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Autore: AnonymousA    18/11/2014    2 recensioni
Gioca con le mie ciocche di capelli ribelli, arrotolandole attorno alle dita per poi srotolarle e cominciare da capo; senza aggiungere un'altra parola e senza voltarmi. Solo che è tremendamente difficile dimenticare la sua presenza alle mie spalle, così come è complicato spicciare una parola. [...]
Le sue mani mi afferrano per le spalle e mi voltano, rivelando finalmente il suo viso. I miei occhi sono rapiti dai suoi che mi risultano indecifrabili, straboccanti di emozioni che non riconosco. Mi chiedo quali sensazioni la mia presenza stia suscitando in lui.
Senza staccare gli occhi dai miei, mi solleva sul ripiano del lavabo, incastrandosi tra le mie gambe. Sento un tuffo al cuore e, per un istante, mi si mozza il respiro. [...]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un nuovo capitolo tutto da leggere. Spero che vi piaccia, BUONA LETTURA! 


La voce di mio padre mi chiamava.
Era una bellissima giornata di sole, il cielo era di un azzurro strabiliante; così intenso da volerci sguazzare all'interno e lasciarsi trasportare da quell'assoluta leggerezza, che mi avrebbe resa leggera a mia volta.
I raggi del sole si specchiavano sui suoi capelli di natura indomabili, sempre in disordine. Si sbracciava, incitandomi a raggiungerlo in acqua. Aveva le caviglie immerse nell'oceano e di tanto in tanto schizzava dei timidi getti d'acqua delicati, come se volesse dimostrarmi che era meraviglioso.
Indossava il suo costume preferito, quello bianco che sfumava, via via, nel nero.
« Fa' presto tesoro! » mi urlava « Manca poco »
Io avevo aggrottato le sopracciglia, confusa. Il sole mi inondava coi suoi raggi dolci e avvincenti, una leggera brezza mi baciava i capelli, scompigliandoli. Avevo la testa riparata da un capello di paglia molto carino, con un dettaglio rosso. 
Non appena avevo provato a immergere un piede nell'acqua per testarne la temperatura, un trillo di un telefono aveva cominciato a invadere l'aria. Avevo cercato di ignorarlo e mio padre mi aveva sorriso con comprensione, compassione. Quasi fosse rassegnato. 
Il trillo del telefono diventa sempre più forte, finché non vago in una semincoscienza e il buio mi avvolge, avviluppandomi. Il suono, adesso, è più reale, tangibile. Come se stesse squillando qui accanto a me.
E, di fatto, quando apro gli occhi capisco che è il mio cellulare a emettere quel trillo fastidiosissimo. Per un attimo, prima di rispondere alla chiamata, un senso di delusione cocente mi pervade tutta, schiacciandomi. 
« Pronto? » rispondo, mi porto l'avambraccio alla fronte e chiudo gli occhi.
« Tesoro » squittisce la mamma « Dormivi? »
« Mmm » grugnisco poco amichevole.
« Oh, dai non fare così! » ride delle mia reazione « Ti ho chiamata per avvertirti che oggi, finalmente, incontreremo lo chef! »
Fantastico. « Incontreremo? »
« Certo! » tuona e per un attimo devo allontanare il cellulare dall'orecchio, temendo che mi abbia perforato il timpano « Pretendo che tu ci sia, April Mitchell! »
Quando mi apostrofa anche per cognome, significa che non ho scampo. « Okey » bofonchio rassegnata.
« Ottimo, ottimo! Ci vediamo oggi »
« Mmm » grugnisco ancora una volta prima di attaccare.
Getto il cellulare sul letto ed inspiro profondamente. Sembrava così vero, così reale. Mio padre era davvero lì, riuscivo a percepire il suo odore, il suono della sua risata.
Fa così male che le lacrime mi pungono gli occhi e minacciano di bagnarmi il viso. Devo mordicchiarmi le labbra per non esplodere, eppure qualche lacrima sfuggente fa capolineo sulle mie guance.
Chiudo gli occhi con forza, cercando di scacciare via il ricordo così tangibile di mio padre. Dio, era così consistente! Nessuno avrebbe potuto sottrarmelo, invece è successo. E' come se fosse morto per la milionesima volta ed io mi trovassi di nuovo a piangere sul suo corpo esamine e ad attraversare quel periodo vuoto e buio che è stata la mia vita dopo la sua scomparsa. 
Ricordo con gioia l'estate prima che avvenisse l'impossibile. Mio padre aveva insistito affinché trascorressimo almeno una settimana ai piedi dell'Oceano che non fosse quello della Florida. 
La California era assolutamente differente dalle giornate passate sulla spiagge di South Beach. Era tutto così caotico, ma così spontaneo che quell'estate fu permeata esclusivamente da risate.
E c'era stato un episodio molto simile a quello del sogno, penso con un pugno allo stomaco. Mancava un giorno alla partenza e, non so spiegare bene perché, l'acqua era troppo fredda per me e faticavo ad immergermi. Mio padre tentò di convincermi in tutti i modi pacifici possibili. Fin quando, con la complicità di mia madre che mi distrasse, mi buttò in acqua scatenando una battaglia di schizzi. Ricordo che mi faceva male lo stomaco per le risate.
Scalcio con impazienza il lenzuolo, mentre la consapevolezza che non trascorrerò mai più momenti simili tenta di paralizzarmi. 
L'assenza di mio padre getta un'ombra sulla mia felicità. E' come se un pezzetto di me fosse stato fatto a pezzi, calpestato, bruciato e spedito nell'inferno. Non potrò mai più essere la stessa persona che ero prima che mio padre morisse.
Ma se lui non fosse morto, sarei rimasta la stessa? Certi giorni non faccio altro che colpevolizzarmi per le peculiarità del mio carattere, così differenti da quelle che erano un tempo. Mi sono vergognata per mesi, se non anni, per il dolore travestito da debolezza. Credevo che il dolore non avrebbe mai lasciato la presa su di me, ero convinta che fossi io stessa la causa della mia sofferenza. Ma mio padre era - è - una parte così importante di me che quando è andato via, l'ha portata con sé inevitabilmente. 
Non che non volessi bene a mia madre, anzi. Ammiro così tanto il suo coraggio, il suo spirito combattivo, la sua tenacia. Quando io mi sono arresa al dolore, lei ha dovuto trascinanarlo nell'angolo più remoto di se stessa per dare forza a me. Ha dovuto rinunciare a sentirsi triste, a non voler uscire più, a non avvertire la fame perché non poteva permetterselo: sarei scivolata ancora di più nell'abisso. 
Per un certo periodo sono stata più che instabile: ho sofferto per brevi periodi di anoressia, ma lei è stata così presente da aver afferrato il mio disturbo per la collottola. C'è sempre stata per me e non mi ha mai rifilata la cazzata del " devi andare avanti"; sapeva perfettamente ciò che avevamo perso.
Col tempo ho capito che la mia paura più grande era proprio andare avanti: avevo paura che, proseguendo con la mia vita, sarei finita col dimenticare il volto rassicurante di mio padre. 
Scosto le tendine della stanza per far sì che l'aria invada con vigore la stanza. Sento una sensazione opprimente al petto, la pelle sembra più rovente dei carboni ardenti. 
Decido che non ho più l'umore adatto per rimettermi a dormire e ne approfitto per darmi una rinfrescata. Mi getto sotto la doccia e poi spazzolo i denti con energia. Strizzo bene i capelli e li lascio umidi sulle spalle. 
All'improvviso, senza che l'abbia pensato, l'intensità di ciò che è successo ieri sera mi investe, costringendomi ad aggrapparmi al lavandino.
Lucas, la sua aggressione verbale e fisica. La mia mano che schiaffeggia il suo viso. Carter che prende le mie difese, la freddezza di Ethan.
E poi il bacio, quel meraviglioso, inaspettato, incandescente bacio che mi fa accalorare il viso ancora adesso e che mi provoca un brivido di piacere inaspettato. Potrei volteggiare su una nuvola in cielo e non accorgermene nemmeno.
Mentre la mia mente mi sbatte in faccia questi ricordi, improvvisamente, mi sento invadere dall'ansia e dall'angoscia: cosa ne sarà di noi ? 
Potrà sembrare banale, ma con quel bacio Carter ha varcato la linea sottile che divideva il nostro rapporto dalla semplice amicizia ad essere qualcosa di più. Sa dell'effetto che il suo gesto ha avuto su di me e sul nostro rapporto già in bilico?
Per un momento un pensiero insopportabile passa come un lampo e accende una scintilla dolorosa: e se Carter non volessere essere quel qualcosa in più?
Mi butto sul divano in cucina con lo stomaco che brontola, ma senza avere la forza per preparare qualcosa da mettere sotto i denti. Sono ancora scombussolata dagli avvenimenti della notte scorsa e anche il sogno così vivido di mio padre non ha di certo aiutato.
Appoggio la testa sulle ginocchia e fisso il muro di fronte a me inerme; sospiro rumorosamente e scalcio un cuscino che era a terra vicino ai miei piedi. 
Forse è il caso che mangi qualcosa così, per lo meno, sarà tutto più sopportabile. Era quello che diceva sempre mio padre: con lo stomaco pieno si ragiona meglio!
Svuoto i pensili, poggiando sulla tavola mottini, croissant vuoti ( confezionati, no il lusso della caffetteria), biscotti al cioccolato e al limone; così, mentre scalderò il latte avrò il tempo per decidere cosa mangiare.
Il cellulare trilla per un messaggio; lo afferro e lo leggo: è Beth.
Colazione insieme?, scrive. 
In quel momento bussa alla porta. Un sorriso arricchisce la mia espressione già fin troppo compiaciuta; è proprio quello che ci voleva: latte, cornetti e la mia insostituibile migliore amica con cui dissipare i miei dubbi.
« Beth, sei la migliore! » urlo mentre vado ad aprire la porta « Sposami, ti pre.. »
Mi fermo quando sulla soglia della porta mi accorgo che c'è Carter e non la mia migliore amica. Il mio sorriso svanisce di colpo e avverto un vuoto allo stomaco come se mi avessero preso a calci l'addome più di una volta. 
Carter regge il sacchetto che contiene i presumibili cornetti e nell'altra mano la confezione dei caffè. Alla vista della mia espressione, anche il suo sorriso gli muore sulle labbra.
Corruga la fronte pensieroso « Aspettavi qualcuno? »
« Sì. Ce, no. Non lo so » borbotto e subito avverto il calore salire dal collo, d' un tratto vorrei sbattere la testa su una lastra di ghiaccio.
« Vuoi che me ne vada? » chiede gentilmente eppure molto seriamente. 
Prendo un attimo nota della sua domanda e valuto le aspettative. No, non voglio che se ne vada, nonostante l'ansia e la serata trascossa. Così, mentre cerco di inghiottire il rospo che mi si è formato in gola scuoto volitivamente la testa. 
A passo incerto, mi supera per approdare nella mia cucina.
« Wuau » asserisce guardando il tavolo e poi me « Hai svaligiato un supermercato? »
Il suo tono chiaramente vivace e leggero tenta di sdrammatizzare facendomi ridere, anche se è una risata isterica.
« Avevo bisogno di dolcezza » dico e me ne pento subito, capendo in ritardo quanto possa sembrare allusiva come risposta.
Afferro il cellulare per rispondere a Beth prima che si precipiti qui: Facciamo domani? C'è Carter. xoxo.
Distratta dal messaggio che stavo digitando non mi sono accorta che Carter si era avvicinato, lasciando la distanza di un respiro tra di noi. 
Le sue mani accarezzano le mie braccia, sembra tentennare. Si mozza il respiro e fatico a guardarlo negli occhi; le sue dita sollevano il mento per far sì che lo guardi negli occhi. Deglutisco a fatica mentre quegli occhi grigi mi inchiodano. 
Silenziose, le sue labbra si uniscono alle mie. E' un bacio breve, dolce ma allo stesso tempo intenso; mette in chiaro ciò che è stato ieri e che, forse, cosa sarà domani.
Le sue mani si spostano sul mio viso e l'attirano di più a sé. Le sue labbra si increspano in un sorriso gentile, dolce per poi mutare in qualcosa di più profondo, grande. 
« Da oggi questo sarà il mio buon giorno preferito » soffia sulla mia bocca. Le mie gambe stanno per cedere e mi gira la testa per l'intensità della sua voce roca che m'infiamma come se fossi un fiammifero. 
Schiudo le labbra per proferire parola e non fare la figura della stupida, ma invano. E poi succede qualcosa ancora di più magnifico: la sua bocca trova di nuovo la mia e non c'è bisogno che trovi qualcosa da dire per salvarmi la faccia perché ci pensano le mie labbra.
Questa volta il bacio dura più a lungo ed è - ringraziando a Dio - meno casto, anche se nulla a che vedere con il Primo Bacio. 
« Bene » afferma staccandosi, senza accorgersi di avermi lasciata inebetita « Appurato che non hai svaligiato un supermercato, fiondiamoci sui cupcake »
Quasi la mascella raggiunge i piedi « Hai comprato i cupcake? »
Il sorrisino poco modesto che gli increspa le labbra mi fa sorridere e le sopracciglia che si inarcano in virtù delle sue convinzioni ancora di più « Mhmh » aggiunge soddisfatto, per dar enfasi alla sua impresa.
« E anche i caffè? »
« Schiumato alla cannella e con una spruzzata di cacao » conferma.
Mi porto le mani ai fianchi e arriccio la bocca « Dovresti farlo più spesso » confesso prima che possa tapparmi la bocca.
Le sue braccia cadono lungo i fianchi, riempe la distanza che si separa e il suo viso diviene improvvisamente serio « Se me lo permetterai, farò questo e tanto altro »
Le sue parole mi provocano un vuoto allo stomaco; col dorso della mano mi accarezza delicatamente la guancia, sorridendomi dolcemente. 
Aggira la tavola e prende posto « Forza ». Non me lo lascio dire due volte e prendo posto accanto a lui; ogni tanto, le ginocchia si scontrano e non so se lui lo senta, ma la mia pelle si cosparge di candidi brividi.
Mentre mangiamo, non posso impedire alla mia mente di richiamare i ricordi della scorsa sera e mi lascio andare ad un rumoroso sospiro.
Carter non se lo lascia sfuggire, finisce di bere il suo caffè e incrocia le braccia, fissandomi. 
« Che c'è? » chiedo, improvvisamente preda di una strana ansia.
« Hai il viso imbronciato » butta sullo scherzo, ma il suo tono di voce lascia trapelare una pungente serietà.
Scrollo le spalle senza sapere bene come improntare l'argomento. " Be', sai, ho appena scoperto che il mio ex è uno psicopatico e Dio solo sa cosa sarebbe successo se non fossi intervenuto", sarebbe come firmare la sentenza a morte di Lucas. La scorsa sera c'eravamo io ed Ethan a temprare la rabbia di Carter; ora, a mente fredda, la sua rabbia sarebbe più calcolata, più lucida. Più seria e letale.
« E' per quello che è successo ieri sera? » la sua voce emana sfumature lugubri e furiose, nonostante il vano tentativo di controllarsi. Lo guardo mordicchiandomi le labbra.
« E' così vero? » continua « Ti ha fatto male? Se sì io lo.. »
« Non è per quello che pensi tu! » sbotto. 
Lui fissa i suoi piccoli occhi grigi nei miei. « E allora com'è? »
C'è un'accusa nella sua voce che non riesco a decifrare. Gelosia? Perplessità? « Cosa vuoi che ti dica, Carter? »
Si alza furioso dalla tavola e si appoggia al marmo della cucina « Ad esempio perché non sei sconvolta dalla sua violenza »
« Lo sono! » ribatto alzandomi « Dio, come fai a non capirlo? »
« Spiegamelo tu »
« Sono sconvolta che sia stato aggressivo con me » spiego « Un ragazzo che credevo di conoscere, che mi ha trattata con i guanti per mesi e che, anche quando ho messo fine alla nostra frequentazione, non ha mai dato di matto »
Quando finisco affanno per l'intensità con cui ho pronunciato quelle parole e non posso impedire a quest'altro fume in piena di sgorgare dalle mie labbra « Cosa.. cosa avrebbe fatto Carter? » 
Mi si rompe la voce e non posso più continuare, perché l'orrere di quell'eventualità finalmente mi sconvolge. Avrebbe potuto fare molto peggio che darmi uno schiaffo. Le braccia di Carter mi avvolgono attirandomi al suo petto; le sue labbra sfiorano i miei capelli.
« Hai un bel gancio, però » sussurra strappandomi una risata strozzata. Mi stacco asciugandomi gli occhi.
« Scusami » mormoro a testa bassa.
Con le dita sotto al mento riporta i miei occhi all'altezza dei suoi. « Non hai niente di cui scusarti. E' solo colpa di quel pezzo di merda »
Sgrano gli occhi di fronte alla prima parolaccia che esce dalla sua bocca davanti a me. La sua espressione si addolcisce e sorride persino. 
Poi di colpo diventa brutalmente serio « Non sai.. quanta forza mi ci è voluta per non andare a cercarlo dopo che ti ho riaccompagnata a casa » la sua voce ormai è un ringhio cupo e ronzante « Ethan mi avrebbe dato una mano, ma non l'ho fatto »
Annuisco « Perché sei una persona buona ».
La sua risata amara mi giunge come uno schiaffo « Oh, non sono buono April » le sue dita tracciano una linea sottile sulle mie guance mentre i suoi occhi fissano le mie labbra « Ma ho pensato a come mi avresti guardato, se l'avessi fatto »
Incapace di ribattere, opto per il silenzio. Lascio che le mie mani trovino il suo viso e che l'attiri a me, animata dall'April audacia che fino a poco tempo fa non conoscevo. Cancello tutti i suoi dubbi con le labbra che si muovono sulle sue, gli accarezzo le larghe spalle rassicurandolo, lascio che il mio calore lo pervada. 
Come l'avrei guardato se l'avesse fatto? La realtà è che non lo so. Non posso non ammettere che sarebbe servita una bella lezione a Lucas; ma fino a che punto?
« Hai da fare oggi? » mormora contro la mia guancia. 
Annuisco e sbuffo allo stesso tempo. « Sì, devo conoscere lo chef che ha ingaggiato mia madre e che in realtà farà solo da vaiutante. Non capisco il senso » borbotto alzando le sopracciglia « Ma mia madre ha insistito molto, per cui.. »
Un guizzo sulla mascella lo pervade mentre annuisce distratto. Fingo di non averlo notato.
Quando Carter va via, arrivati alla porta, mi cinge la schiena e mi attira a lui per un altro piccolo bacio. Dopo che è andato via, resto imbambolata, intrappolata dagli eventi.
Nervosa, sfogo l'ansia rassettando casa e soprattutto la mia stanza che mia madre definisce un bordello. Le ore passano frenetiche mentre i miei pensieri fanno a cazzotti e mi lasciano tramortita.
Ripenso a Lucas e alla sua espressione di puro disgusto. Ripenso a Carter quando mi ha confessato di aver voluto cercarlo e dargli una lezione, a quanto gli sia costato ammettere di non essere una persona buona, preoccupato dal mio giudizio.
Ma come avrei potuto giudicarlo? Come avrei potuto voltare le spalle ad una persona che mi ha aiutato? Non sarei riuscita, neanche se volessi, a guardarlo con altri occhi, ora ne ero certa. Il suo viso triste e la sua voce cupa, avevano scavato una fossa dentro me: avrei voluto riconciliarlo con se stesso e abbracciarlo forte, cosicché capisse quanto fosse speciale per me. Ma non ero stata in grado di fare nulla. 
Ero rimasta in silenzio come una statua, che stupida. Ma non ero mai pronta quando si trattava di Carter, non sapevo gestirmi. 
Mentre cammino quasi vicina al Good April Cafè, penso e ripenso ad un modo per farmi perdonare, anche se non ne ho ufficialmente motivo. E' una cosa mia. 
Quando entro, la solita aria dolciastra mi circorda rassicurandomi. Mi ricorda mio padre continuamente, è un modo per tenerlo vivo nella memoria. 
Mia madre intrattiene una vivace conversazione con quello che dovrebbe essere il famosissimo chef, che per settimane ha snobbato il colloquio. 
Mi blocco quando il colore dei capelli diventa così familiare. Sì, ne sono sicura: l'ho già visto altrove. Ma dove? Cammino, quasi fosse in trance, concentrandomi sulla familiarità di quei capelli. 
Ci arrivo prima che si volti, prima che i suoi occhi verdi incontrino i miei, avevo già capito di chi si tratta. 
Di Ethan.
  
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