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Autore: Cara Jaime    26/11/2014    0 recensioni
In una dimensione parallela, nel Regno delle Ombre Danzanti, Lilin è una succubus, una creatura demoniaca dell'oscurità di sesso femminile, al servizio di Fatuus, un incubus anziano, creatura demoniaca dell'oscurità di sesso maschile. Il suo lavoro è raccogliere il seme di maschi umani e fecondare le femmine non fertili della propria razza. A una schiava come lei non è concesso di provare sentimenti per alcun maschio, nemmeno della propria specie. E' qui che inizia il viaggio della nostra protagonista, quando il suo cuore viene inconsapevolmente rubato da un umano.
(Mi riservo la possibilità di rivedere il testo e modificarlo successivamente.)
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10
Il Nero Colosseo degli Spettri


Emisi un lungo e profondo sospiro lo sguardo fisso negli occhi del mio simile. Ammisi a me stessa che nell'intimo albergava un alito di timore per il viaggio che stavo per intraprendere. Dopotutto sarei andata incontro all’ignoto per realizzare un mio sogno. Lunos era così pacato e sereno che la sua presenza mi infondeva sicurezza. Mi tranquillizzava. Scossi il capo lentamente, chiudendo gli occhi per un breve momento.

“E va bene. Andiamo, Lunos,” sentenziai, regolando i legacci dell pesante zaino caricato sulle mie spalle. Lui sorrise. Con un solo agile balzo fu in sella al corsiero. La creatura rispose con un contraccolpo di groppa ondeggiando la schiena sinuosa. I suoi zoccoli artigliati incisero il terreno, quasi impazienti di calpestarlo. Salii anch’io in groppa alla mia cavalcatura dal nero manto striato di rosso, che emise uno sbuffo dalle grandi narici. Incitai la bestia al galoppo seguita da Lunos e ci lanciammo verso nord-est.


La luce dei nostri due soli, Astars e Teaturn, riverberava accecante sul sentiero di terra battuta incorniciato dalla Brughiera, mentre bruciava cocente sulle nostre pelli chiare. Le nostre cavalcature grondavano di sudore. Anch’io cominciavo a risentire dell’eccessivo calore.

“Lunos, sto morendo di caldo," boccheggiai. "Fermiamoci da qualche parte. Riprenderemo il cammino quando i soli inizieranno a tramontare,” conclusi con voce stanca.

“Come vuoi, mia adorata,” rispose. L’appellativo che usò mi infastidì un poco, tuttavia lasciai perdere.


Davanti a noi si stagliò un’enorme costruzione in rovina. Protessi gli occhi con una mano mentre cercavo di capire di cosa si trattava.

Le pareti in pietra un tempo avrebbero formato numerose arcate a punta lungo l'intero perimetro circolare dell'edificio. Ora, in alcuni punti, si scorgevano soltanto le fondamenta di quello che un tempo era stata un'arena per i combattimenti molto frequentata da demoni, mercanti, e altra feccia. Da secoli ormai, il luogo era rinomato per essere infestato da spettri. Tuttavia nessuno era mai sopravvissuto per raccontarlo direttamente. Non avevo alcuna intenzione di verificare la leggenda.

“Questo è il Nero Colosseo degli Spettri,” m’informò Lunos, come se mi avesse letto nel pensiero.

“Il nome non promette bene,” mormorai tra me e me.

“Però, se vogliamo trovare un riparo fresco che non sia la boscaglia, ci dovremo fermare qui,” replicò Lunos. “Se ti può far sentire meglio, ci accamperemo il più possibile vicino all’entrata. Nel caso di sia qualche spettro a darci noia, ce potremo andare senza problemi,” propose rassicurante.

“E va bene,” acconsentii. Non avevo più energie nemmeno per ribattere. Mi servivano riposo e acqua.

Ci accampammo sotto una delle volte più esterne dove l’ombra offriva un riparo fresco sia a noi sia alle cavalcature. Sedetti con la schiena appoggiata al muro e non ci volle molto prima che il sonno mi prendesse.


Mi risvegliai con il cuore a mille, consapevole che qualcosa non andava. I soli avevano lasciato il cielo da un pezzo e sopra il Colosseo si era stesa la notte. Le cavalcature e Lunos erano scomparsi. Anzi, la sensazione che provavo è che non fossero mai stati lì con me. Mi guardai in giro in cerca di punti di riferimento, sforzando la mente a cercare una linea d’azione da intraprendere, ma mi ritrovai paralizzata dalla paura. Era reale ciò che vedevo? Stavo sognando? Un’ombra guizzò sulle pareti. Ne cercai la fonte, ma non riuscii a trovarla. Udii il gemito di un vecchio portone che si chiudeva sbattendo. Una risata folle.

Scattai in piedi, la schiena contro la parete, le mani premute sulla pietra. Era gelida. Puntai lo sguardo di fronte a me con l'intento di guardarmi attorno, ma mi trovai avvolta da una fitta oscurità che non mi permetteva di vedere a un palmo dal naso. Iniziai a spostarmi seguendo il perimetro della stanza scivolando lungo il muro finché non trovai il vuoto. Avanzai lentamente, una mano tesa davanti a me, l’altra a contatto con la parete. Nel buio pesto, mi sembrava di essere finita in un lungo e interminabile corridoio, pur rendendomi conto razionalmente che il Colosseo non era costruito in quel modo.

Improvvisamente si accese una forte luce che illuminò il centro dell’arena. Mi accorsi di trovarmi sulla scalinata più alta. Al centro della scena sembrava svolgersi una rappresentazione teatrale. Acuii la vista.


Un uomo indossava una veste rossa e parlava rivolto a un pubblico che non riuscivo a vedere. Riconobbi Connor.

“Quale altra prova vuole il consiglio?” tuonava la sua voce, solenne e ardita. “In quale altro modo possiamo dimostrare ai nostri anziani che questa donna è un demone?”

In un angolo di ciò che mi parve un palco in legno, notai una giovane donna su una seggiola. Di fronte a lei, un lungo tavolo al quale sedevano cinque uomini dalla pelle rugosa e i capelli bianchi e radi.

“Ve lo giuro! Io sono umana!” gemette la giovane, disperata. Riconobbi la mia voce.

“Blasfema! Bugiarda!” inveì Connor sputando saliva in faccia alla fanciulla. Lei sussultò ed io con lei. Il mondo mi vorticò attorno per un istante. Sbattei le palpebre, ritrovandomi a fissare una persona di fronte a me. Alzai la testa. Ero seduta e guardavo Connor con espressione sbalordita, poi gli anziani. Come diavolo ero finita in quel posto? Mi guardai intorno sperduta. 

Mi trovavo in una stanza circondata da soppalchi, dai quali diversi umani di diverso sesso e età mi fissavano con riprovazione. Nei loro occhi solo odio.

"Aspetta! Connor!" cercai in qualche modo di spiegarmi, domandandomi cosa stessi facendo. Sapevo di dover convincere il mio amato che ero in tutto e per tutto un essere umano come lui. Ma il ragazzo non mi credeva. Digrignava i denti, sul bel viso un'espressione più demoniaca di quella del mio ex padrone in preda alla furia. Non lo riconobbi più. Mi alzai dalla seggiola e fuggii verso l'uscita, il viso sprofondato nelle mani.
   
 
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