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Autore: ladyflowers    30/10/2008    4 recensioni
Viveva in una famiglia bigotta, opprimente e dalla mentalità tristemente chiusa. Ma lui era diverso... lui era un artista.
Fuga, creazione e gloria. Seguitelo nel mondo che lui stesso avrebbe plasmato.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akatsuki, Deidara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Benvenuti. La storia è tutta incentrata sul seguente aneddoto riguardante il dandy e una delle persone più geniali ed estrose mai esistite: Oscar Wilde.

Questi era alla dogana per entrare negli Stati Uniti e alla domanda:
"Anything to declare?"

Egli rispose:
"Nothing but my genius."

Nulla eccetto il mio genio.


Disclaimer:
i personaggi ovviamente non sono miei, non mi appartengono, non ci guadagno nulla se non la soddisfazione di scrivere. Tra l'altro le parentele potrebbero variare. Anzi, variano.


I






Londra 1856.


Tanto tempo fa, da una galassia lontana, distante anni luce dalla nostra piccola Terra, provenne un'astronave che ondeggiò nel cielo fino a non lasciare presso la porta di casa, in un lampo di luce, un fagottino contenente un neonato che venne accolto dalla famiglia che se lo era trovato alla porta il cui cognome, nelle mani di quel piccolo, sarebbe diventato davvero famoso.
Assieme a lui, tra i lembi del tessuto che lo proteggevano, vi era una bellissima pietra simile ad uno smeraldo, solo mille volte più luminosa.

Qualche anno dopo.

Nella classe affollata di bambini, ciascuno con il suo grembiule rigido, il fiocco vistoso e con le mani rigorosamente lungo i fianchi, il maestro chiese con un certo orgoglio.
“Ditemi bambini, cosa vorreste fare da grandi?”
Domanda davvero scontata. Banale. Che noia.
Ligi al loro dovere e ai sogni dei propri genitori borghesi di vederli sistemati ciascuno rispose in modo altrettanto convenzionale:
“L'avvocato.”
“Il banchiere.”
“Il dottore.”
Finché non fu il turno del ragazzino più strano con cui il venerabile maestro, in tutti i suoi anni di onoratissima carriera, aveva avuto a che fare: un tale Oscar Wilde, un tipo che sicuramente, con quell'aria di tronfia superiorità e aperta ostilità al decoro nonché alle regole, non sarebbe andato molto lontano.
Tale Oscar Wilde con un bel sorriso escalmò:
“Io voglio diventare un idolo pop!”


Ai giorni nostri...


C'era una volta un ragazzino molto solo che viveva in una famiglia ottusa e complicata, una di quelle famiglie che sopprimevano ogni libertà, ogni volontà di esprimersi.

Potrete quindi capire, cari lettori, in che razza di brutto mondo si trovasse il nostro povero protagonista.
Ma a lui in fondo non importava. Si, perché sapeva di essere infinitamente superiore a quell'accozzaglia di gente bigotta, lui era... un artista.
Artista perché vedeva il mondo a modo suo e artista perché si esprimeva completamente a modo suo. Immaginate quanto stare tra quattro pareti, così noiosamente piene di gente talmente lontana dalle sue idee e dalle sue concezioni, fosse assolutamente soffocante.


Il mondo è un sogno?

Me lo chiedo spesso ma altrettanto spesso non so trovare una risposta. So perfettamente che restare in questa casa mi chiude, mi opprime... perché qui sono sprecato.
Non ho intenzione di passare la mia vita ad assecondare i voleri degli altri che mi vorrebbero diverso, meno appariscente, meno convinto delle mie idee.
Che vadano a farsi fottere. Io sono così e così intendo restare.
Guardai la sveglia girandomi sul cuscino appallottolato.
Le otto e quarantasette. Squisitamente in ritardo.
<< Deidara! Ma ti vuoi alzare?! >>
Mia madre. Ah... che donnetta noiosa e senza spina dorsale... ogni volta che mi vede abbassa gli occhi perché si vergogna di aver cresciuto un figlio come me: effeminato, eccentrico e, secondo la sua modesta opinione, squilibrato mentalmente.
Perché secondo lei sono omosessuale: ovvio, lei fa due più due. Mi scambia per una donna quando mi vede entrare in casa, ho personali gusti estetici, dunque a rigor di logica io dovrei essere un omosessuale.
Mah... la verità è che non lo so nemmeno io.
Penso di essere piuttosto confuso in questo periodo perché al momento l'unica persona a cui penso è me stesso. E se fossi omosessuale? Dové il problema?
Ah... certo. Io sono il problema, in ogni caso.
E avere un figlio ricchione in casa è una vergogna per tutto il vicinato, un'ignominia per la quale nemmeno le tendine di pizzo della finestra basterebbero per nascondersi e continuare a spiare gli altri.
Sbuffando sollevai le coperte e mi guardai allo specchio, passandomi distrattamente una mano tra i capelli scompigliati che si ammassavano per arrivare fino alle orecchie.
Ed era già un gran bel traguardo rispetto a quando mi costringevano a tagliarli corti due centimetri.
Dovrei farmeli crescere ancora.
Scesi le scale, non trattenendo una smorfia nel vedere il perfetto salottino arredato con tanto gusto da mia madre: come potrebbe mai rinunciare alla sua collezione di teiere di porcellana che poggiano su altrettanti graziosi centrini candidi come la neve?
Una cosa era certa: se mai avessi ereditato quella casa non avrei esitato a darle fuoco, pareti e inutili cianfrusaglie dal dubbio gusto estetico comprese.
Entrai in cucina e fui sottoposto ad un'altra delle acide occhiate di mia madre che, con in mano un mestolo e saggiamente riparata da un grembiule amorevole, era intenta ad elaborare qualche strana pietanza nel vago tentativo di impressionare gli ospiti che la sera ci avrebbero raggiunti a casa.
Per intenderci: lei viveva per i surgelati. La casa intera era un surgelato.
Non perché lavorasse e non avesse mai tempo di cucinare, semplicemente non ne aveva voglia.
Ma se ci sono gli ospiti è diverso: bisogna fare una bella figura, sempre, e mostrare di essere una donna attenta a ogni singolo angolo della casa.
Che persona davvero coerente, mi meraviglia.
<< Deidara perché non ti prendi un pigiama come fanno tutti? >>
Mi guardai qualche istante la canotta nera e i boxer poi alzai lo sguardo verso di lei chiedendole con apparente aria stupita: << Perché? >>
Lei emise un sospiro spazientito per poi puntarmi minacciosa il mestolo contro, che era stato imbevuto in una strana crema dal colore vagamente verdognolo:
<< Se non ti affretti a comportarti da bravo ragazzo... - rimase qualche istante in silenzio infine ammise rassegnata – ah se solo tu fossi come tua sorella. Lei è gentile, a modo, veste sempre in maniera impeccabile... non come te che... non so, non so davvero dove andrai a finire. >>
Certo, il figlio immorale che andrà in mezzo ad una strada. Chissà perché ma non mi sembra una storia nuova...
Mi sedetti su di uno sgabello del bancone della cucina facendo ondeggiare il latte nella tazza senza pensare a nulla di particolare.
Osservai qualche istante mia madre armeggiare con quella mistica crema verde vomito finché lei non si girò sbuffando e mi disse:
<< La scuola inizia alle nove. Tua sorella è già uscita da un pezzo... o intendi forse marinare per andartene in giro con quei tuoi amici così... così... >>
Non le uscirono le parole di bocca. Accidenti dovevano fare un effetto proprio terribile le persone con cui uscivo io, neanche frequentassi l'Anticristo personificato.
<< Così come? >> La incalzai io con un sorrisetto sarcastico sulla bocca.
Mi lanciò un'occhiataccia: << Oh! Sei impossibile Deidara! E vedi di andare da un parrucchiere e farti tagliare quei capelli, non voglio che sembri una donna!>>
Con noncuranza mi toccai le punte bionde, guardandomele qualche istante, per poi rispondere:
<< Tu credi? Stavo giusto pensando di farmeli crescere un altro po'... >>
Dovevo davvero aver toccato una corda dolente. Ecco la madre versione cerca – e – distruggi: mi squadrò qualche istante disgustata poi tornò a puntarmi contro il mestolo il cui contenuto, nella rabbia delle parole che avrebbe ruggito, si sarebbe ignobilmente sparso sul tavolo lindo come una tavola operatoria.
<< Tua sorella Ino è mille volte meglio di te! Dovresti prendere esempio da lei qualche volta e smetterla di comportarti in questo modo talmente... - alzai un sopracciglio guardandola scettico –  diverso! >>
L'aveva detto! Io ero diverso. Mia sorella, l'impeccabile, perfetta, aggraziata Ino era conforme a quanto la società si sarebbe aspettato da una ragazza.
Ero io, solo io, il pesce fuor d'acqua, che non si sarebbe mai adattato al mondo.
Ma nessuno aveva ancora capito che in realtà era il mondo a doversi adattare a me.


Arrivai elegantemente in ritardo a scuola.

Stare chiuso fuori per due ore prima di entrare in occasione dell'intervallo era un compromesso più che degno perché avevo il tempo per sedermi su uno dei muretti vicini e disegnare.
Disegnavo qualsiasi cosa mi capitasse a tiro ma non per riprodurla uguale identica, era davvero troppo scontato, bensì per stravolgerla, per sconvolgerne le forme e le apparenze.
Ne reinterpretavo i colori, le sensazioni che mi dava guardare quel paesaggio, quell'oggetto o quella persona. E usciva fuori qualcosa di assolutamente inaspettato.
L'esperienza mi ha insegnato che persino un palo della luce può diventare un soggetto interessante. E quel giorno la mia vittima era una lattina, schiacciata, ritorta e abbandonata lungo il ciglio della strada. Era stata usata e gettata via senza troppi problemi.
Io non volevo essere quella lattina: non volevo essere sfruttato dagli altri per poi venire abbandonato.
Non nascondo però che avrei voluto essere io a contorcere gli altri per poi gettarli via quando non ne avessi più avuto bisogno. Un potere straordinario.
Ma improvvisamente suonò la campanella che segnò l'intervallo, il momento scolastico più agognato da orde di studenti e, perché no, anche di professori.
Sbuffai e riposi quaderno e matita ma, poco prima di andarmene, mi girai raccogliendo la lattina per gettarla nel cestino poco vicino. Mi sentivo meglio: avevo usato io quella lattina per l'ultima volta.
Il custode venne ad aprirmi presso il cancello, scuotendo la testa quando mi fece entrare. Ormai ci conoscevamo da un po'... credo si fosse abituato ai miei perenni ritardi.
Il grande cortile d'entrata si era già gremito di frotte di studenti e studentesse che, con la divisa pulita ed ordinata, si confondevano tra la massa.
Erano numeri in un archivio, nient'altro.
Mi guardai un attimo il colletto della camicia sbottonato... pensa un po', non mi ero nemmeno messo la cravatta. Meno male, altrimenti mi sarei sentito soffocare.
Avanzando scorsi immediatamente Ino con il suo gruppetto di amichette del cuore: Sakura e Tenten. Quanto erano noiose loro e le loro stupide chiacchiere.
Lo so, non sono un fratello maggiore ideale, al contrario, pur avendo solo due anni in più di Ino agli occhi degli altri sembrava che fosse lei la donna di casa e io... beh, io ero solo un ragazzino sessualmente confuso. Ma degli occhi degli altri non me ne è mai importato granché, a dire il vero.
Fu quindi con un certo sprezzante divertimento che mi diressi verso di lei.
Sapevo che detestava farsi vedere con me, anche lei vittima dei preconcetti di nostra madre, soprattutto se davanti alle care amiche.
Quando mi vide arrivare la scorsi sgranare gli occhi per la sorpresa e smise di parlare, rimanendo paralizzata, persino i lunghi capelli biondi sembravano come sospesi nel tempo. Le altre due per qualche istante non capirono il perché della sua strana reazione quando improvvisamente si voltarono e mi videro.
Tenten mi fissò qualche istante, per poi alzare gli occhi al cielo, mentre Sakura sbuffò senza troppi complimenti.
Ma fra tutte la più pronta fu Ino, dal momento che aveva passato i deliziosi sedici anni della sua vita in mia compagnia: << Che cosa vuoi? >>
Diretta. Bene, io sarei stato più diretto.
<< Dopo scuola devi filare dritta a casa: mamma vuole che tu l'aiuti nelle pulizie. >>
Non era vero, c'era la domestica. Ma per Ino era vergognoso parlare davanti alle altre di cose umilianti come pulire casa.
La verità era che avrei potuto essere offensivo, avrei potuto insultarla come e quando mi pareva. Ma non lo facevo mai perché non c'era divertimento, era bello invece colpire l'avversario nei propri punti deboli e poi, a dirla tutta, con Ino non c'era alcuno stimolo... ecco perché era raro che anche solo ci parlassimo.
Oggi era stata un'eccezione, davvero interessante.
La vidi arrossire di botto e contorcere la bocca in una smorfia tristemente poco artistica e per nulla adatta al suo bel faccino pulito.
Fece per aprire la bocca quando distolse improvvisamente gli occhi da me per puntarli alle mie spalle. Mi girai di scatto e feci un leggero sorriso quando vidi chi aveva avuto il potere di frenare l'indignazione di Ino.
<< Sasori. >> dissi semplicemente.
Quest'ultimo mi salutò apparentemente privo di emozione, il volto che sembrava perennemente imperturbabile, come se qualsiasi cosa si fosse riversata addosso a lui lo lasciasse completamente indifferente.
Il giorno in cui lo ritrassi, mentre eravamo nella pausa pranzo sul prato della scuola, disegnai una sfera. Semplice, perfetta, immutabile: una superficie liscia su cui nessuno poteva sostare pena l'esser costretti a scivolare giù. Perché nessuno poteva tentare di prendere Sasori, di dominarlo, di scalfirlo.
Lui era il mio personale alieno.
E io? Non saprei dirlo con esattezza, all'inizio pensavo il suo pittore di corte, sebbene non condividessi con lui molte cose su ciò che intendevamo per arte, ma poi ho scoperto che eravamo semplicemente amici.
Un po' strani come amici in effetti perché non ci parliamo granché, giochiamo sugli sguardi, sui disegni, su di una singola parola.
Per quanti lo pensino... no, non ci sono mai andato a letto.
Forse, chissà, un giorno mi aveva accarezzato l'idea. Ma non mi andava di vederlo nudo e scoperto davanti a me e io a mia volta non volevo essere nudo e scoperto davanti a lui.
Per me Sasori era Sasori, il mio sempai, e nient'altro. Un maestro in tutti i modi in cui potrebbe essere un maestro, anche nella mistica aura di intoccabilità che lo avvolgeva.
<< Deidara oggi pomeriggio c'è la riunione del club di arte. Dovremmo guardare le ultime cose fatte perché fra poco ci sarà il festival della cultura, preparati psicologicamente. >>
<< Uhn... >> borbottai.
Detestavo quelle stupidaggini. Festival della cultura... mah, la cultura, secondo mia personale opinione, è totalmente relativa.
Sasori si allontanò. Io lanciai un'occhiata a mia sorella che era rimasta impietrita a vederlo andarsene.
Tutto sommato Ino lo ammirava, era quasi soggiogata da lui. Ma, accidenti, per amarlo ci voleva ancora un bel po' di strada... avrebbe perso la testa per qualcuno della sua età, ci avrebbe fatto sesso e magari sarebbe pure rimasta incinta...
Sorrisi. Basta, dovevo smetterla di viaggiare con la fantasia... però sarebbe stato divertente vedere la reazione dei miei quando avrebbero scoperto che la loro adorata figlia sedicenne era in dolce attesa.
Casa distrutta, esplosione, furia... fantastico.
Feci un cenno di saluto allontanandomi a mia volta ma non mancai di sentire Sakura borbottare:
<< Ma come fai ad avere un fratello così? Non voglio nemmeno immaginare chi si porti a letto la sera...>>
<< Nessuno. Andiamo ora.>> tagliò corto Ino.
Ghignai. Era interessante il metro con cui gli altri mi valutavano, anche se la mia attività notturna probabilmente non corrispondeva in pieno alle fantasie perverse delle amiche di mia sorella.



Il titolo della fanfiction è tratto da un film a mio parere magnifico: Velvet Goldimine appunto, di Todd Haynes. Interpretato da Jonathan Rhys Meyers, Ewan McGregor e da Christian Bale, un film narrato quasi come se fosse una favola.
La scena con cui comincio è quasi l'inizo del film stesso, il quale mi ha ispirato per scrivere questa storia che spero vi piaccia. Quindi a volte, chi ha visto il film, potrà vedere dei punti di contatto con quest'ultimo anche se la trama sarà piuttosto diversa, se non totalmente.
Altra ispirazione mi è stata data da un particolare avvenimento:
Un giorno passeggiavo per piazza Castello (il centro di Torino - nd da una certa Autrice che ha un pessimo rapporto con la geografia e senso dell'orientamento sotto zero). Davanti a me vedo due ragazzi, forse avranno avuto diciassette anni, che camminano fianco a fianco, quasi appiccicati.
Dovevate vedere come si guardavano: si cercavano con gli occhi, tentavano quasi di respirare l'ossigeno dell'altro. Ma la cosa più triste e bella allo stesso tempo era lo sfiorare delle loro dita.
Quasi istintivamente volevano tenersi per mano, toccarsi, ma dopo un po' che si tenevano stretti per la punta delle dita imbarazzati le rilasciavano.
In particolar modo il ragazzo più alto sembrava totalmente rapito dal suo compagno, lo guardava come si guarderebbe un innamorato.
Era brutto vedere che dopo qualche istante che si tenevano per mano si lasciavano, imbarazzati.
Perché la gente penserebbe male di loro. Perchè la gente è ipocrita e bigotta.
Fossero stati ragazzo e ragazza probabilmente invece avrebbero camminato mano nella mano e questo non è giusto, non è corretto che gli altri giudichino.
Ho scritto yaoi sugli avvertimenti perché, come avrete capito leggendo, il nostro Deidara è una mente davvero libera. E credo che nel suo modo di essere rispecchi, almeno in parte, il vero personaggio del manga.
All'inizio, lo ammetto, Deidara mi lasciava un po' perplessa, non sapevo se mi piacesse o meno ma, ad un più attento esame, ho scoperto che è un personaggio davvero unico!
Non potevo che eleggere lui come protagonista assoluto di questo suo viaggio in un'AU tutta particolare. Spero che lo seguiate in questa sua avventura dove diventerà, un giorno, un artista di successo anche se forse non riuscirà ad allontanarsi dall'ipocrisia che lo circonda.
Buon viaggio!

ps. Di solito scrivo racconti umoristici. Questa è la mia prima fanfiction che, tra le altre cose, ha anche una tematica yaoi. Che storia acida! Perdonate già in anticipo i miei aggiornamenti stratosfericamente lenti... ^_^'''

  
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