//Rebirth//
Capitolo 11 – The true
mean
“Sto arrivando!”, si affrettò a dire Hakkai, sperando
che la persona che stava insistentemente suonando il campanello da alcuni minuti lo sentisse.
Si stropicciò gli occhi, chiedendosi a chi potesse venire la balzana idea in
mente di buttargli giù la porta alle due di notte. Non che l’avesse svegliato,
ovviamente; anche quella sera Hakkai aveva scelto la veglia, piuttosto che i
ricordi amari. La sua innata beneducazione lo spinse a pensare che i vicini
avrebbero sicuramente protestato; idea subito cancellata dal suo malumore, che
per contro lo spinse a pensare che non gliene fregava poi granché.
Le sue mani armeggiarono con l’inutile chiavistello –non aveva nulla in casa
che valesse la pena d’essere rubato-, quindi scesero alla maniglia.
La luce quasi inesistente del neon giallastro del pianerottolo individuò le
fattezze di un Gojyo palesemente brillo (che non si era limitato al bicchiere
della staffa, probabilmente), il cui stato era molto poco
velatamente suggerito dalle chiazze arrossate sugli zigomi, e dalla sclera che
ormai faceva un tutt’uno con le sue iridi rosse.
“Gojyo? Che ci fai qui, a quest’ora?”. La voce di Hakkai risuonò leggermente allarmata, in contrasto con quella eccitata dell’amico.
“Non ho interrotto niente di importante, immagino!”
Hakkai aggrottò le sopracciglia, scostandosi e facendolo entrare, e Gojyo non
perse tempo a stravaccarsi sul suo divano dell’amico. Sospirò. Non aveva niente
contro le incursioni notturne, in fondo: doveva piuttosto essergli quasi
riconoscente per avergli evitato l’ennesima notte d’inquietudine.
“Non avresti qualcosa da bere, Hakkai?”, chiese il rosso con gli ampi cenni
delle mani tipici di chi è troppo inebetito per credere che le sole parole
bastino per comunicare un semplice concetto.
“Temo che per stasera tu abbia bevuto anche troppo…Puzzi di alcool
da fare schifo
“Macchè! Sto benissimo…riesco a vedere le cose ancora più lucidamente del
solito!”
“Stento a credere persino che tu sia arrivato fin qui tutto intero, con la
moto…”
“Mi pare ovvio! La mia moto mi ama e non mi farebbe
mai del male! E’ la femmina più affidabile che esista, e non ti lascia mai con
il culo per terra”
“Sì, sì”, tagliò conciliante Hakkai. “Mi spieghi come mai sei venuto proprio
qui per smaltire la sbornia?”
Gojyo alzò gli occhi rossi verso Hakkai: “Questa è bella! Da chi se non dal mio
unico amico potrei andare ad appoggiarmi nei momenti
di euforia?”
“Se tu questo lo chiami ‘momento di euforia’…Io direi
piuttosto che sei andato ad autocompatirti da solo,
buttandoti su…almeno cinque bottiglie, direi”, sentenziò Hakkai sedendosi anche
lui sul divano, accanto l’amico.
Il rosso non accettò la provocazione. “Vi siete divertiti alla festa della
scimmia?”
“Festa? Non è stata poi così allegra,
dato che Shinobu è sparita dalla circolazione e non ha nemmeno voluto
rispondere al telefono. Non è stato molto maturo da parte vostra. Per Goku,
avreste potuto mettere da parte i dissapori per un paio d’ore, no?”
“Io sono andato a spassarmela, invece”
Hakkai si appoggiò con i gomiti sulle ginocchia,
sfilandosi gli occhiali.
“Mi racconti con esattezza cos’è successo, piuttosto?
Da ciò che si è desunto dal farfuglioso racconto di
Goku, le sei saltato al collo per un’idiozia da bambini”
“Non l’ho affatto aggredita; è stata lei a fare la
presuntuosa e a darmi dello stronzo e del borioso”
“Andiamo, Gojyo, non è la prima volta e senza dubbio non sarà l’ultima, ma a
sentire Goku quello che ne è seguito è stato più di un semplice battibecco. Perché l’hai presa in quel modo?”
“Perché la sua supponenza la detesto”. Appoggiò il capo allo schienale del
divano. “Senza contare che mi sta rovinando la piazza: pensa che oggi Maki mi ha scaricato dicendo sono cambiato in peggio”
Hakkai scosse la testa, portandosi la mano alla bocca perché Gojyo non si
accorgesse che gli scappava da ridere. “Quindi Gojuin non c’entra nulla, giusto?”
Gojyo parve indignato. “No di
certo. Se se la vuole portare a letto, che faccia pure”
Hakkai appoggiò anche lui la nuca allo schienale del divano, lo sguardo rivolto verso il soffitto. Fece scorrere una mano sul
rivestimento ruvido. Gojyo era probabilmente uno di quelli di loro ancora
dotati di uno spirito tale da permettergli di
annaspare nel verde mare dell’adolescenza. Se la stava
godendo fino in fondo, senza dubbio. Donne, motori,
-formalmente- liceo, alcool, e ogni tanto anche qualcosa di non propriamente
legale.
In fondo, quasi quasi, lo capiva persino.
Ironicamente, Gojyo era legato a Gojuin. Gojyo non
l’avrebbe mai ammesso, ma Hakkai era convinto che il
rosso lo ritenesse inconsciamente un perfetto rivale, con cui era costretto a
condividere qualcosa per certi scherzi del caso. Forse, ultimamente, anche
l’amore. Gojyo era così stupido da non ammettere il bisogno che provava di un
affetto che non lo avrebbe mai deluso; per questo cambiava una donna al giorno: per non rimanerne deluso bastava deludere
anticipatamente…
Hakkai non avrebbe mai espresso questo pensiero ad alta voce, pena il
linciaggio; ma nessuno poteva impedirgli di chiedersi, a volte, se Gojyo non
avesse ciò di cui aveva bisogno proprio a portata di mano…
“Perché stai ridacchiando, Hakkai?”
“Chi? Io?”
“Sono leggermente brillo, non cieco e sordomuto. A che stai pensando?”
“Al fatto che a volte ci viene voglia di mangiare una mela abbandonata lì sul
tavolo proprio quando qualcun altro ha allungato la
mano per prendersela”
Il rosso parve soppesare le sue parole, ma Hakkai era sicuro che i suoi
neuroni, in quel momento, fossero troppo occupati ad implorare un salvagente.
“Che vorresti dire?”
“Niente, Gojyo…niente. Fammi un favore soltanto: se avverti che stai per
rimettere, ti prego di guadagnare velocemente il bagno”
Sai che sei davvero antipatica?
Può darsi…ma nessuno mi ha mai insegnato ad essere
una persona migliore.
Lo sai…pensavo
che le notti fossero buone solo per scopare con belle donne… non mi ero mai
soffermato a guardare il cielo…
Idiota.
Tu, che pensavi solo
ai piaceri carnali.
Io, che non riuscivo a trovare una ragione di vita, né lì né
in nessun altro posto.
Tu odiavi regole, imposizioni e tabù. A me erano indifferenti, mi bastava solo
conservare quel po’ di tranquillità che ero riuscita a trovare. Camminare,
camminare, camminare…non mi interessava essere l’acqua
del fiume, che imperversa violentemente, riempiendo ogni silenzio con il suo
fragore; mi bastava essere l’acqua di un ruscello. Qualsiasi cosa. Mi bastava
continuare ad avanzare, anche in punta di piedi…
Sei stato tu a trasformarmi in acqua di fiume. Forse è stato
per questo che è finita com’è finita.
Quel luogo…l’odore delle foglie fresche calpestate
dalla pelle degli stivali militari…il profumo pungente della resina e quello
del ferro scintillante delle lame che non hanno mai visto una sola goccia di
sangue, e…
Dove ci trovavamo?
E soprattutto, chi eri tu?
Il tuo volto è arrogante e dolce allo stesso tempo…il tuo corpo mi dà
sicurezza, ma alla fine ha bisogno del mio calore…
Tu sei diventato tutto ciò di cui avevo bisogno.
Hai alleviato le mie ferite, anche se io non potevo fare nulla per te.
E tu? Ti dispiaceva, o ti era indifferente?
Tu, cosa provavi per me?
Uhm…il rosso del tramonto era il mio colore preferito.
Poi c’erano le violette illuminate dal sole, gli smeraldi e l’oro…tutti colori
che mi erano familiari, che lo sono anche ora.
Questi discorsi da ‘domani potremmo non aver più tempo per parlarne’…tieniteli
per quando e se arriverà il momento.
Dio, quanto amavo il tuo volto illuminato
dall’energia che sprigionavi! Questo tuo modo di vivere momento per momento…di
cancellare il passato e il futuro come se niente valessero…quanto
lo adoravo…
Ti avevo chiesto se ci saremmo rivisti, prima o poi, l’ultima volta che abbiamo
avuto occasione di parlarci…te l’ho chiesto con un sorriso, ma non so dove ho
trovato la forza di ricacciare indietro le lacrime.
Ne sono sicuro!
L’hai detto con quel tuo sorriso
spaccone sul volto. Il fatto che tu sia un dio non vuol dire
che tu sia immortale, sai? Né tantomeno
lo sono io.
Spero che ci sarà un’altra occasione di vederti, di sentirti, di parlarti,
fosse anche una su un milione, fosse anche tra migliaia di anni.
Che bello…sento il profumo dei ciliegi che mi inebria!
Shioka!
Shinobu scattò a sedere sul letto; questa volta era riuscita ad
afferrare qualcosa, qualcosa di concreto. Non più il solito mosaico di
sensazioni e pensieri slegati tra loro…
Strinse il lenzuolo tra le mani; non faceva freddo,
ma era scossa da fremiti di eccitazione e nervosismo.
[…o forse di tristezza, chissà]
Ma l’altro, chi era? Aveva la sensazione di essere,
nel sogno, in compagnia di qualcuno, ma non ne ricordava le fattezze.
Si gettò indietro sul cuscino. Si passò la mano sulla fronte leggermente
sudata, sentendo che le gambe continuavano a sussultarle. Non credeva di
riuscire a riaddormentarsi. Era una sensazione lontana, indefinibile, ma allo
stesso tempo indubitabilmente presente, quasi fisica. Un’eccitazione
mai provata, non esattamente di tipo sessuale, ma qualcosa di triste, a tratti
straziante, tanto da chiuderle la gola in una morsa. Poteva ancora
sentire il calore del corpo di quell’uomo, delle sue
labbra. Un calore che non l’avrebbe abbandonata per tutto il
resto della notte, quasi fosse disteso tra le lenzuola accanto a lei. Se mai nella vita avesse provato il lancinante desiderio di pelle
nuda contro la sua, era quello.
Si ritrovò a sfiorarsi le labbra con un dito: a chi appartenevano quei ricordi?
C’era qualcuno che stava cercando di mettersi in contatto con lei o…?
Chiuse gli occhi. Forse quel fremito non apparteneva a lei, e non avrebbe mai provato un calore simile; ma di una cosa era
certa: se esisteva davvero una persona come quella, l’avrebbe certamente
incontrata. E si sarebbe innamorata di lei.
Era una promessa.
Quella mattina Gojyo si risvegliò sul divano di Hakkai. Mise lentamente a fuoco
la realtà, distinguendo l’amico, probabilmente sotto l’effetto di qualche
farmaco, seduto al tavolo con un libro in mano e un bicchiere di sakè nell’altra.
Incapace di spiccicare qualsiasi cosa somigliasse ad
una parola, Gojyo alzò la mano come per salutare Hakkai, scoprendo di avere
forti dolori alla nuca e alla schiena, nonché un pungente dolore alle tempie,
che probabilmente in capo a mezzogiorno sarebbe diventato insopportabile, e un
principio di nausea.
Vedendo Hakkai bere sakè di prima mattina, ebbe il
forte impulso di andare in bagno a rimettere persino l’anima, ma si trattenne e
si limitò ad andare a sciacquarsi la faccia.
Hakkai fece capolino dalla porta
del bagno, esordendo con uno dei suoi soliti sorrisi che parevano incollati in
un volto sbagliato: raramente il suo sorriso si estendeva agli occhi.
“Buongiorno, Gojyo…dormito bene?”
“Dovresti far ricontrollare le molle del divano”, si limitò a rispondere quello
bagnandosi il viso. Ora si sentiva leggermente più lucido.
“Quanto hai bevuto ieri sera?”
“Ho perso il conto al ventiseiesimo bicchierino”
“Fiuuu!”, fischiò Hakkai, anche se Gojyo sapeva che
quel ragazzo in apparenza gracilino avrebbe potuto berne il doppio e poi
costruire un castello di carte alto due metri senza buttarlo a terra una sola
volta.
“Non mi ricordo nemmeno come sono arrivato qui”
“A bordo de ‘l’unica femmina che non ti lascia con il culo
per terra’!”
Gojyo lo guardò senza capire, poi uscì dal bagno e andò ancora una volta a
sedersi sul divano.
“Non mi capitava da tanto di sbronzarmi così”
“Spero che ti basti a lungo”
“Cazzo! Avrei anche potuto rompere la moto”
“Avresti anche potuto romperti l’osso del collo”
Gojyo sbadigliò, stirandosi come un grosso gattone
rosso. “Mi presti qualcosa da mettermi addosso, Hakkai? Se torno a casa mi butto sul letto e addio lezioni”
L’amico annuì, sempre appoggiato allo stipite della porta. “Ti faccio un caffè?”
“Non sarebbe male, ma ho paura che il mio stomaco non lo reggerebbe”
“Vuoi una mela, allora?”
Silenzio. Gojyo rimase con l’asciugamano a mezz’aria.
“Questa dovrò chiederti di spiegarmela, Hakkai”
“Niente, Gojyo…niente.”
Con due enormi borse sotto gli occhi e un toast in bocca, Shinobu, una volta
tanto in orario, entrò in classe; era ancora mezza vuota, ma gli sguardi che
molti le lanciarono le furono più che sufficienti.
Si esibì in uno smagliante sorriso che aveva un unico significato:
Andate al diavolo tutti quanti.
Ma, soprattutto, che andasse al diavolo Gojyo.
La sua tiritera, che in bocca ad un altro avrebbe potuto passare per scenata di
gelosia, l’aveva stizzita non poco. Ma ‘Gojyo, il marpione’; ‘Gojyo, il trombafemmine’;
‘Gojyo, il Gesù-quanto-sei-infantile!’; e soprattutto
quello che preferiva, ‘Gojyo, il
Potresti-essere-Claudia-Schiffer-per-quel-che-me-ne-frega-non-vali-più-del-prezzo-del-preservativo-che-ho-comprato-per-fotterti’,
per quel che ne sapeva, si era semplicemente esibito nel capriccio di un
bambino dell’asilo che poteva essere riassunto con: ‘Hai parlato con lui che mi
sta antipatico, ora ti tolgo il saluto’.
Non riusciva a spiegarselo altrimenti, perché sarebbe stata più incline a
credere Sanzo un infiltrato della Caritas, piuttosto
che Gojyo geloso.
E non era mai riuscita a cavare a lui o ad Hakkai uno
straccio di spiegazione sulla sua presunta rivalità con Gojuin.
Spesso si stupiva di quanto poco sapesse di quelli che considerava a pieno
titolo ‘amici’. Famiglia…ne avevano? Qualcosa senza
dubbio aveva dovuto dar vita a tutte le ombre che
avevano negli occhi, a quegli sguardi da bambini spauriti mascherati da
cavalieri senza macchia.
Qualcosa che difficilmente lei avrebbe potuto capire, o anche
solo mandar giù, una persona che, in fondo, aveva tutto e semplicemente non
riusciva a trarne giovamento.
Appoggiò il mento sul braccio, attendendo che suonasse
la campana. Doveva parlare assolutamente con Hakkai. Non avrebbe certamente
saputo né voluto descrivergli le sensazioni che quella presenza le aveva suscitato, ma il nome era di sicuro importante. Magari
Hakkai l’avrebbe riconosciuto, un punto d’incontro concreto e reale. Qualcosa da cui partire in quella storia in cui non c’era nessun
dove a cui arrivare, quantomeno. E magari Sanzo,
Goku. Gojyo…che si fottesse,
per il momento. Che bruciasse all’inferno sodomizzato da
migliaia di diavoli armati di forcone.
Hakkai sospirò.
Casa sua, negli ultimi tempi, gli sembrava sempre di più una sede per sedute
psicoanalitiche: persone depresse, ubriache, insonni, etc…non
era un pensiero carino, in quel momento, con Shinobu davanti che tentava di
fasciarsi alla bell’e meglio
la spalla, e uno sguardo tutt’altro che sbarazzino in
viso, ma tant’era.
In effetti, aveva conoscenze davvero singolari…
Un trombeur des femmes in costante attività ormonale, che ultimamente si
lasciava andare un po’ troppo spesso a eccedenze
alcoliche.
Una ragazza lunatica, che alternava fasi di ottimismo
acuto alla depressione più nera, senza riuscire ad impegnarsi in alcunché.
Un ragazzino sempre affamato, dal passato oscuro, che
ultimamente era sempre irreperibile.
Un arrogante e violento biondino dal temperamento focoso, che chissà cosa
nascondeva…
Ultimo ma non meno strambo, proprio lui: un ipocrita che nascondeva le sue
colpe sotto un sorriso falso, a cui non importava niente della vita e che non
si aspettava niente più da essa.
Hakkai sospirò…con una visita collettiva da uno psichiatra,
sicuramente avrebbero fatto vivere di rendita per tutta la vita lui, suo
figlio e suo nipote.
Non che gli piacessero gli psichiatri, beninteso. Li
considerava ipocriti che per denaro frughino nella
psiche umana per cercare le ragioni di un determinato comportamento…certo, come
se i comportamenti umani, spesso così tremendamente meschini e orribili, potessero
essere spiegati.
Non amava l’essere umano, Hakkai. Ma poiché c’era
nato, essere umano, tanto valeva giocare la sua mano di carte fino in fondo.
Buon viso a cattivo gioco, buon viso a cattivo gioco.
Non negava, tuttavia, di provare un certo colpevole affetto, che forse era più
un misto di rispetto e lealtà, verso Gojyo, verso Shinobu, e sì, anche verso
Goku, e un qualche tipo di soggezione verso Sanzo.
Non era così stupido da non ammettere, anche, che il suo ‘sentimento’ era in
buona misura ricambiato da Gojyo, e forse surclassato da Shinobu, che al di là dei suoi modi da ‘mi mangio il mondo’,
avrebbe visto benissimo nello stupido atto di sacrificare se stessa per qualcun
altro.
Nondimeno, escluso forse Gojyo, ciò che Shinobu e Goku vedevano di lui era
l’Hakkai gentile, l’Hakkai premuroso e socievole,
probabilmente anche qualche fattezza di Hakkai l’ipocrita. Ma di certo non Hakkai l’assassino.
“Tieni, Hakkai”, lo riportò alla realtà la voce spenta di Shinobu. “Grazie di
tutto”
Hakkai prese in mano il rotolo di bende, poi le si avvicinò
e iniziò a scioglierle quelle che tato faticosamente
si era fatta passare attorno al braccio. “Ti sembra un bendaggio questo? Ti
scivolerà via appena muovi la spalla”
Shinobu, remissiva, lasciò che Hakkai le facesse
scivolare giù la camicia della divisa e le stringesse la bendatura.
“Che è successo, stavolta?”
Shinobu si lasciò scivolare fino ad appoggiargli la fronte sul torace. “Giornata
sbagliata, Hakkai. Solo che ne ho fin troppe,
ultimamente.”
Il tono del moro era conciliante, rassegnato, mentre continuava a stringere il
nodo. “Ennesima scazzottata? Redarguisci tanto Gojyo, ma alla fine razzoli
abbastanza male, Shinobu…”
“…ammetto che stavolta ho scagliato la prima pietra.
Giornata no, Hakkai, te l’ho detto. Cristo, dov’eri durante la pausa pranzo?”
“Mi ha trattenuto un professore per delle fotocopie…non ho avuto neanche il
tempo di mangiare…cosa…?”
La sentì deglutire contro la sua maglietta. “Meglio
starsene a casa, in questi giorni. Il problema è che
in casa mi ci dovrei chiudere e non uscire più. All’uscita…stavo venendo da te
perché pensavo non fossi venuto a scuola…ho incontrato uno dei soliti gruppetti
di ragazze…hanno cercato di prendermi la borsa, forse
volevano buttarla da qualche parte, non so…fatto sta che ho colpito, ho colpito
piuttosto forte, la prima che mi è capitata davanti. Non…”
Tacque. Hakkai non parlò. Aveva finito il bendaggio, ma non si muoveva.
“…Hakkai, diamine, non mi piace combattere contro il mondo, non voglio…ma…diavolo, c’è sempre qualcuno che tenta di mettermi
sotto, io vorrei soltanto…”. La voce era ora impastata di pianto. “Vorrei
soltanto non procedere con la testa troppo bassa. Ma a
volte mi sembra così dannatamente impossibile…”
“Ci proviamo tutti, Shinobu”. La voce di Hakkai tremava leggermente. “Chiniamo
troppo la testa e procediamo senza farci vedere né vedere
nulla noi stessi, o la teniamo ben alta e continuiamo a prendere a testate il
mondo…non riusciamo a trovare una via di mezzo per camminare semplicemente
perché prima dobbiamo inciampare tanto e cadere. E c’è
chi continuerà a cadere per tutta la vita, Shinobu, ma penso che tu abbia la
forza per rialzarti ogni volta”
“Rialzarmi diventa ogni giorno più difficile”, mormorò la ragazza senza
muoversi di un centimetro. “Ti è mai passato per la testa di non rialzarti
più?”
Hakkai non rispose.
“Ogni tanto, la mattina, apro gli occhi e mi chiedo come sarebbe, invece,
restarmene a letto. Non intendo a poltrire, intendo proprio restare a dormire senza più svegliarmi. Ogni tanto mi incuriosisce
la morte, in questo senso. Magari farei un favore a qualcuno, togliendomi di
mezzo, che ne pensi?”
Sentì Hakkai che si irrigidiva.
“…tu non ci hai mai pensato? Non hai mai creduto che forse sia
stato un errore venire al mondo?”
“…provaci.”
Shinobu sbarrò gli occhi, ancora appoggiata al torace di Hakkai, irrigidito
nella sua posizione eretta.
“Avanti. Ti accompagno, se vuoi”
La stretta sulle sue spalle fu dura. Hakkai la scostò da sé. Il gesto in sé fu
delicato, ma il sorriso sinistro che Shinobu gli vide sul volto non lo fu
altrettanto.
“Non è difficile, sai? Ci sono molti
modi…puoi semplicemente andare in cucina lì dentro e prendere un
coltello. Ti consiglio le vene dei polsi, possibilmente fallo dentro la vasca
così dovrò solo sciacquare via il sangue. O vuoi qualcosa di più plateale e rapido? A Tokyo ci sono
migliaia di grattacieli. Scegline uno e fatti un bel
volo. O preferisci un ponte?”
“…Hakkai?”
“Sì, coraggio. Un bel ponte.”
Come quello da cui mi stavo
tirando giù io, che sì, me lo sono detto decine di volte che è stato un errore
venire al mondo. Oh, sì, probabilmente se l’è detto anche Kanan.
Tante volte, almeno finchè il suo sangue non è finito
sulla tappezzeria della mia stanza.
Shinobu scattò in piedi. La benda, premurosamente stretta da Hakkai, si
disciolse e restò impigliata alla sua spalla per una decina di secondi, quindi
cadde a terra. Si sentiva le labbra secche, il viso paonazzo.
“Cristo, Shinobu, ti ascolti mai parlare, ogni tanto? Giusto
una volta soltanto, tanto per controllare?”
Non credeva che avrebbe mai sentito Hakkai imprecare, eppure così fu. Non capiva. Perché si era
scaldato tanto? Non è normale, per un essere umano, almeno per una volta,
desiderare la morte? Mettere in discussione la propria esistenza, non serve ad
affermare l’umanità di una persona?
“Idiota…trovo stupendamente idiota questa conversazione.”, sibilò Hakkai, tanto
per concludere.
Perfetto, Hakkai, così si fa. Urlale in
faccia, sputale addosso la tua stessa vergogna. Almeno
lei non c’è arrivata, con le gambe oltre la balaustra di un ponte di Yokohama. E le mattonelle del tuo bagno sono ancora linde e pinte.
Una smorfia incomprensibile si dipinse sul volto di Shinobu, mentre tentava
di raccogliere abbastanza forza per uscire
dall’appartamento di Hakkai. Un’ulteriore reazione
dell’amico la spinse a rialzare lo sguardo: Hakkai stava ridendo.
Appoggiato al tavolo, una mano a coprirgli il volto, Hakkai rideva amaramente.
“Ma sì, dai, ti sto criticando proprio io! Proprio divertente la cosa,
sai?”
E’ tutto
inutile, ormai…
E’
stato un errore.
“Evidentemente è il mio karma, vedere le persone a me vicine morire
per mano propria! Coraggio, dai! Hai deciso in che modo vuoi farlo?”
Shinobu mosse un passo, un altro. Le tremavano leggermente le mani, e anche le
gambe, a dirla tutta. Posò le mani aperte sul torace di
Hakkai, fino a spingerlo contro il muro, quindi, senza una parola, lo abbracciò.
Non disse nulla per alcuni minuti, che sembrarono ad entrambi lenti come ore e
brucianti come secoli. Quindi, senza muoversi,
mormorò: “Chi è stato, Hakkai?”
Nessuna risposta.
“Hakkai, hai tutte le ragioni per non voler parlare più con una simile idiota.
Dico cose stupide, e nella maggior parte dei casi penso anche cose stupide. Non
sono dotata della benché minima sensibilità e…”
“Mia sorella. O la mia amante, chiamala come vuoi. Era
entrambe le cose”
Hakkai decise, per la prima volta dopo tanto tempo, da quando
aveva raccontato di sé a Gojyo, la prima persona importante della sua vita da
quando era successo, di non rinchiudere dentro di sé quella parte della sua
vita così dolorosa, ma di affrontarla.
Forse ciò che lo legava a quel ragazzo dagli occhi rossi era proprio un amore svanito in un mare di sangue.
I suoi ricordi volarono ad alcuni anni addietro, quando era ancora uno studente delle medie, sempre più maturo della sua età e serio, ma tutto sommato “normale”.
Non si poteva dire che fosse una persona allegra; il suo carattere chiuso teneva lontani non solo i suoi coetanei, ma anche gli adulti, e persino i suoi stessi genitori, che comunque, gestendo un’importante azienda, non avevano troppo tempo per occuparsi dei due gemelli.
Gemelli.
Purtroppo, il rapporto tra fratelli può essere difficile.
Specialmente se sono gemelli, se sono nati insieme ed hanno condiviso ogni momento della loro vita fin dalla nascita.
Io…non voglio avere
altri che te, Kanan.
Era quello che, ingenuamente, ripeteva il ragazzo alla sorella, che gli sorrideva dolcemente.
Lei era tutto il suo mondo: se lei non fosse esistita, il mondo avrebbe anche potuto cessare di esistere.
L’affetto fraterno divenne qualcosa di più.
Le carezze di due fratelli divennero un tocco più profondo e incestuoso.
Quei due fratelli avevano finito per unirsi.
Dove stava il problema? A nessuno dei due importava di ciò che pensasse la gente; entrambi volevano solo essere felici.
Impararono ben presto che, al contrario, il mondo può essere un posto molto triste.
Hakkai…ormai è troppo
tardi.
Che stai dicendo, Kanan?
Non possiamo più
tornare indietro.
Che vuol dire?
Adesso, Hakkai…dobbiamo
pagare il prezzo della nostra felicità.
Kanan…cosa stai cercando di dirmi?
Che sono incinta.
Che cosa?
Che dolore. Non pensavo che le parole potessero penetrare così a fondo nel cuore di una persona…
Aspetto un bambino,
Hakkai.
Non può essere!
Non…c’è più nulla da
fare. Ormai…
Troveremo una soluzione, Kanan.
Insieme.
Insieme.
No!
Perché ti ritrai? Perché rifiuti le mie mani, che tante volte ti hanno stretto?
Kanan, perché stai piangendo?
Noi…non saremmo dovuti
venire al mondo!
Non dire così…
E’ tutto inutile,
Hakkai!
Kanan, ti prego. Smettila di scherzare e posa quel coltello.
Addio…sono stata
felice, ma ormai è finita. Non posso partorire tuo figlio.
Kanan, non farlo! Smettila!
…
Sangue.
Non ne avevo mai visto così tanto…
E’ stata tutta colpa mia.
E’ come se le avessi inferto io quelle pugnalate al cuore.
Io ho ucciso Kanan.
Tu…saresti dovuto
morire al suo posto!
Schifoso
bastardo…cosa hai fatto a mia
figlia?
Voi…a cui non è importato mai nulla di noi due, adesso…
Ma certo.
Non è una buona pubblicità per la vostra azienda, vero?
Vattene via.
Io…
Vattene via!
Forse sarebbe meglio che morissi anch’io?
Forse.
Non avrebbe voluto
risvegliargli brutti ricordi, non avrebbe voluto vedere il lato più fragile di Hakkai. Avrebbe voluto continuare a credere che quel
ragazzo l’avrebbe sempre rassicurata con la sua presenza, che sarebbe sempre stato sorridente e sicuro di sé, invece…
L’ombra negli occhi di Hakkai aveva finalmente preso forma, si era palesata più
improvvisamente e disperatamente che mai. I palmi aperti contro il muro gelido,
Shinobu piangeva. E non aveva il coraggio di alzare lo
sguardo, perché probabilmente avrebbe visto anche Hakkai piangere. Hakkai, che
credeva di averle esaurite tutte, quelle lacrime. Lo
sentiva, sentiva il suo torace contrarsi in singhiozzi…e avrebbe
voluto sparire, veramente, per aver pungolato una simile ferita con la
sua idiozia. Mai, non avrebbe mai più ripetuto una cosa del genere, lo
prometteva a se stessa.
Continua…
[leggermente riveduta e corretta in data 03/01/08]