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Autore: Aries K    25/11/2014    1 recensioni
Quando la giovane Emily Collins mette piede nel collegio più cupo e spaventoso di Londra non sa che la sua vita sta per cadere in un mondo oscuro fatto di sangue e creature che credeva vivere solo nei suoi incubi. Quando pensa che la sua esistenza non possa cadere più in basso di così incontra William Delacour, figlio della temibile preside Jennifer Delacour. William -così enigmatico e onnipresente in quel convitto esclusivamente femminile- nasconde un segreto che sembra coinvolgere anche la giovane. I due non potranno che avvicinarvi anche se, non molto lontano da loro, qualcuno cova una centenaria vendetta che sembra non volersi compiere...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Undicesimo Capitolo








Trentasette minuti. Era quello il tempo impiegato per ricordare e intraprendere la strada che mi aveva portato, ansimante, davanti al cancello della casa di Danielle Lamberg. Mentre allungavo la mano per sostenermi alle sbarre un paio di goccioline s’imbatterono sulle mie nocche: stava per piovere e fortunatamente ero riuscita a giungere alla meta prima del diluvio. Come avrei potuto continuare a vagare per la città in quello stato? Capelli scompigliati e pregni d’umidità, sporca, mal odorante dalla testa ai piedi per essere stata sequestrata in un vicolo cieco pieno d’immondizia e, soprattutto, sanguinante e zoppa. Salii i due scalini del giardino digrignando i denti, una volta raggiunta la porta bussai assalendola. Se fosse passato qualcuno avrebbe pensato che la stessi prendendo a pugni. Mi appoggiai -allo stremo delle forze- sul muretto al mio fianco, cercando di non far cadere i vasi a terra. Con la coda dell’occhio vidi sfrecciare una macchia nera oltre la finestra e, nel momento in cui comparve Jamie, la porta d’ingresso si spalancò.
“Ma cosa…dove…Emily!” Questa è stata l’accoglienza piuttosto sconcertata di Nicole. Avrei voluto accasciarmi a terra, piangere e rompere qualcosa. Magari uno di quei vasi colorati.
“Aiutami”, le dissi anche se le sue braccia mi avevano già avvolto per trascinarmi all’interno della casa.
“Tu sanguini”, sibilò Jamie sostenendosi contro il muro.
“Tesoro, alcune volte constati l’ovvio in una maniera tale che mi fai quasi cadere le braccia”, brontolò Nic fulminandola con lo sguardo, poi mi fece adagiare sul divano e, inchinandosi alla mia altezza, continuò: “Sono quasi due ore che aspettiamo una tua chiamata, qualche minuto fa mamma è uscita per raggiungerti al Timothy. Ma cosa ti è successo?”
Aprii la bocca per raccontare, loro due in attesa, ma tutto ciò che esalai fu un verso indescrivibile che le fece trasalire. Affondai il viso tra le mani, cercando di trovare le parole adatte e di calmare il mio animo inquieto affinché non mi costringesse a svelare la verità.
“Ho capito, vado a preparare una camomilla”, convenne Jamie mentre mi accarezzava la testa.
“Facciamo due”, s’intromise la voce della madre di Nicole alle nostre spalle, spalancando la porta socchiusa.
La guardai stravolta e proprio perché ero al limite, quando mi venne accanto, io mi alzai e mi tuffai tra le sue braccia.
“Piccola”, mormorò, -“cosa è successo?” Si stava rivolgendo alla figlia che probabilmente rispose con un’alzata di spalle o un altro gesto perché non udii risposta.
“Mi hanno aggredita e questo”, articolai rauca, indicando il mio malandato aspetto, -“è il risultato della mia opposizione e fuga.” Danielle si toccò la fronte istantaneamente imperlata di quel sudore freddo e inquietante che di solito anticipa un attacco di crepacuore, e si sedette accanto a Nic che era vittima dello stesso sconcerto.
“Vado a…sì, a preparare tre camomille”, sussurrò Jamie, avviandosi a passo svelto verso la cucina. In un attimo raccontai tutto ciò che era raccontabile, tutto ciò che poteva collocarsi nel limite della realtà anche se, nel mio intimo, iniziavo ad avvertire il desiderio di condividere con qualcuno il fatto che io abbia valicato –senza volerlo- quel confine. Mentre la signora Danielle metabolizzava le mie parole, Nicole mi accompagnò nel bagno del secondo piano per disinfettarmi la ferita pulsante del ginocchio.
Mi sedetti sul bordo della vasca mentre lei apriva un mobiletto collocato sotto al lavandino per prendere il disinfettante e un po’ di ovatta. Nel frattempo azzardai a darmi un’occhiata allo specchio e riabbassai subito gli occhi per evitare di contemplare lo stato penoso in cui ero caduta.
Mi pulii il sangue con la carta igienica mentre Nicole versava silenziosamente il liquido nella palla di cotone che teneva nella mano.
“Grazie”, dissi per rompere quella cortina di silenzio in cui eravamo sprofondate. La mia amica sorrise accucciandosi di fronte alle mie gambe e premette l’impacco sulla zona interessata.
“E di cosa. Non penso di aver mai conosciuto una persona in grado di cacciarsi ogni due secondi nei peggiori guai come te.” Sorrise di nuovo scuotendo la chioma corvina, cercando di alleggerire l’accaduto.
“Secondo me dovresti rivolgerti alla polizia e denunciarli”, mi consigliò dopo essersi alzata, recuperando un pezzo di garza per proteggere la ferita pulita.
La guardai mentre procedeva con concentrazione e, se non fossi stata sicura di chi avevo avuto di fronte, probabilmente avrei seguito le sue parole.
“Io penso di no”, risposi con un debole tremito a tradirmi. Gli occhi confusi della mia amica si piantarono nei miei e, un espressione di rimprovero e disapprovazione colorò il suo viso.
“Ma certo che devi! Non puoi sapere se la polizia li stia già cercando. Voglio dire, potrebbero essere soliti ad episodi come questi e potrebbero prenderli grazie alla tua denuncia.”
“Non è stata la prima volta che mi capita di incontrarli”, dichiarai trattenendo il respiro, per poi espirare con un singulto, -“Nicole, vogliono qualcosa da me, ma non saprei dirti cosa. Mi hanno seguito, sanno i miei spostamenti e non riesco a capire come abbiano fatto a trovarmi.”
Lei spalancò la bocca, alzandosi di scatto.
“E allora perché non vuoi andare dalla polizia? Santo cielo, Emily, non è un gioco!”
“Fidati se ti dic..”
“Ci vado io per te, te lo posso assicurare.”
“Nicole, tu non puoi andarci al posto mio!” Mi agitai affrontandola a due centimetri dal viso. Il desiderio di rivelare l’esistenza di quelle creature su cui fantasticava oziosamente mi frustava nelle viscere, ribolliva nelle vene, infiammandomi fino a provar dolore.
Diglielo, Emily. C’era questa voce implorante e persuadente a incantarmi, proveniente dagli angoli assopiti della mia coscienza. Nicole stava inveendo su di me, mi puntava il dito contro e gesticolava come solo lei poteva fare. Non udivo ciò che mi diceva perché la sua voce appariva distante anni luce e il desiderio di poter condividere il mio fardello con un altro essere umano mi sovrastò.
Così, ad occhi chiusi e a pugni stretti, io lo dissi:
“Nicole, loro non sono umani.”
La sua voce si smorzò di colpo e quando riaprii gli occhi la vidi con la bocca socchiusa –con ancora i suoi ultimi insulti pendenti sulla lingua-, lo sguardo che, investito dalla mia rivelazione, quasi sembrava assente.
“Ma che cosa stai dicendo…”, parlò, non muovendo un muscolo.
“Sto dicendo che sembra un’assurdità, una completa pazzia, ma i vampiri esistono. Le tue fantasie sono reali, sono divenute i miei incubi.”
Nicole alzò un sopracciglio con aria provocatoria: o mi aveva creduta o stava pensando che la stavo prendendo in giro.
Eppure tempo addietro avrei scommesso sul fatto che avrebbe reagito in modo spropositato. La mia epifania doveva entusiasmarla e al tempo stesso terrorizzarla. E allora perché prese a camminare avanti e indietro in quel piccolo bagno dalle piastrelle avorio, senza nemmeno sbiascicare una parola?
La risposta alle mie domande silenziose arrivò nel momento in cui si voltò, sfoderando un nuovo sguardo, lo stesso con il quale si era preoccupata di iniziarmi alle leggende del collegio, la sera del mio arrivo.
Ora era vulnerabile, Nicole Lamberg, e ci mancò poco che la sua mimica facciale mi facesse cadere nel senso di colpa per aver parlato.
“Uno di loro mi stava facendo del male e sarebbe stata la fine se non fosse stato per il sangue della ferita che lo ha distratto fino a fargli perdere la testa. Hanno dovuto letteralmente strapparlo da me, e sono scappata”, presi fiato, -“altrimenti non so cos’altro sarebbe successo.”
“Anche William e sua madre sono vampiri.”
“Sì”, ammisi, nello stesso momento in cui sentii il cuore capovolgersi o, peggio, perdere alcuni battiti. Non mi ero resa minimamente conto che, in quel frangente, con una misera sillaba, avevo appena tradito William, la sua essenza e la fiducia che aveva riposto in me.
Quella consapevolezza cominciò a strisciare come una serpe dentro il mio stomaco, facendo offuscare le pareti circostanti. In mezzo alla fronte della mia amica si formò una ruga e, prima che abbassasse lo sguardo, fui certa di aver visto i suoi occhi colmi di lacrime e un viso pieno di un sentimento che non riconobbi.
“Non te lo stavo domandando”, sussurrò fissando il pavimento, -“aspettavo solo che te ne accorgersi, sai? Anche se durante l’ora della Jym c’ero andata vicino tanto così nel confessartelo.”
Ora era lei che spiazzava me. I suoi occhi appannati, il rossore del viso, il suo labbro inferiore martoriato dai denti. Quei dettagli mi fecero intuire che non si stava riferendo alla solita leggenda che aleggiava nei vicoli di Londra, né a tutte le storielle che mi propinava in bagno e in biblioteca, esasperandomi.
“Io l’ho vista con i miei occhi!”, parlò stringendo i denti per evitare di strillare, tant’è che il suono che uscì dalla sua bocca fu simile allo stridio delle unghie su una lavagna,-“la Delacour in collegio ha… ha…lei ha aggredito una ragazza.”
Trasalii per quelle parole e mi si mozzò per un istante il respiro.
“Cerca di calmarti e prova a raccontarmi quello che hai visto”, le suggerii, cercando di non farle vedere che mi stavo sorreggendo alla maniglia della porta. Lei si sedette sul bordo della vasca dove prima c’ero io. Mi domandai se avessi il suo stesso pallore allarmante.
-“Ero appena arrivata in collegio, da una settimana credo. Ero in cortile con alcune ragazze, passeggiavamo, parlavamo tranquillamente e poi ci siamo sedute su una panchina. Dopo poco avvertii il bisogno di andare in bagno così, scusandomi, sono salita in camera”, fece una breve pausa e vidi il suo sguardo soffermarsi sulla mia mano che stritolava la maniglia. La ritrassi all’istante, lasciando cadere il braccio inerme sul fianco.
“Stavo per tornare in cortile quando sentii delle urla furiose provenire dai piani alti. Stupidamente ho salito le scale fino al quarto piano dove riconobbi la voce della preside gridare contro qualcuno, nel suo ufficio. La porta era socchiusa e mi ci avvicinai per origliare.”
“Scusa se ti interrompo, ma in corridoio non c’era nessuno?”
Lei annuì con una smorfia.
“Esattamente. Le lezioni della giornata erano terminate e la maggior parte delle ragazze se ne stavano in cortile per approfittarsi della bella giornata, oppure si trovavano nell’altro lato del collegio. La sfigata sono stata io. Chi vuoi che vada a girovagare nel quarto piano?”, borbottò alla fine, catturando col dorso della mano l’ultima lacrima che era andata a rigarle il volto.
-“Sbirciai un secondo, quel tanto che bastava per scorgere una figura femminile nello studio. La ragazza non era una nostra coetanea, Emily, era davvero alta e aveva una coda di cavallo disordinata. Se non ricordo male aveva una tuta nera e stava dando del filo da torcere alla Delacour perché quell’espressione infuriata non gliel’ho più vista.”
Alzai un sopracciglio, scettica di quell’ultima supposizione, tuttavia non osai arrestare la sua confessione per quella sciocchezza.
“Mi ricordo che la ragazza ha detto rivoglio la mia vita perché questa non è stata una mia scelta e non posso farlo. E non so a cosa si stesse riferendo. Comunque sia la Delacour le rispose che doveva obbedirle e in un attimo aveva assalito il suo collo. Ti prego, non farmi continuare perché non penso di poterci riuscire.”
Chiusi gli occhi. Non c’era bisogno che continuasse per immaginare il seguito. Quando li riaprii, Nicole stava aprendo il rubinetto dell’acqua.
“Non l’hai detto nemmeno a Jamie?”
Si sciacquò ma, prima che l’acqua s’infranse sul suo pallido viso, mi rivolse un sorriso ironico attraverso lo specchio.
“No, certo che no! Le ho accennato della leggenda e mi sono resa subito conto che avrei dovuto caricarmi quel peso da sola. Per tutto questo tempo… non ho mai saputo cosa fare. Ero terrorizzata. E prigioniera di quello che avevo visto. Ho studiato molto riguardo la loro vita – se può essere chiamata vita!- e… volevo tornare a casa ma…oddio.”
Sembrava dovesse riprende a piangere e tremare –con l’espressione ancora stupita per essere riuscita a sostenere la conversazione- le andai accanto e la cinsi a me. “Adesso ci sono anche io.”
“Stavo per morire di paura quando ho iniziato a vedere William starti accanto. Non era normale, ai miei occhi, il suo attaccamento nei tuoi confronti. Avrei dovuto parlarti di questa storia prima, quando ne avevo avuto la possibilità anziché cercare di farti provare paura nei suoi riguardi.”
“No”, ribattei stancamente, -“lui mi ha salvato la vita.”
La nostra conversazione venne bruscamente interrotta dalla voce di Jamie che ci invitava in cucina, poiché la camomilla si stava raffreddando. Lasciai che Nicole finisse di lavarsi il volto pensando a quali forze abbia fatto appello per formulare il suo racconto, e a quali forze avrei dovuto fare appello io per continuare a camminare sulla strada che avevo intrapreso.
   
 
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