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Autore: Red_Coat    11/11/2014    7 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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Sono passati due giorni dall’ultima volta che ho visto Zack, tre da quando abbiamo parlato seduti al tavolino di quel bar. La mattina del giorno dopo, prima di partire per la missione di ricerca di Angeal e Genesis ha voluto salutarmi a tutti i costi. Era eccitato e speranzoso, talmente tanto che mi sembrava quasi di sentire i pensieri che gli ronzavano in testa in quel momento, mentre mi raccontava che questa missione in precedenza era stata assegnata al mio generale e che gli avrebbe permesso di chiarire un paio di cose con il suo maestro, di rivederlo. O almeno così sperava lui.
Mentre mi parlava, io riuscivo solo a pensare al fatto che probabilmente avrebbe incontrato Genesis, che quell’essere meschino ci avrebbe provato anche con lui così come aveva provato a corrompere me, e anche se confidavo nel fatto che Zack di sicuro non fosse uno sciocco, mi sono ritrovato a temere per lui.
Che mezzi avrebbe usato Genesis per cercare di convincerlo a disertare? Avrebbe sfruttato il legame che li univa entrambi ad Angeal? O avrebbe fatto leva su ciò che lui pensava della Shinra, la società che fino a quel momento lo aveva nutrito e gli aveva fornito i mezzi per quella sua egocentrica e insensata ribellione?
Zack non si sarebbe fatto corrompere, pensai mentre stringevo la sua mano e poi mentre lo abbracciai raccomandandogli di guardarsi le spalle, ma dentro di me la paura aveva ricominciato a riaccendersi ribollendo come una pentola d’acqua calda rimessa sul fuoco.
Zack non era stupido, ma cosa sarebbe stato disposto a fare per riportare il suo mentore affianco a lui, sulla retta via?
Inutile dirvi che non dormii, né la sera della sua partenza ne quella dopo.
Neppure la notte appena trascorsa sono riuscito a chiudere occhi, ed ora mi trovo qui sdraiato sul mio letto a pensare a lui fissando il soffitto macchiato d’umidità, mentre fuori la pioggia continua a picchiettare incessante l’asfalto nero ormai da un giorno e mezzo e le Ha cominciato a piovere sin dal primo pomeriggio di due giorni fa, sei ore dopo la partenza di Zack, e da allora non ha più smesso. Tutto questo non fa che peggiorare la mia ansia, che non è alleggerita neanche dagli allenamenti di Sephiroth, sempre più intensi e snervanti.
Sembra che voglia portarmi al limite delle mie capacità per poi riportarmi indietro per mezzo di solenni rimproveri e consigli velati. “Concentrati solo sull’uso della spada, usa gli attacchi magici solo quando non hai alternativa” “Sii preciso e rapido con la katana” “non perdere mai di vista il tuo avversario” “non essere concentrato sul tuo modo di combattere ma su quello del tuo avversario. Limitati a respingere gli attacchi fino a che non lo avrai studiato abbastanza per colpirlo”. L’ultima volta, risalente a ieri mattina, dopo un’intensa simulazione in cui ho dovuto sfoderare tutto il mio arsenale di tecniche di combattimento tattico escludendo l’uso degli attacchi magici, il consiglio giornaliero di Sephiroth è stato quello di guardarmi le spalle dagli scienziati.
Mi ha stupito, lo devo ammettere. Tutte quelle manfrine sul mio modo di combattere, e poi all’improvviso ecco che mi consigliava – tra l’altro molto seriamente – di tenermi alla larga dal reparto scientifico e di non esibirmi davanti a loro. Comunque, per quanto io ci provi non riesco proprio ad essere concentrato né su quell’avvertimento, né tantomeno sui suoi insegnamenti.
Uso troppo la magia, forse per compensare la mia poca preparazione agli attacchi fisici. In fondo, seppure io abbia imparato a memoria le mosse di Sephiroth, non ho molto nel mio repertorio e spesso per difendermi da nemici potenti devo ricorrere agli attacchi di fuoco o di elettricità. La mia preparazione alla difesa è scarsa, e fino a che non avrò imparato a combattere come si deve con l’uso della katana non credo che mi sia concesso di usare altri mezzi, tanto meno quelli magici. E poi, gli attacchi magici richiedono anche molto energia, che deve essere usata solo in casi di estrema necessità. In più, ho bisogno di coltivare pazienza e spirito di sopportazione.
E questi sembrano i due giorni meno adatti a sopportare questo genere di addestramento.
Ci provo, sul serio, ma il solo pensiero che quella possa essere molto di più che semplice pioggia mi mette angoscia e sono continuamente distratto dall’ansia e dalla preoccupazione. Troppa.
Se non mi do una mossa, Sephiroth mi ammonirà con un’altra delle sue massime ed inizierà a bombardarmi anche sotto questo punto. Ammesso che non lo stia già facendo.
Di darmi una calmata non se ne parla, perché è come se tutta quest’ansia fosse un presentimento orribile ed insopportabile che non riesco a capire, ma non posso continuare così.
Come faccio ormai da due notti, afferro il telefono vicino il mio letto e lo apro sperando di trovare un messaggio di Zack che scongiuri il peggio, ma ancora nulla.
È normale, penso cercando nervosamente di controllarmi, è in missione credo che non riesca a trovare neanche il tempo di telefonare.
Ma aveva detto che sarebbe rimasto via solo un giorno, come mai tutta questa attesa.
Sbruffo, irato con me stesso, e mi alzo dal letto con ai piedi ancora i miei anfibi neri.
Senza preoccuparmi dell’aria fredda che penetrando dalla finestra semi aperta punge la pelle delle mie braccia, lasciate scoperte dalla mia solita maglietta bianca a mezzemaniche, mi dirigo fuori dalla mia camera, nel piccolo ingresso diviso in soggiorno, cucinino e sala da pranzo.
Sono le 4.35 del mattino, tra meno di un’ora dovrò trovarmi nuovamente al lavoro, e ho tre quarti d’ora di tempo per riprendermi del tutto e far scomparire la nebbia dalla mia testa e quella faccia sconvolta che mi ritrovo. Ma per adesso, l’unica cosa che riesco a fare è mettere su un caffè e sedermi al tavolo ad aspettare, assorto in uno stato di totale assenza dalla realtà. Nella mia mente ho ancora il mio ultimo colloquio con Zack, quel giorno che gli parlai di mio nonno, e la sua domanda rimbomba ancora nelle mie orecchie: Perché sei diventato un soldier?
Per Sephiroth, per mio nonno, per adempiere una promessa ma sorprattutto … per me.
E all’improvviso si dipinge nei miei occhi quella sera di un anno fa ormai, in cui decisi che la mia unica scelta di vita sarebbe stata quella. E che neanche mio padre avrebbe potuto fermarmi
 
***
 
Non avevo mai sentito il bisogno di pensare solo a me stesso così forte come in quel momento. Così come non avevo mai avvertito quel senso di amaro in bocca così pressante e difficile da digerire come in quell’istante.
Avevo appena compiuto ventidue anni, non ero più un bambino, oramai. Sapevo badare a me stesso e non avrei dovuto cercare l’approvazione di nessuno. Proprio il contrario di quello che avevo fatto negli ultimi due giorni. Dopo aver inviato l’ultimo messaggio, circa 32 ore prima, mi ero sentito bene, ed avevo cominciato ad attendere le risposte eccitate dei miei amici, in trepidante attesa. Ma erano passate due ore, poi ventiquattro e alla fine due giorni interi senza più udire una loro notizia. Li avevo chiamati, ma alcuni avevano riagganciato subito e altri avevano fatto finta di non sentire il telefono. Rintracciarli era diventato impossibile tanto che cominciai a pensare si fossero messi d’accordo per ignorarmi, e tutta la contentezza che avevo provato fino a quel momento inizio a trasformarsi in profonda delusione. Era la prima volta che mi accorgevo di quanto qui a Midgar la parola SOLDIER potesse fare paura, molta più paura di quanta non ne provocasse nei ragazzi che provenivano dai paesi limitrofi.
E tornai a pensare a mio nonno, alla promessa che gli avevo fatto, a quel giorno nella radura quando scoprii i miei poteri e a come lui reagì a quella notizia. Mi guardò dritto negli occhi, mi chiese di rifare quello scudo e non appena io obbedii lui mi sorrise e abbracciandomi sussurrò nel mio orecchio
 
<< Sei speciale, piccolo. Usa ciò che hai! >>
 
Anche Sephiroth era speciale. Mi ero convinto di questo mentre lo guardavo scalare la classifica fino ad arrivare alla carica da 1st in pochissimo tempo, un paio di anni o anche meno. Aveva qualche anno più di me, ma già tutti parlavano di lui come dell’enfant prodige di SOLDIER, e la prima volta che avevo incrociato una sia immagine in tv avevo avvertito una scossa lungo tutta la spina dorsale che mi aveva convinto a dare serio credito a quella piccola idea che si era insinuata nella mia mente. Potevo usare ciò che avevo solo seguendo quel sogno impossibile d'incontrarlo. E poi, c’erano quelle strane sensazioni, quei ricordi non miei, che sembrarono come attirati da una calamita non appena nel mio pensiero s’insinuava la sagoma di Sephiroth.
Avevo passato due settimane di notti insonni e giorni con la testa tra le nuvole prima di convincermi a pieno che quella fosse la soluzione più giusta.
Sapevo che mio padre non l’avrebbe presa bene, in un certo senso ero anche preparato a questo, ma non mi aspettavo il voltafaccia da parte di tutti i miei amici, alcuni di vecchia data e che credevo mi avrebbero accettato sempre per ciò che ero, e non per la divisa che portavo.
Evidentemente mi sbagliavo, ed in quel momento cruciale mi ritrovai solo a dover affrontare la mia incombente paura di quello che avrebbe fatto mio padre. Da una parte c’era Sephiroth, le risposte che avrebbe potuto dare ai miei ricordi, tutto ciò che avrei potuto imparare stando con lui, ciò che sarei potuto diventare, e le risposte che avrei potuto schiaffare in faccia a chi mi aveva abbandonato come se per tutto quel tempo non fossi esistito. E tra me e Sephiroth c’era la delusione profonda nell’essere stato cancellato con un colpo di spugna dalle persone più importanti della mia vita, e la paura che mio padre decidesse di fare lo stesso. Continuavo a rivedere quelle persone nei miei sogni, alcune volte piangevo durante il sonno e mi svegliavo su un cuscino bagnato fradicio come se fossi ancora un bambino. E subito dopo venivano il senso di abbandono, la rabbia e la voglia di rivalsa. Non avrei permesso mai più a nessuno di farmi soffrire così tanto, non sarei mai più stato tanto stupido da lasciare che un completo estraneo entrasse così facilmente nella mia vita per poi abbandonarmi con altrettanta rapidità.
Il mio unico scopo sarebbe stato quello di seguire Sephiroth e trovare una risposta ai miei perché, e nulla mi avrebbe impedito di seguirlo. Neanche mio padre.
 
Mi alzai dal letto, dove ero immerso nei miei pensieri guardando i poster del 1st class dai lunghi capelli albini, e con indosso solo un jeans e una maglietta a mezze maniche bianchi, uniti a un paio di sneakers dello stesso colore, mi diressi in cucina.
Trovai mio padre e mia madre intenti in una piccola diatriba su come risolvere il problema di un amico di mio padre che non aveva saldato il conto con lui, che ammontava a 300 gil per un lavoro ad una recinzione non so dove.
Appena mi videro comparire smisero quasi subito di discutere e mi rivolsero la loro attenzione. Ero determinato, anche se un nodo di ansia in gola per poco non m’impediva di respirare, e la mia lingua all’improvviso era diventata totalmente secca.
Piantai i miei occhi in quelli neri di mio padre, che prese a fissarmi preoccupato mentre mia madre – che sapeva già ciò che avevo da dire e aveva rispettato la mia scelta di rivelare personalmente a Yoshi la mia decisione – si limitò ad annuire con un sorriso.
 
<< Papà, devo parlarti! >> dissi, con voce sorprendentemente chiara.
 
Mio padre mi fissò a lungo, e nel suo silenzio cercai di intravedere i suoi pensieri. Dovevo sembrargli così diverso dal solito, per lui che era abituato a vedermi ancora come quel bambino testardo nella radura.
Invece il tempo era passato, e mentre lui invecchiava io ero diventato un giovane alto, piazzato e con le spalle dritte tipiche di chi non ha bisogno di fornire spiegazioni. I miei capelli ricadevano lunghi quasi fino alla fine della schiena, me li ero fatti crescere volontariamente in onore del mio eroe anche se avevo mantenuto il loro colore naturale e avevo deciso di sistemare la frangia spettinata all’indietro, lasciando libera la fronte spaziosa e ben in vista le sopracciglia, sottili e ben delineate.
Inoltre, per via dello sporto che amavo praticare, di ogni tipo e che mi servisse per scaricare la tensione e aumentare i muscoli, le mie braccia erano forti e cominciavano ad essere piazzate quasi come quelle di un soldier.
Era questo mio cambiamento, che sembrò palesarglisi all’improvviso con chiarezza davanti agli occhi, o era forse la sensazione di qualcosa di inaspettato e terribile come la mia decisione di andare contro ogni suo insegnamento che lo rendeva così serio e quasi minaccioso?
Decisi di non cercare una risposta, e obbedii con risolutezza quando lui m’indicò con un movimento della mano di sedermi, mentre lui si apprestava a fare lo stesso.
Ci ritrovammo seduti l’uno di fronte all’altro ai due lati del piccolo tavolo in legno, occhi negli occhi, mentre mia madre si acquietò in un angolo osservandoci con un sorriso. Lei sarebbe stata fiera di me anche se fossi diventato un mostro come quelle copie di Genesis. Ma mio padre no.
Lui odiava la Shinra, aveva sempre cercato di impedirmi una simile scelta e ora sarebbe rimasto profondamente deluso. Sarei stato la sua spina nel fianco, il suo più grande fallimento, la sua delusione più totale. Il figlio che molto probabilmente non avrebbe mai voluto avere. Ricordai a me stesso perché lo stavo facendo, e fu solo grazie a mio nonno se riuscii ad aprire bocca quel giorno, in quella frase pronunciata con così tanta veemenza, come a dire “non m’importa cosa ne pensi tu. Io lo farò!”
 
<< Voglio arruolarmi e diventare un Soldier, papà! >> dissi, e lo vidi sbiancare sollevando piano gli occhi per guardare non solo i miei occhi ma tutto il mio viso, la mia espressione, me, come se non potesse credere che quello che aveva davanti fosse realmente suo figlio.
 
Guardai mia madre, lei sorrise. È fatta, pensai, vada come vada. Deglutii, e fu allora che, dopo un interminabile istante di silenzio incredulo, mio padre lasciò scivolare le sue mani rugose sulla superficie legnosa del tavolo e guardandomi mi rivolse uno dei suoi sguardi più torvi.
 
<< Come tuo nonno? >> chiese.
 
Annuii.
 
<< E come Sephiroth! >> aggiunsi.
 
Yoshi chiuse gli occhi e sospirò, poi si alzò in piedi e guardandomi dall’alto si limitò a dire, severo.
 
<< Se è questa la tua decisione … Non mi resta che accettarla. >>
 
Sospirai sollevato, accorgendomi di aver trattenuto il fiato dal momento in cui mi ero seduto fino ad allora, e mi alzai annuendo con decisione pronto a dirigermi in camera quando improvvisamente la sua voce mi fermò.
 
<< Sappi però che non ti sosterrò! >> mi disse << Quando la tua mente sarà avvolta dai dubbi, quando le iniezioni di mako e tutte le diavolerie che quelli della Shinra fanno sui nuovi arrivati per garantire loro la forza dei super uomini ti faranno sentire talmente male da impedirti perfino di ragionare, quando scoprirai la paura, il dolore e la sensazione di non poter far nulla, quando finalmente ti accorgerai di quello che sei diventato, non ti aspettare di ricevere un qualunque conforto da me. Dovrai affrontare le conseguenze delle tue scelte, da ora in avanti. Non sei più un bambino! >> concluse, e percepii della rabbia mal contenuta in quelle brucianti parole.
 
Non era quello che mi aspettavo, era molto meglio. E quasi senza accorgermene, stavo sorridendo come se quelle parole non avessero fatto altro che incoraggiarmi ancor di più.
 
<< Non lo sono più! >> confermai, annuendo.
 
Poi, mentre sugli occhi di mia madre era spuntata una piccola lacrima, io e mio padre seguitammo a fissarci ancora per qualche istante, prima che io mi ritirassi nuovamente nella mia stanza in attesa che quella dannata notte passasse, così da potermi recare il giorno dopo ad adempiere la mia scelta.
Dormii con stretta al cuore la piccola e vecchia statuina del 1st class, sognando una nuova vita in cui non avrei avuto bisogno di nessuno eccetto Sephiroth e me stesso per arrivare al limite, e non riuscii a non scattare in piedi quando la sveglia suonò.
Basta coi ripensamenti, mi dissi, facciamo sì che il sogno diventi realtà.
 
***
 
Un rumore risveglia i miei pensieri. Mio padre si è svegliato, ed ora mi porge una tazzina di quel caffè che per poco non rischiava di riversarsi sul fornello.
Non dice nulla, ma nel suo sguardo leggo ogni singola parola, e lo accetto senza fiatare.
Non posso aspettarmi sostegno da lui, me lo ha detto quel giorno e da allora non ha fatto altro che dimostrarmelo. Avvicino la tazzina al naso per inebriarmi con l’odore del liquido nero e caldo, e ne inspiro talmente tanto da sentirmi stordito. Lo vedo osservarmi con la tazzina alla bocca, e credo per qualche istante di scorgere la luce di un sorriso in quegli occhi profondi e neri come pece, ma non posso dirlo con sicurezza per via dell’oscurità che ancora domina la stanza in cui ci muoviamo. Sono in ritardo, non ho tempo per questo.
Ingurgito tutto in un secondo, godendomi il sapore amaro e la temperatura quasi ustionante che rende immediatamente insensibile la mia lingua, poi ficco in bocca una zolletta di zucchero e alzandomi mi fiondo fuori senza neppure salutare.
Riesco a sentire il rumore della porta che sbatte alle mie spalle, i miei passi che riecheggiano sui gradini in pietra, e il cigolio del portone che si apre dandomi l’accesso sulla strada prima che la mia mente torni ad essere completamente assorta dai pensieri. Oggi non sarà facile, penso con rammarico, Sephiroth non me lo perdonerà.
 
***
 
La simulazione s’interrompe bruscamente ed io cado in ginocchio a terra, buttando la testa all’indietro ed emettendo un profondo sospiro.
Sento lo sguardo contrariato del mio generale su di me ed i suoi passi riecheggiano sul pavimento di lega della sala di addestramento. In un attimo è su di me. Apro gli occhi e gli rivolgo uno sguardo rassegnato, aspettandomi di tutto. Ma lui si limita a guardarmi con sguardo paziente e mi annuncia.
 
<< Zack è tornato. >>
 
La mia mente ha una specie di shock. Per qualche secondo non faccio che boccheggiare mentre sento rimbombare quella frase nella mia testa e riesco solo a rialzarmi stupito, chiedendo.
 
<< Da quanto tempo? >>
<< Un giorno e cinque ore. >> risponde Sephiroth, poi aggiunge contrariato << Gli ho chiesto io di non dirti nulla, ma è evidente che non riesci ancora a dominare i tuoi pensieri quando sei in battaglia. >>
 
Sono stato una frana oggi, questo è vero. La simulazione non era tanto difficile, se mi fossi concentrato avrei potuto finirla in bellezza, ma non ho fatto altro che pensare solo alle mie preoccupazioni e se Sephiroth non avesse interrotto la missione avrei finito per essere divorato da un paio di bestioni inferociti.
E dire che con la katana sto dimostrando qualche progresso in più. Ma per il mio mentore non è sufficiente, e neanche per me. Pessimo, pessimo, pessimo.
Ma l’unica cosa a cui riesco a pensare ora è “perché diavolo non me lo ha detto?”. Cosa mi succede ultimamente? Sto perdendo il controllo della mia mente, e mentre dovrei essergli grato di avermelo fatto capire non riesco a non avercela con lui per avermelo tenuto nascosto. Un giorno e cinque ore? Così tanto?
Ma come mai io non l’ho incontrato? Forse perché stava cercando di obbedire all’ordine di Sephiroth, e questo continua a innervosirmi.
Ma non ho tempo di protestare, perché dapprima il trillo del cellulare del mio generale e poi quasi contemporaneamente le luci rosse di emergenza che iniziano a lampeggiare in sincronia col segnale acustico di pericolo mi mettono in allarme.
Rivolgo la mia attezione a Sephiroth, che dopo aver risposto al telefono quasi ignorando il segnale, sfodera la sua arma e mi ordina.
 
<< Siamo sotto attacco, pare che le copie siano arrivate a Midgar. Vai al piano di sotto e cerca di contenerne quanto puoi, io raggiungo il direttore Lazard! >>
 
Genesis è tornato a Midgar? Per annientarci? Ed Angeal? È tornato con lui? Non ho tempo per protestare adesso, in un attimo dimentico tutto ciò che sembrava avermi immobilizzato lungo il corso di questi giorni monotoni e sfibranti e mentre annuisco e mi precipito fuori avverto solo il mio cuore accelerare velocemente i battiti ed i miei muscoli divenire scattanti e dinamici.
Spero solo di non fare fiasco come durante l’allenamento, perché questa non è una simulazione ed io non posso permettermi di vanificare tutto il lavoro che ho fatto per arrivare fin qui. Non adesso.






 
Note dell’autrice: Mie care, salve. Mi ci è voluto un po’ per scrivere questo capitolo ma vi garantisco che da adesso in poi darò libero spazio all’azione. Ho modificato un po’ la timeline in questo punto, perché mentre in crisis core l’attacco alla sede avviene mentre Sephiroth e Zack sono a colloquio con Lazard, qui invece – come vedremo anche nel prossimo capitolo – il colloquio è già avvenuto così come la promozione a first di Zack.
Ho anticipato di un giorno questo evento per dare modo alla storia di scorrere più velocemente, ma non cambia poi più di tanto il corso degli eventi.
A presto col prossimo capitolo e buona serata
 
Sarah
   
 
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