Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: GuessWhat    14/11/2014    3 recensioni
LONG SOSPESA // Weiβdorf, nella bassa Germania, è un qualunque villaggio di montagna, con i suoi problemi, le sue piccole gioie e le sue sporadiche razzie di bestie feroci ai danni dei pastori. Storia vecchia, almeno fino a che i cacciatori cominciano a scappare terrorizzati dalla montagna, urlando di guardarsi dalla maledizione del lupo.
"Eren Jaeger dava l’impressione d’essere una creatura che aspetta, in silenzio, nel suo angolo, che la tempesta passi. [...]
Eppure nelle notti di luna non c’era mai apatia in lui.

[Werewolf!Eren; hunter!Jean]
[Eren/Jean pairing principale; accenni di Erwin/Levi]
Storia scritta in occasione di Halloween. Buona notte delle streghe!
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren, Jaeger, Irvin, Smith, Jean, Kirshtein
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Voglio scusarmi per il ritardo ma c'è stato un prolungamento improvviso. Potrei non riuscire a postare i capitoli tutti i giorni (non mi sono gestita al meglio le tempistiche della storia, mi spiace)! Spero continuerete comunque a seguire la fic :)
 
Eren si svegliò di buon mattino e, stranamente, anche di buon umore. Aprì la finestra di camera sua con un'inusuale allegria che gli prudeva nel petto e sorrise un po' sotto la sciarpa al pensiero che quella sera avrebbe rivisto Jean. Gli aveva promesso che gli avrebbe insegnato a leggere, scrivere e far di conto, gli era venuto spontaneo in seguito alla risata divertita. Non aveva mai riso così forte di fronte a qualcuno da quando aveva memoria.
Annedore, la sera precedente, non aveva atteso Eren preoccupata sulla porta nonostante non fosse tornato subito a casa, il che per il ragazzo rientrava nella norma; aveva qualche libertà. D'altronde, alla domanda "Dove sei stato?", Eren rispondeva con un'alzata di spalle e mutismo. Kornelius e Annedore avevano preso per buono che Eren uscisse ogni tanto e non tornasse, la loro unica paura (no: la paura di Annedore sola) era la presenza del lupo grande e grosso, lì fuori. E in casa con loro, ma erano dettagli che ignoravano.
A sera, il formicolio si era spostato dal petto alla pancia e le mani gli tremavano -non per il freddo- chiudendo bottega. Era qualcosa su cui Eren non s'interrogava affatto, ma lo accettava e si lasciava sorprendere, per la prima volta, dalle emozioni vere. Le aveva conosciute nel mondo circoscritto delle pagine dei libri... Non avrebbe mai sperato che un giorno sarebbero state sue.
A proposito di libri, ne aveva urgentemente bisogno. Per questo motivo Eren bussò alla porta della canonica in cerca di padre Erwin.
"Ah, sei tu" starnazzò padre Levi, facendolo entrare. "Di che hai bisogno?"
"Buonasera, padre.." bisbigliò Eren, pulendosi le suole prima di mettere piede in canonica. "Volevo.. Volevo dei libri."
"Dei libri? Che te ne fai dei libri?"
Eren provò un vago imbarazzo ad ammettere la verità, a causa di padre Levi e dei suoi modi sempre molto accomodanti e gentili. "Devo insegnare a leggere e scrivere a una persona."
A padre Levi non importava davvero perché il ragazzo volesse i libri, Eren avrebbe potuto parlare e lui avrebbe ascoltato solo un paio di parole, ma ciò che udì lo bloccò prima ancora di partire per accompagnarlo in biblioteca. "Chi?"
"... Jean."
Padre Levi provò un che di spiacevole al sentirlo chiamare per nome; Eren lo vide stringere le labbra come se avesse appena succhiato un limone. L'uomo gli fece un cenno breve di seguirlo. "Vieni, ti dobbiamo dire due parole."
Eren, sentendosi a disagio -quindi non era solo Jean ad avere dei problemi con loro due-, seguì padre Levi. Si domandò cosa avesse fatto di male.
Padre Levi lo condusse allo studio del parroco, un luogo più che familiare per il ragazzo. Si era rifugiato così tante volte tra quelle mura da avere imparato a memoria gli odori della stanza, le forme dei mattoni, e la disposizione dei libri, gestita rigorosamente da padre Levi. Tuttavia, la stanza non gli risultò così accogliente come al solito.
"Vieni, Eren. Siediti pure" lo invitò padre Erwin con la sua affabile autorità, e il sorriso dell'uomo non fu sufficiente a far sentire Eren tranquillo.
Si sedette davanti al prete, con padre Levi che rovistava alle sue spalle.
"Va tutto bene, figliolo?"
"Sì, padre.." bisbigliò Eren, reggendo il suo sguardo attorcigliando i piedi sotto alla sedia.
Padre Erwin si sporse verso di lui con un sopracciglio alzato. "Ne sei sicuro?"
Come fare a mentire a quegli occhi color cielo, puntati verso di lui come due spade? "Sì, padre" disse la verità, "Anche se lei mi sta mettendo un po' a disagio, padre" e la disse un'altra volta.
"..Oh!" Padre Erwin gli rivolse un sorriso pacato e si rimise composto. Per tutta la vita avevano educato Eren a dire loro la verità e, giunti a quel punto, si fidava di lui tanto da non mettere in dubbio la sua testimonianza. "Ti domando scusa, ragazzo mio. Vedi, Eren, sappiamo che è uscito a caccia due notti fa. Siamo abbastanza sicuri che ti abbia visto.."
"Sì, padre. Gli ho fatto fare la pipì addosso."
Dal fondo della stanza, un basso grattare di gola suggerì che padre Levi si stava facendo una risatina muta.
".. Ecco il perché dei suoi pantaloni stesi, Levi!"
"Te l'avevo detto, io, che si era pisciato sotto."
Eren assistette alla scenetta trovandoli buffi, come sempre, e più sposati dei suoi genitori. La creatura innocente non sospettava minimamente di ciò che, da più di vent'anni a quella parte, accadeva a porte chiuse, però sentiva qualcosa di molto bello e affettuoso tra loro due. Li aveva sempre visti come una coppietta, ignorando il motivo ma sentendosi un po' in colpa per i suoi pensieri immorali -forse- agli occhi del Signore.
"Non solo, padre.. Ha anche capito. Lo so, è... Strano, ma non ha cercato di farmi del male, anzi.." Eren fece una piccola pausa in cui il suo stomaco gorgogliò di fame e i preti lo guardarono con lieve allarmismo per le sue parole -non per la pancia, anche se avrebbero dovuto, visto come ruggiva-, "Si è rifiutato di farlo." non se n'accorse, Eren, ma gli sfuggì un tono quasi sognante.
Padre Erwin guardò oltre la spalla del ragazzo e Eren capì che i due preti si stavano parlando con gli occhi. Lo lesse nello sguardo espressivo del padre Erwin di fronte a lui, lo stesso che c'era ancora quando gli rivolse di nuovo la parola.
"Eren, non hai un briciolo di paura?"
Il ragazzo scosse il capo. "No, padre."
"Ricordati che è un cacciatore" padre Erwin sembrava ammonirlo, ma Eren era sicuro che si trattasse di un altro tipo di sentimento: da lui, infatti, riecheggiava una preoccupazione paterna.
Il giovane, comunque, si strinse nelle spalle e per giunta ridacchiò, scatenando l'ennesima reazione stupita nei due. "Macché cacciatore e cacciatore, padre... Se non sa neanche acchiappare un coniglio! E vuole per giunta imparare a leggere. È per questo che sono qui stasera" e ho pure saltato la cena, pensò, sarà meglio che Jean non me ne faccia pentire, "Per prendere un po' di libri, se posso." vedendo che padre Erwin era ancora indeciso su come commentare, Eren si affrettò ad aggiungere un dettaglio importante. "Padre... Davvero. Jean è innocuo."
Padre Erwin sospirò e prese i libri che padre Levi aveva scelto per il ragazzo. Non controllò neanche i titoli, limitandosi a porgere la pila di tomi a Eren. Non era convinto, non serviva la sua innata propensione a percepire le emozioni altrui per capirlo. "Tieni, Eren. E, mi raccomando" Lo fissò negli occhi e la sua mano grande e forte, quasi da soldato, gli strinse il polso. "Se noti qualcosa di strano, diccelo subito." Diede un paio di colpetti al dorso della mano del ragazzo e si fece indietro.
Eren annuì con determinazione e, presi i libri, s'alzò in piedi per lasciare la stanza. "Padre, e padre, non come ringraziarvi."
"Di che?" chiese padre Levi mentre chiudeva le imposte. Anche padre Erwin stava finendo di mettere via alcune cose, probabilmente stavano andando a letto.
"Di esserci sempre stati" rispose soltanto il giovane, prima di girare sui tacchi e uscire dallo studio.
 
Eren scese le scale coi libri al petto. Premuti, pressati contro al cuore che, per qualche motivo, minacciava di scoppiare.
Non sapeva, totalmente ignaro dei rapporti umani, cosa significasse quell'emozione; doveva compararla all'euforia dell'amore, che fa saltare lo stomaco e battere il cuore? Oppure alla felicità nel rivedere un caro amico? Jean non sembrava essere nemmeno poi così alla mano come padre Erwin, e allora perché gli faceva piacere rivederlo?
Ah, beh, inutile farsi domande. Jean, l'antipatico, francese, profumato, mammoletta Jean, era la prima e unica persona al di fuori del santo duo che aveva il desiderio genuino di stare in sua compagnia.
Fu così felice, Eren, mentre avvicinandosi alla casa scorse la sagoma di Jean che guardava fuori dalla finestra, in controluce rispetto alla lanterna, che accelerò il passo e arrivò al punto di sorridere. Sorriso che divenne largo e radioso quando la porta s'aprì e sulla soglia comparve Jean.
Un Jean decisamente poco felice di vederlo e col muso lungo tutto scuro.
Il sorriso svanì.
Subito dopo, Eren si chinò e si protesse la testa con un libro. Un tonfo metallico e sordo alle sue spalle segnò che la trappola che Jean gli aveva scagliato contro aveva raggiunto la terra.
"Ma che cazzo fai, eh?" tuonò il cacciatore, "Quella roba vale tutti i miei soldi! Coglione!" continuò a sbraitare, uscendo dalla casetta e prendendo in pieno Eren -di proposoto- con una spallata.
"Te la riaggiusto!" esclamò Eren. Di colpo gli tornò in mente la faccia di padre Erwin e il loro discorso da poco avvenuto: le ultime parole famose! Sarà stato anche disponibile e tutto, quel Jean, ma era una testa troppo calda!
Jean recuperò la trappola da terra e gliela puntò contro, a mo' di dito accusatore. Era infastidito, ma dal suo sguardo e dall'enfasi sembrava a dir poco furioso. "Lo sapevo! Lo sapevo che sei stato tu!" Jean ritornò sui suoi passi e spinse Eren da parte, burbero. "E te non hai una minima idea di quanto costi 'sta roba!"
Eren si fissò sulla sua schiena che risaliva gli scalini. Tentato di mollare i libri lì e saltargli addosso per riempirlo di botte, pensò intensamente agli oggetti che reggeva tra le braccia, prezioso tesoro di due persone che rispettava, e riuscì a calmare il suo istinto. Per un pelo.
Entrò in casa di seguito a Jean, e lui ancora si lamentava. "L'ho pagata cara! Col sudore della mia fronte! Ma come cazzo ti viene in mente di rompermi le trappole?!"
Così tante parolacce tutte insieme, e meno male che era un francese. Eren appoggiò i libri al tavolo e si tolse la mantella.
"Oh!" ululò il cacciatore, "Oh, mi rispondi, sì o no?! Fai il ritardato?!" le sue mani afferrarono Eren per il colletto.
Pessima scelta, si disse Jean, ritrovandosi a fissare gli occhi d'oro del mannaro.
Eren scattò e lo afferrò da sotto la mascella, quello spazio di carne tenera e nervi appena prima della gola, e lo scosse a sua volta.
"Ho detto" ringhiò, "Che te le riparo! Ma tu non strillare!"
"Io faccio il cazzo che mi pare, occhioni d'oro!" gli sputò in faccia Jean, rabbioso, spingendo il proprio corpo contro il suo. Si era dimenticato della paura della sera prima, a quanto pareva.
Infatti, Eren venne investito da qualcosa di fortissimo, rabbia, fastidio, che si sommarono ai suoi nervi già tesi e lo portarono a stringere di più le mani sotto alla sua mascella e a cercare di spingerlo via. Ci fu qualcos'altro di molto viscerale e istintivo che lo colpì nello stesso istante in cui Jean lo sbatté schiena al muro. Faccia a faccia, a un palmo dal viso dell'altro, a respirare come se l'aria fosse stata fatta di ferro.
"Ti sei divertito a rompermi le trappole l'altra notte, eh? Stronzo! Potevi almeno fingere di non essere stato tu, e nascondere tutti quei brutti pelazzi neri!"
"Piantala" soffiò Eren, sempre più infastidito, e non solo, per essere stato premuto contro al muro. Il fiato di Jean aveva un odore strano, di cibo e di sugo. Gli fece venire l'acquolina in bocca. "Piantala! Non volevo che qualche bestia finisse male per colpa mia!"
Jean roteò gli occhi. "Per colpa tua!" la sua voce raggiunse un picco così acuto che nessuno dei due avrebbe creduto possibile. "Ma chi cazzo se ne frega della colpa! Sono bestie, sono animali, carne e cibo! Credi che li avrei catturati per divertirmi?! Credi che non me ne sarei nutrito coi preti di qua!?"
"Non lo potevo sapere!" sbottò Eren di rimando, stringendogli poi le spalle per spingerlo e allontanarlo. Eppure, per qualche ragione a lui sconosciuta e che gli stava facendo ribollire il sangue ovunque, la sua presa -più forte di quella di un patetico cacciatore comune- era sufficiente solo a tenerlo fermo e non lo stava spostando di un centimetro. Anzi.
Lui lo respingeva, Jean premeva in avanti. Tra di loro, a dividerli, una forza impensabilmente grande, paragonabile a quel punto a metà tra la repulsione e l'attrazione tra due identici poli magnetici. Eren aveva letto di questo in un libro.
Mai avrebbe immaginato che nella realtà potesse essere tanto irresistibile.
"La prossima volta" sbuffò Jean, allentando ma non mollando la presa dalla sua maglia, "Sappilo."
Eren ansimava come dopo una gran corsa, senza sapere il perché, e lo stesso era per Jean. Imitò il gesto dell'altro: allentò la presa ma non la lasciò, ritrovandosi così con le mani posate sulle sue spalle. Sulla lingua, il sapore di un che d'incompleto, non conclusosi a dovere.
"E come dovrei saperlo?!" era ancora arrabbiato, o meglio scocciato, dalla reazione da matto di Jean. Mettersi a lanciare trappole di metallo, ma era pazzo come un cavallo o cosa?
Frattanto che aspettava una risposta, Eren scosse il capo e strinse gli occhi, per scrollarsi di dosso la sensazione strana e troppo forte per essere supportata. Proveniva da se stesso? Da Jean? Da entrambi?
"... Vabbè" Jean esalò un sospiro e rilassò il collo. Erano ancora vicini, forse troppo, con le ginocchia che ancora si toccavano. "La finiamo qui, va bene? Di discutere, intendo. Ho fatto tanto rumore per nulla."
Eren accettò di buon grado la proposta: suonava allettante. Certo non era ciò che si aspettava, ma una piccola parte di sé gli sussurrava che era stata la scelta migliore. "Sì, ci sto... Amici come prima?"
Jean non gli diede voce e fu lì che Eren capì che qualcosa stava per accadere. Lo udì nel silenzio, lo lesse su una scossa che attraversò il viso del cacciatore.
Un odore forte, fortissimo, addirittura dolciastro che identificò come appartenente a.. Una femmina, gli riempì il naso un momento prima che Jean scattasse ancora in avanti e si decidesse a premere lui contro al muro, e le proprie labbra su quelle di Eren.
Il ragazzo sussultò, sbarrando gli occhi, pressato contro il muro con qualcosa di morbido ma consistente molto vicino alla faccia, quella zaffata di sesso -e che lui ignorava esserlo- su per il naso. Ma non pensò. E la cosa, un po', fu capace di spaventarlo.
A travolgerlo, l'istinto che gli fece ricambiare la pressione della bocca e trasformare le mani posate sulle  spalle di Jean in ragni curiosi, che osavano lungo la sua schiena, s'intrigavano ai suoi capelli e si fermavano sul suo viso per tirarlo più vicino. Jean, Jean, Jean, Jean... Doveva conoscerlo con la stessa sicura certezza con cui non aveva dubbi che esistesse il sole. Conoscerlo a fondo. Farsi conoscere a fondo.
Jean gli prese i polsi e gli bloccò le mani contro al muro, quasi a dirgli: non ti muovere. Caddero piano e forte dentro alla spirale del desiderio più animale nel dischiudersi delle labbra e nell'intrecciarsi umido, un po' goffo ma passionale, delle loro lingue. Jean s'era già dimenticato dell'alito cattivo di Eren, e premeva il corpo contro il suo, premeva, premeva perché voleva di più, aveva bisogno di più. E Eren ricambiava il suo sfregarsi con straordinario entusiasmo, ma non era obbedienza, più una sorta di creatura che si lascia domare perché è così che si fa, è così che è giusto fare.
Jean gli lasciò i polsi ed afferrò i suoi fianchi, sempre più accaldato per quel bacio, reso piccante dagli schiocchi delle bocche, dai morsetti con cui Eren, giocosamente, intrappolava il suo labbro inferiore.
I fianchi di Jean iniziarono a muoversi in tondo, piano, seguendo il ritmo ora più lento del loro bacio da far girare la testa. Inguine contro inguine, era chiaro che Eren chiedeva di essere liberato e a lui, troppo, troppo ubriaco, non passò per la mente che fosse un po' presto, una reazione esagerata. Jean prese fiato e senz'indugio, senza dispiacere per avere smesso di baciarlo, seguì i bisogni carnali di entrambi. Si chinò sul suo collo e lo baciò con la stessa passione, facendo sfuggire a Eren un dolce sospiro di attesa.
A quel punto, Eren aprì languidamente gli occhi. Vide la luce fioca della lanterna appoggiata sul tavolo e come svegliandosi di soprassalto da un incubo, allarmato, respinse Jean. E stavolta ci riuscì.
Cosa.. Cosa diamine era successo? Cosa gli era preso? Perché aveva, avevano fatto tutto questo?! Che accidenti era scattato dentro di lui per arrivare a tanto.. Qualunque cosa fosse stata? In realtà, non che l'ignorasse del tutto, ma mai e poi mai avrebbe provato un desiderio del genere se Jean non l'avesse baciato. Persino ora, lontano dalle sue labbra, lo guardava e si chiedeva onestamente la ragione di tutto lo scatenarsi nel suo stomaco, bacino e inguine, dove qualcosa tirava e pulsava. Come aveva fatto a baciarlo, a sapere dove mettere le mani e cosa aspettarsi, se non aveva mai avuto un contatto così intimo e intenso con nessuno? I libri, ahiloro, non erano così dettagliati da renderlo edotto della teoria.
Eren fissò Jean con gli occhi sbarrati e il fiatone. Reclinò la testa un po' indietro fino ad appoggiarla contro al muro, dato che girava come una trottola e lui aveva bisogno di qualche appiglio.
Jean, d'altro canto, era sconvolto; difficile dire in che senso, se positivo o negativo. L'eccitazione era stata bella finché era durata, finché quel maledetto Eren non l'aveva allontanato facendogli salire un senso d'imbarazzo e frustrazione. Cosa fosse successo, neanche il più razionale ed esperto -in materia d'attrazione- dei due riusciva a spiegarselo. C'era stato uno scatto e poi più nulla: aveva dimenticato ogni cosa, passato, presente e futuro, diventando un agglomerato di desiderio carnale fine a se stesso, perso in un momento in cui le uniche cose ad esistere erano il piacere e il bisogno, la priorità assoluta, di accoppiarsi con lui.
La stanza, dopo essersi fatta complice di schiocchi e leggeri ansiti d'impazienza, si riempì di silenzio imbarazzante. Fu Jean a decidersi a romperlo, borbottando qualcosa.
"È.. Un modo in cui chiediamo scusa in Francia."
Eren, ancora troppo su di giri e stravolto per ridere -insomma! Di libri ne aveva letti, lo aveva preso per uno che legge solo testi sacri?-, annuì meccanicamente. "Ah. Bello."
"Già."
"Sì" Eren strizzò gli occhi, si morse il labbro e poi lo guardò fisso. Dovevano allontanarsi in fretta. "I libri. Ti ho portato dei libri. Per insegnarti a leggere."
"Ah.. Sì?"
"Sì, e me ne hai quasi rovinato uno. Non sono nemmeno miei."
"Non l'avrei fatto se tu non--" e si zittì all'indice di Eren premuto sulle sue labbra e alla sua espressione che l'ammoniva. Risultava poco credibile, con gli occhioni che ancora brillavano di desiderio e le guance color porpora.
"Zitto. Finiamola qui" e aggiunse subito dopo, nella voce un che di significativo,  "È meglio così."
 
Fu così, con imbarazzo e sguardi distolti, che i due si misero al tavolo ad imparare. Jean non commentò sull'evidente stato interessante di Eren, né quest'ultimo ebbe il coraggio di riportare la memoria al bacio irruento e improvviso. Si concentrarono sullo studio come poterono, ma fu difficile, davvero molto difficile, sebbene Eren avesse avuto un po' di minestra riscaldata da Jean con cui nutrirsi e sulla quale sfogarsi. 
Quella cosa tra le sue gambe smise di dargli noie dopo un bel po'. Nel bacio doveva essere accaduto qualcosa di veramente poco normale! E, anche se in cuor suo Eren immaginasse la ragione, preferì tacere per il bene di entrambi: aveva un'idea vaga di cosa sarebbe potuto accadere e, in effetti, aveva paura del giudizio del Signore. Succedeva, a vivere tutta la vita con i preti che gli ammonivano lezioni sul peccato e la fornicazione prima del matrimonio. 
Le occhiate sfuggenti non mancarono all'appello, tuttavia, il Signore non poté impedirle. Cercavano di guardarsi di nascosto più di quanto l'orgoglio -Jean, ma anche Eren- e il timore di Dio -Eren, Jean era uno sporco francese senza morale- potessero ammettere. Se fosse un modo per fugare l'imbarazzo, o per dare corda all'interesse crescente, non era sicuro affermarlo.
"Mer- merl- oohh.." Jean si stiracchiò e sbadigliò il suo ultimo tentativo.
Contagiato, anche Eren si stirò e sbadigliò, stropicciandosi un occhio. Gesto che, mannaggia a lui, Jean trovò grazioso. Un lupo, grande e grosso, un ragazzo puzzolente e lui lo trovava grazioso mentre sbadigliava e si grattava gli occhi.
"Per stasera chiudiamo qui" gli disse Eren, "Sai, sei meno stupido di quel che credessi. Vorrei continuare.. Ma s'è fatto tardi."
Jean gonfiò le guance, patetico tentativo pieno di sonno. Era un buon modo per spronarlo e lui non lo riusciva a capire. Ma più forte di uno sbuffo o una lamentela, fu una proposta. "Perché non ti fermi qui per la notte? Sei più vicino alla bottega e ho due stanze. Tu puoi dormire nella camera col letto grande."
A Eren s'illuminò il viso di stupore. "Davvero?"
"No. Per finta" Jean grugnì e si prodigò a chiudere bene le imposte.
"E mi svegli tu?"
"Ti sveglia la sveglia" e non avrebbe chiesto scusa per l'infelice scelta di vocaboli, "Ce n'è una in camera mia. Te vai a prepararti per la notte, te la porto io e te la punti tu. Io non so come si faccia" scrollò le spalle. Si volse verso il corridoio ed indicò in fondo. "A destra, dopo la mia camera, c'è la tua."
Senza un commento, Eren si diresse verso 'camera sua', ripensando a padre Erwin che lo metteva in guardia dal cacciatore. Ma che cacciatore era, uno che faceva dormire la preda nella sua stessa casa? Jean, a suo avviso, aveva sbagliato mestiere. Decisamente un clamoroso buco nell'acqua. Jean era pericoloso come un lanoso agnellino appena nato, che magari già si credeva un ariete grande e grosso, non poteva prendere in giro il naso del lupo. E poi, un cacciatore che... Coccola, per così dire, la sua preda? 
Eren si ritrovò a sorridere tra sé e sé mentre si spogliava degli abiti pesanti e indossati a strati. Jean era interessante. Aveva un odore particolare, da una nota dolciastra molto intensa: sapeva stuzzicare il suo naso come poco altro. I suoi occhi gli piacevano, nocciola, sottili e allungati, sormontati da sopracciglia vergognosamente ben fatte; gli piaceva il modo in cui lo aveva guardato in quei due giorni. Come nessun altro mai.
Durante il bacio, che ricordò con un brivido birichino, aveva sentito che il suo corpo era caldo nel modo che piaceva a lui e, anche lucidamente, formulò il pensiero che non gli sarebbe affatto dispiaciuto stringerlo o farsi stringere un poco. Cos'era il contatto fisico, questa cosa misteriosa che iniziava ad agognare?
Jean che bussava alla porta gli impedì di continuare a chiederselo. Ce ne aveva messo di tempo! Eren si era già messo sotto alle coperte e nonostante una piccola parte dispettosa di sé volesse farlo penare sulla porta qualche istante, la sua parte meno infantile ebbe la meglio. "Ah, alla buon'ora!" o forse no.
Jean entrò, in una mano la lanterna e nell'altra la sveglia, poi appoggiò quest'ultima al comodino e si accovacciò ai piedi del letto, facendo luce a Eren. 
"Entri senza neanche chiedere?" lo canzonò, mettendosi seduto e recuperando la sveglia. "E se fossi stato nudo?"
Jean, rimasto stranamente zitto fino a quel momento, arrossì tanto quanto bastava per notarlo alla luce arancione della lanterna. "Avrei guardato, no?"
Eren ritirò il capo e avvicinò la sveglia al petto, un gesto spontaneo. "Jean!"
"Eh?"
"Ma sei scemo, non si guardano le persone nude."
"Cosa?"
"Non sta bene" gli era sempre stato detto così, a casa, in bottega e in chiesa.
"Beh? Perché non sta bene?"
In effetti, non si era mai soffermato al riflettere sul perché prima di allora, e nella breve pausa esitante di Eren, Jean aggiunse, in tono strafottente, "Ti esplodono gli occhi se guardi una persona nuda?"
Il viso di Eren si fece più scuro e sporse il labbro inferiore, segno che stava riflettendo. Ma forse era troppo tardi, e la vicinanza di Jean, coi suoi ormoni matti sommati ai propri,  non l'aiutava; fatto sta che Eren non fu capace di trarre mezza conclusione. Ci avrebbe pensato a sole alto. 
"Ho messo la sveglia alle cinque" gli disse, piantando la sveglia sul comodino quasi a rimarcare la sua decisione, "Devo ancora darti i compiti."
"Che?!"
"Ah, insomma, dovrò tenerti occupato in qualche modo quando non fai finta di cacciare."
In quel momento, Jean si rese conto di essere seduto sul letto di fianco a Eren da chissà che punto della conversazione. "Io non faccio finta di cacciare. Sei tu che fai finta di farti prendere."
Eren ridacchiò appena appena, divertito dal suo lato orgoglioso e piacevolmente cretino. "Preparati, prima di un lupo cattivo, sono un insegnante severo. E ho sonno."
"E me lo potevi dire prima."
"Sei tu che sei messo a parlare di gente nuda."
"Potevi farmi stare zitto!"
"Ci sto provando adesso" confermò Eren, appoggiandosi bene ad un cuscino comodo come non ne ricordava, "Ma non funziona!"
Lanciandogli un'occhiata piena di tronfia irritazione, Jean si mise in piedi e fece per andarsene. "E allora buonanotte!" 
"Aspetta!" lo chiamò, "Credevo ti fermassi qui."
Sulla porta, Jean si girò a guardarlo e Eren si prese quel momento per analizzare la sagoma del suo corpo controluce. Doveva esserci una lanterna accesa in corridoio. 
"No, io dormo nel mio letto."
"Perché non qui?" non percepiva quella tensione forte e dal fondo dello stomaco che li aveva colti nell'ingresso: da Jean gli arrivava solo stanchezza. Non solo, l'ormone era matto, ma non ancora impazzito.
"Eren, non so come dirtelo" sospirò, " Ma tu puzzi un casino."
Eren piegò il capo di lato. Era la prima volta che gli si faceva un commento sul suo odore: non aveva pensato mai di puzzare, per il semplice fatto che era normale tra quasi tutte le persone che conosceva. Non padre Levi, né padre Erwin né altri preti, avevano viso e mani puliti. Era per questo che associava la pulizia alla chiesa. 
"Ah" Eren tese il collo verso di lui. Peccato, non avrebbero dormito vicini, non si sarebbero tenuti caldo e non avrebbe soddisfatto il suo bisogno di contatto fisico. Eppure era determinato a mettersi a dormire con una minima consolazione, ché al discorso pulizia ci avrebbe pensato l'indomani. "Allora dammi un bacio."
Eren non chiese, pretese. Jean rimase molto colpito più dalla sua personalità  che dalla richiesta: il suo carattere iniziava ad emergere ed Eren gli somigliava in maniera quasi seccante. E chi se lo sarebbe aspettato dal figlio muto del maniscalco.
S'inumidì le labbra, non si sarebbe fatto scappare l'occasione di piantare un bacio voluto sulla sua bocca. Sentendo la stranezza del momento, ma non facendosi turbare, si avvicinò e gli posò prima le mani sul viso, poi un rapido schiocco sulle labbra. Eren gli premette le mani sulla nuca e si prese un bacio più intenso, seppur accennato, e lo stomaco di entrambi fece il giullare.
"A questo punto direi buonanotte" sussurrò Jean sulle labbra del lupo.
"Vattene a dormì" gli fece eco la dolcezza di Eren.
 
 
****
 
Due figure scesero di corsa le scale. Erano padre Erwin e padre Levi, trafelati nei loro abiti da notte coperti con una vestaglia pesante, ed erano agitati.
Eren non era uscito dalla casetta per tutta la notte. I due uomini, diffidenti nei confronti del cacciatore, rimasero svegli dandosi il cambio alla finestra. Intorno all'ora delle lodi, poco prima dell'alba, di Eren non c'era ancora alcuna traccia. Attesero che il sole sorgesse e colorasse il mondo con una foschia azzurrina, prima di saltare a conclusioni affrettate. Ma l'ora delle lodi si faceva vicina e non potevano non presentarsi. Temevano più per la vita di Eren che per la propria reputazione. Uscirono insieme dalla stanza e corsero giù in cortile.
Padre Levi prese un grosso bastone trovato nei dintorni e padre Erwin cercò di sbirciare dalle finestre, ma le imposte erano state chiuse molto bene e non filtrava neanche un filo di luce. Non restava altro da fare se non bussare.
Padre Erwin, con padre Levi al suo fianco, di lato alla porta, bussò.
Nessuna risposta.
Per cui bussò ancora.
E non ci fu alcuna risposta.
I due preti si scambiarono un'occhiata allarmata: cos'era successo a Eren? Non pensarono potesse trattarsi di un falso allarme. Era la prima volta che Eren sembrava stare stringendo amicizia con qualcuno, e diamine, proprio un cacciatore doveva essere!
Padre Erwin bussò una terza volta. "Eren?" chiamò a voce alta. Padre Levi si preparò col bastone, ma padre Erwin lo fermò con l'indice alzato. L'orecchio vicino al legno, era in ascolto.
Leggeri passetti sulle travi anticiparono una voce che conoscevano. "Padre.." sussurrò Eren, aprendo la porta.
I due uomini tirarono all'unisono un sospiro di sollievo, sebbene padre Levi sembrò più che altro sbuffare.
"Buongiorno... Che ci fate qui?" gli domandò, stropicciandosi un occhio. "Ah, padre Levi, anche voi.. Non vi avevo visto.."
Il prete biondo si schiarì la voce e gli sorrise paterno. Che sollievo nel suo petto! E che paranoico era stato. "Ciao, Eren. Volevo assicurarmi che fossi già sveglio."
Anche se era molto assonnato, Eren immaginava come facessero a sapere che si trovava ancora lì. Sebbene non avesse visto le loro facce, la notte prima aveva sentito di essere osservato da loro due. Non c'era un perché; come con Jean, lo sapeva e basta.
"Sì, padre, sono sveglio- padre Levi, perché mi sta minacciando?"
"Non ti sto minacciando" borbottò, abbassando il bastone.
"Non sta minacciando" gli fece eco padre Erwin, che rabbrividì per il freddo e, infine, sorrise mascherando l'imbarazzo, che a Eren arrivò comunque forte e chiaro. "Bene, sono lieto di vedere che tu sia già sveglio e sano."
"Padre" sbadigliò Eren, "gliel'ho detto che Jean non è buono a cacciare neanche un coniglio."
L'uomo sospirò, ammettendo tra sé e sé che il ragazzo aveva ragione. Non era stato in grado di gestire la paranoia, ma come biasimare sia lui che padre Levi? Eren, da solo, di notte con un cacciatore. Gli esseri umani erano strani e imprevedibili, ma evidentemente per il ragazzo lupo erano libri stampati.
Una volta che i preti se ne andarono così com'erano venuti, solo più imbarazzati, Eren si stiracchiò e tornò in casa grattandosi la schiena. La sveglia segnava le cinque: era troppo presto, in effetti, per cui tolse il meccanismo del campanello. C'era ancora tempo per preparare gli esercizi per Jean... E stargli un po' vicino prima di rivestirsi per andare in bottega. Non aveva proprio voglia di andare lì e patire il freddo, fianco a fianco con quel rozzo di Kornelius, con i cavalli come unica compagnia. Beh, almeno quelle bestie un po' gli ricordavano Jean, ed era una piccola consolazione - nonostante Jean fosse un orgogliosa testa di cazzo.
Svogliato, stropicciandosi gli occhi e mangiando pane bianco trovato nella credenza -per una volta non si fece problemi a sgraffignare qualcosa-, Eren si mise d'impegno per scrivere i compiti per Jean. Parole semplici, composte delle poche sillabe che Jean aveva già imparato a decifrare: vero era che i bambini assorbivano le conoscenze come stracci bevono l'acqua, ma la mente di un adulto era anche più formata a comprendere concetti basilari e ripetitivi. Eren si chiedeva solo se Jean avrebbe imparato a scrivere bene, la sua calligrafia finora era un guazzabuglio buffo e difficilmente decifrabile.
Lasciò i fogli sul tavolo e strisciò i piedi fino alla camera di Jean, e non solo fin lì, ma sul bordo del suo letto. Il cacciatore dormiva della grossa: da quando i preti avevano bussato alla porta, Eren aveva fatto qualche discreto rumore, ma lui mica si era mosso di mezzo pollice... Che buffo che era, raccolto sul fianco, la faccia per metà nascosta nel cuscino e le coperte tirate all'altezza del mento. Fregandosene del commento di Jean sul suo cattivo odore, Eren si stese sotto alle coperte vicino a lui; appoggiò la guancia alla sua schiena, si riempì le orecchie del battito del suo cuore. Jean avrebbe dovuto scusarlo, ma Eren non poteva farne a meno. C'era stato un senso di più forte della ragione e del pensiero che aveva bollato Jean come suo e suo soltanto, quasi lo avesse scelto. Era un senso privo di possessività, che lasciava al ragazzo una piacevole idea di reciproca appartenenza. Adorava la sua traccia olfattiva, anche il gusto della sua saliva, la sua altezza, la sua forma, la sua voce. Eren pensò che si trattasse solo di un colpo di fulmine, una di quelle infatuazioni strane che capitano ai giovani inesperti.. Proprio come lui. Tutta la notte aveva ripensato al bacio appassionato, e poi all'ultimo bacio dolce e leggero che Jean aveva acconsentito a dargli. Incredibilmente, non c'era stata l'ombra di un senso di colpa: dopotutto, non avevano giaciuto. Il Signore poteva chiudere un occhio, se non consumavano... Se. S'era morso il labbro più volte nel buio, a ricordare il suo inguine premuto e sfregato contro quello di Jean, i loro respiri fusi insieme e le sue mani che gli facevano fare le capriole nella pancia.
Anche in quel momento il suo stomaco sussultò e lui sorrise, sfregando il viso contro la schiena di Jean, riempiendosi le narici del suo odore, imprimendolo a fondo nella memoria.
Sospirò e si accorse solo allora di avere le braccia strette attorno alla vita di Jean, che iniziò a stirarsi piano. Eren, spontaneamente, gli baciò la nuca.
"Ah.. Eren?"
"Sono io" rispose, stringendolo un po' di più.
"Che ci fai qui.." sborbottò Jean, posando una mano sulla sua. A Eren quel gesto piacque davvero molto.
"Ma che domanda è?" parlavano piano, quasi si sussurrassero nell'orecchio. Entrambi ebbero la sensazione che stesse accadendo qualcosa, senza avere un'idea di cosa fosse. "Ti ho preparato i compiti.."
"I... Cosa?" Jean gli fece intendere che voleva girarsi e si rotolò tra le sue braccia per mettersi di fronte a lui, ancora ad occhi chiusi. Lui non sarebbe riuscito a vedere bene Eren tra le imposte chiuse e la luce troppo lieve dell'alba, ma gli occhi da lupo di Eren catturarono la sua faccia con i segni del cuscino e i capelli un disastro peggiore del solito.
"Compiti.. Ti devi esercitare con le parole che ti ho scritto, e fare esercizi di calligrafia, scrivere le lettere, e..."
"Ah, sta' zitto" sbottò sottovoce e pigiò le labbra sulle sue. Eren ebbe un lievissimo sussulto ma chiuse subito gli occhi, abbandonando le braccia sui fianchi dell'altro. Fu un bacio a stampo, prolungato, il giusto saluto alla nuova giornata che stava per iniziare. Non fosse che il languore delle carezze tiepide gli stesse facendo tornare un sonno insopportabile.
"Dai!" Eren tentò di ribellarsi alla cascata di baci lenti di cui lo stava ricoprendo Jean. "Devo andare. E anche tu devi alzarti e muovere il culo" affermò, bloccandogli il viso liscio tra i palmi.
Jean aprì gli occhi e lo guardò, ed Eren capì che riusciva a vederlo nonostante la penombra. Il cacciatore sospirò, ancora assonnato ed un poco confuso, ma di certo non felice di lasciarlo andare. Il che era molto strano. Lo conosceva da così poco e puzzava pure!
"Torni stasera?" borbottando, lottò contro l'orgoglio.
Eren esitò un secondo, piacevolmente colto di sorpresa. "Sì.." gli disse, col sorriso nella voce. "Ma ora lasciami - devo correre o Kornelius mi riempie di botte" e con queste ultime parole, scappò fuori dal letto fino alla stanza che gli aveva assegnato Jean. Il quale, pigrissimo, cercò di alzarsi dal letto iniziando dal mettersi seduto a sbadigliare.
"Ma perché te lo lasci fare?"
"Cosa?" domandò Eren, rivestendosi in fretta, infilando una manica per la gamba di un pantalone.
"Quel lavoro sulla tua testa."
"Quale lavoro?"
La voce di Jean si era fatta più vicina alla porta. "Ah, su, non farmi credere che quello stupido tra noi sei tu. Poi dopo mi credo troppo intelligente. Anche se in realtà io sono troppo intelligente. Comunque dico... Il pugno battuto sulla cucuzza."
Eren si girò e lo vide fermo con la spalla poggiata allo stipite della porta, i capelli ancor più disastrosi, la maglia e i pantaloni di lana e i piedi nudi. Nonostante ciò, Jean conservava la sua aria da spaccone che lo rendeva fastidioso. Catturava la sua attenzione.
“Kornelius mi crede stupido” rispose Eren, legandosi la sciarpa rossa al collo, “Ed è bene che sia così.”
“Va bene, è furbo da parte tua farti credere stupido, ma..” fece una pausa e sospirò, roteando gli occhi, “Non dovresti farti trattare come uno zerbino.”
“Tu dici?”
Jean annuì, le braccia conserte sul petto. “La prossima volta che lo fa, tu scansati. Vedrai che ci ripensa. Stupido ma non zerbino.”
Eren rifletté un secondo sulle parole dell’altro. In teoria, non era una cattiva idea. Anche gli stupidi dovrebbero sapersi fare rispettare – ma preferì mangiarsi la lingua piuttosto che ammettere di fronte a lui che aveva ragione. Jean era un egocentrico sicuro di sé mentre lui un lupacchiotto dispettoso.
“Spostati dalla porta, devo andare.”
In tutta risposta, Jean allargò le braccia e chiuse la via con i palmi saldi sui due stipiti opposti. “Ti facevo più educato, sai?”
Eren alzò gli occhi al cielo. Stava perdendo il tempo che non aveva! Recitò come un poemetto: “Potresti spostarti dalla porta, per favore?”
“No, più educato!” lo rimbeccò Jean, sporgendo il viso in avanti.
Eren rimase a fissarlo con un sopracciglio alzato, confuso. Che voleva, adesso? Se non partivano da sé, alcuni gesti erano un mistero, e più educato di così, che doveva fare? La riverenza?
“..Più educato”  insistette Jean, e stavolta strinse la bocca a mo’ di bacio. Allora Eren capì, lieto, e anche se con una certa seccatura, gli schioccò un bacio sulle labbra. Era la giusta chiave per la serratura, dato che Jean gongolò tra sé e sé, lasciandolo passare. “Passa una buona giornata.”
“E tu fa’ i compiti” lo minacciò Eren, prendendo la via dell’uscita e afferrando al volo la mantella lungo la strada.
“Eren!”
“Eh?” ormai nel cortile, Eren si voltò verso di lui con l’intenzione di scoccargli un’occhiataccia. Ma il suo tentativo fallì miseramente, perché Jean, sulla porta, gli sorrideva. Ed era  carino. Per quanto possa essere carino un cacciatore francese seccante e antipatico e orgoglioso e pomposo con il viso un po’ lungo e dei capelli tagliati male, che fosse chiaro.
“Grazie.”
Eren boccheggiò un momento come uno di quegli stupidissimi pesci che Kornelius aveva acchiappato qualche volta, giù al lago. Jean sembrò sul punto di ridacchiare ed Eren si riscosse: non doveva dargli modo di farlo!
“Anche a te” soffiò fuori, onesto come solo una bestia poteva essere. “Grazie a te” ripeté, per conficcare meglio il concetto in quella testa bionda che aveva quasi creduto irriconoscente, almeno fino a quel singolo ‘grazie’.
Il ragazzo se ne andò prima di lasciarsi stregare dall’ultimo sorriso da spaccone di Jean. Conservò un pezzetto di quell’immagine nel cuore. Lo tenne al caldo e lo guardò più volte durante il giorno, anche quando Kornelius cercava di avvicinarsi a lui per dargli il solito pugnetto sulla testa: allora alla sua faccia turbata e stupita si sovrapponeva al bel sorriso di Jean, e continuava a ronzargli per la testa quando l’uomo si allontanava borbottando qualcosa sui suoi occhi pazzi e fissi.
Per essere il parente più prossimo del suo cavallo, Jean aveva dei denti straordinariamente umani. Era questo che a Eren metteva di buonumore. Era sicuramente questo.
   
 
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