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Autore: CupOfEternitea    13/11/2014    4 recensioni
“Tempo da lupi, stanotte”. Sansa si immobilizzò all’istante, non appena quella voce graffiante si sovrappose al rumore del temporale. Ora lo sentiva, inconfondibile e familiare: odore di vino e di ferro. O forse di sangue. L’odore è il medesimo. Lo aveva imparato sulla propria pelle: il sangue che sgorgava dai suoi graffi aveva lo stesso odore del duro guanto di ferro di Meryn Trant. “Ma tu sei un uccelletto. Che ci facevi sul davanzale? Non è la notte adatta per volare.”
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Anch’io sono un lupo.
Questo avrebbe voluto rispondergli con fierezza, ma sapeva già come lui avrebbe ribattuto. Un mastino non ti mentirà mai, le aveva detto una volta, e anche quella non era stata una menzogna: non l’aveva mai delusa. Anche stavolta Sandor Clegane si sarebbe preso gioco di lei e le avrebbe sbattuto in faccia l’ennesima verità: lei non era un lupo più di quanto Joffrey fosse un leone.
Non provò nemmeno a rispondere. Il fatto che lui continuasse a coprirle la bocca era sufficiente per capire che non era realmente una replica ciò che voleva da lei.
I respiri di Sansa si stavano lentamente regolarizzando, ma continuava a percepire il proprio cuore battere come un tamburo al di sotto del tessuto bagnato, ancora in preda al timore e al disorientamento. Di fronte a lei, l’enorme sagoma del Mastino oscurava la poca luce che trapelava attraverso i vetri della finestra flagellata dalla pioggia. Sansa poteva indovinarne le fattezze, la tragica devastazione che affliggeva metà del suo volto, gli occhi grigi, pieni di rabbia e di scherno.
Ringraziò segretamente l’oscurità. Per quanto la vista delle bruciature non le mettesse più soggezione, non avrebbe potuto dire lo stesso di quegli occhi feroci. Nonostante tutto ciò che egli aveva fatto per lei, il suo corpo tremava ancora sotto quello dell’uomo.
«Hai ancora paura di me», parve leggerle nel pensiero, probabilmente senza capirne la vera ragione. Non aveva paura di lui. Non realmente. Era intimorita, forse, ma non provava vero spavento, anche se non riusciva a comprendere per quale motivo si trovasse lì, ad Approdo del Re; nella sua stanza; ancora una volta sul suo letto. «Hai paura», ripeté lui.
No. Non è così. Ho tenuto il tuo mantello.
Sansa mugolò una protesta contro il palmo della sua mano. Si era sentita al sicuro, avvolta in quel drappo bianco che sapeva di lui e sapeva di morte e di sangue e della paura dei soldati durante la battaglia contro la flotta di Stannis Baratheon. Quella notte le aveva promesso che l’avrebbe riportata a casa, che l’avrebbe tenuta al sicuro; e lei aveva rifiutato la sua proposta, e solo gli dei sapevano quanto l’aveva rimpianto.
«Avresti preferito quel dannato Cavaliere di Fiori, di’ la verità!»
Un’altra voce si sovrappose a quella del Mastino, confondendosi con essa. E, al buio, sono il Cavaliere di Fiori. Tyrion Lannister. Suo marito aveva pronunciato quelle parole, la loro prima notte di nozze mai consumata. Avrebbe potuto davvero? Sapeva dar mostra di buone maniere e non era la gentilezza a mancargli. Fissò l’enorme ombra scura di fronte a lei, tentando di vedere oltre lo spesso muro delle tenebre. Sarebbe potuto valere anche per lui? Una domanda priva di senso da porsi in un momento simile e di cui non le interessava davvero la risposta. Non voleva che Sandor Clegane somigliasse a Loras Tyrell. Se fosse stato più cortese, sarebbe stata una menzogna. Sansa Stark non aveva bisogno di altre bugie, per quanto belle e consolanti potessero essere.
Sentì la pressione sulla sua bocca farsi meno serrata e l’aria trapelare tra le grandi dita, ma la mano ruvida del Mastino non abbandonò la sua posizione. Sansa dischiuse le labbra e prese a respirare dalla bocca, rapidamente, brevi sospiri accompagnati dal sollevarsi e dall’abbassarsi del suo petto.
Quando avvertì il pollice di lui sfregare contro la guancia, impiegò qualche momento  per riconoscervi qualcosa di simile a una carezza. Aveva la pelle ruvida, indurita dai calli da guerriero e il suo tocco non era affatto morbido: il pollice affondava nella pelle morbida della sua guancia come se tentasse di cancellarne lo strato superiore, come se scavasse per raggiungere chissà quale ricordo di lei. Presto la bocca di Sansa fu libera, solo per far sì che le dita di lui potessero percorrere il contorno delle sue labbra ansanti. Le sentì bruciare come nei suoi ricordi del bacio che lui le aveva rubato la notte della battaglia.
Avrebbe dovuto protestare, ordinargli di allontanarsi; di questo era consapevole, tuttavia ogni sua azione sembrava obbedire agli ordini di una persona diversa, a leggi di un diverso universo, a diversi valori morali.
Come aveva fatto quella notte lontana, allungò la mano in direzione della macchia scura che era il suo viso.
Non appena la punta delle dita sfiorarono le cicatrici dell’ustione, lo sentì ritrarsi di scatto e interrompere l’esplorazione del suo viso per bloccarle il polso contro il letto. Sansa singhiozzò, spaventata dalla brutalità del gesto. Le tornò in mente la notte del Torneo del Primo Cavaliere, quando il Mastino l’aveva scortata nella Fortezza e le aveva raccontato in che modo si fosse procurato quelle ferite. Anche allora si era ritratto nell’ombra: aveva spento la torcia e si era ritirato fuori dal suo campo visivo. A quel tempo le era parso minaccioso, ma solo ora riusciva a considerare quel gesto con maggior maturità: forse era stata lei a ferirlo e a ricacciarlo involontariamente nelle tenebre, rifuggendo la sua vista.
Lui non accennava a parlare. Se ne stava immobile, invisibile e senza volto come lo Straniero, altrettanto letale, eppure misericordioso. Respirava rumorosamente, nel silenzio.
Fu lei a sentirsi in dovere di spezzare quel vuoto che rischiava di inghiottirla. «Sei tornato…»
Nessuna risposta, solo quel respiro pesante, alcolico. Era quell’assenza di parole a metterla a disagio, più che la stretta sul suo polso. Era tornato per portarla via? Forse le veniva data un’altra occasione. Stavolta non avrebbe rifiutato. Tra tutte le persone che si erano mostrate solidali con lei, era quell’uomo rude e violento l’unico di cui avrebbe davvero potuto fidarsi, anche se aveva dovuto aspettare di averlo lontano per comprendere quanto avesse fatto per lei e quanto poco lei fosse stata riconoscente. «Sei qui per…»
«Come hai potuto?»
«Come?» Sansa impallidì nel buio.
Ancora quel respiro pesante. Ora finalmente capiva: era un respiro rabbioso, più simile a un ringhio che a un verso umano.
«Come hai potuto permetterlo?»
Era certa di non aver commesso alcun atto che potesse offenderlo e non trovava logico che lui fosse tornato dopo tutto quel tempo e si fosse introdotto nella Fortezza solo per rinfacciarle di non essere partita con lui quando ne aveva avuto l’occasione. Per quanto ne sapesse, non aveva mai fatto nulla contro il Mastino. Anzi, non aveva mai fatto del male a nessuno.
Vi era solo un crimine di cui si era macchiata, oltre alle menzogne di cui si era vestita giorno dopo giorno; all’improvviso, dopo molti secondi di silenzio da entrambe le parti, aveva compreso quale fosse.
«Che scelta avevo?» In che modo avrebbe potuto rifiutarsi di sposare Tyrion Lannister, se non andando incontro alla morte? Avrebbe potuto, certo: sarebbe stato più dignitoso, senza dubbio, e non avrebbe macchiato la memoria di suo padre rinunciando al suo nome per assumere quello del loro nemico. Non avrebbe dato ai Lannister l’opportunità di mettere le mani su Grande Inverno. Ma a cosa sarebbe servito? Non era rimasto più nessuno che potesse vergognarsi di lei e del suo testardo desiderio di sopravvivere.
«Una scelta ti era stata data!», abbaiò lui, stringendo la presa sul suo polso. L’altra mano era attorno alla sua spalla: l’aveva scossa violentemente, mentre le urlava contro, chino verso il suo volto, tanto vicino che l’odore di vino si mescolava al suo respiro spaventato.
«Eravamo sotto assedio. C-credevo che Stannis Baratheon…»
«Credevi… Credi a troppe cose e sono quasi tutte sbagliate!» Da qualche parte, nel cielo, delle nubi si stavano diradando. Non riuscivano ancora a vedersi chiaramente, ma Sansa iniziava a distinguere qualche dettaglio della parte del volto colpito dalla luce. Le ombre del dedalo di cicatrici della metà martoriata sembravano rendere quello sfregio ancora più intricato, profondo. Sentiva che se avesse continuato a fissarlo vi avrebbe perso il controllo di se stessa. Quel volto era la prova vivente della mostruosa esistenza di persone come Gregor Clegane. Quale mostro può fare una cosa simile a un bambino senza provare pietà o rimorso? E lei, quei mostri, li aveva adorati e idolatrati; aveva perfino creduto di amare uno di loro. Chiuse gli occhi, mentre la voce del Mastino le gettava in faccia quella nuova scarica di verità. «Avresti potuto essere lontana, quel giorno! Al sicuro, da qualcuno dei tuoi familiari, invece di permettere a quel nano di…». Si interruppe, soffocando la sua frustrazione in un ringhio che la fece rimpicciolire e stringere nelle spalle, alla ricerca di un riparo che non poteva trovare.
Non mi ha toccata. Non sono ancora diventata una Lannister.
Avrebbe voluto dirglielo, ma a cosa sarebbe servito? Cambiava forse la sua posizione alla Fortezza? La rendeva libera di andarsene e di avere la vita che aveva sempre sognato? Era per quegli stupidi sogni se ora si trovava in quel guaio. Era stata lei a insistere. Aveva desiderato Joffrey e Approdo del Re dal primo istante in cui la prospettiva di una vita di sole, canzoni e cavalleria le era stata offerta come un dolce particolarmente goloso. Ma tutta quella dolcezza, lo aveva scoperto troppo tardi, serviva a nascondere il veleno della politica.
«Sei venuto per portarmi via?», tentò ancora una volta con gentilezza e un filo di voce, sperando che questo placasse la sua rabbia e non suonasse come un’impertinenza, dopo il suo precedente irriconoscente rifiuto.
Perché non le rispondeva? Se ne stava immobile a fissarla, ora che il proprio viso era finalmente visibile al chiarore esterno, ma tutto ciò che lei riusciva a vedere era la metà deforme del suo viso. Non vi era espressione, in quella devastazione, solo un occhio grigio che la fissava, quasi senza vita.
«Se tu fossi qui per…»
«Non verresti».
Quella risposta la scioccò, tanto suonava assurda e beffarda. «Perché dici questo?»
Doveva essere una risata, la sua, ma nella voce di Clegane mancava ogni accento di divertimento. «Te l’ho già detto in passato, il perché. Sei solo un uccelletto ammaestrato, e gli uccelletti ammaestrati stanno troppo bene nella loro gabbia per volersene andare via. Ho già provato a lasciarla aperta e guarda dove ti ritrovi».
Era vero? Era quello il motivo per cui aveva scelto di restare ad Approdo del Re? Si era ripetuta tante volte di aver agito scegliendo le maggiori probabilità di sopravvivenza. Sapeva che suo padre era convinto che il trono spettasse di diritto a Stannis, per cui credeva che il nuovo re non avrebbe avuto motivo di farle del male: si trovava lì contro la propria volontà, dopotutto. Ma se avesse avuto ragione il Mastino? Se avesse preferito passare sotto la custodia di un nuovo padrone piuttosto che guadagnarsi la libertà in quel mondo esterno a lei sconosciuto, pieno di brutture e miseria? E che arma avrebbe avuto lei, per difendersi da quel mondo? Tra le mura della Fortezza Rossa era pur sempre Sansa Stark, un ostaggio di valore; tra la gente comune, in fuga sulle terre sconvolte dalla guerra, era solo una fanciulla con l’unica protezione di un soldato con una taglia sulla sua testa.
«Ho sbagliato. Se me lo chiederai, io…»
«Se te lo chiederò?» All’improvviso, Sandor Clegane si era alzato dal letto. Serrandole ancora il polso, l’aveva strattonata fino ad attirarla in piedi e trascinarla verso la finestra, dove entrambi avrebbero avuto abbastanza luce per potersi guardare in faccia senza finzioni, senza maschere di finta cortesia. Sansa aveva freddo, mentre percorreva a piedi nudi il gelido pavimento della camera da letto. Si ricordò solo in quel momento di indossare solo la camicia da notte, per di più bagnata dalla pioggia, ma era troppo spaventata dalla rudezza dell’uomo per preoccuparsene: già una volta, d’altronde, l’aveva vista in quelle condizioni poco decorose, appena dopo la morte del lord suo padre. «Io non ti chiederò un bel niente. Sei tu quella che deve chiedere. E sii convincente, o penserò che non te ne importi poi un granché».
Non poteva crederci. Di notte, con la possibilità di essere scoperti da qualcuno, lui riusciva a pensare solo a umiliarla costringendola a implorare? Era un atteggiamento sadico che si sarebbe aspettata da Joffrey, non da uno come lui.
Uno come lui… Come se potesse pretendere di conoscerlo davvero. Eppure era a lei che lui aveva confidato la pagina più nera del suo passato. Non poteva credere di essere la persona che più si potesse avvicinare a conoscere il vero Sandor Clegane? Ciò che aveva visto, una volta messo da parte il terrore che il suo aspetto le ispirava, non aveva niente a che vedere con l’ego di nobili e cavalieri: lui lasciava che lo chiamassero cane; portava quel soprannome come un riconoscimento.
Non poteva credere che volesse davvero quello, da lei.
Nonostante tutto, Sansa non tentennò a lungo. Era stata capace di mostrare il suo sorriso più dolce all’uomo che più detestava: pregare il Mastino di salvarla non sarebbe stato neanche lontanamente tanto umiliante.
Si inchinò garbatamente, tentando di immaginarsi in abiti più consoni a una lady. Prese una delle grandi mani dell’uomo mano tra le sue, stringendola e posando la fronte sul suo dorso. Doveva apparire ridicola, così conciata, a preoccuparsi tanto di risultare graziosa. Ma non era questo che le era stato insegnato? Se fosse apparsa ai suoi occhi educata e riconoscente non avrebbe avuto più possibilità di convincerlo? «Ti prego di scortarmi lontano da Approdo del Re. Se lo farai, il mio debito di riconoscenza nei tuoi confronti sarà difficile da saldare, ma farò in modo da ripagarti come potrò. Sono certa che anche i miei parenti sapranno come ricompensare un uomo tanto valoroso».
Aveva già implorato qualcuno, in passato. Era stata lei a tentare di intercedere presso Joffrey affinché fosse clemente con suo padre. Joffrey, orribile com’era, non le aveva fatto attendere una risposta, per quanto fasulla essa fosse in realtà.
Il Mastino, però, taceva.
Sansa attese a lungo, ma non una parola arrivò in risposta alla sua supplica.
Quando si concesse di sollevare il viso su di lui, per controllare quale fosse la sua reazione, lo trovò che la fissava.
«Che cos’era quello?»
«Ti… ho pregato».
«Ti sei limitata a recitare la tua parte: niente di diverso da ciò che hai sempre fatto, probabilmente da quando hai memoria».
«Io non…»
«Lo vedi, uccelletto? Sotto sotto, ti piace stare qui». Si liberò della sua mano con un gesto rude, quasi scrollandosela di dosso. Un lampo accecante illuminò la sua schiena mentre si voltava per lasciarla una seconda volta. Era tornato per lei, su questo non poteva mentirle. Come poteva lasciarla ancora una volta dopo averla illusa di avere una nuova occasione?
Si aggrappò disperatamente alla manica della sua tunica, le dita strette come artigli attorno al tessuto grezzo. Aveva gli occhi lucidi e non riusciva a mettere a fuoco la figura di fronte a lei. Il tuono risuonò mentre Sansa esclamava in un misto di rabbia e speranza: «Portami via di qui!»
Sandor Clegane si fermò sul posto. La parte sana del suo viso fece capolino da sopra l’alta spalla. Sorrideva, finalmente soddisfatto, studiandola dall’alto.
«Questa sì che è una canzone che mi piace».

N.d.A.:
Vorrei ringraziare le persone che hanno commentato il primo capitolo di questa storia. Avevo intenzione di non dilungarmi per più di tre capitoli, ma mi hanno fatta riflettere sull’eventualità di scrivere una storia più lunga. Spero di non aver deluso le aspettative. Nel caso l'avessi fatto… pietà di me!
  
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