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Autore: Monte Cristo    25/11/2014    7 recensioni
Il leggendario signore del Clan di Starbhion ha sconfitto Fenris il Lupo sacrificando la sua mano.
Diciassette anni dopo, però, il suo destino e quello dei suoi figli sembra ancora legato all'antico nemico oltre che all'odio tra Starbhion e gli Shawnnon, i fieri e focosi uomini del Clan rivale.
A chi toccherà stavolta sacrificare qualcosa?
All'invincibile spadaccino primogenito, sposato inspiegabilmente a una donna senza dote né voce? Al focoso Sanguefuoco catturato nelle spire della maledizione di un Nibelungo? Oppure ad terzogenito, lo Storpio? E l'unica figlia femmina di Starbhion reprimerà l'orgoglio e rimarrà a guardare o impugnerà la spada liberandosi così anche del giuramento di Steinn di Shawnnon che la vuole per sé?
In un mondo popolato di Nani maligni, draghi, Annegatrici ammalianti e altri spiriti inquieti, gli uomini dei Clan dovranno affrontare il Fato che gli dei hanno scelto per loro. E alcuni mortali, purtroppo, sono intrisi più di altri nella ragnatela divina.
Undici inverni e ventotto anni basteranno per la resa dei conti?
(Storia scritta per la Challenge: "L'ondata Fantasy" indetta da _ovest_)
Questa storia è in costante revisione. Ogni critica, suggerimento e opinione è ben accolta.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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PROLOGO - Parte II


 

Spesso gli sembrava che la sua mano fosse ancora lì, e dolesse in maniera insopportabile.
Gli dicevano che era un effetto consueto in chi perdeva un arto, e presto o tardi sarebbe svanito. Nel frattempo, per contrastarlo, Harald provvedeva a non fargli mancare abbondanti scorte di oppio.

A dieci giorni trascorsi dalla battaglia vinta dai Clan, l'ultima della Guerra dei Nove Inverni, il moncherino era ancora fasciato ma dopo che un guaritore aveva cauterizzato e chiuso la ferita, il suo aspetto era migliorato di molto.
«Ancora mi sembra tutto irreale» disse Harald, che era venuto a visitarlo e sedeva sulla branda destinata ad Adhwar. «Dopo nove anni nel terrore di quella bestia la vittoria ha un sapore così nuovo che la mia lingua non riesce a coglierlo»
La tenda da campo di Adhwar era grande e la stoffa pesante e calda non faceva passare la luce: solo le candele e quel poco di sole che penetrava dalla porta arrotolata illuminavano i due uomini. L'arredamento era spartano, composto solo, oltre alla branda, di un tavolo, una sedia, un baule e una rastrelliera per le armi di Adhwar e dei suoi capitani.
«Se solo tu non avessi perduto la mano, la mia gioia sarebbe completa» disse ancora Harald: la battaglia aveva lasciato una lunga cicatrice di traverso sulla sua fronte, ma i suoi occhi limpidi erano accesi di felicità. La barba castana era incolta e ingrigita prematuramente e sotto di essa, al collo portava il Birshtim le cui fattezze di orso palpitavano nel legno alla luce delle candele: la Dama Orso non doveva essere lontana.
Adhwar era seduto al tavolo e, distogliendo lo sguardo dall'amico, lo riportò sulla pergamena arrivata da Poggio del Corvo il giorno precedente.
«Avevo dato la mia parola, Harald» replicò con noncuranza. «Il Lupo non avrebbe mai accettato di lasciarsi incatenare se non avesse avuto la garanzia di qualcosa di così prezioso da uno di noi. Ma non credere che questo mi renda una ragazzetta inerme e incapace di combattere: ho perso la destra ma mi rimane tutto il resto. Sono ancora pericoloso, sebbene ad alcuni farà piacere pensare altrimenti.»
Sorrise e si portò la pipa alle labbra: l'oppio gli dava talvolta dei capogiri, ma lo sosteneva quando il fantasma della mano perduta s'intensificava.
Harald sorrise. «L'oppio è una manna contro il dolore, ma i suoi effetti benefici si vedono anche sul tuo viso: sorridi spesso di questi ultimi tempi, Starbhion.»
«Sorrido e rido persino» ribatté l'altro. «E con ciò?»
«Mi pare che tu sia di buona predisposizione di spirito, e di questo sono contento.»
«Hai qualche favore da chiedermi, per esserne così compiaciuto?»
«Non io, ma credo che mio fratello voglia pacificare i vostri piccoli screzi e questo pare un momento assai opportuno per entrambi.»
Adhwar si accigliò. «Non ho screzi da appianare con Shawnnon.»
Harald si alzò e lo raggiunse al tavolo. «Starbhion, Starbhion» disse con mitezza posandogli una mano sulla spalla. «Mio fratello non approva né la mia né la tua unione. Io potrei dargli torto, giacché mia moglie è una donna dei Clan; ma tu certamente riconoscerai che le riserve che nutre su tua moglie non siano del tutto fuori luogo: è -o almeno, è stata- una donna dei Kinn.»
Adhwar tirò un'altra boccata dalla sua pipa. «Shawnnon può avere tutte le riserve che ritiene opportune su qualsiasi donna, ma non permetto che uomo alcuno insinui maldicenze su mia moglie. Se non ho sfidato tuo fratello a pagare i suoi insulti con il ferro, è solo per rispetto al suo stato fisico: non mi batto con gli storpi.»
«Se Shawnnon ha detto qualcosa che ha offeso te o tua moglie, lo ha sicuramente detto nell'impeto di un momento di rabbia, e tu lo sai meglio di me. Non ti offenderebbe mai deliberatamente.»
«No, non oserebbe offendere me. Ma lo ha fatto con mia moglie e le onte vanno ripagate.»
«Ripagate sì, ma abbiamo avuto odio a sufficienza. Lascia che ad alleviare la ferita al tuo onore sia piuttosto l'oro e non l'inimicizia tra la mia Casa e la tua.»
«Un uomo d'onore non porta il valore degli insulti dentro una borsa» ribatté feroce Adhwar, «ma sulla punta della spada insanguinata, alla luce del sole!»
«Anche Shawnnon ha sopportato le insinuazioni che tu rivolgesti a nostra sorella quando prestasti orecchio alle menzogne di quel tuo prigioniero dei Kinn, Eddirming; eppure non ti fece mai pagare il prezzo di quelle chiacchiere.»
A quelle parole Adhwar fissò lo sguardo in quello di Harald e i due rimasero a scrutarsi in silenzio.
Nessuno dei Clan tranne Adhwar e pochi altri avevano creduto alle parole di Eddirming sulla sorella scomparsa di Shawnnon e Harald, e tuttora il rifiuto verso quelle oscure verità era motivo di contesa.
Harald scosse il capo e pose le mani sulle spalle di Adhwar: «Oh, perdonami, amico mio: non intendevo riportare alla luce quel discorso. Sappiamo entrambi quanto differiscano le nostre opinioni, e non voglio guastare la pace finalmente ritrovata con parole funeste.»
Adhwar tacque, l'espressione rigida.
Harald sospirò. «Suvvia, Starbhion. Davvero non puoi sopportare di stringere ancora la mano a mio fratello? Sai quanto mi addolora vedere l'avversione tra voi.»
«Non ho chiesto io di avere l'avversione di Shawnnon» replicò Adhwar. «È lui a distribuirla piuttosto generosamente, come tu stesso ben sai.»
Harald annuì. «Ahimè, è vero. Ma te ne prego, in nome del nostro affetto: da' a Shawnnon un'occasione affinché torni la concordia.»
Adhwar guardò di nuovo la pergamena e lasciò passare qualche istante prima di dire: «Poiché me lo chiedi, parlerò a tuo fratello. Ma alla sola condizione che egli venga a Starbhion a conoscere e baciare la mano di mia moglie.»
Harald gli strinse la mano. «Basterà, mio caro amico. Ti ringrazio. Andrò subito a parlare con lui.» E se ne andò veloce e tutto animato da nuove speranze di riconciliazione tra gli Starbhion e il proprio Clan.
Rimasto solo nella tenda, Adhwar tornò ad avvicinare la pergamena alla luce della candela.

Mio signore,
Ti scrivo questa missiva per mano di Mastro Ewin. Miglioro nelle vostre lettere strane e spigolose ma non sono ancora abbastanza abile da scriverti di mio pugno.
A Starbhion l'inverno ancora stringe le mura e i razionamenti scarseggiano, tuttavia oso affermare che arriveremo alla fine di questa crudele stagione senza eccessive perdite.
Tuo figlio Arras ha ricevuto la sua prima spada: niente più che una bacchetta di legno ma ne è assolutamente entusiasta. Non ho molte novità su Muirdach e Jadis, poiché le loro occupazioni non sono cambiate: dormono e mangiano in modo eccellente. Muirdach ci ha donato il suo primo sorriso. Prego gli dei che tu possa presto tornare per vederlo.
Per quanto riguarda i due mezzosangue, stanno bene e sono sani e forti: non hanno interesse nelle spade e nei giochi di Arras né in altre attività infantili tranne che nella lotta.
Abbi cura di te stesso fino al nostro prossimo incontro.
La tua devota moglie
 

Adhwar ripiegò con cura la pergamena e se la pose in seno.
I Mezzosangue, ripeté tra sé.
Il lungo inverno era concluso, ma tanti, troppi strascichi di guerra ancora rimanevano.
E la fine, Adhwar lo sentiva, era ancora lontana.


I Clan di Starbhion e Shawnnon avevano un rancore nato da ragioni che ormai nessuno ricordava; e questo rancore era durevole e appassionato come un amore ma alla rovescia.
Certo è pure vero che alcuni tentativi di riconciliazione furono tentati da entrambe le parti: uno di essi fu il patto stipulato alla fine della Guerra dei Nove Inverni dai due Capiclan Adhwar di Starbhion e Ragath di Shawnnon.
Il giorno che segnò tale patto fu quello in cui Adhwar si recò sotto le mura della cupola di Dunhwellir con gli altri Capoclan.
Poiché il Lupo era ora prigioniero a tempo indeterminato –i Clan speravano per sempre-, i Kinn, privati del loro dio, avevano un nuovo re ed egli doveva presentarsi ai Clan per fare atto di sottomissione.
La giornata era un alternarsi di sole e nubi torbide e la spiovente cupola ottagonale d’oro che sovrastava le imponenti mura pietrose di Dunhwellir a tratti risplendeva, a tratti smorzava la sua lucentezza. La neve tutto intorno arrivava alle cosce degli uomini più alti ma là, davanti al gigantesco portale di Dunhwellir, era stata spalata via, lasciando scoperto il suolo duro e spoglio.
Quel luogo era il simbolo sacro delle alleanze dei Clan: era alla cupola che essi si radunavano nei momenti di emergenza. E in quegli ultimi nove inverni, a causa della guerra, Adhwar aveva imparato a riconoscere anche da molte leghe il luccichio del tetto di Dunhwellir, in cima al Colle delle Vittorie, e aveva trovato più volte riparo dal freddo all'interno delle sue mura.
Il re giunse dinanzi ai Capoclan accompagnato da un vasto seguito di guerrieri e di carri carichi del tributo di guerra. Era solo un ragazzo, occhi verdi come germogli di grano e la carnagione diafana.
«Si chiama Alfdan» sussurrò Steigart ad Adhwar. Steigart sapeva molto dei Kinn poiché il suo Clan era quello che dimorava più vicino al Nord e al Regno di Ghiaccio dei loro nemici. «E’ l’ultimo discendente maschio del Kinn regnante, quello degli Stjerme.»
«Vi porto la pace, Clan» disse con voce limpida il re dei Kinn nella lingua comune. «Io e i Kinn deponiamo le armi dinanzi ai vincitori. Sia gloria a voi, uomini delle Terre Alte.»
Mostrava meno di venti inverni ma stava eretto innanzi a loro, né ebbe tentennamenti mentre recitava la dichiarazione di resa.
Ad Adhwar piacque.
«Sia pace, dunque» rispose Shawnnon, che come signore del Clan più rinomato, parlava a nome di tutti loro. «Tornate alle vostre terre, Kinn. Se foste uomini con più onore, vi augurerei ogni bene ma troppi tradimenti e macchinazioni abbiamo subito da voi. Andate senza benedizioni, dunque. Possano soltanto gli dei imporre le mani sulle vostre teste e rendere migliori i vostri propositi in futuro.»
Era un discorso duro e pieno di astio, quello di Shawnnon e molti Capoclan si rivolsero occhiate dubbiose: inferire sui vinti e offenderli non era ciò che un uomo saggio avrebbe consigliato, ma Shawnnon aveva abbandonato da tempo la via della saggezza.
Adhwar, però, si fece avanti per mitigare quelle parole aspre. «Indubbiamente molti torti ci avete fatto ma non possiamo non riconoscere che avete combattuto valorosamente: siete stati nemici degni delle nostre spade. Io dunque vi auguro che la primavera possa portare via il gelo e la morte, e far sbocciare fiori sui sentieri del vostro cammino. Ed esprimo il desiderio del cuore di ciascuno dei presenti che i nostri popoli mai più troveranno motivi di ostilità.»
Il Re dei Kinn s’inchinò con grazia. «Ti ringrazio, Starbhion. Avete la mia parola, voi tutti, che farò ogni cosa in mio potere per mantenere i buoni rapporti tra le nostre fazioni. Sia pace, dunque! Un giorno, forse, avrò l’onore di ospitarvi nella bianca Wivanogh. Fino a quel giorno il sole brilli sui nostri e sui vostri elmi. Arrivederci, signori dei Clan.»
E detto ciò, si ritirò in buon ordine con i capi dei Kinn che erano venuti con lui. Tra loro c’era Eddirming, che fece un cenno di saluto indirizzato ad Adhwar prima di voltarsi e incamminarsi: erano stati nemici per lunghi anni, ma nemici onesti; e ciascuno dei due doveva la sua vita all'altro.
Quel giorno fu l’ultima volta che si videro in questa vita.
Poi anche i Capoclan si ritirarono, ma Ragath di Shawnnon e Adhwar rimasero. Anche Haregail Occhiodivento, fratello di Ragath, si fermò, ma Shawnnon lo cacciò via con un gesto stizzito; Haregail se ne andò con aria sprezzante, senza degnare Starbhion di un saluto: c'era dell'astio tra loro da molto tempo.
«Non ho apprezzato la tua intromissione, Starbhion» disse Shawnnon quando furono soli.
«Né io le tue parole rudi» replicò Adhwar impassibile. Poi, dopo un attimo, aggiunse: «Ieri mi sono promesso di parlare con te senza liti. Poiché sono un uomo d’onore, non voglio proseguire oltre su questo argomento.»
Shawnnon, allora, sorrise. «Perché, esiste forse un argomento che ci permette di andare d’accordo? Trovamelo, dunque, e diventeremo gli amici più affezionati che mai abbiano calcato il suolo dei Clan.»
«Ritengo che questo sia oltre la nostra natura.»
Restarono ad affiancarsi in silenzio ma poi Shawnnon disse: «Questa guerra, Starbhion, ha portato via molto a entrambi.»
«È così» ammise Adhwar più docilmente. «E azzannarci certo non ci farà recuperare le cose perdute. Dunque, Shawnnon, come intendiamo rimediare a questa frattura che è sorta tra noi?»
«Che prezzo chiedi, Starbhion?»
«La pace. E che tu riconosca a mia moglie una visita e un bacio alla sua mano.»
Shawnnon serrò la mascella. «Mi chiedi molto.»
«Più di quanto tu chiederai a me?»
Shawnnon scosse il capo. «Quello che ti chiederei, non lo faresti, ti conosco. Né io, credo, farei ciò che tu mi hai chiesto.»
«Allora ce ne rimarremo ancorati ai torti del passato come abbiamo fatto finora» concluse seccamente Adhwar.
A Shawnnon fluì il sangue alla testa: mise una mano sull’elsa della spada ma poi, dopo un attimo, la riabbassò. «“Il passato può essere odioso”» recitò solennemente. «“Le conseguenze terribili.”»
«“Ma le azioni sono più importanti”» rispose Adhwar allo stesso tono: quei versi erano la fine del più antico poema dei Clan, l’unico passo di quell’opera che era rimasto alla memoria della gente. «Ma quali azioni, Shawnnon?» domandò poi.
Shawnnon esitò e dopo aver riflettuto disse: «Uno scambio equo.»
«Nessuno di noi è disposto a scambiare favori con l’altro.»
«Non uno scambio di favori. Di qualcosa di più concreto e di più valido del vile oro: persone.»
«Gli ostaggi sono per i tempi di guerra e noi abbiamo appena ottenuto la pace.»
«Gli ostaggi sono un insulto» replicò Shawnnon. Fece silenzio per un attimo, come soppesando le parole con cui esprimere la sua proposta. Dal cipiglio che aveva assunto Adhwar avrebbe detto che nemmeno lui era convinto dei suoi pensieri, e questo gli parve un buon segno.
Una proposta sgradita a Shawnnon molto probabilmente sarebbe piaciuta a lui.
Ragath scosse il capo e, finalmente, si decise a parlare.
«Parlo di un matrimonio.»

 


Note
 

Eccomi qui.
Come vi è sembrato il prologo? So che i personaggi sono difficili da ricordare all'inizio e che è complicato capire le dinamiche tra loro dato che vi ho gettati sadicamente nel bel mezzo del conflitto e alla fine di una lunghissima guerra di cui ancora non ho rivelato nulla.
Non l'ho fatto con il malvagio proposito di mettervi in difficoltà ma sperando di stuzzicare la vostra curiosità e di creare qualcosa di diverso. Ci sono riuscita? Ci sono parti in cui avreste voluto sapere di più? Quale personaggio vi ispira?
Sarò felice di ricevere la vostra opinione e di migliorarmi :)

 

  
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