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Autore: Nina Ninetta    17/11/2014    1 recensioni
*IN FASE DI EDITING*
L'avventura di tre giovani amiche - Teddy, Morena e Grimilde - si svolge in soli due giorni: un week end speciale che decidono di trascorrere in un resort per festeggiare l'addio al nubilato di Teddy, inconsapevoli che qui incontreranno i fantasmi del loro passato, con cui saranno costrette a confrontarsi, senza poter più rimandare.
PS. Il titolo è tratto dalla canzone "Per Sempre" di Nina Zilli.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10
 


Nicolas Antonio Romero tornò con una lattina di tè alla pesca che porse a Teddy. Quest’ultima alzò il capo dallo smartphone e la raccolse, beandosi della frescura che subito le provocò un brivido. Poi guardò il ragazzo, intento a studiare il tabellone degli arrivi e delle partenze, bevendo distrattamente la bibita energetica che aveva comprato per sé, sulla cui etichetta spiccava il suo volto, con il capo coperto da un cappuccio e quell’espressione accattivante. Quando Grimilde, in un sera fredda e piovosa, si era fiondata in camera sua, svegliandola nel bel mezzo del sonno, per mostrarle quella foto che riempiva completamente lo schermo del notebook, a Teddy era mancato il respiro, trovandolo maledettamente sexy. E pensare che un tempo era stato solo suo
«Siamo in netto anticipo» sospirò lui e lei scosse il capo, come per mandar via quei vecchi pensieri, rigirandosi la lattina nelle mani, fino a tirar via la linguetta e dissetandosi con un lungo sorso.
Nicolas si accomodò sulla sedia di plastica bordò al suo fianco, accavallando le gambe e guardandosi attorno, senza troppo interesse: il solito tran-tran di persone e di hostess di volo in tailleur blu e foularino abbinato. La presenza di Teddy, sedutagli vicino, proprio in quel particolare luogo, ovvero l’aeroporto, gli strappò un risolino, attirando l’attenzione interrogativa della ragazza su di sé:
«Non lo trovi divertente?» le chiese, senza smettere di scrutare l’ambiente circostante
«Cosa dovrei trovare divertente?» gli fece eco lei, osservando nella sua stessa direzione, aspettandosi di scorgere una scena buffa o scherzosa.
Romero si girò a guardarla e gli occhi della ragazza furono attratti dai suoi come una calamita:
«Il fatto che siamo qui. Insieme.»
Era vero. Teddy era stata così concentrata e preoccupata per gli avvenimenti che si erano susseguiti in quegli ultimi giorni da accantonare il fatto che lei e Nicolas erano andati a tanto così dal baciarsi non una, ma per ben tre volte!
E ora era in aeroporto, in attesa del loro volo, diretti verso il Bel Paese con l’obiettivo di salvare Morena dalla grinfie del perfido Diego Torres, in compagnia di un Nicolas Romero che attendeva una risposta da lei, dopo averle ricordato che proprio in quel posto sarebbe potuta cominciare la loro nuova vita insieme, se lei avesse scelto di seguirlo, se avesse scelto di sposarlo. Adesso il destino le aveva giocato quello scherzo, facendoli ritrovare lì, uno vicino all’altro, ad attendere lo stesso aereo.
«Dopo circa sette anni stiamo per partire insieme verso l’Europa» aggiunse lui, giocherellando con la bottiglietta di plastica
«Otto» lo corresse «Sono trascorsi otto anni e cinque mesi» poi gli sorrise, per tentare di alleggerire l’atmosfera, ma sentendo il suo cuore pompare come un ossesso e quella sensazione di vuoto allo stomaco farsi sempre più profonda.
«Non smisi per un solo momento di guardarmi attorno e sperare di vederti arrivare, nonostante sapessi che non era nella tua indole cambiare idea e tornare sui tuoi passi. Ma sperai che almeno i sentimenti che provavi per me ti avrebbero spinta a farlo» la guardò abbozzando un sorriso, era passato così tanto tempo che provare rancore lo trovava davvero banale, ma la faccia di lei era una maschera di cera «Lo sai come sono, no? Io reagisco d’istinto, seguo le emozioni …»
Teddy fece per controbattere, senza essere pienamente sicura di quello che avrebbe potuto esprimere, nella sua testa era in corso una specie di tornado fatto di parole e di emozioni, ma due erano i termini che troneggiavano su tutti: vivere in sua presenza e sopravvivere senza. La voce robotica annunciò il loro volo in diverse lingue e, prima che Teddy potesse dire la sua sul discorso che avevano intrapreso, lui si alzò in piedi allungando le braccia per sgranchirsi, quindi guardò oltre le imponenti vetrate sulla sinistra, dove splendeva un sole giallo e rigoroso:
«Tieni a portata di mano il giubbotto» le disse, armeggiando con la sua valigia «Lì farà ..»
«Farà freddo e sarà notte, lo so!» lo precedette Teddy, mettendosi in posizione eretta e afferrando la maniglia del suo trolley, mentre lui la guardava incuriosito da quell’affermazione «Grimilde mi ha fatto una testa così sul clima dell’Italia, sul fuso orario e altre notizie simili» lanciò un’ultima e fugace occhiata al mondo fuori, dalle tinte calde e vivaci, quindi seguì il pallavolista, standogli leggermente dietro:
«Hai salutato l’estate?» le chiese lui, senza voltarsi a guardarla
«Purtroppo si …» rispose e lo sentì ridere
«Ma tu adori il freddo, giusto?» la prese in giro
«No! Io odio il freddo! Mi vengono i brividi al solo pensiero di …» e si fermò di botto, giusto in tempo prima di andare a sbattere contro la schiena di Nicolas.
Oramai avevano quasi raggiunto la fila per il check - in e, perplessa, Teddy gli chiese perché mai si fosse fermato, mettendosi in punta di piedi per guardare oltre la sua spalla. Lui si voltò, puntando fin da subito le sue pupille scure in quelle di lei, quel castano che nelle belle giornate si striava di verde carico. La ragazza non riuscì a decifrare la sua espressione, era solo in parte consapevole delle persone che avanzavano, occupando i posti che nella fila sarebbero dovuti spettare a loro e quando provò a farglielo notare, lui parve non sentirla nemmeno:
«C’è una cosa che ho sempre desiderato fare» iniziò, la voce ferma «Scusami» disse, poi lasciò la presa sulla valigia e con entrambe le mani prese il volto di Teddy, portandosi le labbra sulle proprie.
La ragazza spalancò gli occhi, restando perfettamente immobile, impassibile. Era un bacio fatto di sole labbra, nient’altro che labbra schiuse, ma che nascondeva qualcosa di più profondo e complesso. Lentamente Teddy sentì tutti i nervi sciogliersi, le palpebre si abbassarono e il desiderio che quel semplice tocco andasse oltre crebbe sempre più, aspettandosi che accadesse da un momento all’altro, supplicando che accadesse nell’immediato.
Invece le labbra di Nicolas si allontanarono dalle sue, seppur senza fretta. Come stordita riaprì gli occhi, trovandosi il suo volto vicinissimo, teneva ancora i palmi delle mani sul suo viso, le sorrise e Teddy pensò che quello era anche più disarmante del bacio che c’era appena stato:
«Avremmo dovuto farlo otto anni e cinque mesi fa» le disse e lei non riuscì a rispondere «O avremmo dovuto farlo quella sera sul balcone, o la mattina dopo, o ancora in discoteca» allargò il suo sorriso e adagiò la fronte contro la sua «In Italia non avrebbe avuto più senso.»
Indietreggiò di qualche passo per riprendere il suo cammino, lasciando Teddy così, sopraffatta dalle emozioni, incapace di pensare o di muoversi, fin quando udì la sua voce invocare il proprio nome. Si tirò appresso il trolley, quasi correndo, la lunga fila si era sfoltita di parecchio e quando lo raggiunse lui stava già mostrando i documenti, comportandosi come se non fosse accaduto quel che era accaduto.
 
Alexander Martinez la adagiò delicatamente sul letto, dalla parte che sapeva essere la sua preferita, ossia quella vicino al balcone. Una volta le aveva chiesto perché preferiva quella e non l’altra e lei gli aveva risposto con la sua solita ingenuità, spiegandogli che in questo modo, quando sorgeva il sole, le bastava sporgersi un po’ dal letto per tirare le tende. In verità Alex non ci aveva capito molto da quella spiegazione, tuttavia non si era neanche sforzato di comprenderla, l’aveva baciata e avevano rifatto l’amore, proprio in quella camera. Adesso, però, aveva compreso il motivo per cui preferiva dormire vicino al balcone e tirare le tende al sorgere del sole: i suoi raggi la infastidivano.
Nonostante in quei giorni le temperature si fossero alzate, lui la coprì con le lenzuola rosse, decorate da ghirigori dorati, in perfetto stile natalizio. Fece il giro intorno al letto e si chinò sulle ginocchia, per studiare il suo viso candido, dove qualche lentiggine era spuntata sul naso e sotto agli occhi. Prese a carezzarle la frangia e i capelli, li adorava, erano sempre così setosi, sempre così morbidi, come la sua pelle, dello stesso colore del latte. Poi si alzò, accomodandosi sulla poltrona alle sue spalle, senza smettere di osservarla, senza smettere di osservare soprattutto il suo corpo minuto che sotto le coperte si alzava e si abbassava a ritmo regolare.
Dopo aver accompagnato Nicolas e Teddy all’aeroporto, si era presentato a casa sua con una cena da asporto presa al fast food. Lui non andava matto per tutte quelle cose fritte e poco salutari, ma Grimilde sì. Le aveva telefonato prima di piombarle in casa e quando le aveva detto che stava per raggiungerla, gli era parso che la sua voce avesse assunto un tono sollevato. Dopo il fattaccio non avevano avuto molte occasioni di parlare e, se avesse trovato il coraggio di farlo, avrebbe affrontato l’argomento quella sera stessa.
Ma dopo cena Grimilde era crollata sul divano, davanti alla TV, e ogni buona intenzione che aveva avuto di fare conversazione era scemato.
 
L’hostess di volo passò a controllare le cinture, mentre un'altra – che sembrava la sua gemella sputata – spiegava ai passeggeri le varie nozioni base da conoscere in caso di emergenza. Infine augurarono loro buon volo.
Teddy controllò ancora una volta la cintura di sicurezza allacciata, aveva una così gran paura di volare che iniziava a sudare freddo, con quella morsa nella stomaco e il cuore che batteva forte nel petto. Guardò di sbieco Nicolas Antonio che le sedeva accanto, l’aria tranquilla, lo sguardo perso oltre il finestrino e completamente assorto. Si chiese a cosa potesse pensare da imbambolarlo in quella maniera, poi avvertì il rombo dei motori e d’istinto la sua mano si aggrappò a quella del ragazzo, che scattò verso di lei, trattenendo a stento un risolino vedendola in quelle condizioni, con le palpebre strizzate e le nocche delle mani bianche:
«Non hai mai volato?» le chiese divertito
«No. È la mia prima volta …» lui si avvicinò al suo orecchio
«Tutte le tue prime volte sono con me a quanto pare …» le bisbigliò, e ogni centimetro di pelle di Teddy fu percorso da brividi scaturiti da una miriade di emozioni. Sentì le dita di lui allacciarsi alle proprie e stringere forte per un tempo che parve infinito, poi l’aereo si librò nel cielo e lentamente lei allentò la presa sulla mano di Nicolas e sul bracciolo sinistro, ricomponendosi, rossa in volto. Il ragazzo, tuttavia, non ritornò al suo posto, rimase affacciato su di lei, a respirare l’odore dei suoi capelli che sapevano di estate e di balsamo alla vaniglia, Teddy li tirò su un lato e lo guardò, sostenendo il suo sguardo languido:
«Chi ti dice che tutte le mie prime volte sono state con te?» Romero fece spallucce, sistemandosi sulla sua poltroncina
«Almeno quelle importanti lo sono state di sicuro»  replicò stuzzicandola, ma Teddy non raccolse la sua frecciatina, sapeva che quella sarebbe stata una battaglia persa in partenza, preferì chiudere gli occhi e teletrasportarsi nel suo mondo perfetto, cullata dalle note della sua musica preferita e tormentata dal ricordo delle loro labbra unite.
 
La ragazza bionda si mosse, distraendolo dai suoi pensieri, la vide sorreggersi sulle braccia e guardarsi intorno con fare stralunato, fin quando i loro occhi si incontrarono e allora parve pian piano mettere insieme i pezzi. Si mise a sedere, strofinandosi le palpebre e consultando la sveglia sul comò a forma di stella rosa, con tanto di occhi, naso e bocca. Le lancette dicevano che erano le venti e, dietro di Alex, il sole stava tramontando sul mare, spennellando il cielo di arancio. Sbadigliò, stupendosi di trovare la frangia e i capelli in ordine, forse non dormiva da tanto, o forse non si era girata e rigirata nel letto, come faceva di solito. Come un flash, si ricordò di essersi addormentata sul divano, davanti alla televisione. Guardò Alexander che intanto non aveva smesso di fissarla, la faccia seria:
«Mi hai portato tu qui? Perché io non ricordo di essermi alzata e di esserci arrivata con i miei piedi» fece un risolino forzato, sperando che lui le sorridesse di rimando, ma questo non accadde.
Martinez non era lo stesso di sempre, era cambiato nei suoi confronti. Più volte aveva chiesto a Teddy se per caso non avesse combinato qualcosa di irreparabile o che aveva potuto portarlo a detestarla, ma la sua amica l’aveva sempre rassicurata, raccontandole più volte per filo e per segno la nottata al Viva la Vida. Forse semplicemente si aspettava di essere ringraziato per averle salvato la vita.
«Alex …» iniziò, sentendo la sua voce tremare «Non ti ho mai ringraziato per avermi salvato …»
«Eri morta» disse lui, il tono spento, gli occhi fissi su di lei e imperscrutabili «Fra le mie braccia. Eri morta, non respiravi, non parlavi …» la sua voce ferma d’improvviso s’incrinò e si coprì il viso con le mani « … eri morta, fra le mie braccia, e io pregavo solo di avere un’altra possibilità, solo un’altra»
Grimilde rimase a fissarlo con gli occhi spalancati. Lo aveva visto arrabbiato, triste e sconsolato, ma mai disperato, perché quella era disperazione pura, mista ad una paura viscerale:
«Ma tu mi hai salvato la vita» ripeté lei, scostando le lenzuola dal suo corpo e inginocchiandosi dinnanzi a lui, quindi gli prese una mano e Martinez non poté fare a meno di guardarla – i suoi occhi azzurri erano lucidi e intimoriti – mentre Grimilde si portava il suo palmo sul cuore, per fargli sentire che c’era e che batteva forte nel petto. Molto forte. «Lo senti?» gli chiese, con le lacrime agli occhi «Se batte è solo grazie a te! Se sono qui e ti posso parlare, ti posso toccare …» continuò accarezzandogli una guancia con la mano libera « … è grazie a te!»
Martinez chiuse gli occhi per assaporare al meglio quella carezza tiepida, aveva le mani calde e non ghiacciate come quando l’aveva stretta sul bordo di quella maledetta piscina. Tenendola per i polsi, la guidò a sedersi sulle gambe, quindi prese a sfiorarle con l’indice le gote leggermente arrossate, la punta del naso, le labbra.
«Mi dispiace, è stata colpa mia se tu ...»
Grimilde gli poggiò due dita sulla bocca, arrestando la sua frase a metà:
«Non è stata colpa di nessuno, è successo e basta»
«Ma se io non avessi …»
«Schhhhh» bisbigliò lei, baciandolo con delicatezza.
Si separarono solo per scrutarsi negli occhi qualche secondo, poi Alex le passò una mano sotto i capelli e invase la sua bocca con la propria lingua. Quella ragazza era una droga, una bellissima e paradisiaca droga che non gli faceva mai male.
«Credo di essermi innamorato di te» le disse, senza smettere di unire le loro labbra, fra un morsetto e un altro, ma Grimilde lo allontanò, perplessa:
«Co-come? Che significa?» gli chiese e lui sorrise, prima di riprendere a darsi da fare con la sua bocca
«Nel senso che ti amo, bionda!» di nuovo lei lo tenne lontano, schiacciandogli un palmo sul petto, aveva l’aria divertita
«Oddio! Io non sono sicura di amarti. Sai, magari se ci lavorassi un po’  …»  Alex si alzò, prendendola in braccio a mo’ di principessa e, come poco prima, la sdraiò sul letto, questa volta coprendola con il suo corpo:
«Conosco un paio di metodi che potrebbero convincerti » biascicò tra un bacio sulle labbra e uno sul collo, mentre con la mano destra tirava giù la zip della maglia che lei indossava. Grimilde gli chiuse le braccia intorno alla nuca, pretendendo avidamente che la sua bocca aderisse a quella propria.
  
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