Premessa: Hey!! Ciao a tutte! Visto che tra un po' devo andare a fare un po' di cinese, voglio fare un ringraziamento generale ^^
E poi volevo rispondere a Tokiotwilighters, dato che la volta scorsa ero un po' assonnata e mi sono dimenticata. Sì, Edward, Emmett e Jasper sono nella stessa stanza ^^ ed in questo capitolo viene detto questo dettaglio.
Beh, cosa dirvi! Vi ringrazio per tutte le recensioni ed il resto, siete sempre così cari *____*
Al prossimo capitolo!
Yuna
La mattina seguente, mi svegliai di buon umore.
Pensai che forse non avevo sognato nulla perchè non pensavo a nulla. Ed', in
effetti, sentivo la mente libera e leggera.
Era forse merito della
chiacchierata di ieri sera? Forse, ma chi lo può dire.
Quella mattina mi
vestii in fretta e andai a fare colazione al bar del campus, visto che avevo
guadagnato tempo. Ero un po' contenta, e camminavo col sorriso sulle labbra.
Se avessi incontrato Emmett, quest'oggi, forse lo avrei trattato bene. Però,
ciò non avvenne.
Forse aveva delle lezioni totalmente diverse dalle mie...
ma cosa me ne importava?
Al contrario, nelle lezioni di oggi, incontrai
spesso Rosalie.
Aveva sempre la solita aria superba e altezzosa. Eravamo due
mondi perfettamente differenti.
La salutai di nuovo, ma lei girò la faccia
con un'espressione che sembrava quasi disgustata.
Okay, o mi odiava. Oppure
non mi riteneva alla sua altezza. Non sapevo cosa pensare, ma alla fine
decretai, che qualsiasi era la sua opinione su di me, non ne avrei tenuto conto.
Non vuoi salutarmi? Bene, farò a meno di te. Ci sono miliardi di persone
sulla Terra, non vedo perchè devo dare conto solo a te.
La settimana passò
più o meno così.
In qualche lezione vidi Alice, in qualche altra Angela, in
altre, vidi il fratello di Emmett, da solo.
Pensai che anche Emmett allora
era del secondo anno, perchè non venne nemmeno più alla lezione di letteratura
inglese del lunedì. Forse aveva fatto come Jasper con Alice, lo aveva solo
accompagnato, visto che era il suo primo giorno.
Intanto, non l'avevo più
sognato da quella prima volta che arrivai qui.
I miei sogni, sia quelli
notturni che quelli pomeridiani – quando avevo l'occasione di dormire il
pomeriggio – erano confusionari. Oltre a me, solitamente, c'era il ragazzo del
parco che mi ripeteva sempre le stesse cose 'devi aprire il tuo cuore a
qualcuno, devi farlo'.
Io annuivo sempre nel sogno, ma finiva troppo presto
per vedere cosa succedeva.
E intanto, la sera lo vedevo sempre.
Anche se
a lui non volevo ammetterlo, mi faceva bene parlargli, dato che aveva centrato
perfettamente il mio carattere, anche senza conoscermi in volto.
Da quella
prima volta che me lo chiese, non ripeté di nuovo la stessa domanda. Non mi
disse di nuovo se volevo vedere il suo volto, e non mi disse mai nemmeno il suo
nome, né mi chiese se volevo saperlo. Mi ascoltò, ed io ascoltai lui, quelle
poche volte che parlava di sé, ed ogni giorno, aspettavo con ansia che venisse
sera per incontrarlo.
Stavo diventando paranoica, per una persona che
nemmeno conoscevo.
Stavo conoscendo solo la sua anima, e mi piaceva
moltissimo.
Ricordo una conversazione, due settimane dopo il nostro primo
incontro.
Pioveva, ma io mi feci trovare lo stesso sotto quel lampione.
Notai, con felicità, che anche lui era lì, nonostante la pioggia.
“C'è stato
brutto tempo, oggi” disse, con tono triste.
“Già. Spero solo che finirà
presto”
“Infatti. Ma la pioggia da atmosfera”
“Hai
ragione.”
“Sono contento che finalmente tu me la dia”
“Beh, non posso
discutere su questo, dato che lo penso anch'io”
“Almeno stai facendo
progressi”
“Penso... Penso proprio di sì. Ma tu?”
“Io... Cosa?” fece, un
po' interdetto.
“Da quando abbiamo iniziato a parlarci... Non mi ha detto
quasi nulla di te...” dissi, un po' timida.
“Dimmi cosa vuoi sapere”
“Io
ti ho parlato della mia 'storia' con Jake... ma tu? Tu sei mai stato...
innamorato... di qualcuna?” Sentii il cuore perdere qualche battito a quella
domanda. Sperai in una risposta non troppo deludente, per me. Non so perchè, ma
stavo iniziando ad essere gelosa di lui.
Un giorno forse avrei ceduto, e mi
sarei fatta vedere. E se fosse lui il mio Romeo?
“No, mai”
“Sicuro?”
“A
meno che non sia un ritardato e non me lo ricordo, sì, sono sicuro”
“Come
mai?” chiesi, forse un po' troppo impertinente.
“Come tu dei trovare il tuo
Romeo, io forse devo trovare la mia Giulietta”
“Forse?”
“Non è detto che
ci riesca... Il mondo è troppo grande”
“Ma come? Parli proprio tu che mi
inciti continuamente a voltare pagina, a cercare di amare di
nuovo...”
“Quello che io ti dico, è anche come vorrei che io fosse. Ma non è
detto che lo sia per tutti”
“Se lo dici vuol dire che ci credi. Quindi cerca
di pensarci anche tu”
Quella conversazione, in quella sera di fine ottobre,
mi lasciò stranita. Era incredibile quanto un ragazzo continui a darti forza,
mentre per sé non ne ha nemmeno un briciolo.
Per un attimo sperai di poter
essere io la sua Giulietta, anche se era una cosa strana.
Era strano provare
attrazione per qualcuno di cui sentivo solo la voce. Però, in fondo, lui si
apriva, ed anche io. Il fatto di stare al buio aveva quasi messo a nudo le
nostre anime. Ci aveva scoperti per quelli che siamo. Due persone in cerca di
qualcosa che ci faccia sentire di nuovo vivi. Di qualcosa che si chiama amore.
Forse, pensai, il fatto di riuscire a parlare così bene con una persona,
poteva anche essere un'affinità. Forse, ma non potevo saperlo.
Lui provava
lo stesso per me? Non credo che l'avrebbe mai esternato, a meno che non fosse
stato qualcosa da vivere nel buio. Forse avrebbe avuto il coraggio solo se io
non l'avessi mai visto in faccia.
Dopo quella giornata, parlai ad Angela di
tutte le mie preoccupazioni, e di quanto fossi attratta da questa persona, anche
se non ne sapevo il nome.
“Penso che... Dopo tutto... Lui ti
piaccia”
“Già” dissi, sbuffando “e forse anche troppo”
“Penso anche... Che
se ti piace... Tu debba diglielo... O al limite evitare di vederlo per farti
passare questa cotta”
“Forse sarebbe meglio dirglielo” dissi, e sentii una
fitta al cuore. E se mi avesse respinta? Non osavo immaginarlo. Sperai che se
mai mi fossi dichiarata, lui mi avrebbe accettata.
Non m'importava che lui
fosse brutto, o avesse qualche malformazione. La sua anima a mio parere era
meravigliosa, e avevo sete di lei. Mi comprendeva sempre.
“Sì, lo penso
anch'io... Oppure ti direi di aspettare. Può darsi anche che sia una cosa
passeggera...”
“Già...”
Mentre parlavamo, nell'altra stanza sentivo
qualcuno che parlava ad alta voce. Era la voce di un ragazzo. Forse era Jasper,
ma non ne avevo idea.
Feci segno ad Angela, e lei annuì. Ci alzammo dal
letto ed uscimmo in soggiorno. Non era Jasper, chi parlava a voce alta.
In
soggiorno non c'era nessuno, ma la porta era aperta.
“Basta fare baccano,”
disse Alice, che improvvisamente uscii dalla sua stanza, “Rosalie sta
arrivando”
Forse il ragazzo di Rosalie?
Alice si accorse di noi, e ci
disse “Scusatelo. Rose non si decide ad uscire e così scherza lì
fuori...”
“Non fa nulla, Alice, non facevamo nulla di interessante” dissi, e
mi andai a sedere sul divano.
Accesi la tv, per vedere qualcosa, mentre
Angela aiutava Alice a mettere un nastro tra i capelli.
Qualcuno entrò in
soggiorno, ma non ci feci caso finchè non sentii la voce.
“Perchè non
entrate?” disse Alice “potete guardare la televisione, nel frattempo... So che
sta giocando la tua squadra di baseball preferita...”
“Già! Me ne ero
completamente dimenticato!”
Emmett?!
Girai il viso verso la porta, Emmett
era tutto sorridente, con una tuta blu scuro addosso. Appena mi vide, il suo
sorriso si allargò.
“Bella, Angela, lui è Emmett” disse. Sul mio viso
comparve un ghigno.
Alice guardò prima lui, poi me. “Ma... Vi
conoscete?”
“Sì. Ci siamo conosciuti sull'aereo per Hartford...” disse
Emmett.
“A volte le coincidenze della vita...”
“Oh, ma dov'è? Vieni
anche tu, devo presentarti delle persone” disse, a qualcuno che aspettava fuori
la porta. Io mi alzai, pronta ad offrire la mano all'altro amico di Alice.
Quando entrò nel soggiorno, il mio cuore perse un battito. Non capii perchè.
Forse... Perchè stavo per scoprire il suo nome?
Eppure, adesso non
m'interessava più di tanto saperlo. Mi aveva sempre ignorata in tutte le
lezioni. Forse non voleva affatto conoscermi.
“Eccoti, finalmente.” disse
Alice, ed il mio cuore accelerò “Bella, Angela, lui è Edward”
Edward. Allora
questo era il suo nome... Edward.
Mi avvicinai per stringergli la mano, ed
Angela fece lo stesso. Non smetteva di guardarmi che mi fece arrossire di
brutto. Di sicuro si ricordava di me. Mi aveva visto tante volte.
Emmett
rideva. “Che caso, sorellina, sei in camera con la mia migliore amica,” disse,
rivolto a me. Sorellina? Cercai di ricompormi.
“Davvero? Bella non mi avevi
detto di essere la sua migliore amica...”
“Infatti, non è così.” Dissi,
mettendo il muso.
“Siamo come cane e gatto” iniziò Emmett “non sembra
piacerle affatto il mio umorismo,” disse, ridendo a crepapelle.
“Ah, bene,”
fece Alice “davvero una bella cosa... E tu, Edward, già conoscevi Bella?” disse,
rivolta al ragazzo che finalmente aveva un nome. Dopo ben due settimane.
Lui
scrollò le spalle, poi rispose “In un certo senso...”
“In un certo senso?”
chiese Alice.
“E' una lunga storia” disse lui, con tono freddo, fissandomi di
tanto in tanto. Abbassai lo sguardo, e fissai le mie mani.
“E tu, Bella?”
chiese Alice, rivolta a me. Alzai di botto la testa che mi fece male il collo.
“Io...” dissi, cercando le parole adatte, “Beh, lo vedo ogni tanto a qualche
lezione, ma nulla di più” Sì, era vero. Però Alice e gli altri mica sapevano che
mi aveva salvata da un molestatore, proprio due settimane prima... Forse lui non
voleva rendere pubblica quella cosa, perchè vedevo che tentava di essere vago.
“Ma come? Vi vedete quasi sempre e non vi siete mai parlati?”
“No” dissi,
e nello stesso tempo lo disse anche lui. Arrossii fino alla punta dei piedi. Lo
fissai per qualche secondo, e vidi un po' di rosa anche sulle sue guance.
Perchè?
Poi fissai Emmett, e vidi che stava ridendo. Anche Angela ed Alice
ridevano. Forse si erano accorte del nostro imbarazzo e dei nostri giochi di
sguardi? Sperai di no.
La stanza cadde nel silenzio. Perchè nessuno parlava?
“Allora, Rose, ti vuoi muovere?” disse Emmett. Ora capivo tutto.
Rosalie
era la ragazza di Emmett. Emmett era fratello di Alice, ed Edward, a sua volta,
di entrambi. Chiaramente... Che affermazioni stupide.
Allora l'altro
giorno... I rumori che sentii erano di Emmett e Rose... Oh mamma.
Rosalie
uscì dalla stanza con aria superba come al solito, ed i suoi tacchi altissimi
rimbombavano sul linoleum del soggiorno.
Si avvicinò con fare felino ad
Emmett, e lo baciò sulle labbra con passione veemente tanto da far disgusto.
Guardai a terra, per evitare di vedere un'altra coppia felice, che forse avrei
invidiato. Si sentivano anche i rumori... Mamma mia.
Quando rialzai lo
sguardo, vidi Edward che mi fissava con un'espressione interrogativa. Aveva
forse capito perchè avevo abbassato la testa?
“Allora noi andiamo...” iniziò
Emmett “Edward, tu che fai?”
“Penso che aspetterò Jasper nel suo dormitorio”
disse.
“Contento tu... Ci sono queste ragazze così carine, in questa stanza,
e tu pensi ad un uomo... Un uomo dopotutto, fidanzato con tua
sorella...”
Edward non rispose, ma al contrario fece una faccia irata, e
sembrava quasi fosse arrossito di più; Alice si limitò a dire “Emmett!”, e diede
una pacca sulla spalla ad Edward.
I due ragazzi, assieme a Rosalie, uscirono
dalla nostra stanza. Alice chiuse la porta, e ci guardò, con il sorriso sulle
labbra. “Strani i casi della vita, non trovate?”
“Già, non avrei mai pensato
che...” disse Angela.
“Nessuno lo pensa mai. Loro due sono dei bestioni...
Ed io sono così bassina...”
“Dai, però si vede un po' la somiglianza... Con
Emmett... Avete entrambi gli occhi scuri e i capelli scuri...” continuò
Angela.
“Sì, è vero...”
“Edward, invece... E' così diverso...”
“Ha
preso da nostro padre”
“Ah”
Poi guardò l'orologio. Adesso mi aveva fatto
venir voglia di sapere dell'altro. Per ora, però, era già qualcosa che sapessi
il suo nome. In che circostanze strane l'avevo scoperto...
“Devo andare,
ragazze... Resterei ancora un po' ma devo raggiungere Jasper ed
Edward...”
“Non ti preoccupare, dopo usciamo un po' anche noi,” disse Angela
ridendo, mentre Alice si avviava alla porta e con un sorriso se la chiuse alle
spalle.
Io mi andai a sedere sul divano, e feci un po' di zapping, giusto
per ingannare il tempo.
Cercavo di non pensare al fratello di Emmett,
Edward, e perchè mi batteva forte il cuore quando l'avevo rivisto. Non avevo
detto, due settimane fa circa, che non mi interessava più sapere il suo nome?
Non avevo detto che mi piaceva il ragazzo del parco?
Cosa c'era in Edward
che mi attirava, senza accorgermene?
'Pensaci bene, Bella. Cosa?' Fissavo lo
schermo cercando di pensare a qualcosa di concreto, qualcosa che mi facesse
capire il perchè di questa cosa. Poi arrivai al fine.
“La voce... La sua
voce...” dissi, tra me e me, sola davanti alla tv. Ecco. La sua voce. Aveva
qualcosa di conosciuto, qualcosa che avevo già sentito. Anzi, qualcosa che
sentivo tutte le sere. Mi ricordava tanto la voce del ragazzo del parco.
No,
non penso sia lui. Alla fine, non ho mai avuto nemmeno l'opportunità di vedere
la sua figura nell'oscurità, anche se ero molto tentata a farlo. No, non poteva
essere lui.
Nel campus ci sono decine di studenti, pensai. E' impossibile.
Oppure no. Decisi di non pensarci e di guardare un po' di televisione, anche se
quella sera i programmi facevano pena.
Erano le otto e trenta.
Tra poco
meno di un'ora, sarei andata nel parco ad incontrare di nuovo quel ragazzo.
Forse, quello era il momento più bello delle mie giornate universitarie. Parlare
con lui era davvero salutare. Iniziai a pensare che allora mi piaceva davvero.
Dovevo fare qualcosa.
Stare in silenzio, oppure dichiararmi, rischiando di
prendere un due di picche?
Optai per lo stare in silenzio. Almeno per
adesso, finchè non avrei capito davvero ciò che provavo.
Mi appoggiai allo
schienale del divano, e chiusi gli occhi.
Immaginai di stare con lui, di
baciarlo, di toccarlo... Di poter vedere il suo viso... Tutto questo non mi fece
stare più nella pelle. Decisi di uscire prima della solita ora, e mi diressi in
fretta sotto al lampione.
“Io vado” dissi ad Angela, quando erano quasi le
nove, di quella sera di inizio novembre.
Il cielo era nero, con delle
striature rosse, e pensai che tra un po' sarebbe venuto di nuovo a piovere.
Ormai pioveva da quattro giorni senza sosta.
Percorsi il viale che conduceva
al mio edificio, e quello verso la panchina, canticchiando allegramente. Ero
contenta, quella sera. Non solo per aver finalmente scoperto il nome di quel
tipo, ma anche perchè, soprattutto, stavo raggiungendo quello che si potrebbe
definire quasi 'il mio psichiatra'. Risi internamente alla parola.
Vidi
subito la panchina. Era ancora vuota.
Guardai per la terza volta in pochi
minuti l'orologio, e notai che si erano fatte le nove quasi e mezza. 'Vabbè,
stasera sono in anticipo', mi dissi, cercando di stare calma.
Continuai a
muovere ansiosa le gambe, perchè non riuscivo ad essere paziente.
Come le
altre sere, quella stessa voce ruppe il silenzio.
“Vedo che sei in anticipo
anche oggi,” disse.
“Sì, le mie amiche sono uscite, allora ero sola...”
Stupida. Perchè gli hai detto 'ero sola'? Chissà adesso cosa si andrà a pensare.
“Ah, capisco. Beh, anche io sono solo questa sera”
Uhm. Allora non penso
che l'abbia presa con malizia, quell'affermazione.
“Eppure, è una sera
davvero bella per uscire...” dissi, cercando di vedere come avrebbe risposto.
“Bella?” disse, è per un attimo pensai che mi stesse chiamando per nome, con
il tono in cui l'aveva detto. No, si stava solo riferendo al tempo, alla
serata...
“No, infatti... Tutto sommato è passabile” risposi, cercando di
dire qualcosa di concreto.
“Nemmeno. Ci sono dei nuvoloni enormi”
Guardai
in alto. Nonostante gli alberi fitti, riuscii a vedere il cielo ancora più rosso
di pioggia, e dei nuvoloni minacciosi che si muovevano sulle nostre teste.
Restammo in silenzio, e sospirai tante volte. Quella sera era davvero
strana. Che stesse pensando a qualcosa o qualcuno anche lui?
“A cosa pensi?”
gli chiesi.
“A niente...”
“Non si può pensare al niente”
“Dove vuoi
arrivare?”
“Voglio arrivare a conoscere te”
“Allora ti sei decisa a farti
vedere?” Non mi aveva fatto quella domanda dalla seconda sera del nostro
incontro.
“No. Intendevo che vorrei conoscere di più il tuo
carattere”
“Ah” disse, poi sospirò profondamente. “Vuoi davvero sapere a cosa
pensavo?”
“Se vuoi dirmelo, sì”
“Pensavo ad una persona”
Questa mi era
nuova. Forse mi sarei fatta male, ma volevo osargli chiedere se fosse un uomo o
una donna. Provavo una grossa invidia per quella persona... Aveva la possibilità
di stare nella sua testa, di ricevere delle attenzioni. Sì, perchè essere
pensati di qualcuno equivale a ricevere attenzioni anche se materialmente non lo
sai.
“Una ragazza?”
Non rispose. Passarono dei minuti in cui nemmeno io
sapevo cosa dire.
“Può darsi” disse, poi, con tono incerto. Non me lo voleva
far sapere. Restammo di nuovo in silenzio. Poi sentii delle gocce sul viso. No,
non erano lacrime.
Le gocce divennero più fitte, e in pochi secondi
aumentarono. Stava piovendo.
“Questa non ci voleva,” dissi, con un tono
molto più alto.
Improvvisamente, fui tutta inzuppata d'acqua. Poi, non
sentii più nemmeno una goccia bagnarmi i capelli. Alzai lo sguardo, e notai che
lui, a differenza mia, aveva portato un ombrello.
“Grazie,” gli dissi.
“Meglio non prendersi un malanno nel periodo degli esami” mi rispose. “Però
adesso forse è meglio andare”
“Sì, forse è meglio”
“Tieni, prendi
l'ombrello” disse, toccandomi la mano e porgendomi l'ombrello “me lo restituirai
un'altra volta”
“Ma tu?”
“Non fa nulla, ci sono abituato” disse, e sentii
che si alzò dalla panchina.
“Grazie” dissi, arrossendo, anche se nel buio non
si notava.
“A domani...” mi rispose, correndo via.
Era stato davvero
gentile. Ma lui? Mi dispiaceva se avesse preso un malanno per colpa mia.
Tornai in camera in fretta. Le luci erano già tutte spente, e, senza far
rumore, mi svestii e andai sotto le calde coperte. Il freddo si stava facendo
sentire...
Quella notte, dopo due settimane piene, sognai di nuovo il ragazzo
senza nome, Edward.
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