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Autore: IShallWearMidnight    30/01/2005    4 recensioni
La Tokyo di oggi. La città che incarna i sogni e le speranze di molti, giovani o adulti che siano. Che invece, quando ogni faro effimero si è spento, non rimanga che il buio? Che, dietro alle vicende quotidiane che attraversano ogni giorno, un gruppo di adolescenti ben noti nascondano dentro di sé disillusione e disgusto? Ancora una volta, non avere nulla. Ancora una volta, non essere schiavo di nessuno. Ancora una volta, non avere legami. Ma vivere semplicemente per la tua vita è possibile se, quando chiudi gli occhi, qualcosa o qualcuno bisbiglia dal passato, o forse dal presente? O forse non puoi ignorare quei frammenti che ti trapassano il cuore, provenienti da quello specchio rotto che è il passato? La vita, alla fine, è davvero solo un inutile e disperato tentativo di resistenza?
@Iniziata la revisione dei capitoli. Capitoli rivisitati: 1/6, 11/13, 30/39@
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Nuovo Personaggio, Sha Gojio, Son Goku
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Sto arrivando

//Rebirth//


Capitolo 11 – The true mean

“Sto arrivando!”, si affrettò a dire Hakkai, sperando che la persona che stava insistentemente suonando il campanello da alcuni minuti lo sentisse.
Si stropicciò gli occhi, chiedendosi a chi potesse venire la balzana idea in mente di buttargli giù la porta alle due di notte. Non che l’avesse svegliato, ovviamente; anche quella sera Hakkai aveva scelto la veglia, piuttosto che i ricordi amari. La sua innata beneducazione lo spinse a pensare che i vicini avrebbero sicuramente protestato; idea subito cancellata dal suo malumore, che per contro lo spinse a pensare che non gliene fregava poi granché.
Le sue mani armeggiarono con l’inutile chiavistello –non aveva nulla in casa che valesse la pena d’essere rubato-, quindi scesero alla maniglia.
La luce quasi inesistente del neon giallastro del pianerottolo individuò le fattezze di un Gojyo palesemente brillo (che non si era limitato al bicchiere della staffa, probabilmente), il cui stato era molto poco velatamente suggerito dalle chiazze arrossate sugli zigomi, e dalla sclera che ormai faceva un tutt’uno con le sue iridi rosse.
“Gojyo? Che ci fai qui, a quest’ora?”. La voce di Hakkai risuonò leggermente allarmata, in contrasto con quella eccitata dell’amico.
“Non ho interrotto niente di importante, immagino!”
Hakkai aggrottò le sopracciglia, scostandosi e facendolo entrare, e Gojyo non perse tempo a stravaccarsi sul suo divano dell’amico. Sospirò. Non aveva niente contro le incursioni notturne, in fondo: doveva piuttosto essergli quasi riconoscente per avergli evitato l’ennesima notte d’inquietudine.
“Non avresti qualcosa da bere, Hakkai?”, chiese il rosso con gli ampi cenni delle mani tipici di chi è troppo inebetito per credere che le sole parole bastino per comunicare un semplice concetto.
“Temo che per stasera tu abbia bevuto anche troppo…Puzzi di alcool da fare schifo
“Macchè! Sto benissimo…riesco a vedere le cose ancora più lucidamente del solito!”
“Stento a credere persino che tu sia arrivato fin qui tutto intero, con la moto…”
“Mi pare ovvio! La mia moto mi ama e non mi farebbe mai del male! E’ la femmina più affidabile che esista, e non ti lascia mai con il culo per terra”
“Sì, sì”, tagliò conciliante Hakkai. “Mi spieghi come mai sei venuto proprio qui per smaltire la sbornia?”
Gojyo alzò gli occhi rossi verso Hakkai: “Questa è bella! Da chi se non dal mio unico amico potrei andare ad appoggiarmi nei momenti di euforia?”
“Se tu questo lo chiami ‘momento di euforia’…Io direi piuttosto che sei andato ad autocompatirti da solo, buttandoti su…almeno cinque bottiglie, direi”, sentenziò Hakkai sedendosi anche lui sul divano, accanto l’amico.
Il rosso non accettò la provocazione. “Vi siete divertiti alla festa della scimmia?”
Festa? Non è stata poi così allegra, dato che Shinobu è sparita dalla circolazione e non ha nemmeno voluto rispondere al telefono. Non è stato molto maturo da parte vostra. Per Goku, avreste potuto mettere da parte i dissapori per un paio d’ore, no?”
“Io sono andato a spassarmela, invece”
Hakkai si appoggiò con i gomiti sulle ginocchia, sfilandosi gli occhiali.
“Mi racconti con esattezza cos’è successo, piuttosto? Da ciò che si è desunto dal farfuglioso racconto di Goku, le sei saltato al collo per un’idiozia da bambini”
Non l’ho affatto aggredita; è stata lei a fare la presuntuosa e a darmi dello stronzo e del borioso”
“Andiamo, Gojyo, non è la prima volta e senza dubbio non sarà l’ultima, ma a sentire Goku quello che ne è seguito è stato più di un semplice battibecco. Perché l’hai presa in quel modo?”
“Perché la sua supponenza la detesto”. Appoggiò il capo allo schienale del divano. “Senza contare che mi sta rovinando la piazza: pensa che oggi Maki mi ha scaricato dicendo sono cambiato in peggio”
Hakkai scosse la testa, portandosi la mano alla bocca perché Gojyo non si accorgesse che gli scappava da ridere. “Quindi Gojuin non c’entra nulla, giusto?”

Gojyo parve indignato. “No di certo. Se se la vuole portare a letto, che faccia pure”
Hakkai appoggiò anche lui la nuca allo schienale del divano, lo sguardo rivolto verso il soffitto. Fece scorrere una mano sul rivestimento ruvido. Gojyo era probabilmente uno di quelli di loro ancora dotati di uno spirito tale da permettergli di annaspare nel verde mare dell’adolescenza. Se la stava godendo fino in fondo, senza dubbio. Donne, motori, -formalmente- liceo, alcool, e ogni tanto anche qualcosa di non propriamente legale.
In fondo, quasi quasi, lo capiva persino. Ironicamente, Gojyo era legato a Gojuin. Gojyo non l’avrebbe mai ammesso, ma Hakkai era convinto che il rosso lo ritenesse inconsciamente un perfetto rivale, con cui era costretto a condividere qualcosa per certi scherzi del caso. Forse, ultimamente, anche l’amore. Gojyo era così stupido da non ammettere il bisogno che provava di un affetto che non lo avrebbe mai deluso; per questo cambiava una donna al giorno: per non rimanerne deluso bastava deludere anticipatamente…
Hakkai non avrebbe mai espresso questo pensiero ad alta voce, pena il linciaggio; ma nessuno poteva impedirgli di chiedersi, a volte, se Gojyo non avesse ciò di cui aveva bisogno proprio a portata di mano…
“Perché stai ridacchiando, Hakkai?”
“Chi? Io?”
“Sono leggermente brillo, non cieco e sordomuto. A che stai pensando?”
“Al fatto che a volte ci viene voglia di mangiare una mela abbandonata lì sul tavolo proprio quando qualcun altro ha allungato la mano per prendersela”
Il rosso parve soppesare le sue parole, ma Hakkai era sicuro che i suoi neuroni, in quel momento, fossero troppo occupati ad implorare un salvagente.
“Che vorresti dire?”
“Niente, Gojyo…niente. Fammi un favore soltanto: se avverti che stai per rimettere, ti prego di guadagnare velocemente il bagno”

Sai che sei davvero antipatica?
Può darsi…ma nessuno mi ha mai insegnato ad essere una persona migliore.
Lo sai…pensavo che le notti fossero buone solo per scopare con belle donne… non mi ero mai soffermato a guardare il cielo…
Idiota.
Tu, che pensavi solo ai piaceri carnali.
Io, che non riuscivo a trovare una ragione di vita, né lì né in nessun altro posto.
Tu odiavi regole, imposizioni e tabù. A me erano indifferenti, mi bastava solo conservare quel po’ di tranquillità che ero riuscita a trovare. Camminare, camminare, camminare…non mi interessava essere l’acqua del fiume, che imperversa violentemente, riempiendo ogni silenzio con il suo fragore; mi bastava essere l’acqua di un ruscello. Qualsiasi cosa. Mi bastava continuare ad avanzare, anche in punta di piedi…
Sei stato tu a trasformarmi in acqua di fiume. Forse è stato per questo che è finita com’è finita.
Quel luogo…l’odore delle foglie fresche calpestate dalla pelle degli stivali militari…il profumo pungente della resina e quello del ferro scintillante delle lame che non hanno mai visto una sola goccia di sangue, e…
Dove ci trovavamo?
E soprattutto, chi eri tu?
Il tuo volto è arrogante e dolce allo stesso tempo…il tuo corpo mi dà sicurezza, ma alla fine ha bisogno del mio calore…
Tu sei diventato tutto ciò di cui avevo bisogno.
Hai alleviato le mie ferite, anche se io non potevo fare nulla per te.
E tu? Ti dispiaceva, o ti era indifferente?

Tu, cosa provavi per me?
Uhm…il rosso del tramonto era il mio colore preferito. Poi c’erano le violette illuminate dal sole, gli smeraldi e l’oro…tutti colori che mi erano familiari, che lo sono anche ora.
Questi discorsi da ‘domani potremmo non aver più tempo per parlarne’…tieniteli per quando e se arriverà il momento.
Dio, quanto amavo il tuo volto illuminato dall’energia che sprigionavi! Questo tuo modo di vivere momento per momento…di cancellare il passato e il futuro come se niente valessero…quanto lo adoravo…
Ti avevo chiesto se ci saremmo rivisti, prima o poi, l’ultima volta che abbiamo avuto occasione di parlarci…te l’ho chiesto con un sorriso, ma non so dove ho trovato la forza di ricacciare indietro le lacrime.
Ne sono sicuro!
L’hai
detto con quel tuo sorriso spaccone sul volto. Il fatto che tu sia un dio non vuol dire che tu sia immortale, sai? tantomeno lo sono io.
Spero che ci sarà un’altra occasione di vederti, di sentirti, di parlarti, fosse anche una su un milione, fosse anche tra migliaia di anni.
Che bello…sento il profumo dei ciliegi che mi inebria!
Shioka!


Shinobu scattò a sedere sul letto; questa volta era riuscita ad afferrare qualcosa, qualcosa di concreto. Non più il solito mosaico di sensazioni e pensieri slegati tra loro…
Strinse il lenzuolo tra le mani; non faceva freddo, ma era scossa da fremiti di eccitazione e nervosismo.
[…o forse di tristezza, chissà]
Ma l’altro, chi era? Aveva la sensazione di essere, nel sogno, in compagnia di qualcuno, ma non ne ricordava le fattezze.
Si gettò indietro sul cuscino. Si passò la mano sulla fronte leggermente sudata, sentendo che le gambe continuavano a sussultarle. Non credeva di riuscire a riaddormentarsi. Era una sensazione lontana, indefinibile, ma allo stesso tempo indubitabilmente presente, quasi fisica. Un’eccitazione mai provata, non esattamente di tipo sessuale, ma qualcosa di triste, a tratti straziante, tanto da chiuderle la gola in una morsa. Poteva ancora sentire il calore del corpo di quell’uomo, delle sue labbra. Un calore che non l’avrebbe abbandonata per tutto il resto della notte, quasi fosse disteso tra le lenzuola accanto a lei. Se mai nella vita avesse provato il lancinante desiderio di pelle nuda contro la sua, era quello.
Si ritrovò a sfiorarsi le labbra con un dito: a chi appartenevano quei ricordi? C’era qualcuno che stava cercando di mettersi in contatto con lei o…?
Chiuse gli occhi. Forse quel fremito non apparteneva a lei, e non avrebbe mai provato un calore simile; ma di una cosa era certa: se esisteva davvero una persona come quella, l’avrebbe certamente incontrata. E si sarebbe innamorata di lei.
Era una promessa.


Quella mattina Gojyo si risvegliò sul divano di Hakkai. Mise lentamente a fuoco la realtà, distinguendo l’amico, probabilmente sotto l’effetto di qualche farmaco, seduto al tavolo con un libro in mano e un bicchiere di sakè nell’altra.
Incapace di spiccicare qualsiasi cosa somigliasse ad una parola, Gojyo alzò la mano come per salutare Hakkai, scoprendo di avere forti dolori alla nuca e alla schiena, nonché un pungente dolore alle tempie, che probabilmente in capo a mezzogiorno sarebbe diventato insopportabile, e un principio di nausea.
Vedendo Hakkai bere sakè di prima mattina, ebbe il forte impulso di andare in bagno a rimettere persino l’anima, ma si trattenne e si limitò ad andare a sciacquarsi la faccia.

Hakkai fece capolino dalla porta del bagno, esordendo con uno dei suoi soliti sorrisi che parevano incollati in un volto sbagliato: raramente il suo sorriso si estendeva agli occhi.
“Buongiorno, Gojyo…dormito bene?”
“Dovresti far ricontrollare le molle del divano”, si limitò a rispondere quello bagnandosi il viso. Ora si sentiva leggermente più lucido.
“Quanto hai bevuto ieri sera?”
“Ho perso il conto al ventiseiesimo bicchierino”
Fiuuu!”, fischiò Hakkai, anche se Gojyo sapeva che quel ragazzo in apparenza gracilino avrebbe potuto berne il doppio e poi costruire un castello di carte alto due metri senza buttarlo a terra una sola volta.
“Non mi ricordo nemmeno come sono arrivato qui
“A bordo de ‘l’unica femmina che non ti lascia con il culo per terra’!”
Gojyo lo guardò senza capire, poi uscì dal bagno e andò ancora una volta a sedersi sul divano.
“Non mi capitava da tanto di sbronzarmi così”
“Spero che ti basti a lungo”
“Cazzo! Avrei anche potuto rompere la moto”
“Avresti anche potuto romperti l’osso del collo”
Gojyo sbadigliò, stirandosi come un grosso gattone rosso. “Mi presti qualcosa da mettermi addosso, Hakkai? Se torno a casa mi butto sul letto e addio lezioni”
L’amico annuì, sempre appoggiato allo stipite della porta. “Ti faccio un caffè?”
“Non sarebbe male, ma ho paura che il mio stomaco non lo reggerebbe”
“Vuoi una mela, allora?”
Silenzio. Gojyo rimase con l’asciugamano a mezz’aria.
“Questa dovrò chiederti di spiegarmela, Hakkai”
“Niente, Gojyo…niente.”


Con due enormi borse sotto gli occhi e un toast in bocca, Shinobu, una volta tanto in orario, entrò in classe; era ancora mezza vuota, ma gli sguardi che molti le lanciarono le furono più che sufficienti.
Si esibì in uno smagliante sorriso che aveva un unico significato:
Andate al diavolo tutti quanti.
Ma, soprattutto, che andasse al diavolo Gojyo.
La sua tiritera, che in bocca ad un altro avrebbe potuto passare per scenata di gelosia, l’aveva stizzita non poco. Ma ‘Gojyo, il marpione’;Gojyo, il trombafemmine’; ‘Gojyo, il Gesù-quanto-sei-infantile!’; e soprattutto quello che preferiva, ‘Gojyo, il Potresti-essere-Claudia-Schiffer-per-quel-che-me-ne-frega-non-vali-più-del-prezzo-del-preservativo-che-ho-comprato-per-fotterti’, per quel che ne sapeva, si era semplicemente esibito nel capriccio di un bambino dell’asilo che poteva essere riassunto con: ‘Hai parlato con lui che mi sta antipatico, ora ti tolgo il saluto’.
Non riusciva a spiegarselo altrimenti, perché sarebbe stata più incline a credere Sanzo un infiltrato della Caritas, piuttosto che Gojyo geloso.
E non era mai riuscita a cavare a lui o ad Hakkai uno straccio di spiegazione sulla sua presunta rivalità con Gojuin. Spesso si stupiva di quanto poco sapesse di quelli che considerava a pieno titolo ‘amici’. Famiglia…ne avevano? Qualcosa senza dubbio aveva dovuto dar vita a tutte le ombre che avevano negli occhi, a quegli sguardi da bambini spauriti mascherati da cavalieri senza macchia.
Qualcosa che difficilmente lei avrebbe potuto capire, o anche solo mandar giù, una persona che, in fondo, aveva tutto e semplicemente non riusciva a trarne giovamento.
Appoggiò il mento sul braccio, attendendo che suonasse la campana. Doveva parlare assolutamente con Hakkai. Non avrebbe certamente saputo né voluto descrivergli le sensazioni che quella presenza le aveva suscitato, ma il nome era di sicuro importante. Magari Hakkai l’avrebbe riconosciuto, un punto d’incontro concreto e reale. Qualcosa da cui partire in quella storia in cui non c’era nessun dove a cui arrivare, quantomeno. E magari Sanzo, Goku. Gojyo…che si fottesse, per il momento. Che bruciasse all’inferno sodomizzato da migliaia di diavoli armati di forcone.  


Hakkai sospirò.
Casa sua, negli ultimi tempi, gli sembrava sempre di più una sede per sedute psicoanalitiche: persone depresse, ubriache, insonni, etc…non era un pensiero carino, in quel momento, con Shinobu davanti che tentava di fasciarsi alla bell’e meglio la spalla, e uno sguardo tutt’altro che sbarazzino in viso, ma tant’era.
In effetti, aveva conoscenze davvero singolari…
Un trombeur des femmes in costante attività ormonale, che ultimamente si lasciava andare un po’ troppo spesso a eccedenze alcoliche.
Una ragazza lunatica, che alternava fasi di ottimismo acuto alla depressione più nera, senza riuscire ad impegnarsi in alcunché.
Un ragazzino sempre affamato, dal passato oscuro, che ultimamente era sempre irreperibile.
Un arrogante e violento biondino dal temperamento focoso, che chissà cosa nascondeva…
Ultimo ma non meno strambo, proprio lui: un ipocrita che nascondeva le sue colpe sotto un sorriso falso, a cui non importava niente della vita e che non si aspettava niente più da essa.
Hakkai sospirò…con una visita collettiva da uno psichiatra, sicuramente avrebbero fatto vivere di rendita per tutta la vita lui, suo figlio e suo nipote.
Non che gli piacessero gli psichiatri, beninteso. Li considerava ipocriti che per denaro frughino nella psiche umana per cercare le ragioni di un determinato comportamento…certo, come se i comportamenti umani, spesso così tremendamente meschini e orribili, potessero essere spiegati.
Non amava l’essere umano, Hakkai. Ma poiché c’era nato, essere umano, tanto valeva giocare la sua mano di carte fino in fondo. Buon viso a cattivo gioco, buon viso a cattivo gioco. Non negava, tuttavia, di provare un certo colpevole affetto, che forse era più un misto di rispetto e lealtà, verso Gojyo, verso Shinobu, e sì, anche verso Goku, e un qualche tipo di soggezione verso Sanzo.   
Non era così stupido da non ammettere, anche, che il suo ‘sentimento’ era in buona misura ricambiato da Gojyo, e forse surclassato da Shinobu, che al di là dei suoi modi da ‘mi mangio il mondo’, avrebbe visto benissimo nello stupido atto di sacrificare se stessa per qualcun altro.
Nondimeno, escluso forse Gojyo, ciò che Shinobu e Goku vedevano di lui era l’Hakkai gentile, l’Hakkai premuroso e socievole, probabilmente anche qualche fattezza di Hakkai l’ipocrita. Ma di certo non Hakkai l’assassino.
“Tieni, Hakkai”, lo riportò alla realtà la voce spenta di Shinobu. “Grazie di tutto”
Hakkai prese in mano il rotolo di bende, poi le si avvicinò e iniziò a scioglierle quelle che tato faticosamente si era fatta passare attorno al braccio. “Ti sembra un bendaggio questo? Ti scivolerà via appena muovi la spalla”
Shinobu, remissiva, lasciò che Hakkai le facesse scivolare giù la camicia della divisa e le stringesse la bendatura.
Che è successo, stavolta?”
Shinobu si lasciò scivolare fino ad appoggiargli la fronte sul torace. “Giornata sbagliata, Hakkai. Solo che ne ho fin troppe, ultimamente.”
Il tono del moro era conciliante, rassegnato, mentre continuava a stringere il nodo. “Ennesima scazzottata? Redarguisci tanto Gojyo, ma alla fine razzoli abbastanza male, Shinobu…”
“…ammetto che stavolta ho scagliato la prima pietra. Giornata no, Hakkai, te l’ho detto. Cristo, dov’eri durante la pausa pranzo?”
“Mi ha trattenuto un professore per delle fotocopie…non ho avuto neanche il tempo di mangiare…cosa…?”
La sentì deglutire contro la sua maglietta. “Meglio starsene a casa, in questi giorni. Il problema è che in casa mi ci dovrei chiudere e non uscire più. All’uscita…stavo venendo da te perché pensavo non fossi venuto a scuola…ho incontrato uno dei soliti gruppetti di ragazze…hanno cercato di prendermi la borsa, forse volevano buttarla da qualche parte, non so…fatto sta che ho colpito, ho colpito piuttosto forte, la prima che mi è capitata davanti. Non…”
Tacque. Hakkai non parlò. Aveva finito il bendaggio, ma non si muoveva.
“…Hakkai, diamine, non mi piace combattere contro il mondo, non voglio…ma…diavolo, c’è sempre qualcuno che tenta di mettermi sotto, io vorrei soltanto…”. La voce era ora impastata di pianto. “Vorrei soltanto non procedere con la testa troppo bassa. Ma a volte mi sembra così dannatamente impossibile…”
“Ci proviamo tutti, Shinobu”. La voce di Hakkai tremava leggermente. “Chiniamo troppo la testa e procediamo senza farci vedere né vedere nulla noi stessi, o la teniamo ben alta e continuiamo a prendere a testate il mondo…non riusciamo a trovare una via di mezzo per camminare semplicemente perché prima dobbiamo inciampare tanto e cadere. E c’è chi continuerà a cadere per tutta la vita, Shinobu, ma penso che tu abbia la forza per rialzarti ogni volta”
“Rialzarmi diventa ogni giorno più difficile”, mormorò la ragazza senza muoversi di un centimetro. “Ti è mai passato per la testa di non rialzarti più?”
Hakkai non rispose.
“Ogni tanto, la mattina, apro gli occhi e mi chiedo come sarebbe, invece, restarmene a letto. Non intendo a poltrire, intendo proprio restare a dormire senza più svegliarmi. Ogni tanto mi incuriosisce la morte, in questo senso. Magari farei un favore a qualcuno, togliendomi di mezzo, che ne pensi?”
Sentì Hakkai che si irrigidiva.
“…tu non ci hai mai pensato? Non hai mai creduto che forse sia stato un errore venire al mondo?”
“…provaci.”
Shinobu sbarrò gli occhi, ancora appoggiata al torace di Hakkai, irrigidito nella sua posizione eretta.
“Avanti. Ti accompagno, se vuoi”
La stretta sulle sue spalle fu dura. Hakkai la scostò da sé. Il gesto in sé fu delicato, ma il sorriso sinistro che Shinobu gli vide sul volto non lo fu altrettanto.
“Non è difficile, sai? Ci sono molti modi…puoi semplicemente andare in cucina lì dentro e prendere un coltello. Ti consiglio le vene dei polsi, possibilmente fallo dentro la vasca così dovrò solo sciacquare via il sangue. O vuoi qualcosa di più plateale e rapido? A Tokyo ci sono migliaia di grattacieli. Scegline uno e fatti un bel volo. O preferisci un ponte?”
“…Hakkai?”
“Sì, coraggio. Un bel ponte.”
Come quello da cui mi stavo tirando giù io, che sì, me lo sono detto decine di volte che è stato un errore venire al mondo. Oh, sì, probabilmente se l’è detto anche Kanan. Tante volte, almeno finchè il suo sangue non è finito sulla tappezzeria della mia stanza.
Shinobu scattò in piedi. La benda, premurosamente stretta da Hakkai, si disciolse e restò impigliata alla sua spalla per una decina di secondi, quindi cadde a terra. Si sentiva le labbra secche, il viso paonazzo.
“Cristo, Shinobu, ti ascolti mai parlare, ogni tanto? Giusto una volta soltanto, tanto per controllare?”
Non credeva che avrebbe mai sentito Hakkai imprecare, eppure così fu.
Non capiva. Perché si era scaldato tanto? Non è normale, per un essere umano, almeno per una volta, desiderare la morte? Mettere in discussione la propria esistenza, non serve ad affermare l’umanità di una persona?
“Idiota…trovo stupendamente idiota questa conversazione.”, sibilò Hakkai, tanto per concludere.
Perfetto, Hakkai, così si fa. Urlale in faccia, sputale addosso la tua stessa vergogna. Almeno lei non c’è arrivata, con le gambe oltre la balaustra di un ponte di Yokohama. E le mattonelle del tuo bagno sono ancora linde e pinte.
Una smorfia incomprensibile si dipinse sul volto di Shinobu, mentre tentava di raccogliere abbastanza forza per uscire dall’appartamento di Hakkai. Un’ulteriore reazione dell’amico la spinse a rialzare lo sguardo: Hakkai stava ridendo.
Appoggiato al tavolo, una mano a coprirgli il volto, Hakkai rideva amaramente.
“Ma
sì, dai, ti sto criticando proprio io! Proprio divertente la cosa, sai?”

E’ tutto inutile, ormai…

E’ stato un errore.
“Evidentemente è
il mio karma, vedere le persone a me vicine morire per mano propria! Coraggio, dai! Hai deciso in che modo vuoi farlo?”
Shinobu mosse un passo, un altro. Le tremavano leggermente le mani, e anche le gambe, a dirla tutta. Posò le mani aperte sul torace di Hakkai, fino a spingerlo contro il muro, quindi, senza una parola, lo abbracciò.
Non disse nulla per alcuni minuti, che sembrarono ad entrambi lenti come ore e brucianti come secoli. Quindi, senza muoversi, mormorò: “Chi è stato, Hakkai?”
Nessuna risposta.
“Hakkai, hai tutte le ragioni per non voler parlare più con una simile idiota. Dico cose stupide, e nella maggior parte dei casi penso anche cose stupide. Non sono dotata della benché minima sensibilità e…”
“Mia sorella. O la mia amante, chiamala come vuoi. Era entrambe le cose”

Hakkai decise, per la prima volta dopo tanto tempo, da quando aveva raccontato di sé a Gojyo, la prima persona importante della sua vita da quando era successo, di non rinchiudere dentro di sé quella parte della sua vita così dolorosa, ma di affrontarla.

Forse ciò che lo legava a quel ragazzo dagli occhi rossi era proprio un amore svanito in un mare di sangue.

I suoi ricordi volarono ad alcuni anni addietro, quando era ancora uno studente delle medie, sempre più maturo della sua età e serio, ma tutto sommato “normale”.

Non si poteva dire che fosse una persona allegra; il suo carattere chiuso teneva lontani non solo i suoi coetanei, ma anche gli adulti, e persino i suoi stessi genitori, che comunque, gestendo un’importante azienda, non avevano troppo tempo per occuparsi dei due gemelli.

Gemelli.

Purtroppo, il rapporto tra fratelli può essere difficile.

Specialmente se sono gemelli, se sono nati insieme ed hanno condiviso ogni momento della loro vita fin dalla nascita.

Io…non voglio avere altri che te, Kanan.

Era quello che, ingenuamente, ripeteva il ragazzo alla sorella, che gli sorrideva dolcemente.

Lei era tutto il suo mondo: se lei non fosse esistita, il mondo avrebbe anche potuto cessare di esistere.

L’affetto fraterno divenne qualcosa di più.

Le carezze di due fratelli divennero un tocco più profondo e incestuoso.

Quei due fratelli avevano finito per unirsi.

Dove stava il problema? A nessuno dei due importava di ciò che pensasse la gente; entrambi volevano solo essere felici.

Impararono ben presto che, al contrario, il mondo può essere un posto molto triste.

Hakkai…ormai è troppo tardi.

Che stai dicendo, Kanan?

Non possiamo più tornare indietro.

Che vuol dire?

Adesso, Hakkai…dobbiamo pagare il prezzo della nostra felicità.

Kanan…cosa stai cercando di dirmi?

Che sono incinta.

Che cosa?

Che dolore. Non pensavo che le parole potessero penetrare così a fondo nel cuore di una persona…

Aspetto un bambino, Hakkai.

Non può essere!

Non…c’è più nulla da fare. Ormai…

Troveremo una soluzione, Kanan. Insieme.

Insieme.

No!

Perché ti ritrai? Perché rifiuti le mie mani, che tante volte ti hanno stretto?

Kanan, perché stai piangendo?

Noi…non saremmo dovuti venire al mondo!

Non dire così…

E’ tutto inutile, Hakkai!

Kanan, ti prego. Smettila di scherzare e posa quel coltello.

Addio…sono stata felice, ma ormai è finita. Non posso partorire tuo figlio.

Kanan, non farlo! Smettila!

Sangue.

Non ne avevo mai visto così tanto…

E’ stata tutta colpa mia.

E’ come se le avessi inferto io quelle pugnalate al cuore.

Io ho ucciso Kanan.

Tu…saresti dovuto morire al suo posto!

Schifoso bastardo…cosa hai fatto a mia figlia?

Voi…a cui non è importato mai nulla di noi due, adesso…

Ma certo.

Non è una buona pubblicità per la vostra azienda, vero?

Vattene via.

Io…

Vattene via!

Forse sarebbe meglio che morissi anch’io?

Forse.

Non avrebbe voluto risvegliargli brutti ricordi, non avrebbe voluto vedere il lato più fragile di Hakkai. Avrebbe voluto continuare a credere che quel ragazzo l’avrebbe sempre rassicurata con la sua presenza, che sarebbe sempre stato sorridente e sicuro di sé, invece…
L’ombra negli occhi di Hakkai aveva finalmente preso forma, si era palesata più improvvisamente e disperatamente che mai. I palmi aperti contro il muro gelido, Shinobu piangeva. E non aveva il coraggio di alzare lo sguardo, perché probabilmente avrebbe visto anche Hakkai piangere. Hakkai, che credeva di averle esaurite tutte, quelle lacrime. Lo sentiva, sentiva il suo torace contrarsi in singhiozzi…e avrebbe voluto sparire, veramente, per aver pungolato una simile ferita con la sua idiozia. Mai, non avrebbe mai più ripetuto una cosa del genere, lo prometteva a se stessa.

   Continua…
[leggermente riveduta e corretta in data 03/01/08]

 

 

 

   
 
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