutto ciò che vi era nascosto all’interno, così guadagnò un mostro potente a difesa di quel luogo e, allo stesso tempo, mi faceva sparire da quella terra. 

Due piccioni con una fava, molto ingegnoso, ma non sono per niente scontenta: finalmente posso stare con coloro che mi vogliono davvero bene, non sarò mai più sola. Li proteggerò a costo della vita. 

Ma quello chi… oh. Un non morto straniero. Deve aver trovato la mia bambola magica che funge da chiave per questo mondo. Per favore, torna sui tuoi passi e torna dall’altra parte, questa non è casa tua…

  
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