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Autore: Raya_Cap_Fee    21/11/2014    5 recensioni
Heike De Vries ritorna a Chicago dopo essersi laureata in giurisprudenza a Yale ed è finalmente pronta a prendere in mano le redini della propria vita. Heike ha sempre desiderato essere una donna forte, indipendente e soprattutto in carriera. Non ha mai permesso a niente e a nessuno di intralciarla o distrarla dai suoi studi e dalla carriera che ha sempre voluto. Questo fin quando non torna a casa. Questo fin quando non incontra Sebastian Jenkins.
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Mi superava di buoni dieci centimetri, piuttosto magro e dalla carnagione chiara. La sua figura era illuminata dalla luce naturale delle vetrate e gli occhi grigi spiccavano sul viso dai lineamenti appuntiti. Prima che potessi studiarlo più approfonditamente il mio sguardo fu attirato da quello che aveva il mano.
-E’ disgustoso- protestai arricciando appena il naso. Una volta avevo visto mio fratello uscire dal bagno con un metro da sarto tra le mani e quando gli avevo chiesto a cosa gli fosse servito lui aveva riso e scrollato le spalle. Avevo undici anni. Lui dodici. Quando ci ero arrivata avevo sempre associato i metri a quell’episodio traumatico.
Il ragazzo inarcò appena un sopracciglio biondo e guardò il metro senza capire –Cos’è disgustoso?-
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Capitolo 1
 
 
Inspirai profondamente l’aria mattutina di Chicago e, con le mani ancorate ai fianchi, aspettai che il tassista scaricasse le due valigie dal bagagliaio. A guardarmi intorno quasi sembrava che non me ne fossi mai andata, tutto fermo in quell’immutabile bellezza del lusso. Sembrava ieri, quando avevo impacchettato tutte le mie cose ed ero partita per Yale, più determinata che mai a diventare la donna che avevo sempre voluto essere, invece erano passati anni.

-Tenga- mormorai all’uomo che mi aveva accompagnata a casa dall’aereoporto porgendogli le banconote. Lui mi ringraziò con un cenno e poi risalì nel suo taxi, pronto sicuramente a soddisfare nuovi clienti. Trascinai i trolley fino al citofono vicino al cancello e suonai, ero più che sicura che stessero ancora dormendo tutti.  Ne approfittai per guardarmi ancora intorno. La crisi economica di sicuro non aveva colpito quella zona della città. I cancelli di ferro battuto, i vialetti di pietra con fiori sgargianti, erba tagliata con precisione e poi ville bianche: in stile coloniale o moderno, lo sfarzo era evidente. E mi piaceva.

-Heike!- la voce di mia madre, assonnata e lievemente scocciata, irruppe nel silenzio. Sollevai lo sguardo verso la telecamera nell’angolo tra il pilastro di pietra bianca e il cancello e sorrisi –Ciao mamma-

-Che cosa ci fai qui a quest’ora? Sono appena le sette del mattino-

-Hai sempre detto che dovevo tornare a casa e ora eccomi qui. Hai intenzione di aprire il cancello?- ribattei divertita. Sentii un lieve mugugnio dall’altoparlante del citofono e poi il cancello cominciò ad aprirsi, lentamente.
-Casa dolce casa-.
 
Con entrambi i trolley a occuparmi le mani percorsi il lungo vialetto cementificato con enormi aiuole di lavanda a costeggiarlo. Il profumo delicato mi colpì le narici ed emisi un piccolo sbuffo. Ero proprio a casa.
-Tesoro…- mia madre apparve sulla soglia di casa avvolta in una lunga vestaglia di seta blu. All’età di quarantacinque anni c’era ancora qualcuno che, vedendoci insieme, la scambiava per mia sorella. Ogni volta mi sentivo offesa. Lei mi sorrise e scese gli scalini che precedevano il portico per venirmi incontro. In meno di quanto credessi possibile mi raggiunse e fui risucchiata in uno dei suoi tipici abbracci. Di quelli che ti fanno desiderare di respirare più di ogni altra cosa al mondo e ti chiedi se non ti ha appena attaccato un boa constrictor.

-Sorpresa- mormorai, la voce soffocata contro la sua spalla.

-Sono così contenta di vederti a casa finalmente-

-Non sembravi contenta al citofono-

-E’ solo perché mi hai svegliata. Su, dammi una valigia. Dov’è il resto della tua roba? Bisogna chiamare qualcuno per andare a prenderla? Potrei chiamare James, ha fatto un ottimo lavoro quando hai traslocat…-

Mia madre adorava fare domande.

-Il resto della mia roba è ancora a Yale, perfettamente inscatolata e pronta per arrivare qua martedì. Ho già badato a tutto-

Mia madre sorrise, mostrando una perfetta fila di denti bianchi e allungò una mano per allungarmi un buffetto sulla guancia. Tentai inutilmente di scostarmi.

-Bentornata a casa, Heike-

Alzai lo sguardo verso la villa di William De Vries, il luogo in cui ero cresciuta, e sorrisi ancora una volta. Da quando ero partita per Yale non ero mai tornata a casa, né per il mio compleanno, né per le vacanze, né per le feste. Ero stata assorbita dal mondo, dallo studio, dalle nuove opportunità, dagli stage, dal giornale. E niente era più importante del mio futuro, per me. Erano i miei genitori a venirmi a trovare, a trascorrere qualche weekend con me.

-Jackson è a casa?- domandai varcando la soglia. Un enorme salotto entrò nel mio campo visivo e, dalle vetrate che coprivano un’intera parete, riuscii a vedere il giardino sul retro –Avete fatto qualche lavoretto di ristrutturazione eh?-

Jenna De Vries, mia madre, si posizionò al mio fianco e si guardò orgogliosa intorno – Te ne avevo parlato ricordi? Ti piace?-

Annuii, guardandola. I capelli rossi, ricci le scendevano oltre le spalle, appena scarmigliati dal cuscino. La pelle appena abbronzata dalle lampade che era solita farsi, era solcata da qualche sottile e impercettibile ruga ai lati della bocca carnosa, gli occhi neri struccati e forse un po’ troppo piccoli erano come sempre illuminati da una luce entusiasta.

-Sì, molto. Bel divano…- commentai indicando il divano ad angolo bianco che occupava il centro della stanza davanti ad uno schermo piatto. Lei sorrise –Jackson è tornato poco fa da una festa. Non credo che lo vedrai prima di stasera. Non sveglio almeno-

Arricciai appena le labbra e sospirai. Jackson, il mio unico e maggiore fratello, non aveva molto in comune con la sottoscritta. Almeno non la questione college, carriera e lavoro. Era iscritto all’University of Illinois at Chicago alla facoltà d’Arte, era fuoricorso e, personalmente, non avevo mai capito cosa c’entrasse Jackson con l’arte.

-Pazienza. Magari andrò a svegliarlo tra qualche ora. Ho intenzione di farmi accogliere con tutti i dovuti festeggiamenti- sorrisi nell’immaginare le sue proteste. Mia madre ridacchiò e mi fece cenno di seguirla in cucina. Un ambiente ampio e moderno con mobili ed elettrodomestici bianchi e piani di lavoro neri. Anche quello era un ambiente nuovo, che non conoscevo, ma a mia madre piaceva cambiare.

-Heike?-

-Papà!- esclamai nell’udire la sua voce alle spalle. Un uomo di cinquantasei anni, alto e colpito da una calvizia incipiente sulla chioma biondastra, sorrise allargando appena le braccia per accogliermi. Lui era già vestito di tutto punto nel suo abito di dirigente della De Vries Enterprises, un’azienda di sua fondazione che si occupava d’informatica.

-Non sapevo saresti arrivata oggi-

-Una piccola sorpresa-

Mi poggiò le mani sulle spalle e fece un passo indietro per guardarmi –Avvocato De Vries. Suona proprio bene, eh, Jenna?-

-Benissimo, William-

Sorrisi apertamente e lanciai un’occhiata a entrambi –Beh, già da domani avrò qualche colloquio ma non vi dirò assolutamente dove-

-Sei appena arrivata, Heike, non hai intenzione nemmeno di prenderti qualche giorno libero?- mormorò mia madre stringendo tra le mani una scatola di cereali all’avena, i miei preferiti.

-Assolutamente. Valuterò le occasioni in città prima di tastare altrove il terreno. Chicago mi è sempre sembrata il posto ideale-

-E lo è- ribattè mio padre. Allungai le mani per aggiustargli il nodo della cravatta e lo guardai negli occhi, uguali ai miei, di un azzurro chiaro –Sono contenta di essere a casa con voi-

 
Passai l’ora successiva ad aggiornare i miei genitori sulla mia vita dell’ultimo mese dopo la laurea poi finalmente potei trascinare me e i miei bagagli su per le scale del salotto che conducevano al piano superiore. Non mi preoccupai di non fare rumore lungo il corridoio di marmo e riuscii addirittura a bussare alla porta di Jackson, oltre il quale non provenne altro che un leggero russare.

Quando entrai nella camera di fianco tirai un sospiro di sollievo nel trovarla immutata. Almeno mia madre non aveva deciso di modificare anche quella. Ritrovai così le mura dipinte di un tenue beige e il letto a una piazza e mezza con la testiera di ferro battuto a fiori, la poltrona e il tavolino davanti alla finestra, l’ampia scrivania perfettamente organizzata, la libreria stracolma e la mensola con le mie foto nel corso degli anni.

Dopotutto, nonostante mancassi da un pezzo da casa, ero tornata a Chicago felice di riabbracciare tutto ciò in cui ero cresciuta. Se tutto andava come previsto, e sarebbe successo, entro le prossime due settimane avrei avuto il mio posto in qualche studio legale.

Mi lasciai andare in un nuovo sospiro e mi sdraiai a stella, sul mio vecchio letto, socchiudendo gli occhi.


 
La vita dai ritmi placidi e tranquilli non faceva per me, perciò, appena due ore più tardi dall’aver preso nuovamente possesso della mia camera ero pronta per uscire di nuovo. Vestita con un paio di pantaloni neri e una camicetta bianca scesi nuovamente al piano inferiore. Dalle vetrate adocchiai un tagliaerba fermo e spento nel bel mezzo del giardino –Mamma?-

Non l’avevo sentita uscire perciò doveva essere da qualche parte intenta a inventarsi chissà cosa per passare la giornata. -Mamma?- chiamai più forte nel mentre che sceglievo le chiavi della macchina da prendere. Alla fine presi le chiavi della BMW e mi sistemai la borsa in spalla. A parte le chiavi della Porsche di mio padre non ne mancava nessuna che conoscessi. Sentii dei rumori provenire dal bagno degli ospiti –Io esco e potrei non rientrare per pranzo- aggiunsi avvicinandomi alla porta bianca, che quasi si confondeva con la parete in un angolo remoto del salotto.

Rimasi in silenzio per qualche momento, in attesa di risposta ma l’unica cosa che udii fu un rumore metallico. Aggrottai la fronte.

-Mamm…-

Sobbalzai quando la porta si aprì all’improvviso per far apparire sulla soglia un ragazzo che non avevo mai visto. Il giardiniere, supposi.

-Mi hai fatto prendere un colpo- borbottai adocchiando alle sue spalle il bagno vuoto.

-Jenna è sul retro a trapiantare altre lavande- rispose il ragazzo con un lieve sorriso. Mi superava di buoni dieci centimetri, piuttosto magro e dalla carnagione chiara. La sua figura era illuminata dalla luce naturale delle vetrate e gli occhi grigi spiccavano sul viso dai lineamenti appuntiti. Prima che potessi studiarlo più approfonditamente il mio sguardo fu attirato da quello che aveva il mano.

-E’ disgustoso- protestai arricciando appena il naso. Una volta avevo visto mio fratello uscire dal bagno con un metro da sarto tra le mani e quando gli avevo chiesto a cosa gli fosse servito lui aveva riso e scrollato le spalle. Avevo undici anni. Lui dodici. Quando ci ero arrivata avevo sempre associato i metri a quell’episodio traumatico.

Il ragazzo inarcò appena un sopracciglio biondo e guardò il metro senza capire –Cos’è disgustoso?-

-Non dovresti stare in giardino a tagliare l’erba? Che schifo-

Avrei detto a mia madre di stare bene attenta ai giardinieri che assumeva. Lui mi guardò ancora e scrollò le spalle –Tu devi essere la Yalies-

Lo guardai stranita. Quel ragazzo mi conosceva? Ed io lo conoscevo? Mi aveva appena chiamato con il nomignolo che la gente usava per indicare gli studenti di Yale.

-Già- risposi orgogliosa, sollevando gli occhi azzurri verso quelli dell’altro, grigio chiaro. Lui sorrise come se stesse rivedendo una vecchia amica e allungò la mano libera nella mia direzione –Sebastian Jenkins-

Guardai la sua mano –Scordati pure che io ti tocchi, Jenkins-


 
Angolo Autrice

Ebbene. Se avete letto questo capitolo e vi è piaciuto sprizzo gioia da tutti pori. Questa è un’idea che mi è balzata in mente…ieri xD e, nonostante stia portando avanti altre storie sul pc e su efp stessa, avevo bisogno di qualcosa di nuovo che mi facesse tornare voglia di scrivere. Quindi ecco a voi Heike De Vries e Sebastian Jenkins <3 Pronti a conquistarvi il cuoricino.


 
Raya_Cap_Fee
 
   
 
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