Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
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Autore: musa07    23/11/2014    2 recensioni
" Dino ci aveva proprio preso gusto ad insegnare. Ecco perché aveva accettato l’incarico fino a fine anno scolastico. E questo voleva dire che sarebbe partito in gita con la classe della quale era responsabile. Alias quella di Tsuna e company. Non stava più nella pelle!
- Che bello. In gita! – stava proferendo felice per l’ennesima volta da quando si era svegliato quella mattina ed era stato malamente scaricato da Kyoya a casa Sawada, dato che il Disciplinare non era più in grado di reggere i suoi farneticamenti ..." (dal cap.1)
Ciaossu^^ Dopo l'angst, dopo la 3Some PWP, approdo nuovamente al mio habitat naturale: lo slice of life soooooo romantic, oh yes!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Dino Cavallone, Enma Kozato, Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi cospargo il capo di cenere! PerdonatemiT_T Come scusante posso solo dirvi che son strapresa con le prove per i concerti di Dicembre e che quando ho tempo mi esercito sui pezzi come una matta – non che ci voglia tanto per farmi andar via di testa più di quello che già sono ahahah.
Ma ora, eccomi qui. E buona lettura <3

 
 
 
“Sulle macerie delle tue sconfitte costruisci le tue vittorie”
 
 

CAPITOLO 4
 

Kyoya si trovava in ascensore con Dino e con l’uomo dai decibel più alti dell’intero universo, alias: Sasagawa Ryohei. Incredibilmente, la voce più che squillante del pugile non era il motivo – o per lo meno non il primo – per il quale voleva scaraventarsi fuori da quell’angusto abitacolo.
Sentiva il collo della camicia opprimerlo sempre di più. Per non parlare del resto dei vestiti. Decise di concentrarsi stoicamente sul display dei piani. Addirittura si sforzò di ascoltare la conversazione che pareva tanto divertire il suo compagno e Ryohei.
Dino, a dirla tutta, più volte da quando erano saliti in ascensore, gli aveva lanciato occhiate inquisitrici, perché si era ben accorto del suo disagio, ma lui aveva sempre evitato di incrociare il suo sguardo. Molto semplicemente perché quando i suoi occhi grigi si posavano su quelli marroni di Dino, quella sensazione strana aumentava esponenzialmente.
Si sforzò quindi, Kyoya, di ascoltare gli altri due. E quello che captò lo lascio pietrificato sul posto.
Era il boxeur che stava parlando in quel momento, impossibile non sentirlo tra l’altro!
- I dolcetti al cioccolato della proprietaria dell’albergo erano estremamente fenomenali! –
“ Che cosa ha detto ‘sto deficiente? Cioccolato?” s’irrigidì Kyoya.
Lui non poteva mangiare il cioccolato! E per un semplice, inquietate motivo …
(Nota seria, ahahah^//^ Mi faccio ridere da sola. ‘Sta cosa della strana allergia di Hibari verso il cioccolato e dei suoi particolari^^ effetti, me la sono inventata di sana pianta qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1710852&i=1)
Quanti ne aveva mangiati?, si trovò ad interrogarsi.
cinque … si rispose.
“Cinque!?” andò in fibrillazione dentro di sé, mentre si portava una mano tra i capelli neri, prendendo un ispiro e un espiro silenziosi.
“ Come ho fatto a resistere fino adesso?” si chiese. Merito del suo feroce autocontrollo, era la risposta.
Lanciò un’occhiata di fuoco e di accusa verso Dino, ma Dino non poteva averlo fatto apposta a farglieli assaggiare. Primo perché il cioccolato era l’ingrediente segreto, ben nascosto. Secondo perché Dino non sapeva …
Figurarsi se Kyoya si era mai fatto sfuggire con il biondo che ogni volta che mangiava cioccolato, per una strana e inspiegabile reazione chimica, questo sortiva su di lui un effetto peggiore di un potentissimo afrodisiaco! Era certo che quel molesto l’avrebbe usata come arma contro di lui.
E adesso … E adesso erano chiusi dentro quel maledetto trabiccolo e lui sentiva che i pantaloni gli stringevano sempre di più e dentro quel maledetto ascensore c’era una persona di troppo!
Maledì con tutto se stesso la presenza di Sasagawa Ryohei. Ok, lo faceva sempre ogni qualvolta si trovava in presenza del pugile e questi, puntualmente, lo privava del senso dell’udito, ma quella volta il motivo era ben altro.
“Calmati! Calmati!” s’istruì a forza.
Ecco perché sentiva sempre più caldo. Ecco perché gli abiti erano sempre più opprimenti. Ecco perché aveva iniziato a guardare Dino con occhi sempre più famelici, quanto un lupo di fronte ad un agnellino. Con la sola differenza che il giovane Boss non era un agnellino indifeso e sprovveduto. E questo Kyoya lo sapeva molto bene, proprio per questo la sua eccitazione montava dentro di lui con forza sempre più incalzante. Perché conosceva perfettamente cosa quelle dita erano in grado di scaturire in lui. Quali brividi quelle labbra fossero capaci di procurargli …
Quasi si fosse trovato di colpo con le capacità sensoriali amplificate, sentiva chiaramente il profumo dei capelli dorati dell’altro, il profumo ambrato della sua pelle. Il calore di quella pelle …
Stava per andare via di testa. “ E questo infame non mi è di certo di aiuto!” lo maledì, vedendo come il biondo, con la sua solita sensualità incurante ed innata, si portò distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, lasciandogli scoperto il collo mentre continuava a chiacchierare allegramente con Ryohei. Offrendoglielo. Kyoya poteva vedere perfettamente ogni singolo contorno delle fiamme impresse a fuoco sulla pelle ambrata dell’altro.
Si sarebbe scaraventato fuori dall’ascensore!
Per sua fortuna, invece, l’abitacolo si fermò, per far scendere il Guardiano del Sole. Fu certo che i suoi occhi grigi ebbero un guizzo quando Ryohei si voltò verso di lui per augurargli la buonanotte, dato che lui e Dino avevano la loro stanza tre piani più su e quindi sarebbero stati finalmente soli. Fu anche certo che, inconsciamente, proprio come un lupo famelico, si passò la lingua sulle labbra, pronto per il suo spuntino. Ma come i poveri lupi delle favole, Hibari fu gabbato!
Insieme a Ryohei, scese anche Dino.
- D-dove stai andando? – lo ammonì secco.
- Hum? – lo interrogò Dino, voltandosi a fissarlo perplesso.
- Dove vai? – sibilò minaccioso.
- Vado a vedere come sta Enma. – fu la replica tranquilla del biondo, detta con un amabile sorriso.
E il sorriso di Dino e il suo “arrivo subito”, furono le ultime cose che vide e sentì prima che le porte dell’ascensore gli si chiudessero in faccia.
- Crepa inetto di un Cavallone! – sussurrò, ancora sconcertato dall’incredibile piega della situazione, sentendosi venir meno, costretto ad appoggiare una mano alla parete. Non ce l’avrebbe mai fatta!
 
E invece, visto che Hibari Kyoya era una specie di highlander, ce la fece eccome.
Il Disciplinare riuscì a calmarsi a forza, con il suo eccitante compagno fuori dalla portata dei sensi e, a mali estremi, estremi rimedi.
Estremi rimedi che Dino scoprì non appena tentò di aprire la porta della loro stanza, nel momento in cui fu di ritorno dopo essersi assicurato da Tsuna sulle condizioni di Enma, che dormiva ora pacificamente.
Sgranando gli occhi marroni sorpreso, nuovamente fece leva sulla maniglia della porta, ma, di nuovo, la serratura non scattò. Segno che qualcuno, da dentro, l’aveva chiusa a chiave. Sempre più perplesso da quello strano comportamento del suo compagno, bussò lievemente.
- Kyoya? – chiamò a mezza voce, accostando un orecchio. Non era da Hibari quel comportamento guardingo. Se solo avesse saputo che quella precauzione era stata addotta per lui!
- Kyoya? – ci riprovò. E la sconcertante risposta arrivò.
°° Trovati da dormire da un’altra parte per questa notte.°°
Ecco qual era lo stoico proposito del Guardiano. Sapeva che nel giro di qualche ora l’effetto afrodisiaco del cioccolato sarebbe svanito. Semplicemente doveva stare senza avere Dino intorno fino a quel momento. Non poteva fargli vedere quel suo punto debole, era una questione di principio. E di stupidissimo orgoglio ovviamente. Di fronte a Dino, che era praticamente perfetto anche nella sua insulsa imbranataggine, Kyoya non voleva sentirsi da meno. Che il suo compagno potesse perdere interesse nei suoi confronti. Come se a Dino importasse poi! Erano ben altre le cose per cui si era innamorato di lui e che se ne innamorava ogni giorno sempre più.
- Hah? – esclamò incredulo il biondo, facendo ancora una volta leva sulla maniglia, riprendendo a bussare, incurante stavolta del fatto che avrebbe svegliato tutto il piano probabilmente. Non gli era piaciuta proprio per niente quella risposta.
- Kyoya! – e il suo tono stavolta non era più interrogativo.
°° Ci vediamo domani mattina.” fu l’imperturbabile replica.
- Non dire stronzate! – stava veramente iniziando a perdere la pazienza. E come quelle rare volte in cui succedeva, il suo tono di voce si abbassava fino a renderlo un arrochito ancora più sensuale di quello che già era.
°° Hn!°° tentò di resistere. Dino arrabbiato, pensò. Non aveva prezzo!
Chissà cos’era in grado di fare quando era incazzato. Non riuscendo in nessuna maniera a frenare i pensieri e le immagini sempre più perverse, Hibari si artigliò alle lenzuola.
- Kyoya! – e questa volta non ammetteva repliche.
Con un lungo brivido che gli attraversò tutto il corpo, procurandogli scariche elettriche che si condensavano dolorosamente sul già martoriato basso ventre, grugnendo, Kyoya andò ad aprire la porta, e quello che vide … Oh, lo lasciò senza fiato.
Il biondo se ne stava a braccia conserte, piegando la testa di lato come a volergli chiedere spiegazioni. Spiegazioni che lui non gli diede, mentre si trascinava nuovamente verso il letto, infilandosi sotto le coperte. Speranzoso.
 “Ok, basterà aspettare che mi salti addosso lui.” pensò infatti. Così non gli avrebbe dovuto rivelare quel suo imbarazzante punto debole, ma al contempo avrebbe sfogato quella voglia che stava raggiungendo vette epocali. Per non parlare di quando Dino, uscito dal bagno, davanti a lui si tolse la maglia e restò scoperto dalla vita in su. Come un superstite in mezzo alle soffocanti sabbie del deserto, Kyoya si trovò a bere ogni singolo centimetro di quella pelle scoperta. Di quel fisico praticamente perfetto senza sforzo alcuno, ma solo gentile dono di madre Natura. Dei muscoli delle braccia perfettamente torniti e asciutti. Senza rendersene conto, Kyoya si infossò ancora di più sotto le coperte, sentendo come la vergognosa erezione pulsasse con sempre maggior rabbia e veemenza.
Con i suoi occhi da gatto, lo studiò avvicinarsi al letto, sedervisi. E attese … Attese pensando che tra breve la sua sete sarebbe stata placata. E invece Dino – una volta che si fu infilato a sua volta sotto le coperte - si limitò a posargli un leggero bacio sulle labbra, mentre sul suo volto era ritornato il sereno.
- Buonanotte … - gli sussurrò il biondo, soffiandogli sulle labbra, mentre lui, istintivamente, le protendeva ulteriormente verso di lui.
Pensò stesse scherzando, ma quando il giovane boss chiuse la luce, Kyoya si trovò a fissare il buio. Incredulo, lo scrutò di sottecchi. Non poteva crederci!
- Non provi nemmeno a saltarmi addosso? – gli chiese con tono di voce atono. Tono che cozzava spaventosamente con quell’uscita, tanto che Dino riaprì gli occhi e lo fissò perplesso.
- Tutto bene? – gli chiese, ricevendo in risposta il solito grugnito.
Poteva resistere, poteva farcela. Quando mai lui, Hibari Kyoya, non aveva resistito agli istinti umani semplicemente ignorandoli? Mai. Appunto! Sì, certo: peccato che l’arrivo di Dino nella sua vita gli avesse scartavetrato ogni suo modo d’essere.
Sospirando impercettibilmente, voltò la testa verso il suo compagno, a fissargli la schiena. Quanto maledettamente sexy era? Tanto.
“Troppo!” lo corresse il suo autocontrollo. Sembrava nato apposta per tentarlo.
Ulteriore sospiro, solo stavolta più rumoroso, prima di avvicinarsi furtivamente al suo compagno.
Quasi fosse stato un gatto in calore, iniziò a strusciarsi su di lui, mentre una mano raminga iniziò a pellegrinare sul corpo del biondo, sapendo perfettamente quale fosse la meta.
- Kyoy … - fece tempo solo a dire Dino, prima che la mano dell’altro centrasse l’obiettivo.
Dino si trovò a deglutire quando sentì le dita del suo innamorato scivolare suadentemente dentro i boxer.
- Kyoya? – lo interrogò nuovamente, bisbigliando appena il suo nome. Incredulo.
E Kyoya si limitò a rispondergli passandogli la punta della lingua lungo il profilo dell’orecchio.
Nuovamente, il biondo si ritrovò a deglutire il vuoto. Cosa stava succedendo? Si stava chiedendo sbigottito, mentre sentiva il corpo del Disciplinare spalmarsi sempre più contro il suo, mentre questo aveva spostato l’attenzione della sua lingua al collo, con la mano raminga che avvolgeva il suo membro e ne seguiva i movimenti.
“Chi se ne frega!” si rispose “Va bene così.”
- Captato il messaggio? – gli sussurrò Kyoya, con una voce che non gli aveva mai sentito prima ma che Dino sapeva poter esser in grado di modulare, mentre gli spingeva contro la sua eccitazione.
- Forte e chiaro! – fu la replica, sentendo l’erezione del compagno pulsargli addosso.
Piegando le labbra nel suo sorrisetto sghembo, Dino si voltò verso l’altro, ma si trovò spinto a forza sul materasso, mentre Kyoya gli saliva a cavalcioni, togliendosi la maglia. Dino rimase senza fiato, mentre cercava nuovamente di mettersi seduto a sua volta, ma l’altro glielo impedì di nuovo, imprigionandogli i polsi sopra la testa, non distendendosi tuttavia completamente sopra di lui, ma lasciando che i corpi si sfiorassero appena, tentando di sfuggirgli anche con le labbra, da quel bacio che il biondo stava pretendendo con sempre maggior forza. Si fissarono negli occhi, scambiandosi uno sguardo carico di complicità come mai prima di allora e come sarebbe stato sempre di più nella loro vita insieme.
- Kyoya, che cosa è successo? – chiese piacevolmente sorpreso, in un bisbiglio.
- Non te lo chiedere … - fu la replica mormorata, mentre si abbassava verso il suo volto, liberandogli i polsi e tuffando le dita tra quei fili dorati, scivolando sotto di lui.
Assaporando l’uno le labbra dell’altro, si sfiorarono appena in piccoli baci. Piccoli, dolci … Dino ne era letteralmente deliziato, perché lui, manco a dirlo, era un coccolone di natura, e gli mancava non poteva riempire di coccole l’altro. Sorrise di fronte all’inconsueta mansuetudine dell’altro alle sue tenere carezze. Gli strofinò la punta del naso sulla guancia, prima di abbracciarlo e stringerlo forte a sé e sentire come il cuore di entrambi galoppasse all’impazzata. E come qualcosa di ancora più pressante e urgente pulsasse con cattiveria in entrambi.  E prima ancora di fare alcunchè, fu Hibari a parlare.
- Cavallone? –
- Sì? -
- Fai il cattivo? – gli sussurrò impunemente Kyoya, sciogliendo appena l’abbraccio e sollevando gli occhi grigi su di lui. Il tono quasi pudico con il quale l’aveva detto fu in grado di mandare ulteriormente su di giri Dino che, sopra di lui, si scostò maggiormente per poterlo guardare, mentre si trovava a deglutire a vuoto.
- V-vuoi che faccia il cattivo? – chiese, incespicando sulle sue stesse parole. Addirittura si poteva dire in imbarazzo, come neanche la loro prima volta era stato.
- Hum-hum … - fu la replica, mentre gli passava le mani sulla nuca per attirarlo nuovamente a sé e legarsi in un bacio preludio del Paradiso nel quale si sarebbero gettati a vicenda.
 
 
Tsuna osservava Enma dormire tranquillamente. Più che osservare, sarebbe stato più corretto dire che si trovava in muta e perpetua adorazione.
Quando poco prima era passato Dino a sincerarsi sulle condizioni del Boss Simon, questi già dormiva placidamente. Tsuna, dopo aver salutato il biondo e auguratogli la buonanotte, rabbrividendo si era rituffato dentro il rincuorante tepore delle coperte. E delle braccia di Enma. Quest’ultimo aveva mugugnato qualcosa di non meglio decifrato nel sonno e lui aveva sorriso teneramente. Così come si era trovato a sorridere dal profondo del cuore quando era stato lui a risvegliarsi e trovare Enma seduto ai piedi del letto, ad attenderlo dopo avergli procurato la cena. Era una cosa a dir poco sensazionale come quel ragazzo fosse in grado di farlo stare divinamente.
Seduti sul letto, con la stessa coperta gettata sulle spalle, ridendo, avevano consumato insieme quel frugale pasto. Ma come se fosse stato la cena preparata per un re.
Più volte si erano ritrovati a fissarsi frenando il flusso di parole per scoppiare a ridere silenziosamente per non arrecare disturbo ai vicini di stanze.
- Va tutto bene? – si era ritrovato a chiedergli più di qualche volta, quando notava lo sguardo di Enma perdersi, ed ogni volta questo gli faceva un accenno con la testa ad indicare che, sì: andava tutto bene. E allora Tsuna lo fissava dubbioso, non potendo sapere della conversazione avvenuta poco prima con Hayato e l’unica cosa che poteva fare era prendergli la mano e stringerla alla sua. A comunicargli ciò che parola umana non poteva trasmettere.
Fu quando si ritrovarono a dormire anche per quella notte sullo stesso letto, che Enma si decise a parlare. Nell’oscurità della stanza, Enma ruppe il silenzio, mentre le dita di Tsuna percorrevano i muscoli della sua schiena, appurando come nonostante il suo compagno fosse uno smilzo di natura, gli allenamenti del club di Atletica avevano dato i loro frutti. Sotto la punta della sue dita infatti, Tsuna poteva perfettamente sentire la tonicità della muscolatura di Enma e si ritrovò a seguirne il contorno affascinato. Fu strappato a forza da quel mondo incantato quando il suo compagno lo richiamò.
- Tsuna? –
- Sì? – aveva risposto lui, bloccando le dita a mezz’aria. Attendendo. Ascoltando il sospiro di Enma prima che riprendesse a parlare.
- Ti capita mai di fare dei sogni, che non sono propriamente dei sogni ma … - nonostante sapesse che quello che stava per dire all’altro non sarebbe apparso come un’assurdità, si faceva ancora qualche remora. D’altra parte, per lui aver il sangue del suo antenato dentro di sé prepotentemente risvegliato, era una cosa ancora nuova.
- Ma?  - lo aveva incitato Tsuna.
- Ma ricordi di Giotto? – aveva rivelato alla fine, affondando la testa sull’incavo del collo dell’altro.
- Sì … - era stata la replica. Replica che aveva fatto sollevare lo sguardo di Enma verso gli occhi castani di Tsuna. A quella rivelazione si era sentito incredibilmente sollevato. Ok, non stava impazzendo del tutto, aveva pensato con un sospiro di sollievo. E il fatto che l’altro stesse sorridendo stava a significare che era una cosa che gli capitava spesso, e da molto.
- Anche questa notte mi è capitato. – aveva rivelato Tsuna, ed Enma si era fatto attento, sollevandosi in appoggio sul gomito per poter ascoltar attentamente. Peccato che il Juudaime aveva preteso che lui si rimettesse nella posizione di poc’anzi, in maniera tale da poter continuare a stare abbracciati, distesi uno di fronte all’altro.
- Quello di questa notte è un ricordo che non avevo mai visto prima … - aveva iniziato a raccontare, ricercando nei meandri della memoria di ricreare il ricordo – Il Primo era con Alaude e … qualcosa in merito a … a un posto dove G. e Cozzato erano andati insieme … -
Si era interrotto, Tsuna, quando aveva visto Enma sgranare gli occhi. Stavano rivivendo, da punti di vista differenti, lo stesso ricordo. E poi l’aveva visto ridere e allora lui aveva piegato la testa di lato perplesso, ad interrogarlo con lo sguardo.
- Sei consapevole vero del fatto che se anche Hibari ha questo genere di ricordi nei sogni, tu ed io siamo morti? –
E Tsuna non aveva potuto far altro che scoppiare a ridere a sua volta.
 
 
...
Con l’acutezza dei sensi che era propria ad entrambi, G. e Cozzato si erano bloccati di colpo nel medesimo istante, mettendosi ai lati dei due piccoli aceri. Si erano fissati negli occhi, tirandosi su i cappucci dei loro pastrani per mimetizzare in parte i loro capelli rossi che brillavano incautamente come stendardi infuocati sotto il riflesso spettrale della luna.
I passi si avvicinavano sempre più. Certo, erano passi felpati, di chi voleva mantenere il riserbo, ma loro due – penetrati a forza nella rocca disabitata doveva sapevano ci sarebbe stato un raduno di personaggi che insospettivano e allarmavano Cozzato da un po’ – avevano i sensi allertati.  Erano andati lì in avanscoperta, per scoprire cosa stessero  ordendo e non era loro intenzione attaccare, anzi: non volevano in alcun modo far palesare la loro presenza. Volevano solo sincerarsi se i sospetti del Boss Simon fossero fondati o meno.  Quello che dovevano sentire, l’avevano sentito ed ora stavano cercando altri indizi, altre prove, prima di andarsene. Ovvio era che non si sarebbero tirati indietro di fronte ad uno scontro diretto, anche perché palesare la loro presenza lì avrebbe di sicuro mandato a monte i loro piani di segretezza e quindi di poter agir in contromisura.
G. strinse i flettenti del suo arco, quell’arco che era stato dono di Giotto perché quest’ultimo aveva intuito che quella era la sua arma letale naturale. E poi di nuovo lo sguardo a Cozzato, mentre questi andava in Hyper Mode. Cozzato non era uno che amava lo scontro. Preferiva parlare, mediare e con la scaltrezza e la sagacia che gli erano proprie, vi riusciva sempre egregiamente. Come Giotto d’altra parte. In questo erano uguali.
I passi si avvicinavano sempre più e loro erano pronti ad attaccare. Si fissarono di nuovo negli occhi, a comunicare. I loro muscoli si tesero come corde di violino, pronti a scattare. E poi … E poi nel silenzio della notte, nonostante il cupo ululare del vento, G. lo sentì.
“ Il chiama-angeli di Giotto …” si ritrovò a pensare il Guardiano sbalordito, sentendo il tintinnio che ben conosceva, perché quella collana gliel’aveva regalata proprio lui. E solo lui poteva sapere che Giotto non se ne separava mai. Che la teneva sempre addosso.
- Fermo Cozzato, fermo! – gridò verso l’amico, sollevando una mano a fermarlo. E, con il fiato ansante, si ritrovarono proprio Giotto di fronte.
Giotto che li fissò con sguardo severo.
 ...
 

Appena usciti da Residenza Vongola, Giotto e Alaude iniziarono a correre veloci e leggiadri. Sembrava volassero. Il vento gelido sferzava i loro volti e più volte fece cadere all’indietro il cappuccio dei loro pastrani. Sotto la luce argentea della luna, i loro capelli biondi illuminavano l’assurda oscurità della notte. (Sì, adoro i biondi lo sanno anche i muri, ma ultimamente mi ha preso una fissa assurda per i rossi, quindi non potevo non omaggiare entrambi in un parallelismo. NdC)
Mille pensieri arrovellavano la mente del Primo Boss Vongola, mentre seguiva Alaude davanti a sé. Era certo solo di una cosa. Se Cozzato e G. aveva agito senza di lui, voleva significare solo ed unicamente una cosa. Che lo stavano proteggendo. Era assurdo come quei due, silenziosamente, erigessero un muro protettivo intorno a lui. E non lo facevano perché pensavano che non fosse in grado di proteggersi da solo, ma molto semplicemente perché volevano fungere da filtro. Da parafulmini. Rendere meno gravoso e pressante il suo compito. Il suo ruolo.
In quei frangenti Giotto ripensò a come lui e G. avessero conosciuto Cozzato. A come si fossero ritrovati con lo stesso desiderio di voler proteggere la loro città e i loro abitanti. E non per un delirio di onnipotenza, ma perché ci credevano. E allora Cozzato, cacciandosi la visiera del cappello davanti agli occhi e le mani dentro le tasche dei pantaloni, aveva detto loro di seguirlo. E li aveva condotti nella Chiesa lì vicino, quella dedicata all’Arcangelo Michele, dove avevano trovato altre persone con il loro stesso desiderio. Con il loro senso di giustizia. Con la stessa necessità di proteggere gli altri. Era stato proprio Cozzato a raccoglierli tutti. Le ore erano volate in mezzo a quelle persone e lui e G. erano stati immediatamente accolti a braccia aperte. Con grandi sorrisi e manate amichevoli giù per la schiena. E alla fine, quand’era arrivato il momento di andarsene, proprio sotto gli occhi della statua dell’angelo guerriero che li fissava severo dall’alto, mentre brandiva la sua spada da una parte e la bilancia della giustizia nell’altra mano, loro tre si erano guardati negli occhi e avevano capito che tutte quei discorsi non sarebbero stati solo delle belle parole. Che avrebbero fatto quello che si erano preposti. E l’angelo guerriero li avrebbe condotti ovunque, poiché si sarebbero impressi la sua effige sul corpo. In una sorta di segno di fratellanza, di alleanza. Di promessa …
E i suoi occhi dorati, sulla via del ritorno dopo aver salutato Cozzato, avevano brillato più del solito.
G., già fido compagno della vita, era stato al solito la voce della sua coscienza.
- G. dobbiamo farlo. – aveva proferito dopo che entrambi erano stati immersi nelle loro meditazioni.
- Giotto, non tutti ti ameranno. A molti darai fastidio. Tanti ti faranno sorrisi amichevoli, mentre in realtà staranno tramando alle tue spalle. Sei disposto a sopportarlo? – gli aveva chiesto. Sapeva G., sapeva quanto il biondo ci tenesse a farsi volere bene dagli altri. Al fatto che si fidasse degli altri, perché sempre portato a sperare che il meglio delle persone venisse fuori. Lui invece, già scorza dura, era in grado di captare il marcio negli altri. Contro quanti muri in faccia si sarebbe dovuto scontrare!
- Sì G., sì. – gli aveva risposto lui, fermo nella sua posizione, voltandosi a fissarlo negli occhi. – Io credo in questa cosa. Ma ti prego: sii al mio fianco. Ancora una volta … - le ultime parole si erano perse in un mormorio, mentre lo penetrava con i suoi occhi dorati e il rosso aveva sorriso lievemente. Con quel piccolo sorriso che lo lasciava sempre senza fiato, perché era per lui come assistere ad un piccolo miracolo.
E G. non avrebbe potuto abbandonarlo neanche se avesse voluto. Sarebbe stato al suo fianco prima di tutto perché in quella cosa ci credeva a sua volta. Secondo perché, come gli avrebbe ricordato anni dopo Cozzato, in caso di necessità l’avrebbe risollevato ogni qualvolta che fosse caduto.
 (Questa ovviamente è una mia personale lettura ed intepretazione di come potrebbero essere andate le cose. Una sorta di missing moments dal momento del secondo ricordo consegnato dai Vindice a quello successivo, quando son passati anni dalla creazione della Vongola’s Family)

 

- Che cosa ci fate qui? – chiese in un bisbiglio incredulo Cozzato, scambiandosi un’occhiata frugale con G., il quale stava cercando di fulminare con lo sguardo Alaude, il quale – manco a dirlo – non se ne stava curando.
 - Che cosa ci fate voi, veramente. – era stata la replica per niente serafica di Giotto, mentre spostava lo sguardo ora all’uno ora all’altro, esigendo una risposta.
E Cozzato si era dovuto arrendere, scoppiando a ridere di cuore. Risata che placcò il Primo, il quale si unì alla risata a sua volta.
Messo al corrente velocemente da parte del Boss Simon dei suoi sospetti, nonché timori, di un possibile attentato al Sindaco della sua città natale – persona alla quale Cozzato era affettivamente molto legato – proprio perché aveva sempre apertamente appoggiato l’operato di Simon e Vongola, Giotto ascoltava attentamente.
- Cozzato, quand’è che la smetterai di pensare che potresti essere un fastidio, un peso per gli altri se chiedi una mano quando ne hai bisogno? – lo aveva ammonito dolcemente, scompigliandogli la zazzera infuocata, sotto lo sguardo divertito dell’arciere. - Soprattutto ad un fratello. –
Perché era così che Giotto si considerava: fratelli.
- Scusami … - era stata la replica del rosso, mentre si accarezzava la nuca imbarazzato ma al contempo divertito, per poi farsi nuovamente serio. – Non volevo darti ulteriori pensieri fino a quando non fossi stato certo che i sospetti che avevo fiutato si fossero rivelati fondati. Scusami.- ripeté dolcemente, guadagnandosi per l’ennesima volta la stima e l’affetto dei suoi due migliori amici.
- A proposito Alaude – aveva iniziato G. – ma tu non dovevi reggerci il gioco? – concluse sardonicamente, incrociando le braccia al petto.
- Hn! Non si può rifiutare una richiesta del Boss. - fu la sua laconica replica che gli fece ottenere un’occhiataccia di biasimo da parte di G. e Giotto e una risatina soffocata da parte di Cozzato.
La tensione era stata stemperata. Ma solo per un attimo, poiché l’attenzione dei quattro fu catturata da rumore di passi che si avvicinavano.
- Chi va là? – udirono. E sarebbe stato del tutto inutile nascondersi o fuggire. D’altra parte non era nell’indole di nessuno dei quattro. Quando un ostacolo si presentava, loro lo affrontavano. Di qualsiasi natura fosse. A testa alta. Come in quel momento. Quasi si fossero dati un silenzioso comando, all’unisono si tirarono indietro i cappucci, scoprendo i loro volti. E le loro identità.
...
 
 
 
 
IL MATTINO DOPO
 

Hayato aveva passato la notte in una sorta di dormiveglia a dir poco esasperante, ma per tutto il tempo, mentre si trovava disteso sul fianco destro, aveva perfettamente percepito che Takeshi, dietro di lui, non l’aveva mollato per un solo istante. Neanche per un attimo non l’aveva tenuto abbracciato, stretto tra le sue braccia. Ma era stato un abbraccio differente rispetto a quello con il quale erano abituati a dormire di solito. Solitamente era lui che, nonostante cercasse sempre di spinger via lo spadaccino per cercare di respirare, affondava in quella stretta, mentre quella notte era stato Takeshi a cercarvi rifugio.
Nell’istante stesso in cui, la sera prima, il loro atto si era consumato e alla fine Takeshi aveva spostato gli occhi verso i suoi, nel loro sguardo non c’era stata la solita complicità. Il solito amore. Lui, ancora incredibilmente confuso e stordito, gli aveva lanciato un’occhiata di rammarico, prima di spingerlo lontano da sé e trovar rifugio in bagno. Aveva visto chiaramente negli occhi nocciola del suo adorato amore lo stesso sbigottimento, ma era così preso e confuso dal suo, che non aveva avuto proprio voglia di affrontare l’argomento. Né che Takeshi l’avesse sollevato nel momento in cui si erano dati il cambio in bagno. Certo era che nel momento in cui l’altro si erano infilato sotto le coperte, al suo fianco, circondandolo con le sue braccia, lui non si era girato verso di lui. Non si era accoccolato sul suo petto come faceva di solito, anzi: a dirla tutta, si era irrigidito a quel contatto. L’avrebbe preso a pugni. Se c’era qualcosa che non andava, bastava che parlasse, no? Era lui lo scorbutico, paranoico, musone, non il suo Takeshi.
- Scusami … - gli aveva mormorato questi tra i capelli, portandogli le mani all’altezza del cuore.
- Non c’è niente di cui tu ti debba scusare. – aveva replicato lui, freddo, concludendo la questione. E sapeva, sapeva Hayato, se la poteva figurare perfettamente davanti agli occhi turchesi l’espressione da cucciolo smarrito che aveva assunto il suo amore in quel momento. D’altra parte era vero. Takeshi non aveva niente di cui scusarsi. Certo, anche in quel preciso instante, nel momento in cui si mise seduto, una fitta gli partì dal fondoschiena, ma era un altro discorso a lasciarlo basito.
- Merda! – imprecò, terribilmente frustrato. Non era lui quello bravo a far parlare le persone. A leggere e capire i loro turbamenti. Come avrebbe potuto? Sapeva solo che lui, di Takeshi, si fidava. Ciecamente.
“ E’ per questo che non mi sarei mai aspettato un comportamento del genere ieri sera. Non è da lui. Ma … ma è come se avesse cercato disperatamente di dirmi qualcosa …” valutò dentro di sé.
Ovviamente Takeshi sentì chiaramente che Hayato non si trovava più tra le sue braccia e si svegliò a sua volta e, immediatamente, una stilettata gli trapassò il cuore al ricordo della sera prima. Si vergognava come un ladro! Si era lasciato trascinare da una stupida gelosia che, ne era più che certo, non aveva motivo di esistere. E a lui che era un limpido, un cristallino di natura, non piaceva lasciare le situazioni in sospeso. Doveva chiarire immediatamente.
- Hayato … - sussurrò, mettendosi seduto a sua volta, posandogli una mano sulla spalla. Delicatamente, perché era semplicemente terrorizzato dall’idea che ora il suo adorato amore potesse schifare il suo tocco. La sera prima, solo alla fine del rapporto si era reso conto che gli aveva sicuramente procurato fastidio nella maniera in cui l’avevano fatto. L’aveva fatto, pensò con rammarico.
Ma Hayato non avrebbe mai potuto schifare i suoi tocchi, i suoi abbracci, le sue carezze, perché gli erano indispensabili più dell’aria che respirava. Quello che gli bruciava era il suo maledetto orgoglio. Stupido orgoglio che, ancora prima di far collegare le sinapsi, gli fece scacciare la mano dell’altro, alzandosi e richiudendosi ancora una volta in bagno, senza girarsi a guardarlo.
Gli dava fastidio non aver capito che il suo idiota del baseball stesse male per qualcosa. Takeshi captava e intuiva sempre tutto, mentre lui invece … Sempre così terrorizzato dall’idea di perdere nuovamente qualcuno a cui teneva, si chiudeva a riccio.
Takeshi, seduto sul letto, sospirò pesantemente, portandosi la testa tra le mani, angosciato. Si sentiva in torto marcio come mai prima di allora e soprattutto Hayato pareva non intenzionato ad ascoltarlo. Ma d’altra parte, dirgli che era geloso di Tsuna … come avrebbe potuto? Si sentiva un emerito schifo anche solo a pensarlo. Tsuna era il suo più caro amico. Con che coraggio aveva anche solo permesso a un sentimento del genere di insinuarsi strisciando dentro di sé?
 
 
Per sua fortuna l’umore risalì non poco quando si trovò giù con gli altri a far colazione.
Avere intorno due come Dino e Ryohei era un vero toccasana per l’animo. In particolar modo quando in questo teatrino era coinvolto anche un non consenziente Hibari. La stoica indifferenza che il Disciplinare cercava di mantenere nei confronti del rumoroso Guardiano, era qualcosa in grado di far scompisciare dalle risate anche senza i continui e ripetuti assalti del boxeur. Vedere come quest’ultimo, sfidando apertamente la morte, continuasse a tormentare imperterrito Kyoya, era un vero spasso. Questo tuttavia non impedì a Takeshi di notare come, incredibile incredibile, quando era Dino a rivolgersi ad Hibari, quest’ultimo ci metteva quell’istante in più a rispondergli per le rime. Addirittura, a guardare bene bene, si sarebbe anche potuto notare un lieve accenno di rossore imporporargli le guance. Tanto che, in più di un’occasione, lui e Tsuna da sopra le loro tazze si erano lanciati occhiate interrogative.
Anche vedere Tsuna ed Enma insieme fu come un balsamo per l’animo dello spadaccino. Quei due erano la dolcezza e la tenerezza incarnata in un rapporto di coppia. Fu contento di vedere che il rosso si era ripreso dalla spaventosa influenza del giorno prima, anche se ancora evidentemente infiacchito. E vedere come il Juudaime, d’istinto, lo precedesse in ogni sua necessità, in ogni suo bisogno, era qualcosa che scaldava indubbiamente il cuore. E fu con lo stesso istinto che anche lui, da sotto il tavolo, cercò la mano di Hayato, seduto comunque al suo fianco. Le sue dita si erano mosse da sole, ma prima di arrivare a quelle del suo adorato amore, si bloccarono. Sgranò gli occhi, irrigidendosi, riportando poi velocemente la mano sopra al tavolo.
Nonostante la minaccia di morte che Hibari lanciò apertamente a Ryohei, con conseguente scoppia di risa da parte di quest’ultimo, Tsuna aveva chiaramente visto il turbamento adombrare il volto solitamente sorridente dell’amico e lo fissò perplesso.
 
Enma uscì dal bagno in entrata e quasi fece un colpo quando lo vide appoggiato alla parete, con le mani cacciate a forza dentro le tasche della giacca, già pronto ad uscire. Era palese che lo stesse attendendo. Non sapendo mai cosa aspettarsi da Gokudera, rallentò per un attimo l’andatura, perdendosi a guardarlo. E la sua attenzione non poté andar oltre nel momento in cui l’altro, sentendolo arrivare, aveva sollevato gli occhi turchesi verso di lui.
Enma emise un piccolo sospiro dentro di sé. Ricordando la sua avventatezza della sera prima, fu normale sentirsi impossessare da una lieve dose di nervosismo. D’altra parte, ciò che gli aveva detto, era qualcosa che sentiva sinceramente dentro di lui.
- O-ohayo … - biascicò, passandogli a fianco, ricamando lo sguardo.
- Ohayo. – gli rispose Hayato, per poi chiamarlo. – Kozato? –
- Sì? – rispose il rosso, fermandosi e deglutendo a fatica nel momento in cui si voltò verso di lui, attendendo. Ma mai, mai, si sarebbe aspettato quanto l’altro gli disse. Con quell’unica parola con la quale se ne uscì.
- Scusami. - mormorò, infatti, Hayato, facendogli sgranare gli occhi, mentre si affrettava a rispondergli incespicando sulle sue stesse parole, senza che l’altro gli permettesse di parlare tuttavia. E il Guardiano continuò a parlare.
- Scusami … è il mio modo di approcciarmi alle persone e nessuno mi hai mai insegnato a farlo diversamente. –
Ad Enma fece una tenerezza incredibile e mosse un passo verso di lui, con l’istinto di abbracciarlo, fermandosi poi, perché aveva notato che l’unico al quale permetteva di toccarlo era Yamamoto. Si limitò ad appoggiargli una mano sulla spalla e stringere leggermente, a comunicargli che andava tutto bene. E a quel gesto, nel momento in cui il tocco avvenne, i due portarono l’uno gli occhi sull’altro. Era un gesto che andava oltre il tempo … Per la prima volta da quando si conoscevano, Hayato gli sorrise. Con uno dei suoi sorrisi lievi, appena accennati, che scaldarono il cuore di Enma.
- Sto imparando adesso che … che delle persone, di certe persone, posso anche fidarmi – continuò il Guardiano – da quando ho conosciuto il Juudaime.-
Enma sorrise. Questi erano i poteri di Tsuna. Anche lui all’inizio quando l’aveva conosciuto, nonostante il rancore accumulato per anni nei confronti dei Vongola dopo la brutale carneficina della sua famiglia, aveva sentito d’istinto di potersi fidare di lui.
- Poi i ricordi di G. che rivivo ultimamente attraverso i sogni, non mi aiutano di certo. Sì, ad essere più … come dire? Più socievole – e qui Enma si permise una piccola risata, seguito a ruota dall’altro – Rivivere la vita di G. e dei ragazzi di Prima Generazione attraverso i suoi ricordi, è veramente sbarellante. E sfiancante. –
- Lo so. – confermò Enma e Hayato si perse nuovamente a guardarlo. Quegli occhi veri, sinceri, limpidi. Diretti. Senza nessuna ombra.
Aveva visto come il suo predecessore si fidasse ciecamente dei suoi compagni, ai quali affidava la vita. E lui? Lui poteva dire altrettanto? Tolti Takeshi e Tsuna, agli altri avrebbe affidato ciecamente la sua vita? Guardò la figura di spalle di Kozato mentre si avvicinava agli altri. Ripensò a come questi lo avessero accolto fin da subito a braccia aperte. Perché Enma, con la sua squisita dolcezza, era uno che si faceva voler bene al tempo di un battito di ciglia. Sorrise, Hayato. Ora sentiva di potersi fidare ciecamente anche di lui …
 
 
Durante tutta la giornata Tsuna aveva notato come Takeshi e Hayato si sforzassero di apparire sereni e tranquilli, in particolar modo il primo. Ma, per lui che li conosceva più delle sue stesse tasche, si percepiva chiaramente che era tutta una forzatura, che erano più le occhiate tese quelle che si lanciavano. Che mai, neppure per una volta, lo spadaccino, con il favore di qualche angolo nascosto, avesse tentato di rubare un bacio al suo adorato.
Nel momento in cui lui ed Enma erano rimasti incatenati a guardare un enorme albero di Natale già pronto nella vetrina di un negozio, con il naso all’insù e lentamente l’uno aveva ricercato la mano dell’altro, facendole intrecciare per un frugale, prezioso, attimo, alle loro spalle Dino aveva rapito questo loro piccolo momento di tenerezza e ne era rimasto deliziato, prima di raggiungerli e prendere sottobraccio il rosso. Era stato allora che Tsuna aveva atteso Takeshi, rimasto a sua volta incantato davanti ad una vetrina piena di decorazioni natalizie.
Quasi avesse paura che gli si potesse leggere negli occhi la sua vergogna, lo spadaccino si morse nervosamente un labbro per poi ricambiare il sorriso del suo migliore amico.
- Tutto bene? – andò diretto al punto il piccoletto.
- Si vede così tanto? – ridacchiò il Guardiano, massaggiandosi la nuca in una specie di autococcola e Tsuna gli sorrise teneramente.
- Cos’è successo? – domandò. Era palese che potesse essere solo uno screzio con Hayato a togliere il sorriso e la serenità dal volto e dell’animo di Takeshi. E, infatti, il volto di Takeshi si rabbuiò.
- Io … io ho fatto qualcosa che non avrei dovuto fare … - mormorò contrito, ripensando alla maniera rude con cui avevano fatto l’amore la sera prima.
Tsuna gli posò una mano sulle sue, strette a pugno.
- E sai che cosa è stato a portarti ad agire così? – gli chiese e lo spadaccino assentì mestamente con il capo, abbassando lo sguardo a terra.
- È perché lo amo da morire e sono semplicemente terrorizzato dall’idea di perderlo. Tsuna, non pensavo si potesse arrivare ad amare una persona così tanto. – confessò con ardore e l’amico gli sorrise nuovamente.
- E allora basterà che tu glielo dica. Che tu gli dica quello che hai appena detto a me. Sono sicuro che Gokudera-kun capirà. – concluse dolcemente e Takeshi sospirò, sperando ardentemente che l’amico avesse ragione.
- Magari Tsuna … - bisbigliò infatti, poco convinto.
- Fidati di lui. Parlagli. Lo sai tu meglio di me, quanto il cuore di Gokudera-kun sia grande. Se se l’è presa così tanto, molto probabilmente è perché si è sentito ferito dalla persona che ama più di ogni altra cosa al mondo, ma non per qualcosa che hai fatto, ma per qualcosa che non gli hai detto perché temi che lui non avrebbe capito. –
Quanto ci ha azzeccato!, si trovò a pensare Takeshi sentendosi già più sollevato.
- Tsuna, gomen … -
- C-cosa? – mormorò sorpreso.
Takeshi glielo doveva. Solo così tutta la questione si sarebbe potuto dir risolta per lui. Non poteva non chiarirsi anche con il suo miglior amico. Non si sarebbe sentito in pace con se stesso.
- Tsuna scusami, perché io ero geloso di te. –
- Eh? – replicò il piccoletto, sempre più interdetto e Takeshi, terribilmente in imbarazzo, sorrise. Perché quando non sapeva cosa dire o fare, Takeshi sorrideva sempre. E quel suo sorriso buono era in grado di spostare le montagne.
- Geloso … di me? – domandò Tsuna sbigottito, certo di non aver afferrato completamente quella confessione.
- Son sempre stato stupidamente convinto che sotto-sotto Hayato fosse innamorato di te. –
- E tu temevi di esser un ripiego? – gli domandò, sorridendogli dolcemente e come l’altro abbassò gli occhi a terra, gli fece capire di essersi avvicinato parecchio alla verità.
- E secondo te Gokudera-kun è uno che apre il suo cuore, il suo animo al primo che passa? -
- No … - gli rispose, certo di quella sua risposta. – No. – ripeté.
- Yamamoto, solo tu conosci cose di Gokudera-kun che neppure lui sa di se stesso. E se tutto questo è possibile, è perché lui ti ama alla follia e non c’è nessun altro nella sua testa. Nei suoi pensieri. Nel suo cuore. –
Takeshi sospirò. Quanto era stato cieco e stupido! Il terrore di perdere il suo adorato amore lo aveva scagliato in una spirale di angosce e cecità, quando l’unica cosa che avrebbe dovuto fare era semplicemente fidarsi della genuinità del loro amore.
- Grazie Tsuna. – mormorò all’amico dopo averlo rapito in uno dei suoi abbracci e Tsuna si trovò a ricambiare quell’abbraccio.
Takeshi sollevò lo sguardo e vide che Enma li stava osservando poco distante sorridendo dolcemente.
- State bene insieme, sai? – gli bisbigliò ancora una volta all’orecchio.
- Eh? – replicò Tsuna, prendendo fuoco. E il suo ritrovato imbarazzo fece scoppiare a ridere di gusto lo spadaccino, che sciolse l’abbraccio.
Sentire la solita risata fresca e cristallina di Takeshi fu un toccasana per il cuore del Juudaime. E non solo …
- Va a parlargli. – lo invitò il piccoletto, vedendo come anche Hayato li stesse osservando da lontano.
E Takeshi eseguì.
 
 
Continua …
 


Clau: Allora, sono in un ritardo che ho le ansie solo a pensarci. Ma davvero, primo: ho sempre ‘sti ragazzuoli che mi girano felicemente ed impunemente per la testa. Secondo, come dicevo all’inizio, sono strapresa con le prove per i due concerti.
Goku: Cioè, spiega un attimo …
Clau: Ebbene sì, suono in un’orchestra. Amatoriale, ma sempre orchestra è. E, a breve, avremo due concerti ^__^
Goku: Ma ti fanno suonare per davvero?
Clau: -____- Ovvio che mi fanno suonare per davvero.
Ryohei: Ma allora saresti anche una persona seria …
Clau: E’ quello che mi ostino a dirvi ogni volta.
Ryohei: AHAHAH!
Clau: Non c’è niente da ridere!
Goku: Vabbè, parlando di cose serie …
Clau: Ero seria ovviamente …
Goku: … vedremo l’aggiornamento prima di Natale?
Clau: MammaSaura; spero proprio di sì^^’
Giotto: Clau, com’è andata al LuccaComics?
Clau: Oh, Giotto*ç*. Ti ho cercato disperatamente per tutto il LuccaComics per poterti saltar ripetutamente addosso, ma non ti ho trovato da nessuna parte. Me tapina ed infelice T_T
Giotto: ^^’ Ehm …
G.: Ohi! Giù le zampe.
Clau: L’unica soluzione che ho, astutamente, pensato è quella di fare il cosp tuo e di Dino e autosalrarmi addosso^__^
Hibari: Hn, un’astutezza proprio.
Goku: Madonna mia … pensa a che livelli viaggia la testa di ‘sta invornita …
Clau: Tonikaku, adesso vi racconto tutto quello che ho visto e fatto al LuccaComics.
Goku: Non gliene frega una pippa a nessuno!
Yama: ^^’ Gokudera, dai: non essere così crudele.
Goku: Tch! Voglio l’aggiornamento del prossimo capitolo in tempi veloci.
Clau: Perché, vuoi far le zozzerie con Takeshi-lovelove*ç*?
Goku: No, perché voglio che questo strazio finisca il prima possibile!
Clau&Yama: -___-
Lambo: Jingle bells jingle bellssssss. KYAKYYYAKKYYYYA Anche il grande Lambo-san suonerà al concerto.
Goku: Ahhhh! Annamo bene, annamo.
Clau: Giotto, me li presti i tuoi vestiti per il cosplay*ç*? Cioè, tipo adesso?
G.: Ma la pianti?!
Clau: Ma G. io voglio che sia tu a spogliarlo *ç*
G.: Ah …
Clau: Oh, perché lo fareste davvero qui davanti a me*ç*?
G.: No, ovviamente.
Clau: Cozzato mi fanno tutti i dispetti T_T consolami.
Cozzato: Che c’entro io adesso^^’?
Clau: Mah, tipo potrei far finire nella mitica 3some anche te^__^
G.: Ma non esiste proprio! Io non voglio più finir nelle tue 3some da deviata quale sei.
Alaude: Pft
G.: Piantala di sghignazzare!
Clau: G., le 3some son cose da deviati.  Con doppia penetrazione poi.
Giotto: Quello è stato Alaude a dirla tutta.
Clau: Sì, che è un grandissimo deviato infatti^O^
Alaude: Hn! E voi due vi siete tirati indietro … niente!
Giotto&G: ^^’
Clau: Tonikaku: Takeshinolovelove, Dino: voi la volete sempre la 3some?
Yama&Dino: Sì^___^
Clau: Bene. Kufufufu
Mukuro: Kufufufu. Qualcuno mi ha chiamato?
Hibari: Hn!
Clau: Dino, Takeshi lovelove potrei finire io in mezzo a voi*ç*?
G.: Ma la vuoi piantare di dire oscenità?!
Clau: Oh, vuol dire che posso fare i RingoBoys con te e Giotto^__^?
Ryohei: I RingoBoys? Che cosa significa?
Goku: Lascia perdere Testa a Prato, è una volgarità. Per favore chiudiamo qui và.
Clau: Cozzato, lo sai che tra un po’ è il tuo compleanno?
G.: Smettila di importunarlo!
Lambo: Jingle bells, Jingle bellsssssss
Clau: Dovrò pur farvi un bel regalo di Natale^___^
Goku: Sì, perdere la memoria per esempio e dimenticarti di noi. Ciao a tutti, alla prossima.
Lambo: Jingle bellsssss!!!
Ryohei: Cosa vuol dire “fare i RingoBoys”?


 
   
 
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