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Autore: Carlos Olivera    21/11/2014    1 recensioni
Storia partecipante al contest Fantasy a Volontà di _Roxanne
Anno 0
Uno dei "blocchi" contenenti i coloni dell'astronave Chelokev scompare nel nulla durante la fase di atterraggio sul pianeta Celestis assieme ai suoi 12 occupanti.
Anno 9
Un elicottero in volo da Eyban a Caldesia precipita nel cuore dei Monti Volkof, nelle gelide montagne eybaniane. Una squadra speciale al comando del capitano Anya Polikovka viene inviata sul posto per recuperarne il preziosissimo carico, da cui dipende il destino di tutti gli umani di Celestis, e salvare gli eventuali superstiti.
In quell'inospitale angolo di inferno bianco, il Capitano ed i suoi uomini scopriranno un segreto antico come l'universo, liberando dalla sua prigione un potere che travalica i limiti dello spazio e del tempo.
Genere: Fantasy, Horror, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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L’avventura su Celestis dei coloni della Chelokev non era incominciata nel migliore dei modi.

Nessuno avrebbe mai immaginato che la frequenza d’onda prodotta dalla magia che scaturiva dal pianeta fosse diversa da quella prodotta sulla Terra.

Pertanto, nel momento in cui la nave era entrata nell’orbita del pianeta, tutti gli strumenti erano come impazziti, e la Chelokev si era vista costretta ad un atterraggio di emergenza; dramma nel dramma, durante la discesa quasi la metà dei nuclei di contenimento dove era alloggiata la maggior parte dei coloni si erano distaccati proprio a causa dell’avaria dei sistemi, disseminandosi lungo un’area sterminata che andava dalle pendici dei monti Volkof fino alle isole settentrionali.

Erano occorsi molti anni per riuscire a raggruppare tutti i superstiti, e le perdite, purtroppo, erano state nell’ordine di alcune migliaia di persone, uccise già all’atto dell’atterraggio o dalle condizioni climatiche altamente proibitive che caratterizzavano alcune aree nel nord di Erthea.

Solo quando si era riusciti a riadattare le strumentazioni era stato possibile iniziare una vera opera di raggruppamento, che grazie alla natura “mobile” dei vari nuclei aveva permesso a molti di questi ultimi di riunirsi in tre grandi agglomerati che nel tempo si erano tramutati in veri e propri insediamenti permanenti: Soloveznik, sull’Isola di Nicola II, Lybova, nel sud, e la grande Volgorad, sulle sponde del Fiordo di Pietro, una gigantesca spaccatura che proiettava il mare del nord fin nel cuore del continente dividendosi in due lunghi rami: uno seguiva la costa verso ovest dando vita ad una larga penisola e l’altro, proseguendo a sud, arrivava fin quasi a lambire la cordigliera dei Volkof.

Altri centri più o meno grandi erano disseminati qua e là per mezzo continente, e lo stesso valeva per coloro che non ce l’avevano fatta; i nuclei periti assieme ai loro occupanti erano stati trovati un po’ dappertutto: conficcati tra le rocce, persi in steppe congelate, persino in fondo all’oceano.

Delle migliaia di unità scomparse o precipitate, a dieci anni distanza solo cinque non erano ancora state ritrovate; A-1498, B-301, E-985, N-163 ed Y-2801. Per questo alla nazione era stato dato, temporaneamente si diceva, il nome di Eyban; per ricordare coloro che non ce l’avevano fatta, ma che anche, salvo qualche evento fortuito, non avrebbero potuto godere almeno di una degna sepoltura.

Dal canto suo, il Capitano Anya Polikovka non sapeva se essere fiera o avvilita per il destino che l’aveva condotta fin lì.

Lei non aveva scelto di partire, le era stato ordinato.

L’alto comando di Mosca, al momento della partenza, aveva insistito per affiancare ai membri dell’Agenzia anche una squadra di Spetsnaz, capace in condizioni di necessità di rappresentare una valida difesa sia a sostegno dei civili, quanto, soprattutto, delle autorità appositamente nominate per guidare la nuova nazione, diventando l’ossatura di una nuova forza militare.

Anya e i suoi undici compagni erano stati addestrati fin dall’ingresso in accademia a svolgere il ruolo che era stato scelto per loro, sopportando un addestramento estremo e spesso brutale, ma che aveva fatto di loro degli uomini e dei soldati di qualità superiore.

Il loro apporto era stato vitale per salvare innumerevoli vite all’indomani di quello sventurato atterraggio, ma, tra una missione e l’altra, in dieci anni la squadra si era più che dimezzata, e non c’era speranza di veder comparire nel breve periodo altre unità militari degne di questo nome.

Ogni tanto la giovane donna ripensava alla sua casa, vicino a Pietroburgo, a quei parenti che ormai erano morti e sepolti da un pezzo, e più in generale a quella vita che aveva lasciato sulla Terra, ripetendo a sé stessa che accettare quel nuovo mondo era l’unico modo per andare avanti.

Quel pomeriggio Anya, assieme ad alcuni dei suoi uomini, stava aiutando gli altri coloni nella costruzione di quella che sarebbe dovuta diventare la prima scuola di Volgorad, quando venne chiamata nell’ufficio del Presidente Rachenko, verso cui si avviò dopo essersi data una rinfrescata per apparire almeno presentabile.

Attorno a lei, un poco per volta, Volgorad stava crescendo. I nuclei abitativi stavano lasciando il posto ai primi edifici in muratura e legno, soprattutto case, ed alcuni edifici, come il palazzo presidenziale sulla collina che sovrastava il centro abitato e la sede provvisoria dell’Agenzia, erano già in fase di completamento, e sarebbero stati inaugurati entro l’anno.

Tuttavia, così come era evidente il tentativo della comunità di tornare quanto prima a condurre uno stile di vita simile a quello che avevano conosciuto prima della partenza, allo stesso modo era altresì vero che ciò si stava rivelando di giorno in giorno sempre più difficile.

Del resto nessuno avrebbe mai potuto prevedere che la magia prodotta da Celestis, e attorno a cui ruotavano tutto il sapere scientifico e la tecnologia umane, fosse così diversa da quella della Terra.

La magia era un po’ come un’onda radio: correva su diverse frequenze d’onda, ma già all’atto di preparare la missione colonizzatrice tutti, a cominciare dagli scienziati, avevano dato erroneamente per scontato che la frequenza di Celestis fosse la stessa della Terra.

A ciò si doveva il fatto che tutte e tre le navi colonizzatrici, nel momento di entrare nell’atmosfera, fossero andate in tilt, e per lo stesso motivo tutte le apparecchiature che i coloni avevano portato dalla Terra per l’assorbimento e lo sfruttamento dell’energia si erano rivelate, in un primo momento, del tutto inutili.

Per fortuna c’erano i generatori, uno per ogni nucleo, senza contare quelli mobili o in dotazione alle navi coloniali, ma l’energia al loro interno era limitata, e a distanza di dieci anni andava pericolosamente esaurendosi.

Se non altro, con il tempo, gli scienziati erano riusciti a individuare la giusta frequenza d’onda per lo sfruttamento del potere di Celestis, ma sarebbero serviti di sicuro ancora parecchi mesi per ricalibrare tutta la strumentazione e portarla a piena efficienza, con il risultato che gran parte della tecnologia, a cominciare da quella che avrebbe dovuto funzionare in maniera autonoma e distaccata dalla rete, risultava ancora quasi inutilizzabile.

In questa situazione così drammatica, però, una luce aveva rischiarato le speranze dei coloni; una luce azzurra e scintillante, prodotta da un minerale sconosciuto sulla Terra, ma che abbondava su Celestis, e che ancor più dell’argento o del silicio aveva rivelato una sorprendente capacità di assorbimento e risonanza con il potere magico del pianeta.

Lo avevano chiamato krylium, e secondo i più era dagli studi sul suo utilizzo che sarebbero venute le risposte in grado di assicurare ai coloni un nuovo futuro di progresso e prosperità, ma a quasi cinque anni dalla scoperta dei primi giacimenti non si era ancora riusciti a trovare il modo di sfruttare veramente le sue enormi capacità.

Raggiunto il palazzotto, e come fu certa di avere un aspetto decoroso, Anya si fece introdurre alla presenza del Presidente, trovandolo seduto al tavolo del salotto assieme al Direttore Galinin e al capo delle forze armate Generale Felikov. Erano tutti e tre scuri in volto, e come il Capitano fu entrato nello studio, mettendosi sull’attenti, mandarono subito fuori l’attendente che l’aveva accompagnata.

«Riposo, Capitano.» le disse Felikov. «Abbiamo un nuovo incarico per lei e la sua squadra.»

Anya era stata addestrata a non far trasparire emozioni, ma il suo diretto superiore riuscì a scorgere chiaramente un moto di disappunto nel suo inarcare gli occhi e stringere un po’ più forte i pugni dietro la schiena.

«Sono pronta ad eseguire i suoi ordini, Signore.»

I tre si consultarono un momento con lo sguardo, quindi il Presidente prese la parola.

«Sei ore fa abbiamo perso i contatti con uno dei nostri elicotteri, l’Hind03.»

«Un incidente?»

«Non lo sappiamo» rispose Felikov, che presa una mappa dalla libreria la srotolò sul tavolo. «Abbiamo individuato il segnale emesso dalla radioboa di emergenza. Si trova qui, del centro della cordigliera dei Volkof. Riteniamo possa trattarsi di un lago ghiacciato, probabilmente di origine vulcanica.»

«L’Hind era diretto a Kyrador» spiegò il presidente. «E ha dovuto virare in questa direzione per evitare il punto più intenso di una violenta perturbazione che già alcuni giorni imperversa nell’area» quindi il Generale porse ad Anya una foto che teneva nel taschino. «A bordo dell’elicottero c’era questa.»

La donna la prese e la guardò: raffigurava una specie di piccolo cilindro di vetro, probabilmente lungo una decina di centimetri, con manicotti metallici alle due estremità e una strana sostanza azzurro brillante racchiusa al suo interno.

«Che cos’è, se posso chiedere?»

«È una batteria» rispose il Direttore Galinin. «La prima batteria al krylium

Ancora una volta, Anya faticò a nascondere la propria emozione.

«Lei capisce quali siano le potenzialità di questo oggetto» proseguì Rachenko. «Grazie a questa batteria potremmo riuscire a dare energia ad un numero incalcolabile di apparecchiature e strumenti che fino ad oggi hanno funzionato a regime ridotto: veicoli, strumentazioni mobili, apparecchiature. Potremmo persino sostituirle ai generatori.»

Anya non era nella posizione di poter fare troppe domande o manifestare le proprie perplessità, ma dal suo sguardo Felikov dedusse quali dovessero essere i suoi pensieri.

«Se si sta domandando per quale motivo un oggetto tanto importante sia finito nel bel mezzo delle montagne di Volkof, le rispondo subito. La batteria è incompleta. Siamo riusciti a realizzare un dispositivo capace di immagazzinare il potere magico di questo pianeta per mezzo del krylium, ma non siamo stati in grado di rendere sfruttabile l’energia così immagazzinata. A Kyrador però hanno risolto il problema; la batteria doveva essere portata laggiù per venire completata e testata.»

«Non si può costruirne un’altra?»

«No» rispose seccamente Galinin. «Per due ragioni. La prima è che l’equipe di scienziati che l’ha sviluppata era per buona parte a bordo dell’elicottero assieme al prototipo. La seconda, per costruirne un’altra ci vorrebbe tempo. Tempo che non abbiamo.»

«Per svolgere questa missione abbiamo sacrificato uno dei nostri ultimi elicotteri» disse Rachenko. «Non possiamo, ribadisco, non possiamo permetterci di perdere quel prototipo.»

«Il Presidente ha ragione» intervenne di nuovo Felikov. «La stagione fredda è alle porte, e i generatori che abbiamo portato dalla Terra sono ormai quasi tutti esauriti. Senza quella batteria la nostra gente finirà congelata nell’inverno artico che sta per arrivare. Questo senza contare che l’impossibilità di poter fare affidamento su di una fonte di energia sicura e trasportabile ci sta costando la nostra opera di colonizzazione di questo mondo.»

«Con il dovuto rispetto Signore, non dovrebbe essere complicato inviare un altro elicottero sul posto e recuperare il carico.»

«Impossibile, Capitano. Non conosciamo la posizione esatta dello schianto. Potrebbe essere ovunque in un raggio di tre miglia dalla posizione della radioboa. Avevamo dieci elicotteri al nostro arrivo, ora ce ne resta solo uno, con energia appena sufficiente per compiere un viaggio completo da Volgorad a Kyrador. Non possiamo mandarlo a cercare a casaccio su e giù per tutta la cordigliera dei Volkof

«E allora, Signore, come faremo a raggiungere il posto?»

«Ci stavo giusto arrivando. Siamo riusciti a far funzionare un piccolo aereo da ricognizione spento da tempo, dandogli carica sufficiente per arrivare fin laggiù.

Piloterete fino al luogo dello schianto, quindi vi paracaduterete in loco e proseguirete le ricerche a piedi. Una volta che avrete trovato il carico ed eventuali superstiti dovrete solo trasmetterci le coordinate, e noi invieremo l’ultimo hind a recuperarvi.»

«E se il carico è andato perduto?»

«La batteria è contenuta all’interno di uno speciale involucro protettivo, a sua volta dotato di radiolocalizzatore» spiegò Galinin. «Dal momento dello schianto non ha mai smesso di trasmettere, e la sua attuale posizione non dista molto da quella della radioboa. Probabilmente si trova ancora in mezzo ai rottami.»

A prima vista non sembrava una missione troppo impegnativa: nulla di più difficile di quello che lei e i suoi uomini avevano già passato negli ultimi dieci anni.

«Ha i suoi ordini, Capitano. Li esegua. La missione parte fra un’ora.»

«Sissignore!».

 

Dimitri era l’unico membro della squadra che avesse conosciuto Anya già da prima di entrare a far parte del corso intensivo per l’ingresso nelle Forze Speciali.

Probabilmente era per questo che il Capitano lo aveva scelto come suo secondo; si fidava del suo giudizio e del suo senso di responsabilità, ma anche della mira eccezionale e delle doti di combattente.

Avevano cominciato assieme nella stessa scuola militare, e assieme avevano superato con le unghie e con i denti quell’addestramento disumano; sempre insieme erano sopravvissuti a prove di ogni genere, assistendo, spesso senza poter far niente, alla morte dei loro compagni.

Per tutti questi motivi, era l’unico membro della squadra che sentiva di poter dire di conoscere veramente il suo comandante, e nel momento in cui gli avevano riferito della convocazione presso il palazzo presidenzale sapeva benissimo dove l’avrebbe potuta rincontrare.

E infatti la trovò lì, su quella roccia a proboscide protesa sull’acqua, a qualche centinaio di metri dal centro abitato, gli occhi persi verso le montagne che si intravedevano all’orizzonte, dall’altro capo del fiordo, e che nei giorni luminosi sembravano così vicine da poterle toccare.

«Una nuova missione?» le domandò sedendosi accanto a lei.

«Sulla cordigliera Volkof. Non chiedermi altro.»

«Come desideri.»

Dimitri non metteva in dubbio le qualità di comando di Anya, ma aveva come la sensazione che il suo grado attuale le fosse stato assegnato solo in ragione del suo essere stata, fin dai suoi primi giorni sulla Terra, una delle poche reclute dotata di poteri magici, e di certo una delle più promettenti che le forze speciali avessero mai avuto.

«Nicholai. Iuliana. Marko. Abbiamo perso molti dei nostri compagni in questi dieci anni. Quanti altri ne dovranno morire prima che questa sottospecie di colonizzazione possa davvero portare a qualcosa?»

«Ha già portato a qualcosa, Anya. Noi siamo qui. Siamo vivi. Ci siamo imbarcati in un viaggio che nessuno nella storia aveva mai neanche immaginato, abbiamo raggiunto un nuovo pianeta, siamo riusciti a sopravvivere alle prove che ci ha imposto.»

«Sì, ma a quale prezzo?»

Non era un caso, in fin dei conti, se la loro nazione si chiamava Eyban. Da una parte quel nome voleva essere un omaggio a coloro che non ce l’avevano fatta, o almeno ad alcuni di essi, ma dall’altra, per come la vedeva lei, serviva anche e soprattutto a ricordare come quel sogno di una nuova vita tra le stelle che aveva accomunato la grande maggioranza di coloro che si erano imbarcati per Celestis non fosse solo rose e fiori, come i più probabilmente si erano illusi.

Anche a Caldesia e Amaltea le cose non stavano andando troppo bene, malgrado potessero vantare un clima e, più in generale, condizioni di vita assai meno proibitive rispetto alla fredda Volgorad, a dimostrazione che, nonostante tutti i calcoli, i corsi di formazione e le esercitazioni condotte sulla Terra Celestis si stava rivelando un mondo duro, e forse persino ostile.

Anya ripensò per un attimo a quello che aveva appena sentito, e ai rischi legati a un fallimento della missione che stavano per andare a compiere.

Dimitri non era il solo; molti altri, nonostante tutto, continuavano a credere nelle speranze e nei sogni con cui avevano messo piede su quel pianeta, e forse anche lei un po’ riusciva ancora a crederci.

Per questo motivo, non potevano permettersi di fallire.

Grazie al cielo, una volta tanto, non sembrava destinata a essere una missione troppo complicata.

 

  
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