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Autore: Melitot Proud Eye    26/11/2014    2 recensioni
[vecchio titolo -> Doveri]
«Thor, tu hai bisogno di una moglie.»
«Io ho già una moglie» dice lui. «E un marito, e un fratello e un amico. E sei tu. Non ho bisogno di sconosciuti nel mio letto.»

Doveri e desideri di due sovrani.
{Presso fuochi di campo e troni di re incoronati - XII}
[future!fic post-Avengers/TDW] [Thorki-Thunderfrost + Jarnsaxa/Thor]
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Loki, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Presso fuochi di campo e troni di re incoronati'
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Note: speravate in altro Thunderfrost... e invece vi tocca l'ultimo interludio ;)
Forse spezza un po' il pathos del finale, ma ci tengo e non volevo sprecarlo. Dedico questo capitolo a Kiki, che adora Jarnsaxa!

Di solito non consiglio "soundtrack", ma se volete sapere cosa ha ispirato la scena principale -> LINK
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- INTERLUDIO -
Destino





Con secoli di guerra e incursioni nemiche alle spalle, Asgard ha imparato a ricostruirsi in fretta. Mentre carpentieri e seiðrmaðr finiscono di riparare o imbragare gli edifici danneggiati, le strade vengono appianate, gli alberi abbattuti rimossi, le colline intorno al lago Aerinmund scongelate e ripulite. Il rumore di pietre, marmi e macchinari è costante. Quella sera, in tutto il regno si potranno onorare degnamente i caduti e festeggiare la vittoria.
Il balcone della sua stanza si affaccia verso ovest, su una panoramica del Fölkvangar.
Járnsaxa non ha voglia di vederlo. Dopo aver vegetato per ore sul suo letto, in un dormiveglia riposante solo per il corpo, si alza e si guarda intorno. La camera di un diplomatico è ricca e curata. E non ha niente che lo interessi.
Esce con una stola incrociata sul petto.
I corridoi del suo piano sono deserti. Bene. Non vuole vedere– nessuno.
E per questo è meglio scendere piuttosto che salire. Sopra ci sono tutti gli appartamenti di corte. Istintivamente imbocca i passaggi usati dal personale di palazzo, trovando la scala secondaria. La illuminano nicchie con lume magico. Scende gli scalini a chiocciola per uno, cinque, dieci pianerottoli, sino a farsi girare la testa.
A quel punto si aggrappa al passamano e barcolla fuori, ritrovandosi fra pareti tappezzate di arazzi. Il piano sotto Hlíðskjálf.
Non gli interessa.
Torna indietro e spiraleggia per altri piani, senza contarli. I pochi servitori che incrocia gli lanciano occhiate distratte, facendosi da parte con l'agilità dell'abitudine. Sono impegnati nella preparazione del banchetto; troppo da fare per dar peso a uno Jötun eccentrico.
Járnsaxa torna nei corridoi nobili quando ha raggiunto la parte inferiore del palazzo. Evita accuratamente la Sala di Borr e si lascia distrarre dalle storie di alcuni arazzi, dita che sfiorano le nappe dorate e creano onde.
Quelle stanze sono silenziose. Pacifiche. Vaga, alla deriva... ogni passo un sussurro di suole, un segreto rivelato sottovoce.
Quando intravede due rune graffiate nell'intonaco di una nicchia, però, si ferma. (Scarabocchi di bambini.)
Laguz e thurisaz.
Ride dal naso, secco. Non c'è terra franca su questo suolo.
Asgard rifulge ancor più dorata perché ogni fascio di luce getta un'ombra profonda. Ogni suo luogo porta i segni di Loki. Járnsaxa non aveva idea di quanto profondo fosse il suo possesso, e questo in fondo è un altro dei suoi fallimenti: Laufeyson è stato principe, diplomatico e quasi-consorte del regno per secoli di vita. E presto anche...
Anche molto di più.
Si volta, pensieroso. Non è mai stato passionale come Gerð, pensa. Si riprenderà presto.
Presto.
Continua lento, senza una meta, attraversando il vecchio cuore del Válaskjálf. Nella luce del tardo pomeriggio, i corridoi diventano stretti e tortuosi, i muri di intonaco grezzo; ci sono scale e scalini di pietra che hanno visto scendere migliaia di suole. I suoi piedi nudi fanno presa sui bordi consunti.
Quando arriva in una parte che non ha visitato con Thor il pavimento diventa di terra battuta, protetta da magia. In fondo al corridoio, poco più di un budello, intravede una rotonda che funge da incrocio con altri tre passaggi. E' piccola. Ha mazzi di erbe e un arazzo appesi sulle pareti concave, fra gli usci, e un senso di segreto che porta Járnsaxa a esitare.
Deve... aver oltrepassato una porta di solito è chiusa, finendo in un'ala privata. Forse dovrebbe tornare indietro.
Quando gira su se stesso lo raggiunge un rumore d'acqua. Un gocciolio che cresce in sciacquio sommesso. Járnsaxa ascolta.
Sembra quasi una voce, e lo chiama.
Si è mosso prima di rendersene conto. Una volta al centro della rotonda guarda un corridoio spoglio, poi un altro, ma l'acqua è vicina – adesso scorre come un rio di montagna, proprio a pochi passi. Sull'arazzo una fanciulla bionda versa acqua da una brocca, circondata da creature della foresta. Gli orli della stoffa lasciano passare uno spiffero. Járnsaxa alza il braccio e lo scosta.
Oltre c'è il luogo più... non ha parole per finire.
Il polmone segreto di Asgard, pensa. Forse è la magia di quel luogo a dirglielo.
In segno di rispetto si ferma sulla soglia, cuore che corre.
La sala è di roccia viva: è buia, profonda e fresca come una grotta, con stalagmiti sottili che si avvitano verso la volta irregolare. Uno stillicidio di falda ne illumina a tratti le venature, intersecate da incisioni runiche; luce senza sorgente soffonde ogni superficie, rivelando per terra un mosaico i cui rami frondosi guidano i passi. Dev'essere a livello del terreno, forse anche più in basso. Voci femminili mormorano canzoni, riverberando sulle pareti e mescolandosi al sottofondo acqueo.
Il pavimento del sacrario è in salita. Al centro, lungo il tronco fittile di Yggdrasil, sette polle circolari affiancano come grappoli tre vasche scavate nella roccia.
Le polle sono grandi calici di marmo, metallo, pietra, forse anche osso, coperti di rune o nudi. Quattro a sinistra, tre a destra – alcune leggiadre altre solide, e si riversano nelle vasche grazie a bracci che si volvono e convolvono.
La fontana scende verso Járnsaxa, sviluppandosi in profondità più che in altezza. E tuttavia lui si sente sovrastato.
Sembra non esserci nessuno. Trattenendo il fiato, avanza di un passo.
Il mosaico è fresco e leggermente umido. D'improvviso si sente creatura acquatica (lontra, salmone guizzante) e pianta di sottobosco, con radici aggrappate nelle profondità del terreno. Lì dentro la vita vibra con una potenza diversa.
Tra le stalagmiti alla sua destra compare la regina madre. Sorride, maniche del vestito verde che ondeggiano sfiorando il pavimento.
«Benvenuto alla Fontana di Mímir, Járnsaxa figlio di Jønir.»
Mímir.
«Non può essere» mormora, scettico, guardando le vasche e dimenticando di scusarsi, dimenticando qualsiasi buona maniera.
«Hai ragione.» Gli va incontro, aprendo le braccia in segno di accoglienza. «Non è quel luogo, se mai è esistito. Ma è così che lo chiamiamo noi» Járnsaxa la guarda, agitato da sentimenti confusi «perché mostra molte cose a chi sa osservare.»
«Mia regina?»
«Oh, chiamami Frigga, bambino» dice, gentile, posandogli le dita di una mano nell'incavo del braccio.
Járnsaxa non sa cosa dire. Si accontenta di un: «Io non ho quel dono, mia signora.»
Lei continua a sorridere.
«Vieni con me?»
La segue. Frigga Fyörgindottir ha l'eloquio di un diplomatico e la grazia di una madre. E' difficile non accontentarla.
Quando sono accanto alla fontana, circondati da colonne ruvide e dal brillio delle pareti umide, da cui erompono figure di ninfe e strane creature, Frigga alza una mano dal bel polso.
«Questo è il luogo dove molte cose possono essere taciute, e molte rivelate. Un tempo vivevo qui gran parte dei miei giorni, alla ricerca di una risposta. Ho imparato molto. Mi parlava e parla ancora attraverso l'acqua.»
Járnsaxa viene attraversato da un tremito. «Chi parla? Dove siamo?» sussurra.
La regina lo guarda un istante. «In un luogo sacro senza storia e senza età, che io ho trovato e tenuto al sicuro.» Si ferma a riflettere. «Potremmo chiamarla una convergenza di energie quasi infinite, di natura insondabile. Forse un luogo dove ci parla il destino.»
Járnsaxa deglutisce.
«Il destino non esiste» azzarda.
Frigga sorride ancora. «Non come lo intendono i più, è vero. Non esiste una strada inevitabile» risponde. «Ma esiste una traccia in continuo movimento, in cambiamento costante, che può essere conosciuta. Guarda.»
Lei indica le vasche. La prima a monte è rettangolare.
«Una per il passato» dice. Poi indica la seconda, ellissoidale. «Una per il presente.» E la terza, dodecagonale: «Una per il futuro. Ognuna con significati ed eventi importanti per chi chiede, che interagiscono con quelli delle polle, mostrando la via. Ma l'acqua può anche restare nella polla dove viene versata, e anche questo dirà qualcosa.»
«Che cosa dicono le polle?» chiede lui, incapace di stare zitto.
E dovrebbe. Dovrebbe. Quella conoscenza è pericolosa.
Frigga indica la prima e l'ultima polla a sinistra delle vasche, in fila proprio davanti a loro .
«Vita, morte» la sua mano si sposta «e in mezzo a loro gioia e dolore, i fratelli che si tengon per mano.» Si rivolge alle restanti tre, dall'altra parte delle vasche. «E dopo i tempi e le essenze della vita, ecco le circostanze che la influenzano: i luoghi dove andiamo o veniamo condotti, ciò che creiamo – discendenza fisica o spirituale – e la magia che incontriamo, sia dentro sia fuori di noi.»
«Voi» Járnsaxa esita. Lei sorride, incoraggiante. «Credevo che la Vista fosse un dono... diverso per voi.»
«Non è solo il filato a rivelarmi segreti, Járnsaxa. Ogni creatura e creazione può esser tramite di quella voce. Luoghi come questi – foci come questo – sono una porta spalancata per chi è in grado di aprirla. Da sola, la Vista interiore è spesso un mero spioncino.»
La sua mente assetata di conoscenza assorbe ogni parola, gloriandosene. Nell'animo, Járnsaxa si sente profondamente incerto e affascinato.
La regina madre gli offre una mano. «Vieni, bambino: ti mostrerò il tuo futuro, se vuoi.»
Il suo cuore si colma di paura.
«Credevo che non poteste parlare di quanto la Vista vi rivela, pena disgrazie terribili.»
«Non posso dirti ciò che vedo. Ma in una di queste polle tu potresti vedere qualcosa, e comprenderlo. Non manchi di talento.»
È un onore immenso. Un mistero sconosciuto ai più.
«Davvero?»
«È già accaduto.»
Non dovrebbe cedere alla tentazione, ma... ora che può, vuole sapere. Vuole sentirsi dire che il dolore che prova non durerà per sempre.
E Frigga Fyörgindottir è una donna benevola. Sarebbe stato bello averla come seconda madre.
Lentamente, Járnsaxa avanza. Frigga lo conduce a monte, davanti alla vasca del passato. A un suo gesto, dai recessi della grotta emergono sette ancelle vestite di bianco, che portano brocche d'argento e intonano un nuovo canto. Un'ottava porge alla regina una brocca d'oro, che lei consegna a Járnsaxa.
«Immergila e attingi alla fonte» mormora.
Poi si unisce al canto delle donne, inginocchindosi e immergendo le mani nella vasca del passato.
Mentre i suoi gesti tracciano percorsi a lui illeggibili, Jársaxa obbedisce. La sorgiva zampilla sul fondo della grotta, alle loro spalle, raccogliendosi in una cavità liscia e grigia.
Quando ritorna gli tremano le mani.
«Pronto?» chiede la bocca della regina.
Annuisce.
Gli guida la mano, stringendo il manico insieme a lui. 
Quando spinge verso il basso, quando cade la prima goccia, il canto delle ancelle cambia.
Le ragazze inclinano le brocche e acqua pura si riversa nelle sette polle. Mulinando in un brillio di cristallo, si incanala e serpeggia con grazia nelle volute dei canali, sfocia nelle vasche insieme alla sua – alcune in una soltanto, altre in tutte, mescolandosi ai bivi dei bracci senza apparente scopo.
Járnsaxa la segue. Guidato dall'istinto, percorre la sala fiancheggiando il bordo delle vasche e osserva.
Nella vasca del passato nevi e fantasmi. Nella vasca del presente foreste, Gerð e un guizzo di capelli biondi nella tempesta.

Nella vasca del futuro, una promessa.




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L'idea della fontana è mia, vagamente ispirata dal mitologico stagno di Mimir, ma tutta originale.

Il prossimo capitolo è l'ultimo, e tutto OTP! Smut and feels, chi sale a bordo? ;D
Dai che ce la faccio prima di Natale!
   
 
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