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Autore: Princess of the Rose    14/11/2014    0 recensioni
1961
Come erano passati dall’aver posto fine alla guerra più tremenda della storia, che aveva lasciato cicatrici ancora sanguinanti in tutte le nazioni, a convivere nuovamente col terrore che ogni minima azione mal interpretata potesse portare nuovamente il mondo sul rischio del baratro? Come e perché era successo a neanche una generazione di distanza? Dove era stato il loro errore?
Genere: Angst, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: 2p!Hetalia, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La mattina dopo Veneziano si svegliò più stanco del pomeriggio precedente, senza che il lungo sonno gli avesse restituito un goccio di energia. Ovest non era vicino a lui; che avesse dormito in un’altra stanza?
Faticosamente, si mise seduto e si stiracchiò, sibilando quando la schiena scrocchiò dolorosamente, e rabbrividì quando la fredda aria della stanza entrò in contatto con la sua pelle ancora calda di letto; si alzò di controvoglia, dirigendosi poi verso il salotto avvolto in una coperta.
Trovò Ovest seduto sul divano, la testa reclinata all’indietro e gli occhi chiusi, addormentato. Italia notò che la sua pelle sembrava piuttosto pallida, profonde occhiaie segnavano i suoi occhi e il suo respirò sembrava un po’ rarefatto. Gli toccò la fronte con la mano, e rimase sorpreso quando la sentì fredda e madida di sudore. Subito coprì l’altra nazione con la coperta in cui si era avvolto, e cercò di farlo stendere sul divano poggiando la sua testa su un cuscino, corse in cucina e mise su l’acqua; aprì il frigorifero, prese un limone e ne tagliò un paio di fette, che mise dentro una tazza assieme ad una bustina del tè. Cercò nella dispensa un qualcosa di dolce da fargli mangiare: prese una busta di biscotti che trovò aperta, ne prese una decina e li mise su un piattino, e poi aspettò che l’acqua si scaldasse, mettendosi seduto su una sedia. Solo in quel momento si rese conto del freddo che permeava la casa, e che i riscaldamenti non erano accesi. Se non ricordava male, la caldaia era situato nello scantinato.
Veneziano si strofinò le braccia, per recuperare un po’ di calore, e si diresse verso le scale che portavano al sotterraneo. Arrivato davanti al pannello, e cercò  di comprendere come si potessero accendere i riscaldamenti e di destreggiarsi tra i vari pulsanti e le due manovelle. Alla fine, temendo di far esplodere la casa in caso di un suo errore, optò per accendere il camino: tornò in salotto, radunò un po’ di legna e alcune cartacce nel braciere, e accese tutto quanto con un fiammifero; tempo qualche minuto,  e un piccolo fuoco iniziò da subito ad irradiare calore nel salone. Fortunatamente, il divano non era molto lontano dal camino, e non ci volle molto perché il calore raggiungesse la giovane nazione ancora incosciente.
In quel momento, si ricordò che l’acqua era ancora sul fuoco, probabilmente ormai in ebollizione: velocemente, andò in cucina e spense la fiamma, prese il pentolino con un canavaccio – non prima di essersi scottato quando ne aveva istintivamente afferrato il manico in metallo – e ne versò il contenuto dentro la tazza assieme ad un bicchierino di acqua fredda per riequilibrare la temperatura del tè. Prese dalla dispensa il barattolo di miele e quello di zucchero – non sapendo quali potevano essere i gusti di Ovest – e tornò in salotto, poggiando tutto quanto su un mobile basso posto davanti al divano.
Italia si lasciò cadere sul sofà, sorpreso che quelle poche attività avessero esaurito quasi del tutto le sue energie. Probabilmente era colpa del sonno agitato, che non lo aveva riposato per niente. Sospirò pesantemente, e si voltò verso un piccolo mobile in legno di quercia posto vicino a lui, con sopra una lampada e una radio. Rimase immobile per qualche istante, per poi prendere l’apparecchio e accenderlo, sintonizzandosi sulla prima stazione che potesse dargli informazioni sulla situazione attuale, mentre un timore crescente iniziava a soffocarlo. Dopo qualche tentativo e aver regolato il volume, una voce maschile uscì finalmente dalle casse dell’apparecchio: confermava la notizia della costruzione di un muro che separava completamente le due metà della città, e accennava ad un embargo imposto dai sovietici che impediva agli alleati di comunicare con Berlino Ovest se non con il permesso della Germania Est, nonché ad un numero non precisato di carrarmati in movimento verso il centro.
Veneziano per poco non lasciò cadere a terra la radio. Questo voleva dire che era intrappolato? Che diavolo era saltato in mente a Russia e al suo boss?! Che razza di provocazione! America come avrebbe risposto a questo? Oh no, oh no, sarebbe scoppiata un’altra guerra? No no, non voleva nemmeno pensare a questa eventualità! Cristo, perché tutto questo!? Perché?! Non di nuovo, non di nuovo!
<< I-Italien? >>
L’interpellato sobbalzò sul posto, volgendosi velocemente verso Ovest, trovandolo seduto sul divano  intento ad osservarlo con occhi lucidi ed arrossati. Da quanto tempo era sveglio?
<< T-Ti sei svegliato, >> disse l’italiano, posando la radio sul comodino; fece per spegnerla, ma Ovest gli fece cenno di tenerla accesa, << h-hai sentito tutto? >>
Ovest annuì: << Più che altro, sono cose che già sapevo. Questa notte, mentre tu dormivi, sono stato chiamato dal mio governo. Avrebbero voluto che mi presentassi a Bonn, ma l’embargo di Russland mi ha impedito di muovermi. Così ho richiamato,  e mi hanno detto di aspettare e che ci avrebbero pensato England e Frankreich, e che mi avrebbero ricontattato non appena avessero avuto qualche notizia. >>
<< Le linee telefoniche non sono staccate? >>
<< Nein, non credo. >> Ovest fece per alzarsi e andare a prendere il telefono, ma Veneziano subito lo costrinse a risdraiarsi.
<< Per favore, non muoverti, deve essere stata una notta molto dura per te. Controllo io se non ti dispiace. Ehm… potrei fare una chiamata? Credo che Romano, mio fratello, sia molto preoccupato e... Bè ecco… >>
Ovest annuì lentamente, per poi portare un braccio sugli occhi e riposare qualche altro minuto. Il Settentrione si diresse velocemente verso lo studio dell’altra nazione, aprì la porta e rimase sulla soglia per qualche istante, investito dalla nostalgia. La stanza non era molto diversa da come la ricordava prima del quarantatré, solo molto più impolverata: al muro c’erano le solite due enormi librerie piene zeppe di libri e di enciclopedie, e alcuni quadri di famosi artisti tedeschi più un paio di litografie; davanti alla finestra era posta la scrivania, piena di carte poste un po’ disordinatamente sulla superficie e alcune penne di buona fattura con ancora il tappo aperto. Veneziano le richiuse, per poi prendere il telefono posto in un angolo della scrivania e alzare la cornetta, componendo il numero di casa sua sperando che le linee telefoniche non fossero state tagliate e che la telefonata non costasse troppo.
Dopo appena uno squillo, un urlato << Veneziano sei tu?! >> partì dalla cornetta, rendendolo quasi sordo: << Veneziano, Cristo Iddio dimmi che sei tu! >>
<< V-Ve, R-Romano? >> mormorò l’italiano, allontanando di nuovo il ricevitore quando  partì una tempesta di improperi irripetibili.
<< Cazzo Veneziano, mortacci tua e di chi non te lo hai mai detto! Hai la più pallida idea di che ore sono, porca puttana ladra!? Nella capitale di quel demente mangiapatate arrivano i cazzo di carri armati e tu non mi fai neanche una fottuta chiamata! Cazzo sei una merda, una testa di cazzo, un fottuto irresponsabile! Giuro che appena torni qui a casa ti riempio come una zampogna! Ma che cazzo ti è saltato in mente per la miseriaccia!? >>
<< R-Romano, p-per favore, calmati. >> pigolò il Settentrione, sospirando piano quando comprese che gli insulti sarebbero andati avanti per un buon quarto d’ora se non fosse riuscito a fermarlo in qualche modo, << Roma, per favore. >>
<< Per favore un cazzo, Venezia’! Hai la più pallida idea di come sono stato questa notte?! Non ho dormito un minuto! Un cazzo di fottutissimo minuto! Sono stato ad aspettare una tua cazzo di telefonata tutta la cazzo di notte! Non mi hai mandato nemmeno un cazzo di telegramma! Niente di niente! Come ti è saltato in mente, razza di stronzo!? Lo sai che cosa è stata per me questa notte, eh?! >>
<< Roma, per favore. >> il Settentrione singhiozzò debolmente, sentendosi sempre più in colpa, al punto che dovette sedersi sulla sedia dietro la scrivania, << Roma, per favore, calmati. >>
Dall’altra parte della cornetta ci fu un momento di pausa prima che tornasse la voce di suo fratello in un tono decisamente più calmo: << Stai piangendo? >> chiese, prima di tornare alla carica alzando nuovamente il tono, << Ti prendi anche il lusso di piagnucolare adesso?! >>
<< Romano, per favore, basta! >> Veneziano scoppiò infine a piangere, completamente esausto. Riuscì a malapena a sentire il sospiro di Romano, e la sua voce tanto scocciata e un po’ dispiaciuta.
<< Aò, smettila di piangere, cazzo, >> sbottò il Meridione, seguito da quello che sembrava il rumore di un pugno che sbatteva sul tavolo, << non sai fare altro?! >>
<< Roma’, ho paura, >> confessò infine il Settentrione, appoggiandosi sullo schienale della sedia e puntando lo sguardo sul soffitto bianco, senza smettere di singhiozzare, << ho tanta paura. Che sta succedendo? Perché Russia deve venire qui a Berlino con i carri armati? Perché? >>
Romano rimase in silenzio per qualche istante, per poi sospirare pesantemente, e parlare con un tono più calmo: << Sono andato da *** qualche ora fa. Ha detto che è stata una cosa improvvisa, che nessuno si aspettava. Non si è capito cosa sia successo, e… Ascolta, adesso, si sta mettendo in contatto con America e il suo boss per decidere sul da farsi. Sa che sei a Berlino, mi ha detto di dirti… in caso ci fossimo messi in contatto, di nasconderti e di non far sapere a nessuno della tua presenza. Nessuno deve sapere che non sei a casa o che sei lì, potrebbe peggiorare la situazione. >>
Veneziano tirò su col naso, gemendo quando sentì i primi cenni di un mal di testa: << B-Basta? A-Aspetta c-che c’entra America? Perché deve venire qui? >>
<< Venezia’, nun fa lo gnorri, per cortesia! Figurati se quello yankee non viene qui a scassare i coglioni a mezza Europa- >>
<< M-Ma questo p-provocherà Russia e-e… E p-potrebbe arrabbiarsi e… Oddio, Romano no, no! >>
<< Veneziano! >>
<< Non voglio un’altra guerra Romano, no! Non ce la posso fare, Romano! >> strillò il più giovane, isterico, la voce raschiante.
<< Veneziano calmati cazzo! >>
<< Romano ho paura! Ho paura, non voglio! Non voglio di nuovo vivere tutto questo no, ti prego no, Romano no- >>
<< Fa silenzio cazzo! >> sbottò Romano, sovrastando la voce di suo fratello, << Non succederà nulla di niente, sta tranquillo cazzo! Non sei l’unico che si ricorda come è finita l’ultima guerra, razza di cretino! Non succederà nulla! >>
Veneziano cercò di inghiottire i singhiozzi e di calmarsi: << Romano, che succederà adesso? >>
Suo fratello rimase per qualche attimo in silenzio, prima di inspirare lentamente – forse nel tentativo di controllare la rabbia – e infine rispondere: << Non lo so Veneziano. Adesso devo sentire cosa dice lo yankee, e poi potrò darti una risposta. >>
Veneziano tirò su col naso, desiderando ardentemente che Romano potesse tranquillizzarlo in qualche modo, che mettesse da parte il suo lato burbero e mostrasse quel suo lato dolce che, anche se con difficoltà e sempre mascherato in un atteggiamento infastidito, emergeva ogni volta che una persona lui cara aveva bisogno di lui. << Ho paura, Romano. Ho troppa paura. >>
<< Vene, stai calmo, ok? >> la voce di suo fratello si era abbassata di qualche tono, << Senti… Io non… Ascolta, appena attacchi, io chiamerò lo yankee, e lo aggiornerò sulla situazione – Vene fammi finire. Tu dove sei adesso? >>
<< A casa di… G-Germania Ovest. >> disse, accorgendosi che quella era la prima volta che chiamava la nazione germanica col suo nome. Che strano effetto chiamarlo così.
<< Oh cazzo ce mancava questa! >> Romano mormorò un paio di bestemmie, prima di riuscire a riprendere il controllo di sé, << Ascolta, tanto quel crucco è sorvegliato a vista dagli scagnozzi di America. Non ti farà del male. >>
<< Fratellone, guarda che è stato molto gentile con me! >>
<< Se, come l’altro crucco prima de sant’Anna*. >>
<< Romano! >>
<< Romano un cazzo! Te l’avevo detto che non mi piaceva l’idea che stessi lì in mezzo ai crucchi, figuriamoci adesso che sei costretto a stare a casa del clone del crucco di merda! >>
Veneziano si massaggiò una tempia con la mano libera, ed inspirò a fondo: << Per favore Romano, non essere così prevenuto. >>
<< Li mortacci tua Venezia’! Non esse’ così prevenuto!? Te vorrei ricordà che è proprio perché nun dovevo esse’ così prevenuto che semo stati coinvolti in quella cazzo di guerra! >> urlò il Meridione, seguito dal suo pugno che sbatteva sul tavolo. L’altro sussultò violentemente, incassando la testa tra le spalle, incapace di replicare al fratello. Era da quando era finito il conflitto che non faceva altro che insultarlo e accusarlo della miseria in cui aveva gettato la loro casa. Ogni volta Veneziano si era limitato ad abbassare il capo, prendendosi silenziosamente tutti quelle ingiurie che un po’ sentiva veritiere ed appropriate, un po’ gli sembravano esagerate: che colpa poteva averne lui se ogni volta che cercava di fare amicizia con qualcuno questo si rivelava un approfittatore, o governato da capi folli e sanguinari? Era stato da solo per troppo tempo – lui non aveva avuto qualcuno come Spagna che, nel bene o nel male, era sempre pronto a diventare una spalla su cui piangere - non poteva più sopportare la solitudine: era davvero così grave pretendere di volere qualcuno a cui appoggiarsi?
Dall’altra parte del telefono, Romano respirava quasi affannosamente, segno che ancora non si era calmato del tutto. Il Settentrione non osava spiccare parola nel timore di subire una nuova valanga di insulti; dopo qualche minuto, sentì Romano sospirare: << Veneziano ci sei? >>
<< S-Si. >>
<< Rimaniamo d’accordo così: andrò da America assieme a *** e vedremo che possiamo fare. Tu non ti muovere da casa di… dell’affare crucco, ok? >>
<< Romano, Ovest non è un “affare crucco”! >> esclamò Veneziano, indignato da quel blando disprezzo. Perché suo fratello doveva avercela con qualcuno che non aveva nessuna colpa per quanto era accaduto durante quella guerra?!
<< … Veneziano devo andare. >>
<< Romano aspetta. >> disse l’italiano più giovane, andando nel panico; sentire la voce di suo fratello lo aveva un poco rasserenato, e per nulla al mondo voleva ricadere preda del panico.
<< No devo andare! E’ arrivato ***, stiamo andando dallo yankee. Vedrò se riesco a richiamarti in serata ok? >>
Italia del Nord annuì anche se Romano non poteva vederlo, stringendo spasmodicamente la cornetta del telefono. Doveva essere positivo, pregare affinché tutto andasse per il meglio, e confidare nel disegno di Dio e nel buon senso del resto del mondo, <<  Va bene. Ci sentiamo presto, ok? >>
<< Si si. Ah Vene, un’altra cosa. >>
<< Che c’è? >> sussultò leggermente, intimorito dal tono della voce di Romano: il tono da “Sto per dire una cosa che ti disgusterà ma io la penso così e del tuo buonismo di merda me ne infischio.”
<< Fai quel che più ritieni opportuno, ma non fidarti, per nessuno motivo, di quel nazista, chiaro**? >>
<< R-Roma- >>
<< A stasera Veneziano. >> Romano non gli diede il tempo di rispondere, e attaccò immediatamente.
Italia del Nord rimase con la cornetta in mano per qualche istante, allibito dalla veemenza delle parole di suo fratello. Lentamente, rispose l’apparecchio telefonico al suo posto, per poi lasciar cadere le mani lungo i fianchi e fissare il soffitto.
Non gli erano piaciute le parole di Romano, le considerava sbagliate sotto ogni punto di vista: Ovest era appena nato, probabilmente neanche era a conoscenza di quanto era successo nella guerra precedente, e anche nel caso sapesse degli eventi certo non ne era minimamente responsabile; e perché parlare come se la colpa di quanto accaduto fosse solo sua? Non vero che anche loro due avevano ricoperto una parte non indifferente in quel disastro? Non avevano forse anche loro le proprie colpe da scontare? Chi, infondo, non aveva avuto qualche colpa?
Ma c’era una parte di lui, una parte che lui considerava infima, che invece concordava perfettamente con suo fratello, una parte che si richiamava ai morti che non avevano ancora ricevuto giustizia e al fischio dei treni in partenza carichi di vite presto spezzate, e che reclamavano qualcuno a cui far pagare tutto il quel sangue versato.
Veneziano scosse la testa, e dopo qualche minuto in cui rimase ad osservare assente il soffitto, decise di alzarsi e tornare a da Ovest, per vedere come stava e se aveva bisogno di qualcosa. Lo trovò sveglio, seduto sul divano mentre sorseggiava il tè che gli aveva portato prima.
<< Ehi, ti sei svegliato, >> disse mostrandogli un sorriso che vacillò quando notò che la sua pelle era ancora estremamente pallida, << c-come stai? >>
Ovest lo osserva per qualche attimo in silenzio prima di rispondere: << Meglio, anche se mi sento un po’ frastornato. >> disse infine, prendendo un biscotto dal piatto che Italia aveva prima portato, e mangiandolo lentamente.
<< Forse dovresti riposare qualche altro minuto. >>
<< No no, sono quasi le undici, è tardi. Tra un po’ mi dovrebbe chiamare il mio boss per aggiornarmi sulla situazione. Le linee telefoniche funzionano? >>
<< Si. >> Italia si sedette vicino alla nazione germanica, tradendo una certa preoccupazione. Perché oberare quel povero paese di così tante preoccupazioni ad una così giovane età? Non era giusto, per niente.
<< Hai parlato con tuo fratello? >>
<< Si, ha detto che avrebbe parlato con America per discutere della situazione e vedere se riescono a riportarmi a casa. >> rispose l’italiano, senza accennare alla conclusione infelice della telefonata.
<< Ah, >> Ovest abbassò brevemente lo sguardo, per poi sorridere all’altro senza allegria, << g-gut. >>
<< T-Ti senti bene? >> chiese Veneziano, sfiorando la fronte del tedesco per vedere se avesse la febbre, sentendo la pelle fredda e sudata.
<< J-Ja, c-credo sia la mancanza di sonno. >> Ovest bevve un altro sorso di tè, e si appoggiò allo schienale del divano. Veneziano prese la coperta e gliela sistemò addosso.
<< Tanto tra un po’ mi devo alzare. >>
<< No no, risposati dai, non c’è fretta! >>
<< N-Nein, devo chiamare il mio capo prima, >> Ovest si alzò tenendosi la coperta sulle spalle, e si rivolse all’altra nazione, << quindi rimarrai qui? >>
<< S-Si, >> Veneziano arrossì leggermente, grattandosi la nuca imbarazzato, << s-senti, s-se non ti dispiace… I-Io non so d-dove andare e… Potrei rima- >>
<< Ja! >> disse Ovest, recuperando improvvisamente un po’ di energia e di colore, per poi arrossire una volta resosi conto di quanto strana poteva sembrare la sua reazione<< c-cioè, per me non c’è problema! Fai con comodo. >>
<< Ve, grazie! >> Veneziano gli sorrise dolcemente, non potendo non intenerirsi davanti a quel puerile entusiasmo, non potendo, però, non pensare a quanto Ovest si potesse sentire solo.
Quest’ultimo, con un rossore messo in risalto dalle guance pallide, si diresse verso il corridoio per andare nel suo studio; prima di girare l’angolo, si voltò verso Veneziano e disse con imbarazzo: << Scusa per il macello che hai trovato nello studio. Non ho molto tempo per pulire. >>
<< No, tranquillo, posso capire. Senti, per  cortesia, potrei usare il bagno, vorrei farmi una doccia. >>
<< Certo, c’è quello vicino- >>
<< Alla camera degli ospiti lo so. Danke shön. >> il Settentrione gli sorrise mentre di alzava e si dirigeva nella stanza doveva aveva dormito per prendere il cambio dalla valigia, sotto lo sguardo stupito di Ovest. Una volta prese un paio di mutande e una canottiera, si diresse verso la doccia canticchiando un vecchio motivetto veneziano; si spogliò velocemente, prese dall’armadietto posto sopra il lavello una boccetta di shampoo e una con del detergente per il corpo, e si buttò dentro la cabina, sospirando piacevolmente quando il getto di acqua calda investì la sua pelle, sentendosi già un po’ più rinvigorito. Si versò un po’ di shampoo sul palmo della mano e iniziò a massaggiare i capelli con lenti movimenti circolari, chiudendo gli occhi per meglio godere della sensazione.
Fece per sciacquarsi e per lavarsi anche il resto del corpo quando lo colpì un pensiero, una realizzazione che lo investì con una marea di ricordi dolceamari  che gli fecero tremare le ginocchia, gli occhi di nuovo pieni di lacrime.
Nonostante fossero passati anni dall’ultima volta che era stato ancora in quella casa, ancora riusciva a muoversi agilmente, come se nulla fosse accaduto.
 


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*La strage di sant'Anna è uno dei tanti eccidi compiuti dai nazisti dopo il voltafaccia del 1943. Quello accenato da Romano è uno dei manifesti di propaganda della Repubblica di Salò, dove i tedeschi sono dipinti come dei liberatori dall'inetto governo italiano e dagli angloamericani: a tutti gli effetti, un dichiarata gentilezza che nascondeva le stragi dei civili.

** Non intendo assolutamente offendere nessuno, si chiaro; ma questa frase è figlia della necessità di essere accurati e veritieri nella storia: dopo quanto accaduto nella WW2, non posso non far avere a Romano questa opinione, mi sembrerebbe OOC e storicamente inaccurato. 

Bé, vedo che siamo già al secondo capitolo... brutta cosa, di solito vuol dire che starò un anno senza far nulla ^^'''''
Spero di poter mantenere questo livello di aggiornamento, anche se raccattare le info sul Muro di Berlino si sta rivelando sorprendentemente ostico. 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Alla prossima! <3
   
 
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