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Autore: Giorgia Alfonso    21/11/2014    1 recensioni
"Lontano dagli occhi lontano dal cuore", un motto che potrebbe confermare Gemma Brizzi. Passare dalla piena felicità ad una voragine di sentimenti cupi, contrastanti e senso di perdita, ma non volersi arrendere nemmeno per un secondo. Nemmeno per un attimo di riposo. Eppure, colui che l'ha spinta dentro quel buco nero è l'uomo che un tempo avrebbe considerato la sua stessa vita. Tanti sacrifici buttati in aria, tanti viaggi affrontati solo per lui. E quel fato diabolico che sembra volerle dare un'altra possibilità, un'ultima partenza, un ultimo arrivo, un ultimo viaggio, un'ultima occasione ... per riprendersi quell'amore apparentemente perduto.
Seoul, la grande città coreana che di primo acchitò la spaventò tanto, giungendo lì per una vacanza che, in teoria, doveva essere semplice relax. Invece si era rivelata una manna ... per lo meno inizialmente. Ora invece, tornare a calpestare quel suolo potrebbe portarla alla rovina più completa o ad un nuovo inizio.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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18 Capitolo
 
 
 
 
Distesi a terra, sopra le ibeul, le classiche coperte coreane che fanno da “materassino”, dividendo il corpo dal pavimento, due giovani stavano contemplando le loro mani, sollevate verso l’alto ed intrecciavano le loro dita. Una sensazione malinconica, già vissuta in passato. Famigliare quanto il latte caldo o il profumo del caffè la mattina o la fragranza del pane appena sfornato la domenica, passando per la piazza del paese.
La stanza era piccola, ma ben illuminata, non vi erano molti mobili se non una scrivania armadio, una sedia e un appendi abiti. Dalla finestra la luce entrava imponente, rendendo l’ambiente candido quanto il risveglio in una domenica primaverile. Ma quella sua purezza, sottolineava anche la sua astrazione.
Delle belle mani, maschili e poco più grandi delle sue, l’abbracciavano. Anche se non poteva vedere in faccia la persona che stava al suo fianco, sapeva a chi appartenevano quelle dita affusolate e quel dorso, che nonostante appartenesse ad un uomo appariva quasi delicato. Non serviva controllare se vi fosse davvero, avvertiva la sua presenza. Solo lui poteva farle provare tanta serenità e famigliarità anche solo rimanendole silenziosamente accanto. Crogiolandosi entrambi in un temperato pomeriggio, l’una accanto all’altro.
La mano lasciò la presa e improvvisamente il dolce focolare si spense. La luce aumentò, come se qualcuno avesse regolato male la luminosità di una lampadina, accecando i presenti in quella stanza. Poté difendersi dal raggelante flash solo con un braccio. Anche la temperatura calò: in tono con l’improvviso cambiamento del colore, comparve un freddo fastidioso. In quel momento, più di prima, aveva bisogno di lui e del tepore che poteva ricavare dal suo corpo. Una stretta, sentiva che sarebbe bastato anche solo un suo tocco, di nuovo, per riportare la primavere in quel luogo.
Sollevò la schiena. Sebbene non riuscisse a vedere molto, non si sentiva più nello stesso luogo, avvertiva altri cambiamenti oltre a quelli che poteva malamente osservare. Non si trovava più in quella camera da letto dunque, ma non riusciva a distinguere ciò che aveva di fronte. Posando però la mano sul terreno, aveva potuto avvertire una sensazione di soffici coltre. Guardò sotto di lei, scoprendosi seduta su un letto che prima non c’era.
Sospirò e quella sua lieve brezza spinse il gelo fuori, lasciando che la temperatura tornasse mite. La luce stessa cedette, diminuì la potenza. Ma tutto appariva in egual modo poco definito, come se ormai quei suoi occhi avessero subito forti lesioni. E come per magia, tornò qualcuno al suo fianco.
Yon U … lo chiamò nella sua mente. Una strana sensazione, uno strano sentore tornò ad infonderle sicurezza. Non vedeva chiaramente il volto del giovane, ma non poteva che essere la sua presenza a confortarla così tanto. Quando i suoi occhi cominciarono a mettere lentamente a fuoco, trovò invece una triste realtà ad attenderla.
Strani sogni, di quelli da cui non vorresti svegliarti, ma per stanchezza più che per la bellezza delle immagini. Sapere che il risveglio potrebbe essere anche peggiore di quel che stai vivendo nel mondo di Morfeo, non è confortante, e così preferisci vivere un mezzo sogno d’Estate. A volte si preferisce l’incubo rispetto ad un confronto con il mondo reale.
Alla fine non stava male. Quel senso di mancanza era scomparso, anche se lo aveva avvertito di nuovo, per un momento. Ora stava meglio e non le sarebbe dispiaciuto restare in quel limbo, dove era permesso avvertire le emozioni solo tenuamente. Era preferibile al provare forti tormenti. Ma a spingerla a continuare quel cammino offuscato, vi era anche la curiosità. Voleva comprendere chi era quell’uomo, vedere in faccia colui che indossava una camicia bianca, leggermente sbottonata, immerso nella luce del mattino. Se pur lo stesse fissando da un po’, non riusciva a comprendere la sua entità, non vedendo il volto, come se i suoi occhi non potessero far altro che guardare di fronte a sé, da quell’esatta altezza. Osservarne solo il mento e un leggero accenno di labbra sorridenti.
Uno strano rumore la destò. Si svegliò di colpo portando il lenzuolo al petto, per coprirsi. Con sguardo imbronciato fissò la sua stanza. Tutto combaciava, era di nuovo tornata nel goshiwon.
«Eravamo qui.» Sussurrò con voce impastata.
Riconobbe lo sfondo del sogno: lei era proprio in quella stanza con la persona che le sorrideva.
«Tanto era un sogno.» Brontolò, ma la malinconica sensazione che avvertiva era più reale che mai. Questa volta non c’entrava niente l’uomo misterioso, ma il precedente scenario e la persona che, distesa accanto, le aveva stretto la mano. Yon U, era sicura che fosse lui. Non aveva visto il suo volto, ma era certa di aver avvertito la sua “anima”. Quella consapevolezza si infilava nel suo petto infilzandole il cuore, come se fosse composta da tanti piccoli e infimi aghi, che non possono di certo ucciderti, ma nuocere in qualche modo sì.
Risvegliarsi da un sogno bellissimo, dove si è nuovamente molto vicini alla persona per la quale si prova ancora amore, ma dalla quale ormai si è divisi. Una sensazione sbagliata, disperata, orribile. Quella cosa viscida che striscia dentro all’essere, toccando tutti i tasti dell’anima, è chiamata mancanza. Ed è capace di creare un piccolo foro nel cuore, un buchetto nero che ben presto si allargherà, ampliandosi al petto, cercando poi di risucchiare l’intero corpo. Se non lo si richiude, si rischia di farsi annientare.
Gemma si massaggiò la parte sinistra del petto, proprio nel punto in cui batte l’organo più importante. Sospirò, non riuscendo a rilassare la fronte, contratta in una piega preoccupata e quasi dolorante.
Qualcuno ritornò a bussare alla porta. Girò il capo verso l’uscio perplessa, «Ma chi …» fissò l’orologio alla parete: 8:30. Si alzò di malavoglia, controllando di non indossare qualcosa di sconveniente. Una semplice tuta non si poteva reputare un abito decente, specie se sgualcita dalla nottata passata a rigirarsi nel letto, ma non si trattava nemmeno di una sottoveste.
Aprendo si ritrovò davanti l’insospettabile. Cosa poteva volere il proprietario del posto da un ospite? Erano scoppiate le tubature? C’era un’urgenza tipo derattizzazione, per cui dovevano uscire tutti immediatamente? O un incendio? Perdita di gas?
Costui sollevò dei contenitori di plastica, mostrando i bicchieri di cartone dell’Edya Cofee1. Si chiese seriamente cosa ci facesse il sajangnim davanti alla sua camera, per di più a quell’ora e con del caffè apparentemente in offerta.
«Sei mattiniero.»
«Non è troppo presto, dobbiamo organizzarci e ho portato la colazione.» Le sorrise, anche se in un gesto di circostanza. Quella donna, in fin dei conti, non era un ospite come tanti. Il rapporto che c’era tra i due non poteva averlo con nessun altro del posto, anzi si sarebbe ben assicurato di non finire mai più in situazioni simili. Non avrebbe mai più stilato un patto con la clientela, o almeno non al di fuori del suo ambiente lavorativo.
La ragazza spalancò la porta, tornando all’interno e lasciando che anche lui entrasse. «Mi sono appena svegliata. Non mi sono nemmeno lavata la faccia, figuriamoci i denti.» Avvisò il mal capitato dei rischi che incombeva mettendo piede in quell’antro di privacy. Sedendosi poi pesantemente sul materasso.
La osservò brevemente. In effetti il volto aveva ancora una leggera piega di sonno. «Come hai dormito?»
«Pensando.» Fu breve. Lui sollevò le sopracciglia, come per spronarla a raccontare di più, ma non poteva costringerla a sputare il rospo. Inoltre non sembrava aver voglia di rivangare il sogno fatto quella mattina, anche se Gemma sapeva che il modo migliore per cancellare dalla sua mente l’ombra di alcuni sogni dolorosi, era proprio quella di sfogarsi con qualcuno. Come quando si va dallo psicologo e si espone un complesso, o dal prete per un peccato. Anche se a ben riflettere, è assurdo: come fai a sentirti meglio confessando un peccato ad uno sconosciuto che qualcuno ha nominato portatore della voce di un Dio, che fino a prova contraria esiste a seconda della fede dei singoli pensatori?
Gemma sospirò. «Non lo capisco e … sto per terminare le energie.» Decise allora di liberarsi di una piccola parte di ciò che stava accumulando in una sorta di sacco enormemente pesante. Quella cosa premeva sul suo corpo e temeva che prima o poi l’avrebbe schiacciata.
Song Rok le passò uno dei bicchieri, «Questo ti aiuterà.» lei lo afferrò senza farselo ripetere due volte, invogliata anche dal calore rilassante che avvertiva e che prontamente le inondò il palmo della mano. «Dobbiamo pattuire un po’ di cose e sono qui per questo.» Si sedette al suo fianco, non avendo altri posti dove accomodarsi. «La tariffa, i metodi del pagamento …»
Stava per bere dal beccuccio, quando si bloccò: «Devo pagarti?» Lo sguardo del giovane uomo era pieno di un’ovvietà fastidiosa. «Okay, a conti fatti credo sia giusto, ma ciò che mi preme veramente  … metodo? Cosa intendi per metodo?»
«In natura o …» Per un attimo rimasero in completo silenzio, scrutandosi a vicenda. Espressioni di apatia, prive di vita. Poi Im Song Rok si lasciò andare ad una breve risata trattenuta. «Logicamente sto scherzando! Ma, davvero! Dobbiamo chiarire alcune cose.»
«Non è divertente.» Ma alla fine dovette ammettere che, con quella battuta, il direttore era riuscito a distrarla brevemente dai suoi pensieri e dai postumi di quel pessimo risveglio. Gemma assaggiò finalmente la sua colazione. «Caffelatte? …» Allontanò il bicchiere, osservandolo come se il contenitore fosse trasparente e lei potesse vederne l’interno. «E tu cos’hai?»
«Latte macchiato.»
Lo guardò con aria di sufficienza. «Ovvero caffelatte.»
«No. E’ diverso.» Ribatté tranquillamente lui.
«Caffellatte è caffè più il latte. Latte macchiato è latte più il caffè.»
«Sì, ma … In teoria nel latte macchiato c’è meno caffè rispetto al caffellatte. Che dovrebbe avere una quantità uguale di … », fece scemare il discorso, «insomma! Tu dovresti saperlo meglio di me, visto che sei italiana!» Concluse nervosamente.
«Alla fine è praticamente uguale.» Annuì lei, decidendo come finire quel discorso.
«Non è vero! Non … Non farò a gara a chi ha più ragione.» E così concluse davvero quel frivolo battibecco.
Gemma scrollò la testa. «Allora! Veniamo al punto», era giunto il momento di concentrarsi e per questo poteva ringraziare il cielo: distrazioni, le servivano proprio delle distrazioni e quell’individuo dall’indubbia simpatia era forse comparso proprio nel momento migliore. «Ti è vietato … baciarmi, immagino che questo tu lo abbia già capito.»
Lui annuì solennemente. « E per quanto riguarda il tocco? Cosa posso o non posso toccare?»
L’espressione indignata di Gemma doveva allarmarlo ben prima che la giovane esclamasse: «Stai scherzando!»
«No, ma non fraintendermi.» Bevve un sorso del suo latte macchiato. Nel farlo sembrò fermarsi un momento, per assaporarlo per bene. «Ad esempio, se ti abbracciassi davanti a lui?» La ragazza, semplicemente, annuì in segno di approvazione. «Se ti cingo le spalle?» Altro consenso da parte sua. Inutile usare le parole, meglio gustarsi il calore del caffè e  lasciarlo esporre gli esempi. «Non credo si possa e voglia, debba fare altro. Però, se mi chiedesse qualcosa di te io non saprei rispondere.»
Finalmente catturò la sua attenzione. Gemma sollevò lo sguardo dal suo momento di dolcezza al lattosio. Aveva sollevato un problema importante, ma allo stesso tempo passabile: ci stavano entrambi pensando, quando lei si staccò dal bicchiere, per elencare alcune cose di sé stessa, ma lui la precedette:
«A parte il fatto che ti piacciono gli animali, dici di non reggere l’alcool, ma per lo meno non ti ubriachi con un bicchiere. Sei parecchio intelligente, o almeno lo si deduce dal fatto che sei arrivata da sola a questi livelli della lingua. E poi sembra proprio che ti butti a capofitto nelle relazioni, se per ben quattro anni non hai mai mollato la presa. Dunque posso dire che, per quanto ne so io, non ti arrendi facilmente e sei abbastanza decisa …. Anche se a volte questo forse rema un po’ contro te stessa, forse?» Cosa volesse davvero dire con quell’ultima supposizione, Gemma se lo comprese, finse di non capire.
Si fissarono per un istante troppo lungo. Sentendo affiorare un leggero imbarazzo, la donna abbassò per prima quel contatto.
«Però non so altro … Insomma, cosa facevi nel tuo paese, come si chiamano i tuoi genitori, e i tuoi progetti futuri? Ah, dimenticavo! Mi è venuto in mente che puoi apparire molto fredda o scontrosa, non so se la tua difensiva la sollevi solo con il sesso forte o anche con quello debole, e questo mi porta a chiedere: i tuoi ex? Un buon osservatore potrebbe pensare che tu abbia avuto altri strappazzamenti di cuore in passato. Non che mi interessi, quindi torniamo al fatto che, ad ogni modo, sembra si tratti appunto di un’armatura. Perché in verità sai essere molto gentile e matura. Forse non sempre dimostri la tua età, oltre di aspetto anche interiormente voglio dire … ma in fin dei conti hai la testa sulle spalle. Non sei la persona più elegante del mondo, ma quando vuoi sai far emergere il fascino che è in te, mostrando agli altri una vera donna. Forse hai poca fiducia in te e per questo non osi quanto dovresti, ma credo che tu possa far girare la testa ad un uomo con uno schiocco di dita se lo volessi. Specie in Corea. Almeno … così … credo. Potrei sbagliarmi però.» Concluse finalmente, con una strana ombra confusa nel volto.
Lo sguardo divenne ancora una volta pesante, troppo faticoso da reggere. Presero ad osservare entrambi la stanza con fare vago. Gemma si schiarì la voce. «Beh, quel che hai esposto non è poco. Voglio dire, per uno che non mi conosce affatto.»
«Appunto per quello potrei cadere in errore, forse sono stato un tantino troppo buono? In fondo ho solo espresso delle ipotesi sulla base di una blanda osservazione» alzò le spalle in un gesto spensierato, ma questo non cancellò il leggero disagio che ancora si avvertiva. Quella stanza forse stava cominciando a divenire troppo stretta e soffocante.
Improvvisamente qualcuno brontolò, tagliando di netto l’atmosfera appesantita. Non si trattava di uno dei presenti, non proprio. Gemma abbassò subito lo sguardo su se stessa. La sua pancia aveva parlato, dando modo di cambiare argomento e sfuggire dalla situazione divenuta scomoda. «Merda!» esclamò, poco elegantemente, sollevando lo sguardo verso il direttore, «qualche volta dico parolacce» ammise con sguardo colpevole.
Lui la fissò con superficialità, «questo mi era sfuggito.» Si alzò dal materasso in quel momento. «Non ho portato nulla da mettere sotto i denti.»
«E quello non è sfuggito a me!» Ribatté seguendo il clima ironico che si stava instaurando.
Song Rok allargò le braccia, per poi richiuderle malamente, schiaffando leggermente le mani sulle cosce. «Allora che ne dici di andare da Dunkin’ dognuts?2»
Anche Gemma si alzò. «Sì! Voglio una mega ciambella!»
 
****
 
Le parenti di un fastidioso giallino, i mobili color cioccolato e panna acida, quasi un arancio, forse a voler ricordare la glassa spalmata sopra le famose ciambelle che molti amavano. Ma nonostante fossero toni prevalenti, l’aria era comunque arricchita da altri tanti colori, rendendo il posto un’arlecchino vivace. In effetti ad abbellire il tutto ci pensavano gli stessi prodotti pittoreschi e invitanti offerti dalla catena di origine americana. Al Dunkin’ dognuts meglio che non entrarci se si ha problemi di diabete o glicemia: strani fiorellini creati dall’unione di piccole palline di pastella, vuote, unite in cerchio, con glassa verde e strisce bianche, palloni cioccolatosi, enormi quanto bocce da spiaggia, per non parlare delle classiche ciambellone alla Homer Simpson, tutte ricoperte di cioccolato o parzialmente e granelli di zucchero da far invidia a Maho no idol Pastel Yumi3 per l’acceso colore e dolci dalla forma di teneri animaletti glassati di rosa e azzurro, ripieni di altra crema.
«Certo che ne hanno di fantasia», sussurrò Gemma scegliendo tra la varietà di squisitezze.
Song Rok le era accanto con il vassoio e la pinza. Al Dunkin dognuts, come molte backery di Seoul, ci si serve da soli. Si ha diverse postazioni e vetrinette da osservare, per poter scegliere il prodotto e solo una volta deciso ci si deve spostare alla cassa per il pagamento. «Io … prendo …», allungò le vocali parlando, oltre al braccio per poter pinzare la sua scelta. «Questo!», una strana ciambella senza buco, a forma di facciona da koala. Granelli di zucchero bianchi e solo un po’ di glassa al cioccolato sul naso, per marcare i lineamenti del classico animale australiano, che in tema Seouliano c’entrava quanto il soju in Svizzera.
Si era anche un tantino curvato per poter osservare bene i vari prodotti. Le vetrine erano a quattro piani e l’ultimo di questi non superava in altezza il giovane direttore, quindi il mobile in sé non doveva essere più alto del metro e ottantacinque. Song Rok drizzò la schiena e attese pazientemente. All’appello, mancava solo lei, che non si era ancora decisa. Aveva una gran voglia di zucchero e lo aveva pure affermato: “voglio una mega ciambella”. Eppure, una volta giunta lì, come al solito fu colta alla sprovvista dalla varietà di ciabellone e ciambelline presenti. Per non parlare del salato: toast, panini, ancora ciambelle ma salate.
Era piegata in avanti di poco, per osservare il piano più basso, con il volto fin troppo vicino alla teca di vetro. Sbuffò, mettendo un finto broncio. «Farò la solita scelta» disse tra sé e sé, ma ad alta voce. Girò il capo verso il suo accompagnatore, indicando una semplice ciambella dalla glassa di cioccolato e i granelli di zucchero multicolor. Succedeva sempre così: quando Gemma Brizzi entrava in un Dunkin’ dognuts, tra le tante scelte finiva per far cadere la decisione sulla classicità.
Im Song Rok fece un mezzo sorriso, senza trapelare quello che stava pensando e silenziosamente si allungò per afferrare la sua consumazione. Lei lo aiutò aprendo e chiudendo la vetrina, per poi seguirlo al bancone, dove ordinarono da bere due ice tea al limone. Erano fermi in attesa, che sapevano non sarebbe durata molto. Lui guardò la donna al suo fianco, con uno strano silenzio, poco dopo domandò: «Una scelta sicura o cosa?» Lei sollevò il volto dalla sua parte. Dopotutto non si poteva certo definire un’altezza imponente la sua, specie confronto ad alcune valchirie coreane, con o senza l’aiuto dei tacchi. Anzi, anche nel suo stesso paese sarebbe stata ritenuta piccolina, se non nella norma d’altezza femminile. «Perché hai fatto questa scelta?» Chiese indicando con il capo ciò che si trovava nel vassoio.
Gemma osservò quei fazzolettini, dove avevano posato le pietanze. «La ciambella?» Spalancò gli occhi perplessa, «cos’è? Vuoi psicanalizzarmi per aver scelto quel tipo di dolce rispetto ad un altro?» Domandò sulla difensiva. «E’ solo una ciambella.» Spostò l’attenzione verso la commessa, che in quel momento passò loro il tea. «Quando vengo qui non so mai cosa scegliere. Quindi mi ritrovo spesso a optare per i gusti che conosco.»
Song Rok afferrò il vassoio e si spostarono insieme verso i tavolini. «Vai sul sicuro insomma. Non vuoi rischiare e provare qualche altro nuovo sapore?»
Si attirò uno sguardo fulminio e infastidito, «non cominciare. E’ solo una stupida ciambella», guardò i dolci incriminati in quel momento, «e allora tu? Perché il koala? Cos’ha di così speciale il koala? Hai affinità con i koala? Oppure … » Improvvisamente qualcosa le balenò nel cervello, una sorta di idea bizzarra. Proprio come se fosse una scrittrice in piena ispirazione, espose la sua ipotesi: «Cosa ti viene in mente quando vedi i koala? L’Australia!» Schioccò le dita. «Hai avuto una passata storia con un’australiana e il koala ti rimembra lei.» Disse con fare impaziente.
Song Rok si fermò nell’immediato, fissandola con uno sguardo preoccupato. «Non puoi essere seria … », non era convinzione la sua, ma una richiesta di conferma.
Gemma sollevò le spalle: «Tu puoi vederci quel che vuoi sulla mia scelta e io no? Perché il koala allora? Io la mia giustificazione te l’ho data!»
«Perché non sapevo cosa prendere e questo mi è sembrato carino nell’aspetto.» Ebbe la sua risposta, pronunciata con una voce molto coinvolgente nella sua quietudine. Le aspettative della ragazza furono così visibilmente deluse, mentre il direttore si divertì parecchio, tanto da sogghignare brevemente.
Gemma un po’ infastidita prese malamente la sua ciambella, mordendola. «Ci serve proprio quel vassoio?» Prese anche il suo bicchiere. «Puoi anche posarlo.»
Lui sospirò, ma annuendo andò a riporlo. In verità era una prassi di molti negozi della capitale, quella di utilizzare un vassoio per trasportare non solo diversi tipi di prodotti culinari, ma anche per un singolo pezzo, come un bicchiere. Una sorta di abituale galanteria verso il cliente.
«Com’è?» Chiese tornando indietro, con in mano il suo di bicchiere e il koala nell’altra.
Gemma deglutì. «Buona! Come al solito.» Quasi si interruppe vedendo davanti al suo naso gli occhietti di zucchero dell’animaletto di pastella del suo accompagnatore e partner di “vendetta”. Lo poteva anche chiamare così in fin dei conti.
«Vuoi assaggiare?» Domandò Song Rok.
Gemma rimase per un attimo perplessa, ma poi libero una mano per concedersi un misero pezzettino, strappandolo con le dita. Distrusse un orecchio al povero koala e lo assaggiò, dando il suo consenso con mugugni compiaciuti.
 «Masisseoyo?» il coreano chiese se fosse buono.
«Jinjja!» “davvero!” rispose la ragazza. Tanto delizioso che si pentì di non aver ordinato la stessa cosa. Era zucchero puro, molto delicato come sapore, con un pizzico di freschezza dato sicuramente da un tocco di menta. Ed ecco perché la scelta di quella forma: l’eucalipto! E chi mangia le foglioline di eucalipto?
Song Rok sorrise sinceramente, mordendo a sua volta il dessert. «Vedi che qualche volta rischiare e provare a cambiare può regalare sorprese? Ora hai un’altra ciambella preferita nella lista.»
Di nuovo se ne usciva con paragoni sull’esigenza di cambiare, ma cambiare cosa? Possibile che si impuntasse così tanto per via di scelte così sciocche e blande? No. Gemma sapeva bene che era una metafora, ma ignorava ogni tentativo di intromissione nella sua vita amorosa, specie da parte di uno che non poteva nemmeno considerare un amico, ma era a tutti gli effetti solo un estraneo. «Sediamoci là!» Cambiò discorso velocemente.
«Il tuo com’è?» Domandò l’accompagnatore, spostandosi verso il tavolino. Gemma si fermò per allungargli la ciambella, così che potesse assaggiarla e lui, senza esitazione e senza far attenzione, evitando magari la parte che aveva già toccato la ragazza, morse. Ma d’altronde in Corea non fanno caso a questo tipo di minuzie. In Italia invece, se di fronte ad un perfetto sconosciuto, o anche solo un conoscente, si avrebbe declinato l’invito o al limite cercato di mordere dove non lo avevano già fatto gli altri. Lei stessa, spesso e volentieri, si comportava così. Per una come Gemma si trattava di un discorso di intimità, lo scambio del cibo non era una cosa che si permetteva di fare con chiunque, non nel suo paese per lo meno. A Seoul spesso aveva dovuto adattarsi, imparando pure ad apprezzare questo loro modo di condividere le pietanze dallo stesso piatto. Certo, altri avrebbero obbiettato per una questione anche di igiene, oltre a tutto il resto.
Song Rok le passò nuovamente quel koala ormai mutilato. Fissò la ciambella e poi il suo aggressore, prima di buttare la sua italianità alle spalle e mordere di nuovo quella leccornia. Avrebbe potuto resistere, se non si fosse trattato di un dolce.
«Mmm, jeongmal masisseo!4» Esclamò più a se stessa che all’altro, in preda al piacere zuccherino.
«Facciamo scambio allora!» Propose tutt’ad un tratto.
Gemma sollevò la fronte sorpresa. «No, non ce né bisogno.» Si affrettò a dire, anche se nei suoi occhi si poteva leggere il desiderio contrario.
L’uomo sorrise dolcemente notandolo e le rubò la ciambella al cioccolato, per passarle la sua. «A me piacciono entrambe, ma tu sembri preferire la mia, quindi … » quel sorriso la contagiò, colpita in positivo dal suo fare socievole. In quel momento l’espressione di Im Song Rok le apparve davvero sincera, a tal punto da divenire meravigliosa: la bocca stretta, gli si allargava quasi smisuratamente quando sorrideva in quel modo e anche gli occhi, a volte quasi minacciosi, assumevano una piega gioiosa e tenera.
Mr Im posò il bicchiere sul tavolo e poi, con l’altra mano spostò la sedia, in modo da far accomodare la donna in sua compagnia.
La cara galanteria che in Corea del sud non è ancora morta! Pensò Gemma. Ma sapeva bene che quelle attenzioni potevano durare si e no qualche mese, durante il fidanzamento. Molto spesso gli uomini coreani, come se ne sentissero il dovere, si comportano cortesemente con le fanciulle, anche per poter conquistare la preda. In caso di straniera però, spesso questo tipo di attenzioni non durano a lungo, sicuramente non per sempre. Con le loro connazionali invece sembrano persistere di più, o forse era solo una sua impressione.
 
Nel momento in cui si sedette, si pentì enormemente di averlo fatto.
Due bicchieri erano posati sopra al tavolino e in mezzo vi era un piatto con diversi tipi di dessert. La ragazza seduta dalla parte opposta del giovane, poteva avere si e no una ventina di anni, forse la stessa età del suo accompagnatore. Lui ne aveva esattamente ventitré, Gemma lo sapeva, perché lo conosceva fin troppo bene. La ragazzina era una completa sconosciuta invece, ma l’atteggiamento che dimostrava, con quella timidezza da primo incontro, era più che comprensibile.
I suoi occhi si incupirono velocemente, osservando quell’amara scena. Si spostavano dalla bella coreana, vestita di bianco, una borsetta a tracolla, ancora appesa alla spalla, a forma di valigetta e di un celeste elegante. Scarpe alte ma semplici ai piedi, frangetta appena tagliata sulla fronte e capelli voluminosi che teneva sopra il petto, castamente coperto dagli abiti, al contrario delle lunghe gambe, punto di forza, mostrate quel tanto che bastava dalla gonna del vestito.
Poi passavano a lui, che indossava una delle sue solite magliettine, con sopra la giacca leggera, aperta, i jeans di sempre, i capelli acconciati come poteva e la faccia pulita di un giovane ormai single e in cerca di compagnia.
Durante uno di questi passaggi, la coreana non notò l’insistenza di una straniera curiosa, ma qualcun altro sì: occhi a mandorla dal tagli molto triste, con leggere occhiaie e iridi nerissime, incontrarono quelli un tempo vispi, dalla bella forma a cerbiatto, le ciglia lunghe e il colore “antico”. Notare Gemma non cambiava i suoi piani, Yon U non avrebbe evitato l’altra persona a causa della sua ex fidanzata e Gemma non poteva evitare di rabbuiarsi, nascondendo le lacrime dentro all’immenso vuoto che provò in quel momento.
La figura snella e alta del direttore si contrappose tra lei e la coppietta a qualche tavolo più in là del loro. Non si era ancora accorto di nulla, ma poco dopo, riportando l’attenzione sulla persona di fronte a sé, notò che gli occhi verdi dell’italiana erano incantati, rapiti da qualcosa che si trovava alle sue spalle. Si voltò, incrociando a sua volta lo sguardo indecifrabile del ragazzetto.
Si voltò immediatamente, come se non gli importasse, come se non avesse mai visto prima quel giovane  volto. Ed in effetti di lui sapeva solo che era il passato amore di Gemma Brizzi, un codardo appena poco più che ventenne, al quale in teoria dovevano impartire una lezione. Non che lo volesse davvero, ma ormai lo aveva promesso all’ideatrice del piano.
«Smettila di fissarli!» L’ammonì immediatamente, prendendo un sorso del suo tea freddo.
Gemma non lo ascoltò, Jin Yon U invece, al contrario, quasi come se avesse recepito il messaggio, ignorò quei due, tornando a concentrarsi sui suoi affari amorosi. «Avrà la sua età?» Domandò la straniera all’unico uomo che la poteva sentire.
«E così è giusto per lui, evidentemente.» Sollevò lo sguardo, affrontando quello adirato della donna dinnanzi. Era stata una risposta brusca e cinica, ma non menzognera. «Non tutti i ragazzi sono adatti a portare avanti un rapporto con una donna più matura, come non tutti apprezzano la ragazzina, ed è così anche per voi donne, no? Avrai già compreso che, tra tanti altri problemi, nella vostra rottura potrebbe avere inciso anche l’età, vero?» Con quella sua schiettezza per lo meno era riuscito a distrarla dalla coppia vicina, anche se era consapevole di infliggerle ferite consistenti.
Gemma durò poco e, come se volesse eludere quell’argomento, si guardò intorno, finendo nuovamente per cercare la figura dell’uomo che non aveva mai smesso di amare. Ma ogni tanto si spostava anche verso quella ragazzina dall’aria innocente. Sapendo che invece poteva nascondere una leonessa territoriale, pronta ad avventarsi sulla preda maschile.
«Ti ricordo che abbiamo un piano.» Tentò nuovamente di riportarla nella diretta via. «Gemma, tu hai voltato pagina. Tu per lui sei già accompagnata, con me.» Ricordò, senza riuscire nell’impresa.
«Vorrei strapparle i capelli!» Sussurrò improvvisamente.
Il volto di Song Rok ebbe un leggero spasmo di sorpresa. Rimase in silenzio, non comprendendo bene la situazione, non credendo alle sue orecchie. Si sporse un tantino verso di lei, « scusa, che hai detto?»
In quell’istante gli occhi di una tigre famelica presero a fissarlo. Quel grosso felino si stava nascondendo dietro ai ciuffi d’erba spessi, rintanata nella sua jungla, dove voleva però uscire, per poter schiacciare il suo nemico a colpi di canini e artigli. «A quella finta innocentina vorrei tanto fare lo scalpo.» Spiegò senza apparente vergogna nell’ammetterlo.
Di nuovo si trovò impreparato di fronte alla gelosia che stava dimostrando. «Gemma-»
Venne immediatamente interrotto: «Già sto male quando lo incontro ed è solo, non ce la faccio a vederlo con qualcun altro! Bramo di alzarmi e andare a parlare con quei due, di riprendere il mio posto e scacciare quella sciacquetta da quattro soldi!» Batté il palmo della mano sul tavolo, per fortuna non troppo da attirare gli sguardi degli alti.
Mr Im appoggiò comodamente la schiena alla sedia, congiungendo le braccia in petto. «Altra cosa da appuntare nella mia lista: sei di una gelosia impossibile!»
«Lo ammetto, okay? Sono gelosa!» Esclamò con un tono quasi melodioso, ma infastidito. «Sono una gelosa cronica! Sono gelosa dell’acqua che beve, dell’aria che respira. Ti va bene questa confessione?» Sembrava sul punto di perdere il controllo dalla rabbia. «Ma sono fatta così! Se una si avvicina a colui che mi piace comincio a farmi film mentali e finisco per vedere ciò che non c’è. Ma in questo caso c’è eccome, visto che quello mi ha piantato e pensa che io stia con un altro! Quindi anche lui ha diretto di vedere altra gente, no? Giusto! Ma io rimango sempre gelosa! Perché quella persona non è il nulla per me, anche se ormai io lo sono … per lui.» Cominciò a placarsi, lasciando posto alla tristezza.
Per tutto quel tempo Song Rok era rimasto in silenzio ad ascoltarla. «Appunto! Sei arrivata da sola al fulcro della questione», disse facendo una piccola pausa. Nel frattempo lo sguardo di Gemma si perse nuovamente, tornando mestamente ad osservare di sottecchi Jin Yon U. «Se non vuoi rovinare il tuo piano, fai finta di non vederli, ora. Subito!» Ordinò.
Quel suo profilo, dalla mandibola leggermente sporgente, il naso fino e corto, il collo lungo. Le sue mani che si chiudevano a pugno sopra il tavolo e la donna che, di fronte a lui, gli stava sorridendo, alternando un sorso di bibita ad una chiacchiera.
 «Come faccio ad evitarlo?» Domandò a Song Rok. «Come faccio ad evitare questo dolore?»
«Non fissarli.» Rispose senza distogliere lo sguardo da lei, attendendo che avesse la forza necessaria per ignorare la sua attrazione principale.
«Come faccio?» Il volto apparve disperato.
«Fai finta di niente!»
«Come faccio?» Il tono si era abbassato in un lieve sussurro.
Im Song Rok si sollevò leggermente, afferrando i braccioli della sua postazione, spostandosi alla sua destra. Si riaccomodò proprio nella traiettoria dello sguardo della giovane, che inevitabilmente cambiò visuale, osservando un altro tipo di occhi a mandorla, un altro tipo di uomo. «Guarda me!» Esclamò il direttore dell’Art Keukjang e proprietario dell’Ilmol-house.
Così fece, non aveva alternative in fondo: rimase immobile, fissa in quelle iridi di una tonalità simile al legno antico. Una corteccia di un albero forte e robusto. Pesa in quegli occhi seri e decisi.
Dopo qualche momento di indecisione, sussurrò dolorosamente a fatica: «Voglio andare via.»
«Allora ce ne andremo!» Fu la risposta veloce e sicura. Gemma annuì, prima di alzarsi, seguita dal suo accompagnatore. Cercò in tutti i modi di non posare lo sguardo sui due giovani di fronte, continuando a mantenere l’attenzione su Im Song Rok, spostandosi a seconda dei suoi movimenti. Un po’ come farebbe un cieco aggrappato al suo cane guida. Gli toccò appena l’avambraccio, quando gli fu accanto, quasi volendogli afferrare la camicia. Una richiesta di attenzioni in un gesto infantile, un’abitudine bizzarra, sembrante quasi un rimasuglio dell’infanzia.
«Non li guardo, guardo te!» Quella voleva essere una conferma per sé.
Song Rok annuì molto brevemente, «continua a guardare me», rafforzò la sua decisione. Abbassò lo sguardo sulla presa insicura di Gemma, gentilmente le tolse la mano, afferrandola per il polso e trascinandola fuori dal locale. Le porte degli inferi si aprirono d’innanzi a lei, che, vestendo i panni di un Orfeo al femminile, cominciò la sua discesa.
In verità non c’erano molte similitudini tra lei e il personaggio epico, se non quella di non potersi voltare, obbligati ad ignorare la persona amata. Il suo personale Plutone non le aveva certo promesso di riportare in vita l’amore della sua vita, intimandola così di non girarsi, non toccarlo, finché entrambi non fossero usciti dal regno dei morti. In quel mito tanto decantato, Orfeo aveva sentito il bisogno di voltarsi, per controllare che Plutone stesse mantenendo la promessa e che la sua Euridice fosse realmente alle sue spalle. Gemma invece era certa che Yon U fosse dietro di lei, ma sapeva anche che non la stava seguendo, a differenza di quel che narra Virgilio nella sfortunata e malinconica storia d’amore. E proprio per questo era ancor più tentata a girare il capo e guardare forse per l’ultima volta l’altra metà del suo cuore.
Per paura dell’inganno, alla fine Orfeo perse la donna che amava, come Gemma avrebbe potuto perdere il suo amato proprio a causa dell’incertezza. Voltarsi poteva concedere loro una possibilità, avanzare senza esitare poteva sottolineare la fine di tutto.
Stava fissando i suoi piedi, non se ne era nemmeno resa conto, voleva tornare indietro e correre da Yon U, scacciare quella ragazzina e riprendersi il suo fidanzato. Gli occhi intravidero una mano stratta al suo polso e così alzò il capo verso quell’uomo: Im Song Rok la guardò in quello stesso istante, con un’espressione di incoraggiamento. Così, Gemma obbligò se stesa a mantenere ancora una volta la concentrazione su di lui e per farlo, cominciò a cercare particolari, evidenziandone la fisionomia: dalla sua per nulla umile altezza, che insieme al fisico asciutto costruiva una figura longilinea, alle spalle larghe e all’apparenza forti; il viso leggermente squadrato, dal mento corto, la bocca che apparentemente poteva sembrare piuttosto stretta, ma sapeva che un singolo sorriso poteva rivelare il contrario; le labbra, più corpose inferiormente rispetto al lato superiore, si concentravano nel mezzo, quasi a donargli una forma a cuore; il naso che si allargava maggiormente verso le narici e quella lieve ombreggiatura sopra la bocca e sul mento, a rivelare che, senza una minuziosa rasatura, avrebbe potuto sfoggiare un pizzetto non indifferente; il lieve gonfiore sotto gli occhi, dall’angolo che accenna a tendere verso il basso, privi di doppia palpebra, un classico particolare assente e tanto desiderato da molti asiatici; sopracciglia grosse, non molto folte e imperfette. Solo in quel momento notò ciò che poteva benissimo sfuggire senza un’attenta analisi: un debole e minuscolo neo sotto all’occhio sinistro. O forse una panna, era talmente chiaro.
«Se hai finito di farmi la radiografia …» La risvegliò da quel momento di osservazione, lasciando la presa sul braccio e posizionandosi dietro le sue spalle, spingendola letteralmente, anche se dolcemente, verso l’uscita.


1 Edya Coffee è una catena di caffetterie in Corea del sud.
Donkin' Donouts franchising americano, dove si vendono dolci, specialmente le ciambelle.
Maho no idol Pastel Yumi anime, serie televisiva da noi conosciuto con il nome di "Sandy dai mille colori"
.
Jeongmal masisseo (정말 맛있어) "è davvero buono".

 
 
 
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 19 Capitolo
 
 
 
 
Per un attimo il tempo sembrò fermarsi, per poi tornare indietro di quindici anni come minimo. Lo spazio mutò, ritrovandosi circondata da visioni famigliari. Come le sagre di paese italiane, la zona dove si trovava in quel momento aveva lo stesso bordello di gente, musica e colori. Chiaramente la visuale era ben diversa, ma la sua mente forgiava cambiamenti a destra e a manca: ed ecco che il tizio sulla cinquantina, in giacca e cravatta, visibilmente ubriaco, divenne il giostraio nomade; il gruppo di ragazze abbigliate quasi come delle squillo, una semplice squadra di ragazzine libere, per quella sera, da mamma e papino; la vasca degli orribili pesci, del tale ristorante coreano, il piccolo carretto dello zucchero filato.
Non è che vedesse tutte queste cose al posto di altre, ma le immaginava con una facilità sorprendente, prima di tornare alla realtà dei fatti. La sua mente vacillava e a tratti tornava ad un livello decente di lucidità. Nonostante questo, non si poteva dire comunque affidabile. Si bloccò proprio davanti ad una di queste teche di vetro colme di acqua. Si sporse per vedere la fauna a branchie e tentò pure di pescarne uno a mani nude, canticchiando un “Sampei Sampei, gira il mondo con i marinai5 … Qualcuno però la trattenne, quasi braccandola all’ultimo minuto, mentre il proprietario del negozio uscì fuori per controllare che la situazione fosse sotto controllo.
Ad un tratto si fermò poco convinta che le sue gambe potessero reggerla. Ciondolava o era solo una sua sensazione? Oppure era salita in una delle tante giostre di quella sagra di paese. Magari non lo ricordava, ma ci aveva fatto un giro proprio qualche minuto fa! Ci si sente sempre un po’ destabilizzati se si prova il Tagadà ad esempio, o i Classici calci in culo. Beh, Gemma perfino con la Nuvola potrebbe sentirsi in quel modo. Le dava pure fastidio lo stomaco, tanto che la puzza che avvertiva da quelle parti era insopportabile.
Dov’era finito l’odore di patate fritte, mandorle tostate, zucchero e dolciumi? Perché avvertiva solo pesce ed alghe varie, aglio e … kimchi? Improvvisamente si guardò attorno.
«Sono in Corea.» Si disse, tornando ancora una volta nel mondo reale. Si grattò la testa riflettendo: dov’era? Cos’aveva fatto fino a quel momento? E come avrebbe fatto a tornare a casa?
 
****
 
Il corridoio sembrava più lungo di quel che era realmente. Lo osservava con sguardo pensante. «Lucidissimo!» Esclamò compiaciuta. «Ben fatto!»
«Dovremo ringraziare allora la donna delle pulizie.» Quella voce profonda proveniva da molto vicino, troppo vicino per ignorarla. Girò appena il capo, ritrovandosi appiccicata al direttore della scuola di teatro.
Lo osservò con fare indagatore per un po’. Poi comprese che la vicinanza era dovuta al fatto che Im Song Rok la stava aiutando: era interamente appoggiata a lui e si sentiva così leggera perché stava posando, poco cortesemente, tutto il suo peso su di lui. Il poveretto, alto com’era, si era pure chinato, camminando come un vecchietto bloccato di schiena e appoggiato al suo bastone.
Gemma Brizzi levò immediatamente il braccio, tornando ben ritta e lasciando in pace quella povera anima Pia. Nel farlo però, le sue gambe ebbero un cedimento e quasi non cadde per terra. Riuscì a sorreggersi, sbandando un poco e finendo per appoggiarsi al muro di fianco.
Si fissarono per un attimo, lui che sembrava avere sul serio qualche problema di schiena e lei che non comprendeva bene la situazione. Improvvisamente le venne da ridere e riuscì a stento a fermarsi. Niente. Era ancora ubriaca, inutile tentare di comprendere se si è sbronzi. Cercò allora di fare qualche passo e ci riuscì per un breve tragitto. Prima che inciampasse, Im Song Rok l’afferrò di nuovo.
«Aaaah!», esclamò lei, «Eri tu quello dei pesci!»
Song Rok sogghignò, ma non sembrava un sorriso del tutto sincero, piuttosto infastidito. «Se non ti avessi presa in tempo, ti saresti tuffata all’interno.»
«Volevo pescare.» La voce era impastata e le parole suonavano sbiascicate.
Sentì sbuffare il direttore. «Colpa mia! Non dovevo portarti a bere Makkeolli.6»
Lei sollevò una mano con fare da saputella, «era buonissimo, Im sajangnim.»
«Sei ancora completamente fuori controllo.» Pensò ad alta voce lui.
Gemma si scostò nuovamente da quell’uomo, chiedendo: «E perché tuuuuu …. Nnno?»
«Perché forse qualcuno doveva pur guidare?» Si era ancora leggermente piegato in avanti, pronto per aiutarla a camminare con le sue gambe, per non essere costretto a prenderla in braccio.
La ragazza allungando un braccio e gli diede un buffetto sulla testa, «che bravo bambino.»
Lo sguardo di Song Rok era allibito. «Io bambino non di certo, ma ora tu sei vicina ad esserlo.»
Gli mostrò l’indice, forse avvicinandoglielo anche troppo al volto. «Nononononono …. No.», confabulò, « ti sbagli, sono una donna io!» Precisò, come se ce ne fosse bisogno. Abbassò il braccio pesantemente, guardando l’ambiente intorno a loro. Troppo buio e lucido quel marmo. Non riusciva a ricordare quel luogo, non ancora. «Sono ubriaca. Una donna ubriaca.»
Le afferrò il braccio, per spronarla a seguirlo. «Ma davvero? Non me ne ero accorto.» La spinse fino ad una porta, dove si sbrigò a digitare il codice della serratura. A Seoul in pochi usano ancora le chiavi in appartamento. «Se hai finito di dare spettacolo qui … » Aprì la porta, invitandola ad entrare con un gesto.
Entrò in un primo momento cauta, seguita dal padrone di casa, che si tolse subito le calzature. Gemma sfuggì: imitando una piccola corsa, superò l’entrata, prese al volo la cucciolina che le sbarrava la strada e andò a tuffarsi nel divano.
Song Rok sgranò gli occhi, tentò anche di afferrarla, ma fu troppo lento. «Ya! Le scarpe!» Le disse allora, andandole incontro. Si inginocchiò e cominciò a slacciarle le all stars che portava ai piedi. Quel gesto fu troppo veloce e brusco perché potesse passare per galante, eppure Gemma rimase piacevolmente colpita, come se per lei quella scena fosse avvenuta al rallentatore.
Beh, avendo i riflessi lenti, era possibile che per lei fosse davvero avvenuto così.
«E questa è la seconda volta!» Song Rok sembrava volerla ammonire per qualcosa. Il tono era quello. «Ti ho detto di non azzardarti più ad entrare in casa di un uomo single.» La guardò da quell’altezza, ancora inginocchiato. Sfilò poi l’ultima scarpa.
Gemma fece un broncio simpaticamente infantile, rispondendo secca: «Senti, o te o il barista!»
Lo vide impallidire improvvisamente. «No, non farmi ripensare a quello che gli avevi proposto.» Ma lei non lo stava nemmeno più ascoltando, coccolando invece il cucciolino bianco che teneva tra le braccia. «Ti ricordo che non è un pupazzo!»
Mr Im, dopo aver posato le loro scarpe nella scarpiera, fece per togliersi la giacca, e notandolo, Gemma si alzò correndo in suo soccorso. «Aspetti sajangnim, l’aiuto io.» Così gliela sfilò goffamente, stropicciando non poco l’indumento. Una volta riuscita nell’impresa rimase immobile, come se improvvisamente volesse fare anche da attaccapanni. Song Rok aprì i polsini della camicia, fissandola con quel brandello di pazienza che gli era rimasto. «Ora dove vuole metterla?» Chiese mostrando la giacca.
«Dammi qua.» Rispose con un sospiro, riponendo il capo in camera. Tornò velocemente in salotto, prese per un braccio l’ubriaca e la costrinse a risedersi nel divano, accomodandosi poi lui stesso. Lei si lasciò trasportare, forse stava terminando la fase del perenne sorriso, arrivando tardivamente allo stato confusionale più triste. Si sentiva ufficialmente indifesa. «Bene. Vediamo un po’ …», la osservò brevemente, gli occhi che controllavano ogni minima parte del volto, come se fosse ferita. «Stai bene? Ti serve qualcosa? Del caffè magari?» Domandò in seguito.
Lei era rimasta nella stessa posa di poco fa, con l’aggiunta di un broncio malinconico. «Amore.» Rispose in un lieve sussurro. Il tono era simile a quello di una bimba che confessa il suo desiderio ad un enorme e temibile Babbo Natale. Perché quel caro autista di slitte a renne e non cavalli, non fa simpatia proprio a tutti i bambini, eh? Tra i vari sentimenti scaturiti dalla bonacciona figura natalizia … c’era anche la paura.
Un sussurro talmente lieve che Santa Claus coreano non sentì. «Come?» O forse fece finta di non comprendere le sue parole.
Il volto le si imbronciò di più, «ho bisogno di amore!» Non vi era alcuna donna quella sera, il viso che appariva era quello di una Gemma ragazzina.
Il padrone di casa si dimostrò ancora una volta paziente, ma di quella pazienza che si può notare visibilmente provata. «Quello a parte?»
Gemma gesticolò sorridendo, « ah! Allora potevi dirlo subito! A parte quello, io sto bene.»
«Domani starai meno be-», si interruppe quando Gemma gli posò le mani sulle spalle, e sollevò un sopracciglio quando notò un inizio di interesse negli occhi dell’italiana.
Aveva delle belle spalle, le erano sembrate forti a prima vista, nonostante avesse però un fisico molto asciutto, ma ora che le stava toccando e comparando alle sue mani …
Sollevò lo sguardo decisa, fissando gli occhi marroni del coreano di fronte a lei. «E lei direttore?» Chiese biascicando le parole, «ha bisogno di qualcosa?», ma improvvisamente qualcuno poteva anche pensare che la voce si era fatta quasi suadente. Infatti Im Song Rok si irrigidì all’improvviso, la faccia prese un’espressione quasi spaventata e Gemma a quel punto tolse le mani e scoppiò in una fragorosa risata, sotto gli occhi ancora sconvolti e confusi dell’uomo. «Non fraintendermi!» Esclamò tra un tentativo e l’altro di contenere l’ilarità. Mentre lui si limitò ad un sorriso di circostanza, forzatamente, perché non si stava affatto divertendo.
Toccò poi a lui bloccarla per le spalle, cingendole le braccia. «Okay … allora, visto che lo chiedi, gradirei molto se tu tornassi sobria.»
Gemma annuì sorridendo, ma era improbabile che improvvisamente fosse riuscita a rientrare nel suo normale stato sobrio. «Io … Gemma Brizzi … mi fido di te, direttore!» Cominciò a spiegare: «Perché … io … non piaccio. Tuuuu», rimase immobile per un po’, con le labbra sporgenti a “culo di gallina”, avrebbe detto la sua amica Sarah, « tu mi o … di? No, forse non mi odi, però non ti piaccio, perché io … faccio schifo! Anche se posso piacere per un po’ agli uomini, poi finiscono per abbandonarmi, perciò devo fare proprio schifo come persona o … come donna. O come essere umano, essere respirante.»
L’aveva lasciata parlare a briglia sciolta, solo perché era curioso di vedere fin dove si sarebbe spinta con quel tentativo di offendere se stessa a causa degli altri. Era un tipo che si autocommiserava, altro punto da aggiungere alla lista delle cose da sapere a proposito di Gemma Brizzi, prima di iniziare a giocare la partita di tira e molla con il suo ex fidanzato. «E’ difficile odiare una persona. Anche quando diciamo “ti odio”, difficilmente si tratta di quel sentimento, lo sai? Per non parlare del fatto che io non l’ho mai detto e nemmeno lo penso. Non ti conosco nemmeno, come faccio ad odiarti?»
«Antipani … no. Antipatia.» Si corresse.
L’uomo di fronte a lei continuava a mantenere lo sguardo ombroso, la fronte corrucciata, « mah, nemmeno quella. Diciamo che tu e la tua amica siete un tantino … eccentriche? Ma non ti sembra che la parola “schifo” sia troppo forte?» Gemma lo ascoltava in silenzio, «Non la userei nemmeno per una pietanza, figurarsi per una persona.»
Appena il direttore finì, l’ospite chiese, con sguardo sospettoso: «Sono carina?»
«Sei una bella ragazza.»
Quella conferma sembrò darle la spinta necessaria per riprendere il controllo. Distese la fronte, chiuse normalmente le labbra, abbassò lo sguardo riflessiva. «Sono bella. Quindi … potrò piacere a qualcuno?»
Sollevò le spalle rispondendole: «Certo.» Il sorriso che Gemma gli regalò non aveva nulla di forzato, nemmeno dall’alcool che sembrava avere ancora in corpo e nella mente. Era una reazione spontanea ad una bella consapevolezza interiore.
L’improvviso abbraccio fu talmente inaspettato per il trentenne, tanto da non poter nemmeno reagire irrigidendosi per la seconda volta. Lasciò che facesse, senza poterlo evitare, ritirarsi o appunto estraniarsi dal gesto in sé. Quasi si sentiva coinvolto, anche senza dover per forza ricambiare.
«Grazie! Sono una bella ragazza. Grazie per averlo detto!» Per fortuna sua la giovane si placò subito, lasciandolo andare, deprimendosi ancora una volta. Si sedette composta sul divano, schiena dritta, sguardo fisso sullo schermo nero di una televisione spenta. «Mi sentivo amata da lui, me lo dimostrava spesso, anche senza cadere nel plateale. Me lo diceva che ero bella, ma … », si fermò brevemente per sospirare, «era anche scorbutico e non sempre mi trattava bene. Egoista, parecchio egoista e pigro. Per nulla romantico! A parte l’inizio della nostra relazione, poi è stata tutta una discesa di romanticismo.», increspò il viso in una piega quasi dolorante. Cercava di trattenere le lacrime. «Vedevo le altre ragazze con fiori, anelli, regali ricevuti dai propri fidanzati e io … Io facevo fatica a farmi portare anche al cinema! So che in verità lui non sapeva nemmeno come comportarsi, non era abituato a vivere una storia e forse proprio per questo mi sono adattata parecchio al suo umore e alla sua ignoranza in fatto di relazioni. Spesso l’ho accompagnato per manina in certe situazioni, istruendolo personalmente», sbuffò quasi sogghignando, ma un ghigno infastidito. «Deve avere imparato molto da me, in effetti.» Sussurrò quella frase, come se fosse troppo privata per poterla urlare ai quattro venti. Non si rendeva conto che si sentiva comunque piuttosto bene. «Ora che ci penso … cos’ha fatto per me? Ooooh, ci molte cose che ha fatto per me, ma … sinceramente non si è mai sforzato quanto mi sforzavo io per capire lui e compatirlo.» Annuì, d’accordo con il suo pensiero, un pensiero che aveva tenuto nascosto perfino a se stessa in quegli ultimi tempi. «Non sono una che ama le cose fatte in modo pomposo. Non trovo gradevole professare il proprio amore al mondo, attirando sguardi altrui. Io ne sarei intimorita, imbarazzata. Non amo l’uomo che mi porta cento o mille rose, che riempie di petali la casa. Preferisco le cose semplici e improvvisate, rispetto a quelle ben architettate. Una rosa … anche solo una piccola rosa. Ma qui non si tratta solo del romanticismo mancato o povero che sia.» Si scosse tutta d’un colpo, chiudendo le mani a pugno e battendole sulle ginocchia. «Cretino che non è altro!» Urlò la sua ritrovata rabbia. «Gli farò rimangiare tutto! Mi rimpiangerà talmente tanto che dovrà strisciare a terra e supplicarmi di tornare con lui. Vedrai Yon U, vedrai che lo farai.» Si voltò di scatto verso Song Rok, che per l’eccessiva sorpresa sobbalzò appena. Quella ragazza era un mistero e peggiorava sotto l’effetto dell’alcool. Da mezza moribonda a folle, da provocatrice a clown, da profondamente ferita a combattiva guerriera, passava da avere un broncio di bambina ad un volto di donna con estrema facilità. «E tu!» Lo indicò quasi minacciosamente, «tu mi aiuterai, vero? Mi aiuterai a far strisciare quel bastardo, che si deve essere bevuto il cervello per aver piantato in asso me dopo tutte quelle promesse che c’eravamo fatti, che lui aveva fatto a me! Ma se ne pentirà, o sì che se ne pentirà!» Rise fragorosamente, quasi stesse interpretando il personaggio cattivo di una fiaba. Riprese il controllo nell’immediato, annunciando: «Ora dormo»
Solamente, riferì solamente questo prima di distendersi nel divano e chiudere gli occhi.
In tutta questa sceneggiata qualcuno rimase interdetto. Il padrone di casa liberò il posto, in modo tale che potesse posarvi anche le gambe. Prese una coperta e la spiegò meticolosamente sulla pazza addormentata, perché non prendesse freddo durante la notte. Non c’era pericolo di svegliarla, stava già dormendo profondamente e in quello stato sembrava addirittura innocua, ma non poteva fidarsi, un momento prima aveva ridacchiato come la più brutale delle matrigne cattive.
Si chinò lentamente, per toglierle una ciocca di capelli che le era caduta sul volto e poi velocemente si scostò, piegando la bocca verso il basso mentre la osservava come se si stesse chiedendo cosa fosse realmente quella cosa che stava dormendo nel suo salotto.
«Per fortuna non ha vomitato nella mia macchina.»
La cagnolina richiamò l’attenzione del padrone. Si accovacciò per coccolarla brevemente, poi la prese in braccio e si spostò nella stanza accanto. 


Sampei anie/manga giapponese di Takao Yaguchi che parla di un ragazzino pescatore.
Makkeolli (막걸리) una bevande alcoliche di riso prodotta in Corea del sud.



In metro 
 
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