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Autore: Paola Styles    11/11/2014    1 recensioni
"Una mattina ti svegli e sei un’adolescente.
Così, senza un avvertimento, dall’oggi al domani, ti svegli nel corpo di una sconosciuta che si vede in sovrappeso, odia tutti, si veste solo di nero e ha pensieri suicidi l’84% del tempo.
E io non facevo eccezione."
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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«Eeee… Vai con il manége di piqué…», mi urlava, «… piqué, piqué e doppia… chainé, chainé, chainé, passé sostieniii eeee giù!». 

L’assolo terminò con me al centro della sala e Lauren che mi guardava con le braccia incrociate senza espressione.Non ricordo mi avesse mai sorriso una sola volta a lezione.

Aveva studiato alla Royal Academy di Londra e per un periodo all’American Ballet Theatre con Diana Adams, ma il fatto che non si fosse mai sposata e che un incidente di sci le avesse compromesso la carriera, sicuramente c’entravano qualcosa col suo carattere ostile.

Era la mia insegnante da quando avevo cinque anni e mi aveva portata ad un livello raggiunto il quale si deve decidere se tentare il tutto per tutto e passare al professionismo o rimanere per sempre a livello amatoriale e magari sperare di insegnare in una scuola di provincia.

E se quello era il mio destino, tanto valeva andare all’università e trovare un lavoro nella City insieme a mio padre.

La preoccupazione maggiore della mamma era che, se mi avessero presa alla Royal e non avessi sfondato, sarei rimasta con un mucchio di mosche in mano e, anche se lo Stato finanziava una cospicua parte della retta, restavano almeno da scucire dodicimila sterline l’anno che non avevamo.

E la faccia inespressiva con cui mi stava guardando Lauren non mi faceva presagire nulla di buono.

«Tu, Paola, sei consapevole di quello che stiamo facendo qui oggi, vero?»

«Sì», dissi asciugandomi la fronte con il dorso della mano, con gesto drammatico e un po’ strafottente.

«E cosa stiamo facendo?», proseguì disegnando dei cerchi col bastone sul parquet consumato.

Quando faceva così avevo voglia di prenderla a sberle.Le piaceva recitare la parte dell’eccentrica insegnante russa centenaria, le mancavano solo il turbante e la sigaretta col bocchino.

«Stiamo preparando l’audizione per entrare alla Royal Ballet», risposi cercando di mantenere la calma frugando nella borsa.

Era come una zia, aveva più o meno sessantaquattro anni e la vedevo tre volte a settimana da undici anni, mi faceva il regalo di Natale e cenavo da lei tutti i mercoledì sera, ma quando eravamo in quella sala lei diventava la Pavlova in pieno delirio mistico e mi trattava come una merda.

«NON È SUFFICIENTE!», gridò picchiando il bastone per terra quasi a spezzarlo. «Stiamo preparando il tuo esame di ingresso per una delle più prestigiose scuole di danza del mondo e hai UNA SOLA chance di farcela e NON PUOI permetterti di essere mediocre Paola!». Disse mediocre con la erre moscia. 

«Credi di essere l’unica a volerlo? Credi di fargli un favore? Che non aspettino altro che te, il nuovo talento del secolo? EH? RISPONDI!», mi incalzò. Dio se era stronza.

«No!», risposi a mezza voce, con le mani sui fianchi, piegando il piede da mezza punta a punta.

«Non hanno bisogno di gente che dia l’ottanta per cento come fai tu, a loro non basta nemmeno il cento per cento!».

«Ma Lauren…», cercai di protestare.

«MA LAUREN COSA? Sei stanca? Riposati! Ti fa male il ginocchio? Mettici il ghiaccio! Non ci sono soluzioni né vie di mezzo, in questo mestiere ci si spreme come limoni fino a che si è giovani e poi a trentacinque anni ci buttano via, è triste, ma è così! E qua dentro per te sono Mrs Lauren! Avanti ricominciamo!». 

Ritornai al centro della sala e Mrs Laurenfece ripartire il CD con la variazione di Odile, Il Cigno nero, dal Lago dei cigni. 

Potenzialmente al limite dell’impossibile soprattutto per la serie di 5 pirouettes che pretendeva all’inizio del pezzo .Dato che non ero forte nell’interpretazione, voleva che li impressionassi con la tecnica.

Questo significava cinque piroette consecutive sulla punta del piede sinistro.

L’apocalisse!

Nessun individuo sano di mente avrebbe assegnato una variazione simile a una ragazzina di sedici anni.

Ma Lauren non era del tutto sana di mente.Svetlana Zakharova era semplicemente divina in quell’assolo, era la personificazione della grazia e della bellezza, così sinuosa ed elegante da sembrare irreale. In una parola, un angelo.

Era in grado di compiere decine e decine di pirouette senza mostrare alcuna fatica, e aveva braccia infinitamente lunghe ed eleganti che muoveva come le ali di un uccello in un modo così armonioso che ti ipnotizzava. 

Non sapevo se ero un talento straordinario, ma sapevo che, quando danzavo, intorno a me il mondo spariva e cominciavo a volare trasportata da un vortice di suoni. La forza inarrestabile di un fiume in piena mi esplodeva dentro, facendomi sentire invulnerabile.

Non c’erano più limiti e confini, il mio corpo diventava spazio infinito, costellato da note fluttuanti dove mi muovevo senza paura, né dolore, né angoscia.

Il mio corpo di adolescente diventava danza e quella danza diventava amore. Quando danzavo ero l’amore.

E quando pensavo a Niall riuscivo a volare.

«EEEE… STOP!», gridò Mrs Lauren, «non so a cosa o a chi tu stessi pensando, ma tienilo a mente per la prossima volta perché andava molto meglio». 

Tornai a casa alle otto passate.

La mamma non c’era, e mi aveva lasciato la cena nel microonde: rigatoni al formaggio di Sainsbury’s e piselli in scatola.Avevo voglia di chiamare l’assistente sociale!

York mi corse incontro scodinzolando, lo presi in braccio, mi buttai sul divano ed esausta accesi la televisione.

Mi facevano male i piedi come se me li avessero masticati.Che vita assurda era quella di una ballerina a pensarci bene.

Forse la mamma aveva ragione, forse dovevo semplicemente mettermi a studiare economia, trovarmi un lavoro normale e appendere le scarpette al chiodo, ma quella sarebbe stata la strada sicura verso l’infelicità.

«Lentamente muore chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno», recitavano dei versi che avevo ricopiato sul mio diario. Non mi sarei mai arresa finché non ci avessi provato fino in fondo.

Mi piaceva stare a casa da sola, mi dava la sensazione di essere adulta e mi permetteva di immaginare come sarebbe stato andare a vivere a Londra.

Certo non mi sarei mai potuta permettere un appartamento tutto per me, ma almeno nessuno mi avrebbe detto cosa fare e cosa non fare.

Anche se sapevo che la mamma mi sarebbe mancata da morire.La adoravo, si era sempre presa cura di me e mi aveva sempre trattata come un’adulta.Ridevamo molto insieme e, a vederci, sembrava più che altro mia sorella maggiore. Ma da qualche tempo non era più la stessa.

O forse non lo ero io.

Aveva sempre i suoi bei capelli biondi spettinati, la risata contagiosa e il look da hippy “pentita” (come le piaceva definirsi), ma ultimamente aveva cominciato a prendersi meno cura di sé e, a forza di mangiare cibo in scatola, aveva preso almeno cinque chili.Aveva ereditato da nonna Olga un gusto straordinario in fatto di arredamento, ma nessuno in fatto di uomini e credo che, alla fine, le delusioni sentimentali l’avessero scoraggiata.

E adesso che aveva quarantatré anni e non credeva più nel principe azzurro, aveva deciso di seguire tutti quei corsi pratici per imparare quei “lavoretti” che solitamente penalizzano una donna: riparare la lavatrice, cambiare una gomma o usare un trapano elettrico.

Non parlava più con la nonna da quando aveva voluto sposare papà e, anche se si erano lasciati da anni, per orgoglio non le aveva mai chiesto una mano, nonostante la nonna fosse veramente ricca da fare schifo (aveva un negozio di antiquariato in via Maggio) e non aspettasse altro che tornare in una posizione che l’autorizzasse a criticarla.

L’idea che lei fosse l’ago della bilancia nella realizzazione dei miei sogni mi dava un gran fastidio ed era uno dei più frequenti motivi di litigio con mia madre.

Le sarebbe bastato sollevare la cornetta e io avrei avuto la retta pagata fino all’università anche per i miei figli.

Del resto ero la sua nipote preferita, nonché l’unica, ed era in un certo senso grazie a lei che avevo cominciato a danzare o almeno così lei amava raccontare.

Quando avevo quattro anni portò a casa un quadro antico raffigurante una bambina seduta su una sedia, con un tutù bianco.

Me lo aveva mostrato entusiasta dicendo: «Guarda Paola, sembri proprio tu!».

Per la verità, l’unica somiglianza con quella bambina erano le orecchie a sventola, ma giuro che ero rimasta incantata a guardarla.

O meglio, lei guardava me dritto negli occhi e mi diceva che dovevo cominciare a ballare, che quello era il mio destino, il senso della mia vita, e che solo così sarei stata felice.

Da quel giorno quella bambina era diventata il mio tormento, la mia ossessione, il mio incubo: mi guardava con aria saccente, incurante dei suoi piedi piatti, e nonostante fosse probabilmente morta cadendo dalla sedia prima che il ritratto fosse completato, senza neanche mai aver visto una sbarra, era riuscita a scatenare in me una competizione insana.

Di conseguenza diventai il tormento, l’ossessione e l’incubo di mia madre che un giorno, esasperata, mi accompagnò da Lauren.

Il quadro era appeso ancora adesso in camera mia e, dodici anni dopo, guardandolo, riusciva ancora a farmi incazzare.

Verso le undici mia madre rincasò. Mi svegliai di soprassalto facendo cadere il telecomando che andò in mille pezzi.

«Dormivi sul divano tesoro? Ma così domattina sarai uno straccio! Hai mangiato? Guarda come sei pallida e magra…», mi disse baciandomi la fronte. Mi stropicciai gli occhi e le sorrisi, intorpidita per il sonno.

Le feci spazio accanto a me e le appoggiai i piedi in grembo per farmeli massaggiare.Era una tale goduria che, in quel momento, avrebbe potuto chiedermi qualunque cosa.E infatti…

«Allora, hai deciso dove andare a studiare l’anno prossimo?».Finsi di essere rapita dalla mousse di mango e cioccolato bianco con granella di nocciole che Nigella preparava in televisione.

«Ehi, mi senti?», disse pizzicandomi l’alluce.

«Ahio! Così mi fai male!».

«E ascoltami quando parlo! Ti interessa la cucina adesso?», chiese alzandosi per riassemblare i pezzi del telecomando e spegnere la tele.

«Potrebbe interessare a te… una volta ogni tanto potresti prepararla anche tu una mousse… di mango…».

«Ti piace… il mango?», chiese perplessa.

«No… era per dire…», dissi torturando la coda di York, acciambellato sulla mia pancia.

«Paola… seriamente… non c’è più molto tempo… devi scegliere le materie da portare all’esame».

«Uff… dài mamma sono stanca…».

«Anch’io sai? E finché non risolviamo questa cosa non riuscirò a dormire tranquilla…», replicò seria. «…allora?». Mi guardò in attesa di una risposta.

«Mamma, lo sai, voglio entrare alla Royal Ballet School…».

«Tesoro… lo sai quanto ci tenga che tu continui a danzare, ma quella è una scuola per…».

«Per chi?», la interruppi bruscamente, «per quelli bravi? Per quelli ricchi? Non per me vero?», risposi aggressiva.

«Per chi ha le spalle protette volevo dire! Per chi può permettersi di spendere più di ventimila sterline l’anno solo per la retta e non è un problema se poi la figlia non diventa Margot Fonteyn!».

«Ecco cos’è mamma, tu non credi in me», le dissi amareggiata, «tu pensi che per me sia tutto un capriccio per evitare di andare all’università, ma non riesci a capire che non c’è nient’altro al mondo che voglia fare a parte ballare e loro mi 

garantiscono un’istruzione anche se non divento… Margot Fonteyn». «E cosa farai con un diploma di una scuola d’arte?». Mi chiese secca.

«Alla peggio andrò a insegnare italiano in una scuola serale di periferia!».Avevo esagerato, l’avevo ferita.

«Scusa mamma…», cercai di rimediare, «non volevo», mi avvicinai per abbracciarla.

«Oh sì che volevi!». Si alzò e andò in bagno mentre York la seguiva sperando nella cena.

«Sei tale e quale a tua nonna…», gridò dall’altra stanza, «…e non è un complimento!».

«Mamma!», la seguii, «…per favore, credi che sia facile per me decidere su due piedi il mio futuro con tutta la pressione che mi mettete tu, i professori e pure Lauren? Credi che sia facile avere le idee chiare?»

«Tu non ti rendi conto, bambina, che questo non è un gioco», disse mentre si struccava gli occhi. «Hai quindici anni e pensi di sapere tutto, ma non sai ancora niente! Tu ti limiti a esprimere desideri e ti aspetti che io li realizzi con la bacchetta magica». Fece un gesto con lo spazzolino da denti che schizzò lo specchio. «Anche a me sarebbe piaciuto studiare alle Belle Arti o fare l’architetto, ma non ho potuto!».

«Certo che no! Hai voluto a tutti i costi sposare papà e la nonna ti ha dato unultimatum!».

Avevo esagerato di nuovo. Mi avrebbe strangolata con il filo interdentale e avrebbe fatto bene, ma cosa potevo fare se mi serviva le risposte su un piatto d’argento?

«IO AMAVO TUO PADRE! E a differenza di te non mi aspettavo di essere mantenuta da nessuno, tantomeno da tua nonna Olga che voleva facessi la bella statuina al Circolo Ufficiali o ai balli della Croce Rossa!». Prese a pettinarsi con una tale rabbia che pensai si sarebbe strappata i capelli a ciocche. 

«…Invece sono stata così cretina da credere in noi, tanto da volerti a tutti i costi, senza chiedere mai una lira a quella donna arida e impossibile! E tu…», mi puntò la spazzola sotto il naso, «…tu brutta… ingrata… non permetterti di giudicarmi finché sarai sotto questo tetto e non ti sarai fatta il culo che mi sono fatta io per crescere da sola una figlia in un Paese straniero!». Mi spinse fuori e sbatté la porta.L’avevo fatta arrabbiare di brutto.

Non mi avrebbe parlato per almeno dieci giorni.«Quindi… è un… no?», le chiesi attraverso la porta.

«VAI A LETTO!». Non riuscii a dormire.

L’idea che la mia felicità dipendesse dai soldi di qualcun altro mi dava una frustrazione indescrivibile.

Doveva esserci una soluzione, a parte una rapina in banca.Anche se mi fossi messa a lavorare, non avrei comunque potuto permettermi neanche l’affitto di una stanza in periferia.

E poi cosa avrei potuto fare a quindici anni e mezzo? La cameriera? La dog sitter?

Dovevo guardare in faccia la realtà: ero nella morsa delle decisioni di mia madre e completamente impotente.

L’indomani mattina mi alzai presto per prepararle la colazione e, insieme, aggiunsi un biglietto di scuse.Con lei come unico alleato, non ero certo nella posizione di scegliere.Uscii prima che si alzasse.

Era davvero freddo, sembrava volesse nevicare, presi la bicicletta e cominciai a pedalare più forte che potevo.I polmoni mi scoppiavano per lo sbalzo di temperatura, sembravo un drago che sputava fumo.Abitavamo in Dale Street, in una delle tante casette in mattone, con il bovindo, tutte uguali a ovest di Leicester, una zona che, per anni, era stata considerata periferica, ma che ultimamente si stava rivalutando.

La mamma l’aveva risistemata tutta con le sue mani.Quando l’aveva presa in affitto era un rudere di due piani stretto e lungo, con la scala che cadeva a pezzi e il tetto fatiscente, ma piano piano ne aveva fatto un piccolo gioiello.

La padrona di casa, Mrs Fancher, le aveva scalato negli anni il prezzo dell’affitto e ormai ci considerava figlia e nipote.La mamma sperava che, invecchiando e non avendo altri parenti, l’avrebbe lasciata in eredità a noi e cercava di tenersela buona preparandole marmellate di ribes, facendole la spesa e le iniezioni intramuscolari.

Dal canto suo Mrs Fancher se ne approfittava non poco: nell’ultima settimana l’aveva chiamata tre volte per farle controllare la presa del bollitore, una macchia d’umido e chiederle se aveva preso l’allegato del «Daily Mail».

Per andare a scuola ci voleva una buona mezz’ora, ma pedalare a -5° con la stupida gonna della divisa e i calzettoni era una vera impresa: arrivavo congelata e con la pelle blu.

Quel giorno arrivai a scuola in anticipo e ne approfittai per rileggere gli appunti per il test di matematica. Denise non era ancora arrivata e senza dubbio nessuno mi avrebbe rivolto la parola.

Se ne stavano tutti a gruppetti a chiacchierare, ridere e mostrarsi foto sull’Iphone.

Io non ce l’avevo l’Iphone, avevo un vecchio cellulare scassato di mia madre, ma confesso che mi sarebbe piaciuto averlo, forse così mi avrebbero considerata una di loro.

Mi ero confinata al di là di un’invisibile barriera, nel tentativo di difendermi dall’abbandono, che ora era diventata una gabbia opprimente da cui non sapevo come uscire.

In fondo anch’io avevo voglia di essere invitata alle feste, ridere e divertirmi, ma nessuno sembrava interessato a me, così fingevo superiorità e indifferenza, con il risultato di rimanere sempre da sola.

Credevano che fossi una snob, mentre ero solo disperatamente timida.E mentre ero lì a ripassare gli appunti, fingendo di capirci qualcosa, sentivo tutti i loro occhi addosso e sapevo che, per quanto potessi provarci, non sarei mai stata una di loro.

Un giorno però avrei calcato i più grandi palcoscenici d’Europa e allora si sarebbero ricordati di me e avrebbero fatto a gara per inventare aneddoti in cui ero improvvisamente la loro migliore amica.

Al momento però quel futuro era molto, molto lontano.

Denise arrivò al solito quando l’insegnante era già entrata, cosa che, fino all’ultimo momento, mi faceva stare sulle spine.L’accompagnava suo padre in macchina tutte le mattine prima di andare in ufficio, ma a lei nessuno diceva niente se arrivava in ritardo: faceva parte del fascino dei Dewayne.Chiunque altro avrebbe ricevuto un richiamo.

«Sei pronta?», mi chiese con un grande sorriso sereno che mi fece sentire ancora più impreparata.

Non aspettò la mia risposta e rispose: «Non preoccuparti ci penso io». Più tardi, nel pomeriggio, eravamo a casa sua a studiare.

«Non ce la posso fare a memorizzare tutto, non ho la testa abbastanza grande!», dissi a Denise sull’orlo delle lacrime.

«Devi! C’è un altro test domani, e non ci alzeremo di qui finché non saprai tutto a memoria».

«Ho un deficit dell’attenzione, non è colpa mia, non ce la faccio», protestai.

«No, tu non hai voglia di studiare e basta!».

«Denise, siamo sedute a questo tavolo dalle tre del pomeriggio e sono quasi le otto, ho il sedere quadrato».

«Lo faccio perché non voglio dividere il banco con nessun’altra, le mie motivazioni sono esclusivamente egoistiche!».

In quel momento la mamma di Denise entrò in camera sua, come sempre sorridente.

«Ragazze, è quasi ora di cena, ho chiamato Ruth e le ho detto che saresti rimasta a mangiare da noi, così dopo potete continuare a studiare se non avete finito. Ho preparato il pollo con il purè di patate e torta al cioccolato…».

Forse ero ancora in tempo per farmi adottare.«Perfetto Maura grazie, ho una fame!», esclamai.

«Bene, allora appena arriva Niall scendete che andiamo a tavola».Merda…

Mi era passata la fame.

Una cena di famiglia con Niall in permesso dalla Royal Navy era peggio che camminare scalza sui chiodi.Non ce la potevo fare.

Dieci minuti dopo suonò il campanello e riconobbi la sua risata squillante, contagiosa, irresistibile. Mi venne la pelle d’oca mista a un senso di nausea.

«Oh è arrivato!», disse Denise elettrizzata, «dài, scendiamo, non vedo Niall da un mese!».

Arrivate a metà della rampa di scale, Denise  gli balzò al collo, mentre io rimasi a guardarlo mentre faceva volteggiare la sorella, immaginandomi al suo posto.Con il sottofondo di Giselle. 

Mi si era chiuso lo stomaco e stavo sudando freddo.Lui, l’uomo della mia vita, era lì, a un passo da me, che abbracciava sua sorella completamente ignaro di quello che era in grado di provocare al mio cuore e ai miei ormoni.Com’era possibile?

Dov’era il bottone reset con cui avrei potuto riprendermi la mia vita vuota e inutile, ma senza l’aggravante di un amore impossibile? 

Poi mi vide e la sua bocca morbida si aprì in uno splendido sorriso, che mi paralizzò, facendomi sentire ancora più idiota.

«Ehi ma c’è anche broncio!», disse salendo le scale verso di me dato che, visibilmente, non ero più in grado di muovermi. Il motivo per cui mi chiamasse “broncio” era più che evidente: in tredici anni gli avevo sorriso sì e no tre volte e proprio perché non avevo scelta.

Risposi con un «ciao» distratto della mano, come se fossi molto più interessata alla carta da parati dietro di lui.

«E dài musona, fatti abbracciare, lo so che mi odi, ma non sono contagioso!». Mi sollevò di peso appiccicandomi due baci enormi sulle guance.

Rimasi senza fiato, travolta da un’emozione indescrivibile, divisa fra il desiderio di baciarlo sulla bocca davanti a tutti e fuggire per sempre o, più razionalmente, agire in maniera coerente col personaggio che mi ero costruita.

«Bleah… Che schifo Niall!», urlai disgustata pulendomi le guance con la manica della maglia, come se mi avesse leccato un bulldog, mentre mi maledicevo con tutte le forze per quello che stavo facendo.

«Dài Niall, lasciala stare, a Paola non piacciono le effusioni!», rise suo padre.Eccome se mi piacevano, da lui poi…

Mi scompigliò i capelli ridendo, poi frugò nella borsa e tirò fuori una maglietta della Royal Navy, che sperai ardentemente si fosse provato prima, e me la diede in regalo.Non me la sarei tolta mai più.

Ci accomodammo a tavola e cominciai a friggere sulla sedia.

Mi sentivo incapace di articolare un discorso normale, e finivo per balbettare cose stupide e senza senso.

Per fortuna Niall non smetteva più di parlare della vita da cadetto, della nave, degli ufficiali e di com’era contento della scelta che aveva fatto, così da permettermi di volare con la fantasia al giorno del nostro matrimonio.

Tutti pendevano dalle sue labbra, mentre io pendevo anche dai suoi bicipiti.

Poi d’un tratto mi feci violenza e mi alzai.

«Ma non hai neanche finito di mangiare Paola, c’era il dolce al cioccolato, lo avevo fatto per te!», esclamò Maura delusa.

«Mmm… mi sono ricordata che devo portare fuori York, mamma è al corso di autodifesa e lui poverino è in casa da solo ed è un po’… debole di vescica…».Salutai tutti in fretta, presi il mio zaino e corsi fuori.

Una volta sulla bici cominciai a pedalare a più non posso verso casa, nella nebbia, respirando il vento freddo.

Dovevo stare lontana da lui, lontana da quell’amore impossibile. Dovevo farmelo passare. Non avevo scelta.


££Angolo Autrice 

Ecco a voi il secondo capitolo.
Aspetto qualche recensione e buona serata! 
  
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