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Autore: Yuna Shinoda    30/10/2008    8 recensioni
Bella va all'Università di Yale con la sua amica Angela.
Durante il viaggio incontra un ragazzo molto petulante, Emmett, e suo fratello, che, anche dopo averla vista più di una volta, non vuole rivelarle il suo nome.
Bella, dopo aver rivisto Emmett, è decisa nello scoprire il nome di suo fratello (che penso tutte immaginate chi sia) XD.
Nel campus, Bella divide la sua stanza con Rosalie ed Alice, che si rivelerà essere la sorella di Emmett, nonchè quella che svelerà il nome del ragazzo.
Bella sembra avere simpatia per lui, anche senza conoscerlo... Ma ha anche simpatia per un ragazzo che incontra la sera al buio e a cui racconta le sue confidenze, e di cui non conosce l'identità.
Che dite, Bella di chi si innamorerà?
E se il ragazzo del parco si rivelasse qualcuno che noi tutti conosciamo?
Sono tutti umani, senza poteri, Si adattava di più U_U
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Emmett/Rosalie
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Premessa: Hey!! Ciao a tutte! Visto che tra un po' devo andare a fare un po' di cinese, voglio fare un ringraziamento generale ^^

E poi volevo rispondere a Tokiotwilighters, dato che la volta scorsa ero un po' assonnata e mi sono dimenticata. Sì, Edward, Emmett e Jasper sono nella stessa stanza ^^ ed in questo capitolo viene detto questo dettaglio.

Beh, cosa dirvi! Vi ringrazio per tutte le recensioni ed il resto, siete sempre così cari *____*

Al prossimo capitolo!

Yuna

 

 

 

 

 

La mattina seguente, mi svegliai di buon umore. Pensai che forse non avevo sognato nulla perchè non pensavo a nulla. Ed', in effetti, sentivo la mente libera e leggera.
Era forse merito della chiacchierata di ieri sera? Forse, ma chi lo può dire.
Quella mattina mi vestii in fretta e andai a fare colazione al bar del campus, visto che avevo guadagnato tempo. Ero un po' contenta, e camminavo col sorriso sulle labbra.
Se avessi incontrato Emmett, quest'oggi, forse lo avrei trattato bene. Però, ciò non avvenne.
Forse aveva delle lezioni totalmente diverse dalle mie... ma cosa me ne importava?
Al contrario, nelle lezioni di oggi, incontrai spesso Rosalie.
Aveva sempre la solita aria superba e altezzosa. Eravamo due mondi perfettamente differenti.
La salutai di nuovo, ma lei girò la faccia con un'espressione che sembrava quasi disgustata.
Okay, o mi odiava. Oppure non mi riteneva alla sua altezza. Non sapevo cosa pensare, ma alla fine decretai, che qualsiasi era la sua opinione su di me, non ne avrei tenuto conto.
Non vuoi salutarmi? Bene, farò a meno di te. Ci sono miliardi di persone sulla Terra, non vedo perchè devo dare conto solo a te.
La settimana passò più o meno così.
In qualche lezione vidi Alice, in qualche altra Angela, in altre, vidi il fratello di Emmett, da solo.
Pensai che anche Emmett allora era del secondo anno, perchè non venne nemmeno più alla lezione di letteratura inglese del lunedì. Forse aveva fatto come Jasper con Alice, lo aveva solo accompagnato, visto che era il suo primo giorno.
Intanto, non l'avevo più sognato da quella prima volta che arrivai qui.
I miei sogni, sia quelli notturni che quelli pomeridiani – quando avevo l'occasione di dormire il pomeriggio – erano confusionari. Oltre a me, solitamente, c'era il ragazzo del parco che mi ripeteva sempre le stesse cose 'devi aprire il tuo cuore a qualcuno, devi farlo'.
Io annuivo sempre nel sogno, ma finiva troppo presto per vedere cosa succedeva.
E intanto, la sera lo vedevo sempre.
Anche se a lui non volevo ammetterlo, mi faceva bene parlargli, dato che aveva centrato perfettamente il mio carattere, anche senza conoscermi in volto.
Da quella prima volta che me lo chiese, non ripeté di nuovo la stessa domanda. Non mi disse di nuovo se volevo vedere il suo volto, e non mi disse mai nemmeno il suo nome, né mi chiese se volevo saperlo. Mi ascoltò, ed io ascoltai lui, quelle poche volte che parlava di sé, ed ogni giorno, aspettavo con ansia che venisse sera per incontrarlo.
Stavo diventando paranoica, per una persona che nemmeno conoscevo.
Stavo conoscendo solo la sua anima, e mi piaceva moltissimo.
Ricordo una conversazione, due settimane dopo il nostro primo incontro.
Pioveva, ma io mi feci trovare lo stesso sotto quel lampione. Notai, con felicità, che anche lui era lì, nonostante la pioggia.
“C'è stato brutto tempo, oggi” disse, con tono triste.
“Già. Spero solo che finirà presto” 
“Infatti. Ma la pioggia da atmosfera”
“Hai ragione.”
“Sono contento che finalmente tu me la dia”
“Beh, non posso discutere su questo, dato che lo penso anch'io”
“Almeno stai facendo progressi”
“Penso... Penso proprio di sì. Ma tu?”
“Io... Cosa?” fece, un po' interdetto.
“Da quando abbiamo iniziato a parlarci... Non mi ha detto quasi nulla di te...” dissi, un po' timida.
“Dimmi cosa vuoi sapere”
“Io ti ho parlato della mia 'storia' con Jake... ma tu? Tu sei mai stato... innamorato... di qualcuna?” Sentii il cuore perdere qualche battito a quella domanda. Sperai in una risposta non troppo deludente, per me. Non so perchè, ma stavo iniziando ad essere gelosa di lui.
Un giorno forse avrei ceduto, e mi sarei fatta vedere. E se fosse lui il mio Romeo?
“No, mai”
“Sicuro?”
“A meno che non sia un ritardato e non me lo ricordo, sì, sono sicuro”
“Come mai?” chiesi, forse un po' troppo impertinente.
“Come tu dei trovare il tuo Romeo, io forse devo trovare la mia Giulietta”
“Forse?”
“Non è detto che ci riesca... Il mondo è troppo grande”
“Ma come? Parli proprio tu che mi inciti continuamente a voltare pagina, a cercare di amare di nuovo...”
“Quello che io ti dico, è anche come vorrei che io fosse. Ma non è detto che lo sia per tutti”
“Se lo dici vuol dire che ci credi. Quindi cerca di pensarci anche tu”
Quella conversazione, in quella sera di fine ottobre, mi lasciò stranita. Era incredibile quanto un ragazzo continui a darti forza, mentre per sé non ne ha nemmeno un briciolo.
Per un attimo sperai di poter essere io la sua Giulietta, anche se era una cosa strana.
Era strano provare attrazione per qualcuno di cui sentivo solo la voce. Però, in fondo, lui si apriva, ed anche io. Il fatto di stare al buio aveva quasi messo a nudo le nostre anime. Ci aveva scoperti per quelli che siamo. Due persone in cerca di qualcosa che ci faccia sentire di nuovo vivi. Di qualcosa che si chiama amore.
Forse, pensai, il fatto di riuscire a parlare così bene con una persona, poteva anche essere un'affinità. Forse, ma non potevo saperlo.
Lui provava lo stesso per me? Non credo che l'avrebbe mai esternato, a meno che non fosse stato qualcosa da vivere nel buio. Forse avrebbe avuto il coraggio solo se io non l'avessi mai visto in faccia.
Dopo quella giornata, parlai ad Angela di tutte le mie preoccupazioni, e di quanto fossi attratta da questa persona, anche se non ne sapevo il nome.
“Penso che... Dopo tutto... Lui ti piaccia”
“Già” dissi, sbuffando “e forse anche troppo”
“Penso anche... Che se ti piace... Tu debba diglielo... O al limite evitare di vederlo per farti passare questa cotta”
“Forse sarebbe meglio dirglielo” dissi, e sentii una fitta al cuore. E se mi avesse respinta? Non osavo immaginarlo. Sperai che se mai mi fossi dichiarata, lui mi avrebbe accettata.
Non m'importava che lui fosse brutto, o avesse qualche malformazione. La sua anima a mio parere era meravigliosa, e avevo sete di lei. Mi comprendeva sempre.
“Sì, lo penso anch'io... Oppure ti direi di aspettare. Può darsi anche che sia una cosa passeggera...”
“Già...”
Mentre parlavamo, nell'altra stanza sentivo qualcuno che parlava ad alta voce. Era la voce di un ragazzo. Forse era Jasper, ma non ne avevo idea.
Feci segno ad Angela, e lei annuì. Ci alzammo dal letto ed uscimmo in soggiorno. Non era Jasper, chi parlava a voce alta.
In soggiorno non c'era nessuno, ma la porta era aperta.
“Basta fare baccano,” disse Alice, che improvvisamente uscii dalla sua stanza, “Rosalie sta arrivando”
Forse il ragazzo di Rosalie?
Alice si accorse di noi, e ci disse “Scusatelo. Rose non si decide ad uscire e così scherza lì fuori...”
“Non fa nulla, Alice, non facevamo nulla di interessante” dissi, e mi andai a sedere sul divano.
Accesi la tv, per vedere qualcosa, mentre Angela aiutava Alice a mettere un nastro tra i capelli.
Qualcuno entrò in soggiorno, ma non ci feci caso finchè non sentii la voce.
“Perchè non entrate?” disse Alice “potete guardare la televisione, nel frattempo... So che sta giocando la tua squadra di baseball preferita...”
“Già! Me ne ero completamente dimenticato!”
Emmett?!
Girai il viso verso la porta, Emmett era tutto sorridente, con una tuta blu scuro addosso. Appena mi vide, il suo sorriso si allargò.
“Bella, Angela, lui è Emmett” disse. Sul mio viso comparve un ghigno.
Alice guardò prima lui, poi me. “Ma... Vi conoscete?”
“Sì. Ci siamo conosciuti sull'aereo per Hartford...” disse Emmett.
“A volte le coincidenze della vita...”
“Oh, ma dov'è? Vieni anche tu, devo presentarti delle persone” disse, a qualcuno che aspettava fuori la porta. Io mi alzai, pronta ad offrire la mano all'altro amico di Alice.
Quando entrò nel soggiorno, il mio cuore perse un battito. Non capii perchè. Forse... Perchè stavo per scoprire il suo nome?
Eppure, adesso non m'interessava più di tanto saperlo. Mi aveva sempre ignorata in tutte le lezioni. Forse non voleva affatto conoscermi.
“Eccoti, finalmente.” disse Alice, ed il mio cuore accelerò “Bella, Angela, lui è Edward”
Edward. Allora questo era il suo nome... Edward.
Mi avvicinai per stringergli la mano, ed Angela fece lo stesso. Non smetteva di guardarmi che mi fece arrossire di brutto. Di sicuro si ricordava di me. Mi aveva visto tante volte.
Emmett rideva. “Che caso, sorellina, sei in camera con la mia migliore amica,” disse, rivolto a me. Sorellina? Cercai di ricompormi.
“Davvero? Bella non mi avevi detto di essere la sua migliore amica...”
“Infatti, non è così.” Dissi, mettendo il muso.
“Siamo come cane e gatto” iniziò Emmett “non sembra piacerle affatto il mio umorismo,” disse, ridendo a crepapelle.
“Ah, bene,” fece Alice “davvero una bella cosa... E tu, Edward, già conoscevi Bella?” disse, rivolta al ragazzo che finalmente aveva un nome. Dopo ben due settimane.
Lui scrollò le spalle, poi rispose “In un certo senso...”
“In un certo senso?” chiese Alice.
“E' una lunga storia” disse lui, con tono freddo, fissandomi di tanto in tanto. Abbassai lo sguardo, e fissai le mie mani.
“E tu, Bella?” chiese Alice, rivolta a me. Alzai di botto la testa che mi fece male il collo.
“Io...” dissi, cercando le parole adatte, “Beh, lo vedo ogni tanto a qualche lezione, ma nulla di più” Sì, era vero. Però Alice e gli altri mica sapevano che mi aveva salvata da un molestatore, proprio due settimane prima... Forse lui non voleva rendere pubblica quella cosa, perchè vedevo che tentava di essere vago.
“Ma come? Vi vedete quasi sempre e non vi siete mai parlati?”
“No” dissi, e nello stesso tempo lo disse anche lui. Arrossii fino alla punta dei piedi. Lo fissai per qualche secondo, e vidi un po' di rosa anche sulle sue guance. Perchè?
Poi fissai Emmett, e vidi che stava ridendo. Anche Angela ed Alice ridevano. Forse si erano accorte del nostro imbarazzo e dei nostri giochi di sguardi? Sperai di no.
La stanza cadde nel silenzio. Perchè nessuno parlava?
“Allora, Rose, ti vuoi muovere?” disse Emmett. Ora capivo tutto.
Rosalie era la ragazza di Emmett. Emmett era fratello di Alice, ed Edward, a sua volta, di entrambi. Chiaramente... Che affermazioni stupide.
Allora l'altro giorno... I rumori che sentii erano di Emmett e Rose... Oh mamma.
Rosalie uscì dalla stanza con aria superba come al solito, ed i suoi tacchi altissimi rimbombavano sul linoleum del soggiorno.
Si avvicinò con fare felino ad Emmett, e lo baciò sulle labbra con passione veemente tanto da far disgusto. Guardai a terra, per evitare di vedere un'altra coppia felice, che forse avrei invidiato. Si sentivano anche i rumori... Mamma mia.
Quando rialzai lo sguardo, vidi Edward che mi fissava con un'espressione interrogativa. Aveva forse capito perchè avevo abbassato la testa?
“Allora noi andiamo...” iniziò Emmett “Edward, tu che fai?”
“Penso che aspetterò Jasper nel suo dormitorio” disse.
“Contento tu... Ci sono queste ragazze così carine, in questa stanza, e tu pensi ad un uomo... Un uomo dopotutto, fidanzato con tua sorella...”
Edward non rispose, ma al contrario fece una faccia irata, e sembrava quasi fosse arrossito di più; Alice si limitò a dire “Emmett!”, e diede una pacca sulla spalla ad Edward.
I due ragazzi, assieme a Rosalie, uscirono dalla nostra stanza. Alice chiuse la porta, e ci guardò, con il sorriso sulle labbra. “Strani i casi della vita, non trovate?”
“Già, non avrei mai pensato che...” disse Angela.
“Nessuno lo pensa mai. Loro due sono dei bestioni... Ed io sono così bassina...”
“Dai, però si vede un po' la somiglianza... Con Emmett... Avete entrambi gli occhi scuri e i capelli scuri...” continuò Angela.
“Sì, è vero...”
“Edward, invece... E' così diverso...”
“Ha preso da nostro padre”
“Ah”
Poi guardò l'orologio. Adesso mi aveva fatto venir voglia di sapere dell'altro. Per ora, però, era già qualcosa che sapessi il suo nome. In che circostanze strane l'avevo scoperto...
“Devo andare, ragazze... Resterei ancora un po' ma devo raggiungere Jasper ed Edward...”
“Non ti preoccupare, dopo usciamo un po' anche noi,” disse Angela ridendo, mentre Alice si avviava alla porta e con un sorriso se la chiuse alle spalle.
Io mi andai a sedere sul divano, e feci un po' di zapping, giusto per ingannare il tempo.
Cercavo di non pensare al fratello di Emmett, Edward, e perchè mi batteva forte il cuore quando l'avevo rivisto. Non avevo detto, due settimane fa circa, che non mi interessava più sapere il suo nome? Non avevo detto che mi piaceva il ragazzo del parco?
Cosa c'era in Edward che mi attirava, senza accorgermene?
'Pensaci bene, Bella. Cosa?' Fissavo lo schermo cercando di pensare a qualcosa di concreto, qualcosa che mi facesse capire il perchè di questa cosa. Poi arrivai al fine.
“La voce... La sua voce...” dissi, tra me e me, sola davanti alla tv. Ecco. La sua voce. Aveva qualcosa di conosciuto, qualcosa che avevo già sentito. Anzi, qualcosa che sentivo tutte le sere. Mi ricordava tanto la voce del ragazzo del parco.
No, non penso sia lui. Alla fine, non ho mai avuto nemmeno l'opportunità di vedere la sua figura nell'oscurità, anche se ero molto tentata a farlo. No, non poteva essere lui.
Nel campus ci sono decine di studenti, pensai. E' impossibile. Oppure no. Decisi di non pensarci e di guardare un po' di televisione, anche se quella sera i programmi facevano pena.
Erano le otto e trenta.
Tra poco meno di un'ora, sarei andata nel parco ad incontrare di nuovo quel ragazzo. Forse, quello era il momento più bello delle mie giornate universitarie. Parlare con lui era davvero salutare. Iniziai a pensare che allora mi piaceva davvero. Dovevo fare qualcosa.
Stare in silenzio, oppure dichiararmi, rischiando di prendere un due di picche?
Optai per lo stare in silenzio. Almeno per adesso, finchè non avrei capito davvero ciò che provavo.
Mi appoggiai allo schienale del divano, e chiusi gli occhi.
Immaginai di stare con lui, di baciarlo, di toccarlo... Di poter vedere il suo viso... Tutto questo non mi fece stare più nella pelle. Decisi di uscire prima della solita ora, e mi diressi in fretta sotto al lampione.
“Io vado” dissi ad Angela, quando erano quasi le nove, di quella sera di inizio novembre.
Il cielo era nero, con delle striature rosse, e pensai che tra un po' sarebbe venuto di nuovo a piovere. Ormai pioveva da quattro giorni senza sosta.
Percorsi il viale che conduceva al mio edificio, e quello verso la panchina, canticchiando allegramente. Ero contenta, quella sera. Non solo per aver finalmente scoperto il nome di quel tipo, ma anche perchè, soprattutto, stavo raggiungendo quello che si potrebbe definire quasi 'il mio psichiatra'. Risi internamente alla parola.
Vidi subito la panchina. Era ancora vuota.
Guardai per la terza volta in pochi minuti l'orologio, e notai che si erano fatte le nove quasi e mezza. 'Vabbè, stasera sono in anticipo', mi dissi, cercando di stare calma.
Continuai a muovere ansiosa le gambe, perchè non riuscivo ad essere paziente.
Come le altre sere, quella stessa voce ruppe il silenzio.
“Vedo che sei in anticipo anche oggi,” disse.
“Sì, le mie amiche sono uscite, allora ero sola...” Stupida. Perchè gli hai detto 'ero sola'? Chissà adesso cosa si andrà a pensare.
“Ah, capisco. Beh, anche io sono solo questa sera”
Uhm. Allora non penso che l'abbia presa con malizia, quell'affermazione.
“Eppure, è una sera davvero bella per uscire...” dissi, cercando di vedere come avrebbe risposto.
“Bella?” disse, è per un attimo pensai che mi stesse chiamando per nome, con il tono in cui l'aveva detto. No, si stava solo riferendo al tempo, alla serata...
“No, infatti... Tutto sommato è passabile” risposi, cercando di dire qualcosa di concreto.
“Nemmeno. Ci sono dei nuvoloni enormi”
Guardai in alto. Nonostante gli alberi fitti, riuscii a vedere il cielo ancora più rosso di pioggia, e dei nuvoloni minacciosi che si muovevano sulle nostre teste.
Restammo in silenzio, e sospirai tante volte. Quella sera era davvero strana. Che stesse pensando a qualcosa o qualcuno anche lui?
“A cosa pensi?” gli chiesi.
“A niente...”
“Non si può pensare al niente”
“Dove vuoi arrivare?”
“Voglio arrivare a conoscere te”
“Allora ti sei decisa a farti vedere?” Non mi aveva fatto quella domanda dalla seconda sera del nostro incontro.
“No. Intendevo che vorrei conoscere di più il tuo carattere”
“Ah” disse, poi sospirò profondamente. “Vuoi davvero sapere a cosa pensavo?”
“Se vuoi dirmelo, sì”
“Pensavo ad una persona”
Questa mi era nuova. Forse mi sarei fatta male, ma volevo osargli chiedere se fosse un uomo o una donna. Provavo una grossa invidia per quella persona... Aveva la possibilità di stare nella sua testa, di ricevere delle attenzioni. Sì, perchè essere pensati di qualcuno equivale a ricevere attenzioni anche se materialmente non lo sai.
“Una ragazza?”
Non rispose. Passarono dei minuti in cui nemmeno io sapevo cosa dire.
“Può darsi” disse, poi, con tono incerto. Non me lo voleva far sapere. Restammo di nuovo in silenzio. Poi sentii delle gocce sul viso. No, non erano lacrime.
Le gocce divennero più fitte, e in pochi secondi aumentarono. Stava piovendo.
“Questa non ci voleva,” dissi, con un tono molto più alto.
Improvvisamente, fui tutta inzuppata d'acqua. Poi, non sentii più nemmeno una goccia bagnarmi i capelli. Alzai lo sguardo, e notai che lui, a differenza mia, aveva portato un ombrello.
“Grazie,” gli dissi.
“Meglio non prendersi un malanno nel periodo degli esami” mi rispose. “Però adesso forse è meglio andare”
“Sì, forse è meglio”
“Tieni, prendi l'ombrello” disse, toccandomi la mano e porgendomi l'ombrello “me lo restituirai un'altra volta”
“Ma tu?”
“Non fa nulla, ci sono abituato” disse, e sentii che si alzò dalla panchina.
“Grazie” dissi, arrossendo, anche se nel buio non si notava.
“A domani...” mi rispose, correndo via.
Era stato davvero gentile. Ma lui? Mi dispiaceva se avesse preso un malanno per colpa mia.
Tornai in camera in fretta. Le luci erano già tutte spente, e, senza far rumore, mi svestii e andai sotto le calde coperte. Il freddo si stava facendo sentire...
Quella notte, dopo due settimane piene, sognai di nuovo il ragazzo senza nome, Edward.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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