“Sai da dove
vieni?
… vicino all’acqua d’inverno
io e lei sollevammo un rosso fuoco
consumandoci le labbra
baciandoci l’anima,
gettando al fuoco tutto,
bruciandoci la vita.
Così venisti al mondo.
Ma lei per vedermi
e per vederti un giorno
attraversò i mari
ed io per abbracciare
il suo fianco sottile
tutta la terra
percorsi,
con guerre e montagne,
con arene e spine.
Così venisti al mondo.
Da tanti luoghi vieni,
dall’acqua e dalla terra,
dal fuoco e dalla neve,
da così lunghi cammini
verso noi due,
dall’amore che ci ha incatenati,
che vogliamo sapere
come sei, che ci dici,
perché tu sai di più
del mondo che ti demmo.
Come una gran tempesta
noi scuotemmo
l’albero della vita
fino alle più occulte
fibre delle radici
ed ora appari
cantando nel fogliame,
sul più alto ramo
che con te raggiungemmo.”
(Pablo Neruda)
Quattro anni dopo:
“Ancora una
volta” esclamò la ragazzina dai riccioli rossi, con la fronte imperlata di
sudore.
Tormentose
grida riempirono la camera, troppo minuscola per contenerle tutte.
Sesshomaru
strinse la mano di sua moglie, fissandola inquieto.
Coricata sopra
un morbido giaciglio macchiato di sangue, Rin lottava incessantemente. Con gli
occhi serrati, le labbra carnose leggermente dischiuse, il pallido volto
avvolto in una morsa di puro strazio.
“Respira” le
sussurrò, carezzandole i lunghi capelli scuri, sparsi oltre le spalle.
“Respira, Rin.”
In un attimo
vide la donna sorridere riconoscente, rispondendo debolmente alla stretta di
Sesshomaru. Dopodiché un nuovo, angoscioso urlo scosse il sottile corpo della
moglie. Percuotendola.
Come sarebbe
riuscito a perdonare e accettare qualcuno capace di ferire tanto la sua Rin?
Era colpa
loro. La stavano uccidendo lentamente, inesorabilmente.
Non poteva
amarli. Non voleva.
La paura e la
frustrazione lo invasero. Terrore per ciò che gli avrebbe riservato il futuro. Costernazione
per la sua imperdonabile impotenza.
Come poteva
sperare di vincere questa volta? La sua era una battaglia a senso unico. Lui
non era in grado. Non sapeva cosa fare, come farlo.
Era impreparato
mentalmente. Inesperto naturalmente.
All’improvviso
la casa si fece silenziosa per qualche secondo.
Il demone,
sgomento, guardò velocemente la ragazza lentigginosa, in cerca di una risposta.
Prima che essa
potesse aprire bocca, due nuove voci risuonarono impertinenti.
Due nuovi,
differenti lamenti.
“Mai” bisbigliò
Rin, cercandola con i profondi occhi neri. “Che succede? Come stanno?”
Sesshomaru
tentò di tranquillizzarla, spostandole una ciocca arricciata a causa del sudore
dal viso.
Percepì le
lontane risa liete della giovane, accompagnate da uno scrosciare d’acqua
evidente.
“Sono
bellissimi” rispose la rossa, commossa.
Il respiro di
Rin si fece lentamente regolare, permettendole di rilassarsi contro il corpo
del demone.
I suoi occhi lo
catturarono, sorridendo. Le guance arrossate. Il visetto esultante.
“Sei stata
brava” affermò Sesshomaru, posando la fronte contro quella della moglie. Lei lo
attirò a se, baciandolo castamente sulle labbra.
Un rapido
movimento ghermì l’attenzione di entrambi, facendoli voltare.
La ragazzina
rossa si avvicinò al giaciglio, l’uno e l’altro braccio occupati.
“I vostri
gemelli” disse, rivolta alle piccole creature avvolte da panni bianchi e rossi.
Sesshomaru si
spostò prontamente, permettendo alla moglie di accoglierli tra le coperte,
accanto a lei.
La osservò
meravigliata, adorante, beata. Rin baciò la fronte dei neonati, cullandoli
dolcemente.
“Un maschietto
e una femminuccia” sussurrò al marito. “I nostri figli.”
Uno dei due
cominciò a piangere ostinatamente, dimenandosi contro il petto della madre che,
stupita, si morse il labbro inferiore.
Era in
difficoltà, intuì Sesshomaru – senza riflettere si sporse in avanti, posando
una mano sopra la piccola agitata.
Fu allora che
la scrutò incuriosito, sedendosi vicino a Rin. Automaticamente.
Era davvero
minuscola, morbida, profumata.
Aveva un
visetto dai tratti regolari, puliti; zigomi alti, linea degli occhi allungata.
Capelli
argentati.
Gli somigliava,
pensò stringendola gentilmente. Ma avrebbe preso dalla madre caratterialmente. Così
curiosa, euforica, allegra.
“Mizuki”
lo precedette Rin.
Una leggera
stretta lo costrinse a cambiare soggetto. L’altro neonato afferrò risoluto la
manica del suo kimono, fissandolo interessato, ma taciturno.
Sesshomaru notò
la faccia paffuta, a forma di cuore; due grandi occhioni dalle iridi dorate. Labbra
carnose.
Lui era così
simile alla madre, ma allo stesso tempo così simile a se stesso.
Testardo,
investigatore, riservato. Il demone afferrò con la mano libera, quella sottile
del figlio.
“Hideki”
sussurrò.
Solo allora si
accorse delle lacrime. Le sue.
“Sesshomaru”
mormorò commossa Rin, asciugandogli una guancia.
Il demone non
ricordava più come avrebbe potuto odiare quelle creature inoffensive e
bellissime.
Non riusciva a capacitarsi
del perché; li avrebbe solo voluti tenere entrambi tra le braccia, proteggerli
dal mondo esterno assieme alla moglie.
Amava Rin,
rifletté. Amava anche loro, dunque.
Tornò a
guardare prima l’uno poi l’altra.
I suoi figli.
I loro figli.
I figli di Rin.
Non umani, non
demoni, non mezzi demoni. Non importava.
Perche avevano
il suo sangue, il suo aspetto, il suo carattere, misti a quello della donna che
amava. Erano perfetti.
Percepì, in
lontananza, un flebile sussurro.
Un congratulazioni
sfumato, trasportato dall’esile brezza estiva.
Il fratellastro
Inuyasha vegliava sulla casa, ignorando, come al solito, qualsiasi ordine
impartito dal demone maggiore. Sesshomaru annuì impercettibilmente, obbligato. In
qualche modo sapeva che gli sarebbe bastato. Non c’era bisogno di nient’altro.
“Grazie” disse,
rivolto alla moglie.
Adesso aveva
finalmente compreso.
Il significato
di famiglia. Il significato di amore. Il significato dell’essere padre.
Questo era
il suo lieto fine.
Questo era il loro lieto fine.
Twin Souls – After Story
Note Autrice:
Ringrazio con
tutto il cuore chiunque abbia seguito questa storia.
È stato un
bellissimo viaggio che è, purtroppo per me, arrivato a destinazione.
C’è stato un
momento in cui mi è balenata in testa l’idea di scrivere un racconto a parte; il
futuro con protagonisti i piccoli Mizuki e Hideki.
Ma infine mi
sono convinta che è meglio lasciare le cose così come stanno.
Per dovere di
cronaca, i significati dei due nomi sono, rispettivamente:
- Mizuki “Bella luna”
- Hideki “ Albero eccellente”
E sì, non sono
stati scelti a caso. Sono l’ultimo dono che offro a Rin e Sesshomaru.
Ogni singolo
particolare, nei gemelli, richiama il loro essere metà demoniaco e metà
umano.
Primo tra tutti
l’essere, appunto, gemelli diversi, eterozigoti.
Volevo calcare
il concetto di duplicità e antitesi.
Come da
descrizione, Mizuki somiglia fisicamente al demone, ma erediterà lo stesso
carattere della madre.
Il nome della
gemellina è un omaggio alla natura demoniaca di Sesshomaru:
la “ bella
luna” non è altro che il simbolo di mezza luna sulla fronte del demone.
Hideki, invece,
è spicciato alla mamma, ma assume (già da neonato, ohibò) l’atteggiamento del
papà.
Il significato
di “ albero eccellente” si allaccia alla traduzione di un altro nome noto nel
racconto; quello di Kaede “acero.”
Ora, è vero che
Rin è umana, ma ha sempre vissuto assieme al demone (una sorta di Tarzan
femmina).
La vera
esperienza di vita tra gli uomini è iniziata al fianco di Kaede.
Perciò “albero
eccellente” è un omaggio alla natura umana di Rin, tramite l’esperienza di
vita con Kaede (trad. Acero).
Mazza che
sudata questa spiegazione.
Comunque è la
mia interpretazione personalissima (ovvio) e la amo.
Non potrei non
amarla di più.
Comprese le
lacrime di Sesshomaru; la pace fatta con Inuyasha.
A qualcuno
potranno non piacere ma oh, arrivata alla fine della storia, posso permettermi
qualche colpo di testa!
Detto ciò,
sparisco.
Sono quasi
convinta che inizierò un racconto mio, originale;
probabilmente
scriverò anche di qualche altro manga. O telefilm.
Ma voglio
comunque spaziare.
Spero che
continuiate a seguirmi.
Non smetterò
mai di ringraziare tutti.
E infine, ringrazio
Rumiko Takahashi. Grazie per aver creato questo piccolo, grande
capolavoro chiamato Inuyasha.
Road chan