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Autore: JustAHeartBeat    17/11/2014    5 recensioni
Si ritrovò a sfiorare con uno sguardo curioso i lineamenti tondi, lattei, e gli occhi liquidi d’un argento limpido, ma allo stesso tempo inespressivi, si ritrovò a carezzare la linea imbronciata delle labbra sottili, ed al contempo visibilmente morbide, si ritrovò a perdere un battito del cuoricino nell’osservare la fossetta che in quel momento era comparsa al disopra del suo sopracciglio sinistro, inarcato, e si scoprì desiderosa di scoprire se un paio simili sarebbero comparse ai lati della bocca, se le avesse sorriso, si ritrovò ad osservare i capelli tanto biondi da sembrare bianchi, tirati indietro da qualcosa che sarebbe potuto assomigliare al gel babbano, pensando come sarebbero stati scompigliati . Ma come sarebbe tanta bellezza potuta essere nemica? Cos’era Scorpius Malfoy? Il giorno, forse? O la notte? Proprio non lo sapeva, ma Rose non era stupida, e sapeva che il giorno e la notte sono soltanto due facce della stessa medaglia, e Malfoy, era sicuramente entrambe.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Qualche Lentiggine Di Troppo'
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Ehiláá!
Eccomi qui con l’ennesimo capitolo di questa storia! Ma ancora non vi siete scocciate?
Che dirvi? In realtà c’è poco da dire, a parte che questo capitolino è leggermente più corto dei precedenti per ragioni specifiche, ma non vi voglio anticipare nulla, anzi, vi dico subito, che diversamente dalle altre volte lascerò un paio di notine (piccole piccole, ve lo prometto, oggi non vi romperò i boccini, lo giuro!) a fine capitolo.
Ringrazio molto InsurgentRose, Elena e, ovviamente Priscilla, che hanno recensito il precedente capitolo, regalandomi un sorrisone a trentadue denti della durata di 24 ore :D
Okaay, vi lascio al capitolo, ci vediamo giù!


Ovviamente, vi ricordo che i personaggi presenti in questa storia non mi appartengono in quanto appartenenti a J. K. Rowling
Chapter IV
Di vendette, sporchi piani e salvagenti

“Dobbiamo essere pronti, i Serpeverde hanno un ottimo schema di gioco, lo sapete bene: il loro cacciatore è forte –certo, non supererai mai il suo maestro- ma lo è; il portiere dorme, quindi Potter, McGrown, Thomas, sapete dove attaccare!” stava dicendo il capitano rosso-oro, mentre il cielo cremisi si tingeva pian piano di scuro, ed il buio calava nel campo di Quidditch coronato da tribune altissime.
Faceva freddo quel giorno. L’autunno stava lentamente cedendo il passo all’inverno, mentre la temperatura calava drasticamente e gli alunni della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts rifugiavano nel baule i maglioncini leggeri, sostituendoli con capi più pesanti e comodi, come felpe in pile, magliette a collo alto (sotto divise già ben attrezzate al rigido clima britannico), cappelli, guanti e quant’altro. Fosse stato per Rose, da sempre terribilmente freddolosa, avrebbe indossato quotidianamente la tuta da sci ma, per sua sfortuna, non era permesso indossare qualcosa di così alternativo alla divisa scolastica.
“Oh Merlino James, sono tua sorella!” Esclamò Lily, stretta nell’uniforme da Quidditch, una sciarpona di lana scarlatta attorcigliata più volte attorno al collo, alzando gli occhi al cielo, scuotendo la testa in un misto di divertimento ed esasperazione, accompagnando il gesto con una smorfia contrariata. James la fulminò con lo sguardo, portando le mani sui fianchi in una mascolina (e sexy, a parere di una Dominique infreddolita che osservava l’allenamento dall’alto delle tribune) interpretazione di Ginny Weasley , mentre sussurrava inviperito “Non accetto favoritismi qua dentro, Potter!” . Contrariamente all’effetto desiderato, la minacciosa frase appena sussurrata fece scatenare un’apparente ilarità mai espressa, tant’è che Lily scoppiò in una risata che ebbe la sua conclusione soltanto svariati minuti dopo, una risata come non ne aveva mai fatte in vita sua. “Certo…Jamie…certo…” riuscì ad articolare, quando gli sghignazzi quasi isterici si placarono.
Rose sorrise divertita: tipico di James, era tanto preoccupato d’aver accettato in squadra metà della sua famiglia (non calcolando d’esser effettivamente imparentato con metà dell’intero castello) da diventare talvolta estremamente irragionevole.
La squadra era raggruppata vicino alle tre porte, che consistevano in ovale metallico retto da un altissimo palo, dalla parte delle tribune dei Grifondoro, ciascuno armato di strati e strati di vestiti e di manico di scopa.
Rose, collo avvolto in un enorme scialle violetto e mani fasciate dai guantoni da portiere, era comodamente appoggiata al palo argenteo della porta centrale, ed ascoltava suo cugino con un sorriso sulle labbra, pronta a vincere la prima partita dell’anno scolastico, parando ogni stupido tiro avversario. Era in generale molto competitiva, Rosie, ma eccelleva nella competizione in ambito del Quidditch o scolastico, e non era disposta a lasciar fare alcun punto ai Serpeverde. ‘Vediamo se sono un repellente per lumache carnivore davvero, stronzo’ fu il suo involontario pensiero, quando vide nella sua mente il nitido volto di Scorpius Malfoy tinto di vergogna per una sconfitta secolare. Sul suo volto comparì un ghigno molto poco Grifondoro. Non le era andata per nulla giù quella frase, e la delusione verso se stessa che aveva provato, si era trasformata in rabbia cieca verso il biondo meno di ventiquattro ore dopo. Dopotutto, chi lo autorizzava a sparare giudizi sugli altri in quel modo?! Aveva per caso chiesto un suo parere?! No. Quindi doveva soltanto stare zitto, che alle sue amicizie ed alla sua vita sociale ci pensava lei.
“Quindi, ricapitolando, Potter, McGrown e Thomas attaccano accanitamente le porte, vi devo vedere sfrecciare con la Pluffa in mano, e voglio che il numero dei nostri punti aumenti come quello degli gnomi da giardino alla Tana, intesi?” iniziò, lanciando loro un’occhiataccia severa e convinta. Sebbene Lily, Rose e Hugo, Fred e Roxanne avessero afferrato al volo, con un gemito di disapprovazione, la metafora, McGrown li osservava come se avessero appena dichiarato che gli animaletti domestici di Hagrid fossero terribilmente carini. James, tuttavia, decise che gli sarebbe stato chiaro con un po’ di ragionamenti e continuò, guardando Rose:“Weasley, attenta a Malfoy e Nott , per quanto mi costa ammetterlo, sono una cazzo di squadra perfetta ,quindi muovi le chiappe e fai quello che sai fare meglio: mettere i bastoni tra le ruote a quel tinto rompi pluffe. Non voglio che segnino neppure un punto, ok?” Rose sorrise malefica, scrocchiandosi le mani maliziosamente, passando malamente sopra al sussulto del suo cuore al suono della frase “Sarà fatto.” Mormorò in uno sbuffetto di condensa. James la guardò esterrefatto “Non so cosa sia successo, ma vedi di non far scomparire quello sguardo assassino prima della partita!” No pensarlo neppure, James.. questa partita la vinceremo noi.
Dominique, sulle tribune rideva di cuore. La leggendaria metafora del buio, aveva portato la rossa cugina (ormai lucida e libera del dolore iniziale) alla conclusione che il buio fa paura ed a volte letale alle prede, e di conseguenza lei sarebbe diventata letale per lo stronzo che l’aveva indotta a quei ragionamenti assurdi, e che le stava lentamente manomettendo il cervello. La bionda, a quella soluzione, aveva sorriso, appoggiandola perfettamente e, pur conoscendo la motivazione di tanto astio derivato da una misera frase, aveva preferito lasciare a lei l’onore di scoprirla. Sperando che quel momento non arrivasse in un’umida cella di Azkaban.
“Voi due, invece” disse James, riferendosi a Fred e Roxanne che, seduti per terra, come fossero bimbi in ascolto di una storia, si alzarono simultaneamente, borbottando in coro un “Si” impastato dal sonno. “Siete battitori, dimostratemi che ho fatto la scelta giusta nel accettarvi in questa squadra. Voglio veder mio fratello sanguinare, non lo fate avvicinare a quel maledetto boccino, chiaro?” concluse il moro, gli occhi fissi in quelli dei gemelli, all’improvviso svegli..un po’ troppo svegli. “Perché Jamie..” iniziò Fred “…preoccupato di non essere..” proseguì Roxanne “….all’altezza di tuo fratello?” concluse il gemello. James alzò gli occhi al cielo, poi li guardò irato “Io sono bravo almeno il doppio di Albus! Ed ora sulle scope!” ribatté. “Ed anche più maturo, vedo” ridacchiò Rose inforcando il suo manico di scopa per poi dare una spinta al suono e librarsi in aria.
L’aria gelida le perforò la carne, mentre il vento autunnale le scompigliava i capelli infiltrandosi tra questi, rendendo loro una nota libera i più. Rose Weasley su una su un manico di scopa era Rose Weasley, la vera Rose Weasley, quella impulsiva, combattente, energica, competitiva, solare, tutto quello che a terra non poteva permettersi di essere.
Stretta alla Nimbus 1000[1] che le aveva regalato, al suo quindicesimo compleanno, suo padre, sfrecciò attorno al campo, il volto sferzato dal vento, il cuore leggero, libero, comei capelli sciolti all’aria, diretta alle porte della parte opposta .
“Battitori, attaccate come se Weasley fosse Salazar in persona! Portiere, parali i tiri come fossero schiantesimi!” Urlò James, liberando la Pluffa per passarla a Fred. “Molto attenta cuginetta, ti stracceremo!” Disse questo, gongolando maliziosamente, volando in cerchio attorno a Rose con fare predatorio. “Emh..no.” Rispose questa, assottigliando gli occhi, pronta a parare ogni singolo tiro.

“Ei Scoo, paami il buo er coeia” stava, nel frattempo, sbadigliando nel frattempo un Albus Potter assonnato, i capelli ancora più incasinati di quanto non lo siano stati normalmente; con stampata, in buona parte del viso, la forma del cuscino; la camicia parzialmente aperta, che aveva ‘abbottonato’ pochi minuti prima, al buio, con gli occhi chiusi e lenti movimenti dettati più che altro dal sonno, col risultato (disastroso) di aver allacciato i bottoni scalando un’asola; la cravatta allentata.
“Certo, Albus, quando tornerai a parlare la mia lingua, farò ciò che mi hai detto” gli rispose quello, acido. Era tutta la mattina che trattava male la gente, sarà stato forse perché si era decisamente svegliato col piede sbagliato, o per aver fatto incubi su incubi, ciascuno di questo girante attorno alla rossa cugina del suddetto amico. Non riuscì a fermare la mente, che gli ripropose (assieme alla colazione) uno di questi incubi, il più, brutto, che non avrebbe dimenticato per molto:
Era lì, bella, terribilmente bella davanti a lui. Era di spalle, ma parzialmente, del volto si scorgeva solamente un porzione di gota candida, nascosta da castane ciocche di capelli; era assopita, le palpebre leggermente più colorite delle gote erano chiuse, ma mogiamente, quasi appena poggiate sugli occhi, che lui sapeva fossero verdi, ma celate; le labbra erano dischiuse ed il respiro, accentuato dal lieve movimento del seno e de ventre, coperti dal lenzuolo leggero, ne fuoriusciva a piccoli tratti di menta; le braccia pallide e sottili erano poggiate sul cuscino di seta, alti sopra il capo, in una posizione quasi fiabesca; le gambe appena incrociate.
Lui si era avvicinato. Aveva portato il dorso della mano a carezzare lievemente la pelle morbida della guancia della ragazza, scostando lentamente un boccolo. ‘Prima aveva i capelli lisci’ aveva pensato, senza però curarsene più di tanto. La carezza aveva risvegliato la bella fanciulla, che sbattendo le palpebre confusa, aveva rivelato dei grandi occhioni azzurri del cielo.
Scorpius l’aveva guardata sbigottito. ‘Merlino, ma quegli occhi erano verdi prima!’ si era allontanato da lei, quando uno strano presentimento lo aveva investito. ‘Non può essere’. Ma poteva e come, dato che l’esatto attimo seguente ogni più piccola ciocca castana di capelli era divenuta di un caldissimo color carota.
“Buongiorno Scorpius!” aveva mormorato maliziosamente Rose Weasley, sdraiata nel suo letto, stiracchiandosi lentamente.
Scorpius si strozzò con il pane, cosparso da un ampio strato di burro, prendendo a sputacchiare per tutta la tavola molliche. Albus, da previdente amico, che non se l’era presa a male per la maleducata risposta ricevuta pochi attimi prima, afferrò prontamente la tazza piena dal solito tè corretto e la portò alle labbra dell’amico, costringendolo a mandare giù il boccone di pane, bloccando la tosse apparentemente senza fine. Il biondo prese a respirare velocemente, tentando di riprendersi, il più velocemente possibile, l’ossigeno perduto. Quando finalmente, la respirazione tornò controllata, tirò un sospiro pesante, chiudendo contemporaneamente gli occhi, come se tenerli aperti fosse stato troppo faticoso. La verità era che Rose, aveva appena varcato la soglia della sala grande, tutta sudata, Il volto aperto in una smorfia di puro terrore, il corpo flessuoso ancora avvolto nell’uniforme da Quidditch rosso-oro a fare pendant con i capelli, raccolti in una spessa, scomposta e spettinata treccia a spiga di grano, il passo svelto, per evitare un ritardo clamoroso, che le sarebbe costato un rimprovero epico, e Scorpius non era per nulla pronto a guardarla in faccia. Non dopo quel maledetto incubo..
“Scorp, passami il burro, per cortesia” ripeté Albus, stavolta dopo aver mandato giù un sostanzioso boccone di bacon e uovo strapazzato. Scorpius tese la mano, e prese a tastare la superficie ruvida della tavolata, ancora ad occhi chiusi, per nulla intenzionato ad aprirli. Sentì il vetro del calice di succo di zucca davanti a lui, lo superò andando a tastare prima quella che identificò come una teiera, poi (dopo u’ustione di medio grado ai polpastrelli, a causa del metallo bollente del tè) una cosa molliccia, che riconobbe come il burro e, senza curarsi d’essersi unto e sporcato le mani, lo tirò all’amico. Albus, d’altro canto, lo guardava stralunato, dato che, seppur ben abituato alle stranezze del biondo, mai lo aveva visto delirare a quel modo e, soprattutto, non mai si sarebbe aspettato di vederlo sporcarsi le mani con il burro, davanti all’intera scuola e come un completo deficiente. “Amico, dico davvero, se è uno scherzo è di pessimo gusto” gli disse, poggiando la fetta di toast imburrata nel piatto di ceramica per girarsi completamente verso Scorpius, ancora in meditazione. “Zitto Albus, mi fai perdere la concentrazione” Fu la risposta, che aumentò, se possibile l’ansia del moro, che sgranò gli occhi, riuscendo a formulare un “Vuoi che ti chiami anche Lysander e Lorcan, per fare in modo che ti accompagnino in questo tuo cammino spirituale?” sarcastico. Scorpius sbuffò adirato. Detestava con tutta l’anima quei due pazzi da ricovero, erano sempre assieme alla combriccola di Weasley… Oh, no..era appena riuscito a pensare ad altro e di nuovo ecco il maledetto eco del sogno tornare nella sua mente . “Fottiti Potter” sussurrò alzandosi dal tavolo di scatto, lasciando il moro ancora più perplesso.
Non appena fu uscito dalla sala grande, scocciato e seguito dagli sguardi di tutti, il suo posto venne preso da un’Hilary Nott estremamente allegra, avente sul volto un enorme sorrisone a trentadue denti, ed un paio di occhi moolto arzilli, considerando i suoi standard mattutini. Aveva legato i capelli corvini in un’alta coda da cavallo; aveva addirittura passato spessi strati di matita nera sulle palpebre rosee, e colorato le labbra di un intenso cremisi; La divisa era stirata ed indossata impeccabilmente.
“Che gli prende? E’ entrato nel suo periodo?” chiese , sedendosi sulla panca con un balzo, ed iniziando a versarsi del latte in una tazza, comparitale davanti neppure un attimo prima, prendendo a canticchiare un motivetto a mezza voce. Albus, tuttavia, manteneva lo sguardo stupefatto,che seppur per ben diversi motivi, era rimasto invariato dalla scomparsa dell’amico. Dire che fosse esterrefatto era davvero un eufemismo. Era..meravigliato. Soltanto quello. Non aveva mai visto, in cinque anni di scuola, Hilary vestita in quel modo, truccata in quel modo, profumata in quel modo, bella in quel modo. Certo, non che prima si vestisse di cenci, si truccasse da clown, puzzasse o fosse una cessa a pedali, ma quel giorno..Merlino, quel giorno emanava un aura! Quel giorno Albus poteva avvertire un forte, ma al contempo delicato, odore di margheritine di campo, i capelli erano luminosi, liscissimi, tanto da sembrare seta, ed il corpo florido, ancor più armonioso del previsto.
“Emh..cosa?!” borbottò, le labbra spalancate in un’espressione prettamente ebete. Hilary scoppiò a ridere. “Beh, si può dire che quel coso dei tuoi zii funzioni alla grande, vedi di mantenere quell’espressione” disse, infilandosi in bocca un enorme cucchiaione di cereali imbevuti nel latte, sbrodolandosi la camicia. Poteva una sbrodolarsi la camicia e sembrare comunque una dea?! Albus non se ne capacitava. Ma qualsiasi cosa stesse succedendo non era normale. Hilary, notand0 l’espressione dell’amico, aggiunse: “Poi ti spiegherò tutto, fidati di me” Albus, che al momento le avrebbe dato ragione anche se gli avesse elencato una decina di differenze tra Aconito e Luparia, annuì, senza smettere di guardarla.
Dopo aver terminato la propria colazione, ed aver borbottato un “Gratta e Netta!” in direzione della propria camicia, Hilary si alzò dal tavolo e, Albus (in stile mastino bavoso) alle calcagna, percorse l’intera Sala Grande alla volta della macabra aula di Pozioni, un leggero rimorso nel cuore.
Troppo presa dal suo malefico (e sleale) piano, non si accorse neppure ad una strana coppietta, nascosta (per così dire) dietro un’armatura, pomiciava allegramente.
Era tutta la mattina che aspettava un suo bacio, tutta la mattina che agognava quelle mani calde sul proprio corpo, come per appurare di non essersi sognata nulla, e di aver diviso con lui un sogno, la notte precedente. Così ora, tutto sudato per i duri allenamenti, accaldato per l’abbigliamento eccessivamente invernale ed suo il lieve tocco sulle sue gote, James Potter, le stava regalando quello che le pare va il più bel bacio della sua esistenza (era molto probabile che avesse fatto quel pensiero almeno un’infinità di volte precedentemente, ma non era tanto lucida da poterlo asserire con sicurezza).
Dominique Weasley allacciò le braccia al collo del ragazzo, alzandosi sulle punte dei piedi per permettergli di approfondire quel bacio, già non esattamente casto, fregandosene altamente degli studenti che li avrebbero potuti vedere, della delusione della propria famiglia se lo avesse scoperto, calpestando malamente ogni pensiero che, se fosse stata nelle sue piene facoltà mentali (cosa che non era) avrebbe formulato, troppo impegnata a nutrirsi di quelle labbra così calde e perfette. Socchiuse le proprie, permettendo a James d’impossessarsi completamente della sua bocca, mentre le loro lingue giocavano rincorrendosi, cercandosi, trovandosi, assaporandosi, vivendosi. Il ragazzo la prese in braccio, pregando Merlino che non passasse nessuno, permettendole di agganciare le cosce candide, coperte dallo spesso strato di calzamaglia nera, ai sui fianchi, potendo godere ancora di più di quel contatto, inconsuetamente duraturo.
Quando, fu a corto di ossigeno, Dominique strinse leggermente la presa sul labbro inferiore del moro, marchiandolo con i bianchi denti, che vi affondarono dentro, lottando con la sua morbidezza fino a quando una puntina ferrosa non si mischiò al loro sapore. James si staccò ansante, senza fiato, ma pieno di quei capelli biondi, pieno di quegli occhi di mare, pieno di quelle labbra rosee, pieno di quel sapore tanto familiare, pieno di lei. Perché tutto, in quella piccola figura minuta, ancora ancorata al suo torso, ancora aggrappata al suo petto, ancora pronta, ancora sua, ancora completamente ed interamente sua, così piccola, così indifesa, così dipendente, quella ragazza, non stava per annegare, non era lei aggrappata alla sua anima come se ne dipendesse la propria vita, anzi, era lei il suo maledetto salvagente, era lei la sua sponda sicura, era il suo sogno nel mezzo di incubi, era lei il suo posto sicuro, il suo rifugio, il suo sorriso, la sua droga, la sua acqua, l’aria, la terra, il mondo, l’universo, era il firmamento. E Dio santo, se solamente avesse potuto urlarlo al mondo, quell’amore, se solo avesse potuto metterlo in prima pagina, se solo avesse potuto scriverlo con le stelle, affiggerlo alla notte, se solo avesse potuto dire a tutti che quel diamante, quella perla era sua, e sua solamente, se solo avesse potuto amarla ad alta voce. Ma non poteva.
Così, poggiando la testa nell’incavo tra il collo e la spalla di Dominique le sussurrò “Ti amo”. Che non era una dichiarazione, non era un’affermazione, una richiesta, una conferma, era soltanto una semplice promessa, valida come un matrimonio, incatenata nel tempo, nello spazio, nei loro cuori.




[1] Raggiunge la velocità di 160 km/h e può compiere una rotazione su sé stessa di 360°. È molto affidabile e maneggevole (modelli successivi: Nimbus 1001, 1500, 1700, 2000, 2001, 2002). Fonte: Wikipedia (non ho scritto io questo piccolo approfondimento, pertanto non mi appartiene)




Ed Eccomi quii, come promesso, con delle piccole note di fine capitolo!
Dunque, vorrei dire poche parole: Pigna, pizzicotto, manicotto, tigre..
No ,va bene, sto scherzando :’D (un minuto di Silenzio per quel grande uomo che era Silente)
Sciocchezzuole a parte..
Sono molto insicura sul bacio di Dominique e James, è il primo bacio che descrivo in questo rating, quindi FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE, VI SCONGIUTRO IN GINOCCHIO,! <3
Pooi, che pensate sia successo ad Albus? E cosa sta tramando Hilary?
Eh, Eh..non vi dico nulla! :)
Bene, bene, io mi dileguo, ho finito di rompervi i bocci netti!
A Lunedì prossimo,
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat
   
 
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