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Autore: ehinewyork    18/11/2014    0 recensioni
"Il mio piccolo mondo che avrei dovuto costruire, proprio come un grattacielo, pezzo dopo pezzo, e farlo restare in piedi. Ma la fiamma che era in me era ancora piccola, non era ancora abbastanza forte da poter bruciare e disintegrare tutto il male che c’era alle fondamenta della costruzione e che mirava al suo crollo. Dovevo ancora distruggerli quei demoni dagli occhi indifferenti e le mani afferranti; terribili demoni che mi annerivano l’anima."
Lei è Sophie e questa è la sua storia. Ha un sogno nel cassetto: la libertà. Rinchiusa in una gabbia cercherà la chiave per liberarsi. E' piccola, sola, ma forte, nulla potrà distruggerla, neanche il suo terribile passato che la perseguita. Cosa troverà a Londra, in quel piccolo spicchio di mondo al nord dell'Europa? Ripulirà ogni sua ferita, ogni suo livido. Ma non le basteranno soltanto due mani per curarsi.
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Lo sciroppo d’acero si riversò in modo uniforme sui pancakes che erano ammassati gli uni sugli altri, mentre il silenzio continuava a tenerci compagnia da qualche minuto. Mi aspettai una risposta da lui, dopo quello che avevo detto, ma non aprì bocca. Mi guardò soltanto per un secondo e poi posò lo sguardo altrove. Nessuna negazione, nessuna obiezione, solo il silenzio. Ti è sembrato così strano ciò che ho detto o, semplicemente, ho centrato il punto? Avrei voluto chiedergli, ma non lo feci.

- Chi ci abita in quel palazzo? – fu una domanda imprevista, che neanche io mi aspettai di porgli.

- Nessuno – replicò con un filo di voce, sforzandosi in un sorriso – Nessuno di importante –

- Doveva essere importante abbastanza se ci sei andato lì di corsa –

- No, non lo era. Avevo solo un affare da sbrigare. Ma è saltato fuori all’ultimo momento e, francamente, non credevo neanche che saresti venuta, altrimenti avrei rimandato. –

- Non preoccuparti – sorrisi - Quando sognavo Londra non avrei mai immaginato di conosce un ragazzo che mi avrebbe fatto da guida turistica in un quartiere malfamato e per di più a casa di nessuno – continuai in tono scherzoso, con una punta di sarcasmo. Tentai di tirargli fuori quella verità che palesemente teneva all’oscuro. Forse nessuno conosceva quella storia, forse lui non ne aveva mai parlato con nessuno e, forse, neanche aveva intenzione di farlo. E, infatti, i miei forse si trasformarono in certezze.

Rise, evitò per un attimo il mio sguardo. Sembrò prendere fiato, la dose di ossigeno che gli serviva per prendere coraggio, per guardarmi in faccia di nuovo e mentirmi.

- Non c’è nulla di misterioso in questa storia. Sono stato lì, ho fatto una cosa ed è finita qui. -

- E’ la prima volta che ci vai? – non mi arresi – I quartieri come quello sono abbastanza pericolosi –

- Pericolosi? Pericoloso è un termine riduttivo. Ti dico soltanto questo: non passarci mai di lì, perchè non sai cosa potrebbe capitarti. -

Deglutii piano, passai una ciocca dietro un orecchio.

- Cosa potrebbe capitarmi?-

- Il peggio. Ci sono uomini inaffidabili, persone meschine. Quelle strade sputano ferocia anche dai marciapiedi. Quando cammini devi tenere sempre alta la guardia, devi correre e mai rispondere a qualcuno. Uscirtene da lì il prima possibile, perché potrebbe capitarti davanti qualcuno che se ne frega di tu chi sei, di quanti anni hai e di che sesso sei. Non so se ci siamo intesi. Sono violenti, molto violenti gli uomini da quelle parti. – tossii – Per questo, promettimi che non ci andrai mai -

- Prometto – gli dissi senza guardarlo negli occhi.

Sono violenti, molto violenti un rimbombo nella mia testa.

 

uomini inaffidabili, persone meschine le parole riecheggiarono

 

molto violenti

Iniziarono a passare nella mia mente milioni di scene, di situazioni realmente accadute, di situazioni assurde, inventate, create in quel momento dalla mia testa. Iniziò a martellarmi forte, un terribile odore di dolci appena sfornati passò sotto il mio naso e sentii lo stomaco rivoltarsi, pronto a rigurgitare tutto ciò che avevo mangiato. Mi tenni con la schiena dritta, seduta contro la pelle morbida dei divanetti. Sorrisi guardando fuori, cercando di mascherare quel terrore che stava invadendo le mie viscere. Lui mi sorrise, pronunciando un lieve “grazie” che a stento raggiunse i miei timpani.

Mi sentii troppo fragile, troppo sensibile a quei ricordi che riaffioravano subito, dei ricordi che io cercavo di far sprofondare in un mare d’acqua, ma che di punto in bianco ritornavano a galla, ogni volta. Le mani iniziarono a prudermi per l’ansia e, coma una catena, anche i polsi e le braccia mi prudevano come orticaria. Ma non potevo grattarmi, non davanti a lui che continuava a parlare di quanto il tempo fosse bello quel giorno.

- Sono giornate rare in cui ne approfitto e me ne resto sul prato a disegnare -

Mi guardò ed io annuii, sorrisi, poi guardai in basso. Avevo le mani rosse, il sangue sembrò volermi scoppiare da un momento all’altro nelle vene. Mi prudeva tutto e continuai a strofinare le braccia tra loro per alleviare il fastidio, per cercare di mascherarlo ancora per poco.

- Sophie, tutto bene? –

Stavolta si fermò, smise di parlare e mi guardò preoccupato.

- Oh, sì, devo solo andare un attimo al bagno. Scusami. -

Mi alzai e corsi dritta alla toilette. La fioca luce di quei bagni illuminava lievemente il mio volto allo specchio: terrore, terrore si vedeva in quei grandi occhi. Alzai le maniche della maglia e guardai stupida tutta la pelle arrossata che prudeva ancora. Gettai le mani e le braccia sotto l’acqua fredda, chiusi il rubinetto e le fissai.

Residui di lividi, macchie viola così scure da sembrare nere. Una cicatrice nell’interno del braccio destro, che sembrò essere così evidente in quel momento. Non avevo mai fatto caso a quanto fosse grande, mai perché non volevo, non volevo pensare, ne potevo ricordare quel giorno di metà inverno che mi era rimasto impresso sulla pelle.

 

“Tu! Tu mi hai seguito puttana di una figlia! Mi hai seguito e se ti azzardi ad aprire bocca ti tolgo anche il respiro!”

“I-Io non dirò nulla papà” la voce tremante di chi vorrebbe scoppiare a piangere per la paura, ma sa che non può farlo.

“Sei una bugiarda. Tu stavi correndo dritta a dirlo a tua madre. Ma se vengo a sapere che qualcuno sa di questa storia, questo, questo lo vedi?!”tirò fuori un piccolo coltellino dalla tasca della giacca. “Questo te lo infilo fin dentro la gola.”lo puntò dritto verso di me.

“Non dirò niente, papà. Te lo prometto.”ancora un lieve tremore.

“Devi fare quello che dico io, è chiaro? Sei mia figlia, tua madre non ha alcun diritto su di te. Io decido cosa devi fare.” Non abbassò l’arma.

“Ma sono anche sua figlia.”

“Ma di più mia! Tu respiri quando te lo dico io, parli quando te lo dico io, vivi come dico io. E’ chiaro?”la rabbia nel suo volto.

“C-chiaro..” abbassai lo sguardo, intimorita, impaurita, terrorizzata.

Prese il mio braccio destro, lo fissò. “Vedi tutti questi segni? Sono fatti da me e sono così fiero di questi. Così tutti sapranno che sei mia, che sei mia figlia e di nessun altro.” Continuò a guardarmi.

“Ma papà..” deglutii “Hai sempre detto che sono una pessima figlia”

“Lo sei, infatti!”un ghigno sul suo volto “Ma cambierai. E grazie a questi segni tutti sapranno che figlia meravigliosa sarai diventata grazie a me.” Deglutii rumorosamente.

“Davvero pensi che io posso diventare migliore?” un barlume di speranza si accese in me, una speranza vana.

“Ma soltanto grazie a me” rise malignamente “E ora vedi qui?” indicò il braccio, in un punto limpido “Vedi come i miei segni qui non hanno ancora fatto il loro ingresso?”abbassai lo sguardo annuendo.

“Tu sei mia e se c’è qualcosa che può dimostrarlo è un segno ancora più marcato.”

Alzò il braccio, aprì il coltellino. Sgranai gli occhi come non avevo mai fatto, tentai di indietreggiare prima che potesse mettermi le mani addosso. Ma la sua presa si fece più dura e io ero intrappolata.

“No! No, papà, non farlo! Sarò buona.”dissi iniziando a singhiozzare.

“Zitta! Non urlare! Smettila di frignare e dammi questo dannatissimo braccio.”

Strillai, ma mi coprì la bocca. Mi dimenai, ma mi tenne stretta. La punta di quel coltello toccò la mia pelle delicata. Strinsi gli occhi, scossa da tremiti, finché la lama non sprofondò e un calore bagnò a gocce il mio braccio. Il sangue gocciolò fino a terra e le lacrime uscirono dei miei occhi a fiumi. Crollai a terra.

L’acqua fredda mi bagnò anche il volto, schiusi gli occhi, con le gocce che ricoprivano le mie ciglia. Mi guardai dritta nello specchio sospirando, poi asciugai il viso. Sperai che tutti i ricordi smettessero di avere quel potere su di me, di rendermi così vulnerabile.

Sono violenti, molto violenti

 

Scossi la testa sbuffando, li scacciai via. Presi una forte respiro e decisi che tornare agli alloggi sarebbe stata la cosa migliore.

Era ancora seduto, con le mani strette nelle tasche e lo sguardo perso nel sole che batteva sulle strade. Louis si voltò non appena mi vide.

- Hey! E’ tutto okay? Stai bene? –

Srotolai le maniche e mi sistemai. Mi guardò da capo a piedi.

- Si, grazie, Louis. Ora però sarà meglio che io torni, okay? -

Lasciai sul tavolo il caffè-latte e la mia porzione di pancakes. Presi la borsa e indossai la giacca.

- Ma come? Vai via così? – si alzò e mi guadò perplesso.

- Si, Louis, vado via così – puntai gli occhi nei suoi.

- Come al solito – un tono seccato. Prese la giacca e la indossò. – Non mi stupisce – aprì la porta d’ingresso ed uscimmo dal bar.

- Cosa vorresti dire? – si strinse nelle spalle, poi si fermò e mi guardò.

- Voglio dire che non è una novità che tu “vada via così”. Lo fai sempre, di punto in bianco parti e te ne vai. – lo guardai con gli occhi intimoriti, un leggero fastidio ancora persistente sulle braccia.

- Non è sempre così, come non lo è adesso –

- Ah no? Mi è apparso così strano il modo in cui hai deciso di andare via. C’è qualcosa da cui scappi? Scappi da me, per caso? – notai un luccichio nei suoi occhi.

- No, non scappo da niente e da nessuno. Solo.. È solo che… -  sollevò le sopracciglia, io sospirai.

- Solo cosa? Dovresti far pace con te stessa, prima andare dalle persone e poi fuggirtene -

- Ma no, ti sbagli di grosso! –

- Dimostramelo – mi apostrofò.

Lo guardai, poi abbassai lo sguardo. Me stessa capì di dover fare davvero i conti con sé. Ed io capii che quel ragazzo di fronte mi stava smascherando con troppa facilità: mi stava buttando in faccia la verità, pezzo dopo pezzo. E mi sentii denudata, priva di qualunque autodifesa, fragile. Troppo fragile per potermi nascondere ancora.

- Non posso – dissi con un filo di voce – Non posso dimostrarlo -

- D’accordo – replicò – Allora ti lascio andare – lo guardai stupida quando mi diede un bacio sulla guancia – Sei libera di fuggire adesso, okay? –

Annuii piano abbassando la testa, ma non appena vidi che iniziò a camminare lo tirai di nuovo verso di me.

- Louis, aspetta! – dissi – Non c’è niente che tu abbia sbagliato, d’accordo? Sei fin troppo buono con me. Ho solo.. ho solo alcune cose per la testa – sospirai.

- Troppe. Ne hai troppe nella testa – mi guardò – Facciamo così – infilò una mano nella sua tasca, ne estrasse una penna. Prese una mia mano e poggiò la punta sulla pelle irritata. Pensai che mi chiedesse perché la mia pelle avesse quel colorito così insolito, ma tutto ciò che fece fu scrivere.

- Questo è il mio numero. Chiamami quando vuoi vedermi. –  sorrisi – Chiamami quando avrai parlato con te stessa, quando non scapperai. –

Sospirai, poi annuii piano – D’ accordo. -

Ma non avevo bisogno di parlare con me stessa, non c’era nient’altro che dovessi dirmi. Tutto ciò che c’era da sapere lo sapevo già: scappavo dalle paure piuttosto che affrontarle, tutto qua.

Mi voltai e lo vidi camminare con la schiena dritta verso una meta che non conoscevo. Diretto verso casa o forse verso il parco o verso qualunque altro posto che fosse nella direzione opposta alla mia. Sobbalzò a quel punto un pensiero nella mia testa, fissai quel numero inciso con l’inchiostro sulla pelle che stava tornando del suo normale colorito. Mi stava urlando in tutti i modi che non dovevo scappare, mi stava offrendo la mano, una mano che probabilmente mi avrebbe tenuta stretta. Ma come potevo averne la certezza? L’ennesimo punto nero mi appannò la vista.

Gli uomini, pensai, sono creature così oscure e non sai mai cosa vogliono davvero da te.

Li temevo, li temevo gli uomini. Con quelle mani così grandi e quei sorrisi così raccapriccianti, che non capivo da che parte andare: se andarmene via oppure restare. Mi terrorizzavano, tanto che avevo paura che se mi fossi fidata troppo di un uomo sarei diventata soltanto una vittima. Pensai che tutte quelle paure fossero dovute ad una sola ragione. Mio padre.

Paura di amare perché non sapevo cosa significasse.

Paura di restare perché la fuga era la strada più semplice.

Paura della paura stessa, perchè non sapevo affrontarla, perché credevo di non farcela.

E quando dovevo finalmente fare un passo avanti, tutte le mie paure parlavano insieme nella testa, creando una tale confusione da farmi ribollire il cervello. Mi si presentavano davanti ostacoli da superare e mille voci mi dicevano che non ce l’avrei fatta, che la strada da percorrere era troppo difficile, che c’era qualcosa che mi bloccava e che mai sarei riuscita a buttare giù quel muro. Ma, al tempo stesso, ce n’erano altre mille che dicevano di non dargli retta e di affrontare tutto, di rischiare. A volte prevalevano le une, a volte le altre.

In quel momento ci furono voci che mi consigliarono di girare i tacchi e di andarmene da lì. Sei debole, mi dissero. Alcune invece mi urlarono di restare e di andargli incontro, di lasciare stare il passato e di seguire Louis fin quando lui non avrebbe capito che ero stanca perfino di scappare.

E l’assurdità di quella situazione fu che mi ritrovai a stringere con il palmo della mano il mio cellulare, senza averlo scelto. Digitai il suo numero, mentre lui continuava a camminare tra la folla lungo quel enorme viale. Inconsapevolmente io ero restata, io ero tornata da lui. Anzi, io non me ne ero andata affatto.

Uno squillo. Due squilli.

– Pronto? –

– Aspetta – un sussurro  – Non fare come me, tu non scappare. –  Si voltò, con le mani infilate nelle tasche e la fronte arricciata per il vento che gli colpiva il volto.

– E se invece lo facessi? – tenne gli occhi fissi su di me, come io su di lui  – Cosa ci sarebbe di male? –

– E’ sbagliato – sospirai – E’ sbagliato scappare. E’ da codardi. -

Lo vidi voltarsi completamente e camminare a passo lento verso di me – Mi stai dando del codardo? – sorrise e io ricambiai allo stesso modo.

– Io? Beh, non escluderei l’opzione –  risi.

 

Si trovó ad un passo da me, chiuse il cellulare e mi guardó. Io riposi il mio nella borsa e sorrisi verso di lui stringendomi nelle spalle. Fu una sensazione nuova, ritrovarmi di fronte a qualcuno da cui stavo per scappare, qualcuno pur cui invece ero restata, qualcuno che mi stava insegnando a farlo.

 

- Sono io ad essere codarda, lo sai - mi morsi il labbro inferiore. Lui stava sorridendo, con un sorriso che gli illuminava completamente il volto.
– Perchè? –
– Scappo sempre, no? – portai anche io le mani nelle tasche.
– Non sei poi così codarda, almeno tu hai avuto il coraggio di provarci, di provare a restare – mi guardó dritto negli occhi e poi abbassó lo sguardo.
Io lo fissai e lo vidi quando cambió espressione: aggrottò la fronte e non rialzó gli occhi su di me.
– Almeno io? - chiesi interdetta.
– Si, non tutti sanno farlo –
– Ad esempio, chi? – poggiai la schiena al muro mentre lui era di fronte a me. Mi tenne sulle spine per alcuni secondi, poi finalmente mi degnó di un suo sguardo.
– Ad esempio io. Io non azzardo neanche – sospiró.
– Ah no? – scosse la testa e mi guardó, lasció cadere le braccia lungo i fianchi. Mi si strinse il cuore quando incurvó le labbra di lato, in un'espressione che faceva trasparire sofferenza. Sorrisi piano, poi poggiai una mano sulla sua spalla.
– Anche io fino a poco fa sapevo soltanto scappare, sai? –
– Si - mi guardó – Come hai fatto a cambiare idea? –
– Grazie a te –
Alzó gli angoli della sua bocca in un piccolo sorriso.
– Cosa vuoi dire? –
– Che se tu non mi avessi buttato in faccia quello che faccio, quello che sbaglio, io ora non sarei qui. È grazie a te se non me ne sono andata. –
Mi lanció un timido sorriso e mi ringrazió. Rimasi intenerita di fronte a quello spettacolo, quello di un ragazzo che sembrava avere gli occhi di un bambino. Degli occhi così profondi e pieni, così interamente da scoprire. Sembró la persona piú piccola del mondo in quel momento, come quei suoi grandi occhi che contenevano un piccolo infinito. E quel sorriso che per la centesima volta esplose luminoso sul suo volto. Poggiò la sua mano sulla mia che era ancora sulla sua spalla e i mille ricordi della prima sera mi riaffiorarono nella mente. Pensai che tutti gli avvenimenti da quel giorno a quel momento non erano stati poi così spiacevoli, pensai che forse non erano stati neanche del tutto casuali e che probabilmente per una volta, sbagliando avevo fatto le cosa giusta.

  
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