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Autore: Giorgia Alfonso    13/11/2014    3 recensioni
"Lontano dagli occhi lontano dal cuore", un motto che potrebbe confermare Gemma Brizzi. Passare dalla piena felicità ad una voragine di sentimenti cupi, contrastanti e senso di perdita, ma non volersi arrendere nemmeno per un secondo. Nemmeno per un attimo di riposo. Eppure, colui che l'ha spinta dentro quel buco nero è l'uomo che un tempo avrebbe considerato la sua stessa vita. Tanti sacrifici buttati in aria, tanti viaggi affrontati solo per lui. E quel fato diabolico che sembra volerle dare un'altra possibilità, un'ultima partenza, un ultimo arrivo, un ultimo viaggio, un'ultima occasione ... per riprendersi quell'amore apparentemente perduto.
Seoul, la grande città coreana che di primo acchitò la spaventò tanto, giungendo lì per una vacanza che, in teoria, doveva essere semplice relax. Invece si era rivelata una manna ... per lo meno inizialmente. Ora invece, tornare a calpestare quel suolo potrebbe portarla alla rovina più completa o ad un nuovo inizio.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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16 Capitolo
 
 
 
 
Il viale era parecchio tranquillo, il classico quartiere con casette adibite ad appartamentini, quasi fossero villette a schiera meno appariscenti. Alcune avevano il tetto con le classiche tegole coreane, marroni rossastre o più scure. Vi era perfino un parchetto li vicino e il luogo in sé era piuttosto impreziosito dal verde.
Poi vi erano eleganti complessi di appartamenti, anche se moderni, all’esterno apparivano comunque sobri confronto ai cugini delle trafficate zone centrali.
Salirono la rampa di scale di uno di questi grandi complessi, fino al quarto piano. Ne mancava solo due per arrivare fino in cima. Una delle cose che Gemma Brizzi notò, appena giunta, era la grande pulizia dell’ambiente. Dovevano avere certamente una portinaia o qualcosa di simile che si occupasse del pianerottolo. La mente cominciò a tornare indietro di qualche anno, esattamente quando Yon U la portò a casa per presentarla alla famiglia. Il suo ex fidanzato abitava in un palazzone di trenta e passa piani, forse troppo impegnativo da tenere impeccabilmente pulito come quel posto. Se poi manca una persona incaricata, lasciando invece l’onore agli stessi abitanti del condominio, ecco che divagava la sporcizia, rendendo l’ambiente molto usurato e poco accogliente alla vista.
Troppo distratta nell’osservare il mondo esterno da una lunga e stretta finestra, dal vetro logicamente impeccabilmente lindo, non si accorse che Mr Im stava per aprire la porta del suo appartamento.
Poco dopo lo raggiunse in fretta. Appena furono nell’atrio, un esserino bianco, minuscolo e pelosissimo gli si avvicinò scodinzolando.
«Aigoooo …» Il padrone di casa si accovacciò immediatamente, afferrando quel cosino con due mani, che lo avvolgevano del tutto. «Sei rimasta tutto il giorno a casa da sola, eh piccola? Andiamo a mangiare?» Rimise a terra la cagnolina e questa, come se non avesse ancora il giusto equilibrio, scivolò sulle zampette, finendo distesa a terra. Ma si riscattò subito.
«E’ per lui che …»
«Certo!» Esclamò Song Rok alzandosi da terra. «Non vedi? E’ ancora un cucciolo! Non è abituata alla solitudine di una grande casa. Ed è una lei.»
«Nome?»
«Non l’ho ancora deciso, non è da molto che è con me. Era tutta sola in quella vetrina del negozio. Senza cibo né acqua. Triste assai.»
 «Posso … accarezzarla?» Era sempre un bene chiedere prima di fare un qualsiasi gesto che possa recar disturbo all’altro e Gemma lo fece con un sorriso infantile, ma sincero, sulle labbra.
Song Rok mosse la mano con il palmo rivolto verso l’alto, un modo per indicare qualcosa senza puntare il dito, cosa molto sconveniente anche in Corea non solo in Italia. In questo caso il gesto non era riferito a nulla di preciso, ma era semplicemente un invito ad accomodarsi e lasciar fare all’ospite come credeva. «Non ti conosce, quindi accucciati, farà la timida.» Ripiegò le ginocchia a sua volta, forse per aiutare la cagnolina a far amicizia con l’estranea. Si ritrovarono entrambi nello stretto abitacolo dalle mattonelle bianche, il resto della casa invece era fatto di parquet, ma finché non si fossero tolti le scarpe, da buana usanza coreana, non si poteva avanzare oltre.
In quel momento Gemma non pensava ad altro se non fare le feste a quella cagnetta così buffa dai tre bottoni neri sul musetto: naso e occhiotti languidi. Forse aveva due mesi, davvero troppo piccola per stare da sola, quando avrebbe dovuto addirittura essere ancora insieme alla madre.
Il padrone di casa osservò curioso la ragazza, mentre si prostrava a far giocare la cucciola. La malinconia era scomparsa da quel viso e gli occhi le brillavano, ma non per le lacrime, piuttosto era un brillio di dolcezza. «Pet-Terapy.» Sussurrò, attirando quello sguardo distratto, che si poteva definire un tono sia chiaro che scuro.
La cucciola richiamò le attenzioni che le dovevano, dopo aver passato l’intera giornata ad annoiarsi in casa. Gemma la prese, cercando di non farla cadere. «In famiglia non abbiamo mai avuto animali. I miei non me lo hanno mai permesso, ma ho sempre desiderato un cucciolo tutto per me.» Il cagnolino cominciò a lamentarsi per essere riposto sul pavimento, dimenandosi appena. La ragazza, per paura di farle del male, lo mise a terra in tutta fretta, con un gesto goffo e ingombrante per se stessa. Perse infatti l’equilibrio e le gambe le cedettero, cadendo di lato.
Si ritrovò col sedere sulle mattonelle e accanto il direttore, più o meno nella sua stessa posizione. Praticamente gli era caduta addosso e addirittura lui aveva tentato di sorreggerla. 
«Scusi!» Riferì subito, alzandosi di scatto.
Per aiutarlo gli porse una mano, ma questo rifiutò, sollevandosi da solo, ripulendosi i pantaloni del completo nel farlo, anche se sembrava non averne davvero bisogno, la casa appariva più che pulita. Continuò ad ignorarla, appoggiando una mano al muro e sfilando i piedi dalle calzature. «Togli le scarpe e gioca pure con lei se vuoi. Io preparo la cena.» Riferì calpestando il suolo di quello che doveva essere il soggiorno.
Gemma allora obbedì. «E’ un po’ tardi per la cena.» Fece notare.
«Perché? Hai già cenato?» Chiese, spostandosi verso la cucina.
Lei ci pensò un attimo prima di rispondere. Non voleva disturbarlo, ma in effetti: «Ho mangiato solo uno snak. Ammetto che ho un certo languorino.»
«C’è qualcosa che non gradisci?»
Incitò la cagnolina a seguirla, posando i piedi sul legno caldo. Pavimento riscaldato. «No, mi va bene tutto.» Era davvero un bel posticino. Si fermò in quell’esatto punto, ignorando per un attimo l’animaletto, per osservare meglio l’abitazione in cui si trovava. L’entrata era ampia e intima allo stesso tempo. C’era una porta alla sua destra e una di fronte a sé, mentre alla sinistra iniziava il salotto, con tanto di lungo divano a tre posti, tavolino al centro e scherma ultrapiatto ad alta definizione appeso alla parete. Quella zona era divisa dalla cucina da una sorta di mensola o libreria moderna, dagli spazi irregolari e quasi del tutto vuoti, se non per qualche libro posto qua e là. Non vedeva con chiarezza com’era l’altra fetta della casa, ma poteva intravedere un tavolo con delle sedie.
 
****
 
La stanza era abbastanza spaziosa, ma il suo punto forte era la luminosità che creava il lampadario sopra al tavolo e l’arrendamento bianco candido, laccato, della cucina. Il tavolo e le sedie erano del medesimo colore, con un tocco di rosso scuro, quasi bordeaoux a rendere il tutto più elegante e vivace, meno asettico.
Aveva preparato una kimchi jjikae, ovvero una zuppa di kimchi, il cavolo cinese fermentato, tipico contorno coreano. Cotto e servito su quei tegami di terracotta tanto abituali in quella nazione. Insieme a quel brodo rossastro, ricco di grossi pezzi di verdure, vi era anche un piattino con una specie di prosciutto, chiamato seupam, cotto in padella. Chiamarlo come il tipico affettato italiano era una bestemmia per una ragazza proveniente dal Bel paese.
Il padrone di casa le porse le jeoskarak, bacchette di ferro, che insieme al sudkarak, il cucchiaio, componevano le classiche sujeo, posate coreane.
Gemma si leccò le labbra di fronte a quel ben di Dio, sebbene sapesse che, confronto ad un pasto coreano fatto come si deve, era ben poca cosa. Ma immaginava che quella persona non fosse troppo abituato a far da mangiare per più di una persona, abitando da solo. Sollevò sguardo e sopracciglia verso Im Song Rok, che la stava guardando senza alcuna apparente espressione.
«Manhi deuseyo.1» Pronunciò lui, facendo un gesto accondiscendente con la mano.
Gemma sapeva che l’educazione prevedeva una risposta: «Jal meokesseubnida.» Una sorta di “mangerò bene”, in risposta al “prego, si serva/mangi tanto” di colui che aveva preparato il pasto.
Con una jeoskarak andò subito a pescare, infilzandola, una fetta del così detto prosciutto alla coreana. In definitiva si trattava di una sorta di carne trita e compattata come un paté più solido del solito, che diventava meno viscido al palato e più gustoso se cotto. Tagliato appunto in fette spesse e fatto girare in padella.
Il direttore nel frattempo assaggiò la zuppa. Era chino sul tegame, con il suo cucchiaio stracolmo. Cercò di stare attento a non far schizzare il brodo, per non sporcare se stesso e anche l’ospite volendo.
In Corea non esistono piatti singoli, o almeno non come si è abituati nel resto del mondo. Il pasto di solito si condivide consumandolo direttamente dal contenitore comune. Un po’ come se in Italia  mettesse la pentola con gli spaghetti nel mezzo e ci si dovesse servire da soli, con bacchette e un misero piattino per raccogliere l’alimento. Era una condivisione piacevole, ma solo per gli Europei di mente aperta. Qualche stizzito potrebbe inorridire di fronte al diverso uso, tanto diverso dal bon ton che richiedono molte altre culture. Per non parlare del masticare a bocca aperta, molti coreani lo fanno, o il classico rumore di risucchio di zuppa o viscidi spaghetti che siano. E’ consentito.
«Fai attenzione è molto piccante.» L’avvisò il cuoco.
«Come molti piatti coreani.» Rifletté ad alta voce Gemma, fissando il liquido rossastro e ancora bollente. Il fumo si alzava verso l’alto e portava con sé il calore, che si poteva percepire anche a quella distanza. L’attenzione si spostò nuovamente verso l’uomo di fronte, con ancora il cucchiaio in bocca, immobile mentre continuava a fissarla incuriosito. «Mi piace il cibo piccante. Non lo amavo prima di introdurmi in questa cultura, ma grazie a voi ho imparato ad apprezzarlo molto.» Si sporse per prendere un bel cucchiaio di kimchi jjikae. «Mmmm!!!! Masisseoyo!2» Esclamò.
Il palato coreano è particolarissimo, molto differente da quello di altre popolazioni: a volte il salato per loro risulta più accentuato rispetto a quello italiano ad esempio, o l’acido meno sgradito. Riflettendoci, Gemma aveva anche ipotizzato che il costante utilizzo di kochu, peperoncino, potesse aver danneggiato le papille gustative di tale popolo. Ricordava ancora quando Yon U divorò una scatoletta di formaggio spalmabile scaduto da ormai un mese, senza lamentarsi, anzi leccando anche gli ultimi residui dal contenitore.
E come se il piccante non bastasse, hanno anche l’abitudine di mangiare appena fine cottura. Specie il ramyeon, perché se no dicono che si “rovina”. Si stracuoce in sostanza. Bollente e piccante, sono due aggettivi che insieme fanno una sorta di bomba assicurata.
Non parlarono molto per tutta la cena. La vera etichetta coreana avrebbe voluto proprio un atteggiamento simile, ma lei sapeva che le cene e i pranzi spesso si trasformavano in interminabili momenti da poter passare con amici e famiglia. Un modo per radunarsi e appunto discutere assieme.  Ma loro non erano né imparentati né tanto meno amici, quindi il silenzio andava più che bene.
Ogni tanto l’ospite alzava il volto per osservare i modi di Mr Im, sempre ben composto ed elegante perfino nel risucchiare una zuppa. Sembrava un uomo di poche parole, riservato e riflessivo. A fine pasto non le permise nemmeno di aiutarlo a lavare i piatti. La  invitò invece a sedersi nel soggiorno, mentre lui velocemente risciacquava e metteva in ordine. E Gemma stranita continuò ad obbedirgli, pensando che la prima impressione che aveva avuto di quella persona forse era stata un tantino affrettata.
 
****
 
Stava fissando una qualche commedia romantica che passavano alla televisione, era americana, trasmessa in lingua originale ma con i sottotitoli coreani. Era così che visionavano i film stranieri in Corea del sud.  «Solo noi italiani siamo caproni pigri bisognosi del doppiaggio.» Sussurrò nella sua lingua madre, senza accorgersi che il proprietario di casa si stava per sedere accanto a lei.
Avvertì il movimento alla sua sinistra, sentendo la sua bassa voce nel momento in cui si voltò ad osservarlo: «Come prego?»
Aveva sentito le sue parole, percependole senza un minimo di senso logico, non conoscendo l’italiano. «Niente. Riflettevo da sola.» Spiegò in coreano.
L’uomo si accomodò meglio sul suo stesso divano. «Passi questa volta, perché sono io. Ma promettimi che non accetterai una proposta simile da altri.»
Gemma si era nuovamente fatta distrarre dal film in tv, ma girò il volto ancora una volta. «Eh? .. Ah! L’ho già detto!» Esclamò tornando alla sua principale attrazione, « ho accettato solo perché è lei. Non un comune uomo ma un gentiluomo.» Anche se non traspariva, in quelle parole c’era dell’ironia.
Mr Im rimase quasi sconvolto dalla reazione che mostrò Gemma di fronte a quell’argomento. La fissò incredulo e preoccupato allo stesso tempo, con le sopracciglia leggermente corrucciate. «Non sto scherzando! Sai quante carogne si nascondono dietro alla galanteria verso una donna?» Domandò, lasciandole il tempo di rispondergli o per lo meno di farsi concedere la dovuta attenzione. «In Corea noi li chiamiamo neukdaenam,3 ovvero uomini che sembrano innocui e invece sono solo bestie, lupi travestiti da agnelli. Si nascondono dietro una facciata perbenista e gentile, ma il loro vero interesse è un altro.» Vedendo che nemmeno quell’argomento catturava l’ospite, prese il telecomando posto sopra al tavolino e girò canale sospirando, cambiando pure posa, piegando la schiena in avanti, appoggiando i gomiti alle cosce.
«Ho capito!» Esclamò lei con un tono stanco, « ma anche lei, non sia così frettoloso nel giudicare. Non sono una bambina. Credo di avere un metro di giudizio abbastanza buono. Di solito se mi sbaglio è a giudicar male, non troppo bene.» Rispose continuando a fissare lo schermo davanti a lei. «Se comprendo l’errore, allora l’idea che mi ero fatta di quella persona automaticamente cambia. Chi non modifica mai il proprio giudizio sono solo gli stupidi … dicono.» Finalmente voltò lo sguardo verso il padrone dell’appartamento, sorridendo quasi sinuosamente. Da quell’espressione traspariva tutta la sua sicurezza, che a volte si faceva desiderare. «Non si preoccupi per me. Non mi faccio ingannare tanto facilmente dai lupi.»
Lui osservò quel sorriso deciso. Non lo voleva ammettere, ma in quel momento la giovane che le stava accanto aveva assunto un’aria seducente. Distolse lo sguardo annuendo. «Bene. Ma evita l’onorifico da adesso in poi.» Cambiò improvvisamente argomento. «Sei più piccola di me, quindi io ho smesso con la cortesia da un po’. Non te ne sei accorta?»
«Ma in Corea va così, lei è più vecchio di me, perciò …» Lo interruppe Gemma.
Song Rok drizzò la schiena di colpo, come se improvvisamente si sentisse risentito di qualcosa. «Non sono tanto più grande di te comunque. Ho trentadue anni, ti sembrano troppi? O sembro più vecchio?»
«A lei sembrano pochi?» Ribatté pronta. Sembrava addirittura divertirsi.
«Quattro anni in più non sono tanti.» Toccò a lui difendersi. Erano improvvisamente capitati in una sorta di tribunale dell’età? «La tua amica aveva detto che hai ventotto anni, no?» La vide annuire, completamente rapita da qualsiasi cosa trasmettesse la tv … di nuovo. «Se te lo dice la persona di grado più alto puoi farlo. Puoi limitarti a parlarmi tranquillamente con una cortesia base. Io comunque sono Im Song Rok.» Pronunciò lentamente il suo nome, soffermandosi sulle vocali chiuse, perché comprendesse bene il suono del suo  nome. La difficoltà della lingua coreana stava anche nella pronuncia, un accento diverso può cambiare una parola, un nome oppure peggio, far capire una cosa per un’altra. Basta sbagliare il suono di una vocale e si può passare dal voler parlare di tonno al riferire qualcosa di scomodo e volgare. «Tu … sei Gemma giusto?»
Attirò il suo sguardo immediatamente. «Come fai a saperlo?» Chiese sinceramente sorpresa, muovendosi poi sul divano, girandosi totalmente dalla sua parte. 
«Hai saltato un appuntamento oggi, vero? La tua amicona mi ha chiamato e diciamo che nel mezzo è saltato fuori il tuo nome.» Rispose, controvoglia nel dover ricordare la telefonata passata. «Era preoccupata.»
«Le ho inviato un messaggio rassicurandola.» Assicurò.
Song Rok si alzò dal divano, «Ma intanto ha tormentato me.» Scomparve in una delle stanze dell’appartamento, per poi tornare con un cuscino e una coperta bella spessa. «Altra fortuna per te: il mio divano è comodo.»
Gemma accolse il tutto tra le braccia, sforzandosi di mostrare un sorriso di circostanza. Ma non lo congedò per andare a dormire, semmai sbuffò. «Voglio fargliela pagare!» Affermò improvvisamente, sollevando uno sguardo leggermente inumidito, tanto da renderlo penoso. Eppure in quel cucciolo, che supplicava da dietro le sbarre del canile, si poteva leggere anche una sorta di tenace rabbia. Im Song Rok non era del tutto sicuro di voler continuare ad ascoltare delle lamentele, ma cortesemente rimase all’ascolto. «Si sente libero! Come può sentirsi libero lui? Io dovrei sentirmi libera di un tale peso, di un tale rammollito che abbandona …» Si bloccò da sola.
Era più giusto continuare sull’onda “ti ha scaricata, fattene una ragione” o lasciare che una dolce e forse illusa speranza covasse in lei? Song Rok proprio non riusciva a scegliere. Nonostante ciò sembrava doveroso dare una risposta: «Se fosse così … non proveresti tutto questo sentimento per lui.» Sospirando, tornò a sedersi accanto a lei. «E’ giovane e sicuramente è dovuto anche all’età se codardamente ha scaricato ogni responsabilità, di qualsiasi tipo fossero. E questo non è giusto per te. Da quel che ho compreso … devi aver lottato molto per questo rapporto.» Fece una pausa. La giovane lo stava guardando dritto negli occhi e questo creava un leggerissimo disagio.
Perché la stava confortando? Perché le stava facendo una sorta di quadro della situazione, mettendo in mezzo pensieri propri? Perché stava parlando con quella ragazza?
«Ma non puoi pretendere che si impegni se non ne è in grado. Non puoi pretendere che lui provi i tuoi stessi sentimenti o che abbia il tuo stesso coraggio o che non cambi idea magari strada facendo.» Continuò. Non aveva timore a sostenere quello sguardo esotico, ma non era abituato ad un contatto visivo di quel genere da parte di una donna. Non mentre si parlava di un certo tipo di argomenti. Nella sua vita aveva conosciuto molte ragazze che si imbarazzavano per nulla o fingevano, portando perfino la mano di fronte alla bocca, per coprire solitamente un meraviglioso sorriso, aggraziatamente. Era anche uscito con donne più mature e molto audaci, ma non credeva che la giovane di fronte potesse appartenere a quella categoria. Evidentemente era proprio il suo modo di rapportarsi con gli altri a sorprenderlo, non aveva timore di fissare lo specchio dell’anima altrui. In un certo senso era curiosa come cosa. «Non so perché te lo sto dicendo, ma …» Ci pensò un attimo, prima di rivelarle ciò che avrebbe potuto salvare ulteriormente le sue speranze. Una sorta di possibile doppio strato di illusione. «L’ho visto abbastanza turbato quando ci ha visti insieme nel locale e …», anche se poteva ingannarla ulteriormente, ciò che stava dicendo poteva essere la verità. E se non fosse stato un abbaglio? «Specie quando è venuto all’Ilmol … era sconvolto, ma … questo non vuol dire nulla, sia ben chiaro. Se è la vita facile che vuole, potrebbe tentare di distruggere ciò che prova per te. E su quest’ottica, le cose non cambiano poi di molto, no?»
«Cambia.» Gemma non esitò un attimo a rispondere. «Perché vorrebbe dire che i sentimenti ci sono, finché quelli continuano a persistere ci si potrà sempre ritrovare. Se perde la strada io gli farò luce. Se vuole la vita facile, beh capirà che averla comporta dolore se questo mi preclude dal suo mondo. Se davvero mi ama ancora», deglutì, come per buttare giù un boccone amaro, « deve soffrire! Comprendere cosa sta perdendo.»
«E se l’avesse compreso fin dall’inizio?» Sollevò un quesito.
«Lo lascerò andare solo quando sarò certa che questo è ciò che vuole davvero il suo cuore.» Continuò a sostenere quell’incontro di sguardi seri. «Aiutami!» Ormai, come Mr Im desiderava, aveva fatto cadere ogni sorta di onorifico.
Il coreano sollevò quasi impercettibilmente un sopracciglio, riflettendo sul da farsi. Non sembrava però tanto sicuro di voler accettare la richiesta dell’italiana.
«Lo sai, non posso andare in cerca di un altro ragazzo per inscenare questa cosa.» Cercò di convincerlo. «Oltretutto non dopo che ci ha visti insieme per la seconda volta nel goshiwon.»
«Non mi piacciono questo tipo di cose.» Negò ogni consenso.
Il volto di Gemma si fece contrito. «Prendilo come un allenamento!» Suggerì, congiungendo poi le mani di fronte a lui. «Ti prego, ti prego! Eh? Eh?»
Song Rok si alzò brontolando. «Intanto riposa. Ne riparleremo domani mattina.»
«Questo vuol dire che ci penserai?» Chiese con un mezzo sorrisetto. «La notte da buoni consigli di solito.»
«Ne dubito. Notte.» E se ne andò nella sua stanza.
«Notte Mister Im!» Esclamò lei di rimando, sorridendo.
Poteva farcela, poteva convincerlo.

Manhi Deuseyo (많이 드세요) lo dicono i coreani quando offronto o preparano la cena ai commensali. Con il deuseyo (드세요) si ha un parlato onorifico alto. Di solito a questo i commensali che si appropiguano a consumare il pasto rispondono con un Jal meokkesseubnina (잘 먹겠습니다) "mangerò bene", come per ringraziare e a fine pasto di solito si dice Jal meokeosseubnida (잘 먹었습니다) "ho mangiato bene", per dire che si ha apprezzato.
2 Masisseoyo (맛있어요) ovvero "Mas" (
맛 pronuncia = ma-t-) sapore + "Isseoyo" (있어요 pronuncia = issoyo) c'è/esistenza, quindi c'è sapore, ovvero un'espressione per dire che si gradisce, che il cino è buono. 
3 Neukdaenam o Neukdae namja (늑대남 pronuncia = nukdenam oppure 늑대남자 nukdenamja -la u è un suono particolare, a denti stretti-) ovvero uomo lupo 늑대 neukdae "lupo" + 남자 namja "uomo". Appunto è un modo per definire gli uomini pericolosi che si approfittano specie delle donne, una sorta di "pervertito", anche se in coreano abbiamo una parola che si identifica meglio con il termide pervertito.


 
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17 Capitolo
 
 
 
 
Ancora spettinato, con i pantaloni grigio topo del pigiamo, nei quali erano stampati strane scimmiette sorridenti, Song Rok si spostò verso la cucina tranquillamente. Come ogni giorno della settimana, accese la macchina del caffè, rigorosamente all’americana, non sapendo che un ospite italiano sarebbe inorridito di fronte a quella tipologia di caffè.
Si spostò poi verso il soggiorno sorridendo alla cucciolina in trepidante attesa di carezze, con una faccia ancora piena di sonno. La cagnolina tentava di scavalcare la sua bassa cuccetta, che per lei però sembrava una torre insormontabile, rotolando sul pavimento come una pallina di pelo.
Si chinò per prenderla in braccio e poterla coccolare come si deve. Nel mentre, spostò lo sguardo non curante alla sua destra, vedendo un fagotto di entità umane sul suo divano. Spalancò gli occhi riportando alla mente la sera precedente: per un attimo si era seriamente dimenticato di avere ospiti. Sbatté le palpebre continuando ad osservare la bella spettinata, incerto sul da farsi. Il cervello stava lavorando ancora troppo lentamente. Fece il gesto di dare un occhio al suo stesso abbigliamento, felpa leggera e pigiama scimmiesco. Si schiarì la voce, senza però far troppo rumore, posò a terra il cagnetto e andò subito a cambiarsi.
Pantaloni ben stirati, di un bel tessuto liscio e dalla tonalit blu quasi violacea. Maglia bianca dalle maniche lunghe, con scollo castamente a v. Un lungo foulard blu ad impreziosire il tutto. Se doveva cambiare abiti, tanto valeva prepararsi in anticipo per uscire.
Selezionò qualcosa dal frigo e mise a cuocere delle uova, più un contorno di riso bollito, immancabile white kimchi e una zuppetta di alghe.  
Gemma sbadigliò come se non ci fosse un domani. Forse pensava di trovarsi nella sua stanza o a casa. Strabuzzò infatti gli occhi quando riconobbe l’ambiente estraneo. Si stropicciò il viso, sollevandosi. Vedendo il padrone di casa in cucina, chiese immediatamente: «Ci hai pensato?»
«Buongiorno!» La salutò in italiano. Questa volta senza marcare la erre.
La ragazza socchiuse gli occhi sospettosa. Stava evitando il discorso. Si alzò e andò verso il bagno per darsi una ripulita. Non le aveva mostrato dove fosse, ma durante la notte, quando il bisogno chiamò, andò personalmente alla ricerca della toilette, trovandola al primo colpo: se una porta conduceva nella camera da letto, l’altra doveva essere il bagno per forza.
Non ci mise molto e uscendo si sedette malamente sulla sedia di fronte a tutto quel ben di Dio, che però in quel momento non lo considerava affatto in quel modo. Visto che si trattava di una colazione, lo si doveva definire “Pesantezza” di Dio forse.
«Hai riflettuto stanotte?» Tentò di riporre la domanda.
«No. Ho dormito.» Si voltò in quel momento, posando la zuppa di alghe al centro del tavolo.
Gemma si appoggiò al tavolo, con le braccia congiunte. «Mi aiuterai, non è vero?» Lo puntò volontariamente con uno sguardo zuccheroso da far venire il diabete.
Lui si sedette, guardandola annoiato. «Ma che non sia una cosa lunga.»
Gemma sorrise sinceramente, una sorta di ringraziamento muto. «Stasera!» Annunciò poi.
Lui stava per porle le posate, quando si bloccò, sbattendole quasi sul tavolo. «Cosa? Non ho tempo per star dietro a queste cose oggi. Devo essere in teatro presto e poi-»
«Devi solo fingere come hai fatto l’altra volta.» Lo interruppe maleducatamente. «Non serve chissà che!» Si sollevò dal tavolo e dalla sedia. «Visto che hai fretta, io ora vado.»
«E la colazione?» Chiese lui con espressione simile all’offesa, osservando la ragazza che si stava allontanando.
«Non mangio corano di prima mattina, io!» Spiegò mentre indossava le scarpe. «Mr Im, ci vediamo in quello stesso locale della prima volta alle dieci, okay?» Ed uscì senza nemmeno attendere la risposta, per paura di un suo rifiuto.
Song Rok dal canto suo non pronunciò una singola parola. Prese il cucchiaio e cominciò a consumare il pasto che aveva preparato solo per cortesia verso l’ospite, dato che era solito rifocillarsi solo di caffè alla mattina.
 
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Impeccabile come sempre. Senza cravatta, ma con un fazzoletto ben piegato all’occhiello. Completo scuro con un leggero cenno di mimetica, maglietta bianca sotto. Pettinato allo stesso modo, capello scuro dalla frangia spostata di lato, in modo da mettere in evidenza la fronte spaziosa.
Fermandosi di fronte alla giovane donna ne osservò a sua volta l’abbigliamento: un paio di pantaloni neri di finta pelle e una tunica attillata, dalle maniche a pipistrello. Capelli raccolti in uno chignon basso. Rossetto rosso corallo, ma solamente il mascara a completare il trucco agli occhi.
«Bene.» Esclamò lui appiattendo le labbra, in un’espressione di attesa piuttosto buffa. «Are you ready?»
«Not much.» Ribatté a sua volta in lingua inglese.
A quel punto Song Rok gli mostrò il braccio, per incoraggiarla ad afferrarlo. Gemma così lo osservò per un po’, indecisa. Alla fine, sospirando, allungò la mano afferrando quella dell’uomo di fronte a sé, che sembrò sorpreso. La ragazza alzò lo sguardo, incrociando quegli occhi a mandorla dubbiosi. Ma spostò l’attenzione immediatamente, schiarendosi la gola con un suono gutturale. Sentiva lo stretto contatto della sua pelle, non serviva mantenere anche quello visivo. Addirittura le sembrava di essere quasi intrappolata da quelle dita che la stavano stringendo. Una mano bella grande avvolgeva la sua più minuta, con una presa immensamente salda.
Song Rok invece continuò a fissarla, nonostante si sentisse fuori luogo a sua volta. «D’accordo!» Affermò trattenendo un mezzo sorriso e incamminandosi verso il locale, di fronte a loro.
Song Rok lo individuò subito, mentre l’uno vicino all’altra, ancora per mano, scendevano le scale. Dunque si chinò appena per sussurrarle all’orecchio: «Faresti bene a guardare alla tua destra.»
Ma Gemma, muovendo il capo, aveva già automaticamente puntato la suddetta zona, vedendo Jin Yon U di fronte ad un tavolo di sole donne. Tre belle ragazze coreane, vestite chi con abiti appariscenti, chi più casual. Stavano ridendo e sicuramente scherzando con il giovane barista.
Senza accorgersene, Gemma si ritrovò ormai al tavolo. Ancora aggrappata all’attore, il suo “bastone”, senza il quale avrebbe continuato a camminare con non curanza, guardando altrove, sicuramente e inevitabilmente finendo per andare a sbattere addosso a qualcosa. Si sedette, quando qualcuno le scostò la sedia, facendola accomodare gentilmente. Ma lei non aveva sguardi che per Yon U e quelle donne che se la ridevano, arrossendo, probabilmente provandoci spudoratamente con lui.
Sentì una stretta al cuore e non curandosi nemmeno del suo make up, si morse il labbro inferiore, stringendo con i denti. La gelosia stava divampando sempre di più.
A placarla ci pensò l’uomo che lei stava involontariamente ignorando: improvvisamente si ritrovò circondata da delle braccia sconosciute. Una le cinse la schiena e le toccò il braccio appena sotto alla spalla, l’altra rimase appoggiata comodamente sul tavolino, ma si protese per chiudere la “bella distratta”, in un cerchio quasi perfetto. Gemma si voltò verso quella persona, trovando il suo volto non molto distante.
A quel punto posò una mano sul suo petto, « siamo troppo vicini! Spostati!»
Lui invece fece l’esatto contrario. «Questa volta, Gemma-sshi, che ne dice di recitare bene?» Domandò, facendole appena avvertire il suo respiro caldo e continuando a fissare quei suoi occhi grigi. «Non soffermarti a guardarlo troppo.» Spostò lo sguardo per controllare il giovane barista e sorrise minimamente vedendo che Jin Yon U si stava per voltare.
E così avvenne: si girò verso il bancone, trovandosi due nuovi clienti in uno dei tavoli vicino all’entrata. Ma senza quasi battere ciglio si avvicinò per prendere le loro ordinazioni.
Quando gli fu di fronte, Son Rok lasciò la presa sulla ragazza, che forse era divenuta troppo soffocante. Si accomodò meglio sulla sedia, senza però staccare il contatto fisico con lei. Gemma invece tenne lo sguardo basso. Come aveva detto lui: non lo avrebbe degnato di uno sguardo.
«Cosa prendente?» Chiese Yon U.
Mr Im invece alzò eccome la testa. «Portami un cognac e un vino dolce per la mia ragazza.» Con quella frase voleva forse marcare una certa posizione, sottolineare quello che forse era ancora un sospetto per Jin Yon U.
E quando il ragazzo li lasciò per andare verso il bancone, Song Rok prese la mano di Gemma, accarezzandola appena. La ragazza, perplessa, osservò i suoi movimenti e  quelle grandi mani, dalle vene appena accennate sul dorso. Sgranò gli occhi quando si portò la sua mano sul viso, cominciando a sfiorarla con le labbra.
«Non ti ho detto di nasconderti. Sollevalo il viso quando è qua, oppure potrebbe pensare che provi una sorta di vergogna.» Spiegò, attirando la sua attenzione sollevando le sopracciglia e spalancando gli occhi di un nocciola scuro. «Sii più convincente … tesoro!» Quella parola la sibilò, pronunciandola a denti stretti, per poi indossare una maschera da sbruffone.
«Quando fai quella faccia ti picchierei volentieri!» Confessò, lasciandolo allibito. Avrebbe voluto ritirare immediatamente l’arto, ma il barista stava per tornare con i loro drink, non poteva rischiare di rovinare tutto. E costui, mentre posava i bicchieri, abbozzò una conversazione:
«E quindi è sicuro … sei il suo ragazzo.»
«Sì, è così.» Rispose con sicurezza.
Yon U drizzò la schiena, fissando quella persona con  una vena provocatoria nello sguardo: «E lo sai che io sono il suo ex?»
Song Rok fece un breve broncio, di quelli infantili e ironici. «Non indago mai sul passato della mia donna.» Misurò bene le parole da pronunciare.
Jin Yon U annuì. «Per lo meno sembri a posto.»
«Di sicuro sono più affidabile di te.» Ribatté con un colpo di frusta. «Se è questo ciò che intendi.» Quella scoccata, poteva annunciare l’inizio di una sfida tra i due, che si riscontrava anche nello sguardo.
Anche il più giovane dei due assunse un’espressione di sfottò. «E da quanto state insieme?»
Song Rok ebbe un leggero tentennamento, muovendo nervosamente l’arcata sopraccigliare di sinistra, ma tanto rapidamente da non far scorgere nulla al ragazzo. Abbassò di lato lo sguardo verso la partner, ripromettendosi di non darle più retta da quel momento in avanti: “non serviva prepararsi” diceva, “devi fare come l’altra volta” diceva. La preparazione era tutto, specie se bisognava fare una recita convincente. Senza copione si improvvisava, sperava solo che lei non si intromettesse rovinando ogni tentativo di mantenere credibile la storia.
Sospirò, ma uno di quei sospiri fatti col sorriso. Una risata, un sogghigno lieve. «Credo proprio da quando tu l’hai lasciata.» Fece roteare gli occhi, che tornarono così nuovamente incollati sul giovanotto davanti. Di cui ora poteva osservarne il volto contrito. «Quindi immagino di doverti ringraziare.»
«Cosa?» Jin Yon U fissò Gemma, incredulo.
«Ci siamo conosciuti via internet e poi una cosa tira l’altra … » Continuò a raccontare il nuovo fidanzato.
«Hai voltato subito pagina?»
Gemma assunse uno sguardo severo sul volto, affrontando quello deluso del suo ex. «E tu? Non hai fatto lo stesso?»
«Certo che no! Tutt’ora …» Quella sicurezza iniziale, quasi urlata, si perse per strada. Visibilmente arrabbiato le voltò le spalle e cercò di andarsene, ma la ragazza non glielo permise: si alzò immediatamente, rincorrendolo. Gli afferrò il braccio inducendolo a fermarsi e continuare quella conversazione.
«Cosa stavi per dire prima? Tutt’ora cosa?» Domandò con voce agitata. «Mi hai lasciata e qualche giorno fa hai detto che è davvero finita, allora perché ora sembri dire il contrario?» La rabbia premeva dallo stomaco e chiedeva di risalire, per essere liberata. «Pensi che io sia una bambola da girare rigirare? O pensi di essere te stesso un bambolotto al quale spegnere i sentimenti? Se mi ami ancora torna! Hai sbagliato, bene! Si può sempre rimediare!»
Anche Yon U prese coraggio. «Se anche fosse, hai già voltato pagina, no?»
«Ah! Capisco!» Esclamò sempre più furiosa. «Prima che non avevo nessuno e proclamavo il mio amore per te non andava bene, ora che mi vedi con un altro ti è tornato in mente che forse ti senti geloso e infastidito della cosa, perciò mi ami ancora?»
«Ti sbagli.» Le parlò sopra. «Non sono quel tipo di uomo e lo sai.»
«Potrei dire di sì! Sì, in teoria non sei quel tipo di uomo Yon U, eppure è questo che stai dimostrando e … e io non so più cosa pensare di te!» Gli animi cominciarono così a placarsi. Si guardarono entrambi attorno, senza dare nell’occhio, non quanto avessero fatto fino a poco fa.
Il ragazzo sospirò, « lasciamo stare. La cosa importante è che tu abbia voltato pagina.» Catturò in quel modo gli occhi di “cristallo antico”, come li aveva sempre definiti lui, del suo passato amore. Specchi ricchi di indecisione e sospensione. «Perché lo hai fatto … vero Gemma?» Chiese una conferma.
Mr Im era rimasto tutto il tempo in disparte, lasciando ai due lo spazio di cui avevano bisogno, stando però in allerta di un possibile passo falso della ragazza.
Ed eccolo! Quella risposta che non arrivava, quella sua maledetta indecisione …
Si alzò velocemente, camminando sicuro verso di loro. Si chinò appena per afferrare il polso della ragazza, per costringerla a voltarsi con un movimento del braccio. Attirò a sé Gemma, accarezzandole dolcemente una guancia con la mano libera. Avvicinò il volto a quello della giovane, premendo appena le labbra contro le sue. Voleva essere un gesto piuttosto casto, ma sempre e comunque una sorta di marcatura del territorio. Sottolineare ad un altro maschio che Gemma Brizzi era in suo “possesso”. Un gesto estremo, causato dall’estrema indecisione della ragazza.
Jin Yon U spalancò gli occhi a mandorla e i muscoli facciali ebbero dei piccoli spasmi. Trattenne il furore che avvertiva, stringendo i pugni forte. Avrebbe voluto fermare quella scena, dividere quei due. Ma alla fine optò come sempre per la ritirata. Lasciò la sala, andando a rintanarsi in cucina.
Gemma si trovò in uno stato di completa stato confusionale, non sapeva bene come comportarsi. In verità non riusciva nemmeno a riflettere decentemente. Quello non era un bacio, ma un colpo ben sferrato dritto in faccia. Come se l’avesse realmente ferita, colpita, si era paralizzata, in preda al panico.
Song Rok si ritirò per prima, comprendendo di aver raggiunto il suo obbiettivo. Non aveva pensato alla reazione dell’ex fidanzato, ma sperava che fosse talmente coniglio da rinunciare, come aveva fatto fino a quel momento. Tristemente osservò il viso della donna davanti a sé, sfiorandole di nuovo la guancia delicatamente con il pollice. Ora le faceva davvero un po’ pena, perché evidentemente il grande amore che lei voleva riconquistare in verità si era davvero affievolito nel tempo, scomparendo quasi del tutto.
Gemma dal canto suo notò solo in quell’istante l’assenza di Yon U, ma aveva altro di cui preoccuparsi. Se fino a quel momento poteva tornare indietro, cambiare idea prima che fosse troppo tardi, confessare i suoi peccati e i suoi reali sentimenti a quella persona, ora non poteva più farlo. Ora Jin Yon U aveva la prova che la sua ex ragazza stava con un altro uomo.
Uscì in fretta, senza nemmeno destare uno sguardo al colpevole, nemmeno per un solo secondo.
Son Rok alzò gli occhi al cielo, brontolando: «Lascia sempre da pagare.» Tirando fuori dal portafoglio la sua carta di credito.
 
Dopo aver pagato al banco, corse fuori dalla fuggiasca. Era ormai troppo tardi per prendere la metro, l’unica era confidare in un qualche bus. 
Gemma non sarebbe potuta andare tanto lontano, eppure non era in quella via e nemmeno in quella dopo ancora. Tornò indietro verso il locale, sperando che non fosse corsa in zone poco conosciute. Era maggiorenne e vaccinata, se fosse stata una coreana non se ne sarebbe preoccupato così tanto. Non era per via della scarsa sicurezza, una straniera era al sicuro nella capitale quanto una del posto, il problema era l’orientamento. Gli abitanti di Seoul stessi spesso e volentieri si perdevano, figurarsi un forestiero. E poi nella capitale gli ubriachi brulicavano, specie in quella zona ricca di Bar e Pub.
Aveva corso per qualche metro, tornando indietro e controllando le vie adiacenti, finché non la trovò in una di queste. Un primo vicoletto chiuso vicino al pub da dove erano usciti. Lo sguardo furente, non aveva lacrime agli occhi e nemmeno significativi segni sulle guance.
«Sei qui.» Disse avvicinandosi. Si bloccò quando la ragazza avanzò a sua volta, tenendo la stessa identica espressione di rabbia. «Cosa c’è?» Domandò, preoccupato che quell’ira si scagliasse di lì a poco contro di lui.
L’avvicinamento fu rapido, per poter sferrare il primo “attacco”. Uno schiaffò alquanto debole, vista la carica che sembrava aver accumulato. Song Rok rimase comunque allibito, toccandosi la parte del volto colpita, esclamando un “ai” poco convinto. Gemma fece un gran respiro, prima di cominciare a colpirlo a caso e ancora e ancora.
«Basta! Fermati!» Cercava di bloccarla, ma un colpo al fianco deciso lo indusse ad alzare la voce: «Ya!! Sei impazzita?»
«Non avevi il diritto di farlo!» Urlò lei, fermandosi e fissandolo ancora con astio. «Quel … quel … bacio!» Quasi non riusciva a pronunciare la parola. Im Song Rok era passato dall’antipatia alla simpatia in poco tempo, ma sempre velocemente era tornato ad assumere sembianze nemiche.
Il presunte colpevole alzò le mani in segno di resa. «Scusa. E’ vero. Ma stavi cedendo, volevi questo? Volevi arrenderti e mandare all’aria il tuo piano?» Cercò di farla ragione e sembrò riuscirci, perché l’espressione di Gemma cambiò, divenne più riflessiva.
«Forse.» Confessò alla fine, in un lieve sussurro, come se le dolesse ammetterlo.
Song Rok sospirò abbassando le braccia. «Allora dovevi dirmelo fin dall’inizio. “Abbandonami! Lascia che torni da quell’uomo, che molto probabilmente mi ferirà ancora e ancora”.»
«Tu non puoi saperlo questo.» Obbiettò.
«Potrei sbagliarmi, è vero.» Concordò lui. «Ma è una reale possibilità.» La fissò dritta negli occhi senza un cenno di insicurezza. Quelle iridi grigio fumo invece dimostravano solo titubanza e confusione. «Si sta ripetendo la storia dell’altra volta!» Esclamò con tono stanco. «Ti chiedo scusa, okay? Ma dobbiamo seriamente parlare delle “clausole”, se vuoi continuare questa pantomima. Io non ho fatto nulla di male se vai a vedere, semplicemente ho dovuto improvvisare un’altra volta.»
«Quando improvvisi non mi piace.» Annuì lei, tenendo ancora corrucciata la fronte.
«Appunto! Dammi un ruolo e un copione allora.» Allargò le braccia, facendo oscillare il capo. «In senso figurato logicamente.» Sottolineò.
Gemma cominciò a rilassare i nervi, i muscoli. Per quella sera era meglio concludere così e dimenticare. «Va bene. Ne riparliamo domani.» Si incamminò a caso, senza sapere davvero dove si stesse recando.
Im Song Rok però la seguì. «Ti accompagno al goshiwon.»



 
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