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Autore: Lady Vibeke    30/10/2008    7 recensioni
Lui adora l’inchiostro. L’ha usato spesso nella propria vita, in passato, su pagine, pareti, oggetti e persone. Anche sulla propria pelle. Ha scritto se stesso in mille frasi sperdute per il mondo, un pezzo di sé affidato al caso che viaggia e vive sulle labbra di una ragazza cubana conosciuta al mercato, sui jeans di un vecchio rocker senzatetto che gli ha offerto una canzone, sulle mani di suo fratello maggiore Felix, che da tre anni è intrappolato in un limbo tra la vita e la morte in un letto di ospedale.
Lui si chiama Derian, e i suoi ventidue anni sono tutto ciò che ha.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le strade sono grigie e bagnate, intasate dal traffico e dai rumori assordanti dei tuoni. Piove. Piove a catinelle, come se non avesse mai piovuto prima, e tutto quanto sa d’inverno e di nebbia, anche se è soltanto novembre e la bruma notturna deve ancora scendere su Londra.

Chi cammina per strada ha fretta. Si chiude dentro un impermeabile scuro o si rifugia al di sotto di un ombrello. Passa e non vede. O finge di non vedere.

Lui non è come loro.

Occhi spenti, fissi a terra come se ci fosse qualcosa da vedere, dentro al cemento. Labbra pallide, sottili, piegate da un’incrinatura sofferente. Viso scavato, mani ossute, troppo magro per essere così alto.

È vestito di bianco e blu e non porta nessun impermeabile. Solo una giacca di finta pelle e una vecchia sciarpa rossa al collo. Nessun ombrello, nessun cappello ad impedire che i capelli lunghi e neri si inzuppino d’acqua, aderendogli al viso come se fossero inchiostro.

Lui adora l’inchiostro. L’ha usato spesso nella propria vita, in passato, su pagine, pareti, oggetti e persone. Anche sulla propria pelle. Ha scritto se stesso in mille frasi sperdute per il mondo, un pezzo di sé affidato al caso che viaggia e vive sulle labbra di una ragazza cubana conosciuta al mercato, sui jeans di un vecchio rocker senzatetto che gli ha offerto una canzone, sulle mani di suo fratello maggiore Felix, che da tre anni è intrappolato in un limbo tra la vita e la morte in un letto di ospedale.

Lui si chiama Derian, e i suoi ventidue anni sono tutto ciò che ha.

Qualcuno dice che è ricco, perché sei zeri appaiono accanto ad un tre sul suo conto in banca, ma lui quegli zeri nemmeno li guarda. Spende qualche sterlina quando si ricorda che deve mangiare, una certa cifra va alle bollette, alle spese cliniche per le cure di Felix, una manciata di penny alla mendicante di Oxford Street, una banconota da dieci al bambino che si sta congelando accanto all’ingresso di uno Starbucks.

Una volta all’anno, Derian esce di casa e si reca al negozio di musica che c’è a trecento metri dal suo appartamento di Fulham. Entra, e Sarah, la commessa, lo saluta con un sorriso – “Ciao, Derian, bentornato.” – e prova una fitta al cuore nell’incontrare l’azzurro pallido e cupo dei suoi occhi tristi. Per quel che ne sa lei, lui non ha mai sorriso, non è mai stato felice. Non sa perché un ragazzo così bello ed affascinante abbia sempre quell’aspetto tormentato, ma si è sempre chiesta quale tragedia potesse esserci dietro, come si sia procurato quella brutta cicatrice sul collo che la sciarpa non nasconde mai del tutto.

Lui ricambia con un cenno distratto, si guarda intorno, prova qualche accordo sulle chitarre in esposizione, poi compra un CD, sempre lo stesso, paga e non si fa mai dare il resto, infine esce e si incammina verso casa.

Oggi ha fatto lo stesso.

Si tiene il CD stretto al petto, e non si cura né del freddo né della pioggia. Sa di essere pallido e magro, ma ha perso ogni senso di autoconservazione ormai da diverso tempo, e se pensasse che badare di più alla propria salute lo facesse vivere meglio, non farebbe alcuna differenza.

Non esiste meglio o peggio, per lui. Non più. Ormai resta solo l’amaro di un tempo che si trascina in avanti senza mai andare da nessuna parte.

Era diverso, una volta.

Una volta, Derian era felice, ricordava ancora la bellezza di un sorriso, il sapore della vita.

Una volta c’era lei a dare un senso a tutto.

Arriva di fronte al portone di legno massiccio laccato di lucida vernice rossa. Ogni volta che ci passa attraverso, gli sembra di prepararsi ad una strana ascensione verso un altro mondo. Un mondo che una volta è stato sereno, ma che ora non ospita altro che sette stanze vuote e un armadio di ricordi.

Derian entra e chiude a chiave la porta. Vede le pareti color avorio ricoperte di scritte. Sono infinite, grandi e piccole, simboli, parole, frasi e lunghi brani. Ha scritto tredici canzoni, là in mezzo, e forse più tardi, in un angolino libero, ci metterà qualcos’altro. Un altro tocco di nero che tira fuori da sé e riversa sul mondo.

Una pozza di acqua si forma ai suoi piedi mentre si sbarazza dei vestiti bagnati e li abbandona sul pavimento. Ci sarà tempo un’altra volta di sistemarli. Il CD gelosamente custodito fra le mani, si dirige verso quello che un tempo era il salotto. L’unica cosa rimasta in quella stanza è un divano blu notte ed una gigantesca TV a cristalli liquidi con impianto home theatre. Ha venduto tutto l’arredamento che non gli serviva per comprarseli e sa che ne è valsa la pena.

Si inginocchia accanto al lettore CD, scarta il suo acquisto con febbrile devozione, lascia cadere la carta trasparente a terra, sopra ad un mucchio già esistente. Quando apre la custodia, vede l’immagine familiare ritratta anche sulla copertina, l’angelo disperato riverso sulla pietra.

Una volta, recita il titolo.

Una volta, riprende la prima canzone, che ormai sa a memoria, così tanto tempo fa…

Derian fatica a tenere gli occhi aperti, ogni volta che arriva a questo punto. Già sente il dolore che si risveglia, ma non vuole piangere. Pensa che abusare del pianto tolga profondità alle lacrime, e lui ne ha già versante così tante…

Inserisce il CD, preme play. Salta le prime nove canzoni, sulla dieci si ferma.

Lascia che la melodia del flauto si diffonda per tutto l’appartamento, riecheggiando tra le pareti, vuote e piene al tempo stesso, poi allunga una mano verso il televisore, e lo accende. Sa che quello che vedrà gli farà male, ma non può farne a meno.

Da tre anni riguarda la propria vita su un nastro per ricordarsi com’era.

Sullo schermo si accende dapprima una luce bianca quasi accecante, che poi si dissolve lentamente, fino a che appare lei, vestita di bianco, che cerca di impedire al vento di scompigliarle i capelli mentre si lascia lambire i piedi nudi dalle onde che si susseguono sul bagnasciuga. È abbronzata, le braccia e le gambe sono nude, lasciate scoperte dai pantaloncini e dal top, e lei è così bella che quasi non riesce a guardarla. Non ha mai creduto che fosse perfetta, e non lo credeva nemmeno lei, ma mai in vita sua Derian aveva tanto amato una così vivida imperfezione.

La amava, con tutto se stesso, e così come la ama ancora, la amerà sempre.

Nel silenzio di sottofondo, la canzone del CD sussurra la sua poesia.

Si avvicina lentamente allo schermo, gli occhi velati da una liquida patina opaca, e sfiora con le dita il primo piano del suo viso sorridente. Occhi scuri e limpidi, labbra ruvide ma dolci, due piccole fossette nelle guance arrossate dal sole.

E la sua risata, la sua risata bambina che si fonde con il respiro del mare.

“Lexi…” sussurra, appoggiando la fronte alla fronte di lei, la mano che ancora cerca di accarezzarla al di là del vetro freddo, ma lei ora esiste solo lì, in quelle immagini, e il calore della sua pelle e dei suoi baci è andato perso assieme a lei.

Derian ricorda con insopportabile precisione la data di quel filmato. lo ricorda come se fosse appena successo.

Trentasei mesi esatti prima sono stati in vacanza in Costa Azzurra, lui, lei, Felix e la ragazza di Felix, per godersi una settimana del novembre più caldo del secolo. Due coppiette felici come tante altre, un po’ di relax.

Per quel che Derian rammenti, la vacanza più bella della sua vita. L’ultima, anche.

Erano ad una festa su una barca, con musica e balli e risate e tante luci colorate. Una di troppo, forse.

Lei ad un certo punto si era ritirata in un angolo con il suo lettore MP3 e si era messa ad ascoltare la sua musica, quella energica e drammatica che lui non riusciva ad apprezzare.

“Appena torniamo a casa, mi voglio comprare l’album.” gli aveva detto, infilandogli uno dei due auricolari nelle orecchie, e lui aveva ascoltato.

Non conosceva quella lingua, ma era rimasto incantato dalla bellezza della canzone, dai suoi toni malinconici, ma soprattutto dalla carica emotiva della voce sconosciuta della vocalist.

“Sta dicendo che è la morte a fare l’artista.” Gli aveva spiegato lei, poco prima di baciarlo sulle labbra. Lui le aveva sorriso.

Il loro ultimo bacio.

Il loro ultimo sorriso.

Poi l’inferno.

Derian piange abbracciando una memoria e canta con voce spezzata assieme alla canzone. Quella canzone.

Ciò che ricorda, di quella festa, dopo il bacio, sono solo le fiamme ed un’esplosione, e le urla di terrore della gente. Non sa quale dio abbia deciso che alcuni dovessero vivere ed altri no, ma sa per certo che è un dio impietoso e crudele che non conosce la giustizia.

A parte Derian, che ancora porta sul collo il marchio lasciato da quelle fiamme, ci furono sedici sopravvissuti su cinquanta persone presenti. Uno di loro era Dana, la ragazza di Felix, che se la cavò con qualche piccola ustione. Derian, da quel giorno, non l’ha più rivista.

Felix riportò ustioni di terzo grado sulla schiena, ma fu il colpo che prese alla testa che lo fece cadere in un coma da cui non si sarebbe più risvegliato. Vittima o superstite: nessuno è ancora riuscito a decidere. Da allora dorme senza coscienza, e Derian ogni mattina gli recita un nuovo pezzo che ha scritto da qualche parte.

Lexi fu tra quelli che non ce la fecero. Come molti altri, perse i sensi a causa del fumo e le acque placide del Mediterraneo se la portarono via, senza mai più restituirla.

Una volta tornato a casa, Derian non è più riuscito a vivere. Si è lasciato abbandonare dagli amici, si è chiuso in se stesso e nella sua arte dello scrivere, ma la capacità di trarre piacere da questa sua passione l’ha persa per sempre.

Tutto ciò che la morte ha fatto di lui non è un artista, ma uno spettro il cui cuore è bruciato ed annegato assieme a tutti coloro che una volta costituivano la sua vita.

Ogni anno, però, all’anniversario di quel giorno fatale, Derian esce di casa, percorre quei trecento metri fino al negozio di musica, e compra quel CD, perché non ha nessuna tomba su cui piangere Lexi, e forse ancora spera che lei possa tornare a prendere il suo regalo, e dargli almeno un altro bacio, e il tempo per dirle addio.

Ogni giorno Derian si sveglia e sente la sua mancanza, allora prende un indelebile ed osserva i muri della sua casa: non saranno mai abbastanza pieni da dover essere ricominciati daccapo.

Lui non può ricominciare, lo sa, e allora scrive un po’ più piccolo, incastra le parole tra altre parole, incrocia i pensieri, e intanto aspetta. Aspetta che lei venga a leggere, perché capisca che è diventato un artista, e non l’ha fatto perché lei è morta, ma perché, con tutte le sue forze, lui vuole farla rivivere. Nelle sue parole, e in quella canzone.

Come un prigioniero, scrivo una lettera da qui…

Derian si nasconde il viso tra le mani e singhiozza.

Ovunque lei sia, spera che possa sentirlo.

 

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A/N: nessuna nota particolare, se non che questa brevissima storia è frutto di un’ispirazione venuta dal nulla. Ho semplicemente aperto Word e cominciato a scrivere, e questo è quanto ne è conseguito. È la prima Originale che pubblico, quindi spero che sia quantomeno di buona qualità. Spero vorrete commentare, qualunque osservazione è la benvenuta. La canzone citata è Kuolema Tekee Taiteilijan, dei Nightwish, e questa è la copertina del CD, Once.

   
 
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