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Autore: balakov    31/10/2008    3 recensioni
è la sera di Halloween: Marco riceve una misteriosa telefonata in cui gli viene annunciata la morte della sua ragazza. Sarà uno scherzo? L'unica cosa sicura è che per riaverla dovrà scendere nel "REGNO DEGLI INFERI"...
Genere: Dark, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Pronto? Sì…sì, sono io Marco Tenni. Che… cosa??? Ma…è uno scherzo?! Chi è che sta parlando!!!”



L’HALLOWEEN PIÙ LUNGO DI SEMPRE


La telefonata sconvolse non poco Marco. Gli avevano comunicato la prematura morte della sua ragazza. E non è cosa facile da digerire…
Ovviamente poteva trattarsi di uno scherzo, non c’è dubbio. Anzi: le successive frasi della misteriosa persona avrebbero fatto propendere chiunque per una siffatta conclusione.
Di fatti la misteriosa e calda voce con la quale stava interloquendo per mezzo del freddo apparecchio telefonico aggiunse alla tragica notizia un qualcosa di molto strano (e vi assicuro che “molto” è un eufemismo…): se Marco avesse voluto riavere la sua povera Marta, sarebbe dovuto discendere nel regno degli inferi per riprendersela, e come insegna il mito di Orfeo ed Euridice, non si sarebbe potuto voltare a guardarla finché non fosse riuscito a portarla fuori da quel così funereo posto.
Poi la linea cadde, ed il classico “tu-tu” del telefono impose un ritmo martellante alle meningi del giovane.
Ora mi chiedo: come si fa oggigiorno a credere a queste follie?! E soprattutto è un’altra la cosa che mi preme sapere: dove cavolo sta il regno degli inferi? Questo dovete proprio dirmelo, così ne starò ben alla lontana!
Tra l’altro quello era pure un giorno alquanto particolare: era il 31 ottobre. Halloween!!!

La telefonata avrebbe stordito chiunque, ma molteplici sarebbero state le reazioni ipotizzabili, data la risaputa molteplicità di caratteri che contraddistinguono le vite umane. Così, senz’altro, qualcuno l’avrebbe presa a ridere, confidando nella certezza del fatto che si trattasse d’uno scherzo. Altri sarebbero corsi immediatamente a casa della propria ragazza per accertarsi della fondatezza o meno della notizia. Altri ancora si sarebbero lasciati prendere dalla più totale disperazione, naufragando in un mare di lacrime. Marco non seguì nessuna delle tre vie appena indicate. Anzi, fu assolutamente atipica la sua condotta emotiva: si sentì paralizzare dentro, mentre la fronte cominciava a sudare freddo. L’inebetimento più totale gli regnava nella testa, spossata e pesante. Le articolazioni si irrigidirono d’un tratto.
Non che voglia fare un trattato di patologia, ma vi assicuro che le cose andarono così: del resto è noto a tutti che le ansi più gravose per l’animo si ripercuoto inevitabilmente anche sul fisico.
E dunque, schiavo della più totale confusione, le convulsioni che gli animavano a mo’ di spasimi la respirazione gli inflissero una sola eco con effetto ridondante nel silenzio della stanza: Marta.
Ma cosa fare? Quale sarebbe dovuta essere la prima mossa?
Correre a casa di Marta per vedere se è tutto uno scherzo? Non ne aveva le forze. E la vista si stava annebbiando man mano che fagocitava questi gravosi pensieri.
Ma almeno chiamarla al cellulare, questo sì che l’avrebbe potuto fare! Eppure era come paralizzato anche di fronte ad ogni possibile scenario del pensiero.
Sentì suonare alla porta.
Come d’incanto l’apatia che lo possedeva scomparve improvvisamente, e di getto si diresse verso l’uscio di casa. All’apertura della porta, la sorpresa fu a dir poco magra: una mocciosetta travestita da strega che chiedeva impertinente “dolcetto o scherzetto?”. Le avrebbe inferto volentieri una sonora pedata, ma nel suo cervello ripiombò l’amorfo nome di “Marta” che lo dissuase da qualsiasi azione per farlo ritornare in quello stato psico-cadaverico in cui versava poco prima. Richiuse in modo innaturale la porta senza offrire alla bambina alcuna caramella, e lasciandola di stucco: ai suoi occhi infantili Marco era sembrato uno zombie che non era riuscito neppure a proferire una parola.

Il telefono era lì, fermo sulla scrivania: sarebbe bastato un impercettibile movimento per scacciar via ogni sorta di dubbio. Doveva chiamare Marta. Ma non riusciva a trovarne il coraggio.
“E se fosse morta davvero? No… non penso che avrei la forza di sentire i suoi genitori, lacerati dal dolore e dal pianto”: questo si ripeteva nella testa Marco, mentre fissava immobile il telefono.
E così, innaturale come era stato sin’ora, in maniera altrettanto innaturale prese ed uscì repentinamente di casa, sbattendo violentemente la porta, forse per tentare di lasciarsi alle spalle pure le terribili paure che lo attanagliavano.
Sceso giù in strada, complice anche il freddo pungente, gli occhi si fecero lucidi: si era finalmente giunti alla prossimità del pianto. La memoria, che è cosa cara e preziosa a tutti, a volte però è tanto perfida nei suoi giochi del destino: in quella mente caotica e sconvolta di Marco, proprio allora iniziò a ripescare i ricordi di una vita passata assieme a Marta. Ed il sorriso della ragazza era una lenta tortura che stritolava con perizia il suo animo.
Una lacrima, al fine, gli rigò la guancia destra. Al contempo i suoi occhi bagnati scorsero qualcosa in lontananza: erano le giostre che andavano via. Infatti, fino a qualche giorno prima, in città erano arrivati il circo e le giostre. Lui non ci era capitato, visto che odiava i clowns e le giostre le riteneva un divertimento per ragazzini. E lui non si sentiva più ragazzino già da un pezzo. Ed oggi anche un po’ di più. Sta di fatto che di fronte a lui era iniziata la mobilitazione dei giostrai, intenti a smontare le loro creature del divertimento e ad imboccare la prima strada che li avrebbe portati in chissà quale altra città per allietare i bambini. Vita da nomadi, vita da incantatori.

Marco arrivò sul grande spiazzo dove ormai restavano pochi baracconi da smontare ancora. Dei giostrai non si vedeva neppure l’ombra, ed il buio infliggeva solenne un aspetto tetro e da incubo alle giostre ancora in piedi ed abbandonate alle tenebre notturne. C’era la giostra dei cavallini, con un telone bianco che la copriva per metà. E c’era il bruco mela: un enorme verme verde che sembrava sorridere beffardo al nostro povero Marco. Più in fondo, lontana da tutto e circondata da fogli di carta spazzati via dal vento, c’era una enorme tenda nera dove campeggiava impressa una zucca gigante dal ghigno spavaldo: la più lugubre di tutte le visioni. Marco vi andò incontro come un soldato parte per la guerra: senza la certezza del ritorno. Mano a mano che si avvicinava ad essa il vento diventava più intenso, l’aria più fredda e gli ululati della notte più prossimi. Gli iniziarono a far male ed a pesare anche le lacrime sul volto. La vista umida non gli poté comunque celare l’enorme scritta che sovrastava il tendone nero: “IL REGNO DEGLI INFERI”.
Porca miseria! Quel nome…!
Il sangue nelle vene di Marco cominciò a ribollire, ed il cuore iniziò a scandire prepotentemente ogni passo. Aveva di fronte qualcosa di unico: forse una visione, forse il peggiore degli incubi, forse la soluzione ad ogni suo dubbio. Forse Marta.
Entrò nell’antro del tendone a passi discreti, con la saliva che veniva deglutita con violenza. Dentro non c’era niente: solo ombre, buio. E la disperazione di Marco, solo in mezzo al nulla. Portò distrutto le mani al volto, ed iniziò a frignare come un bambino.
D’improvviso l’assordante silenzio che lo avvolgeva fu spezzato da una voce che rimbombava nel telone: “Marco. Sei dunque giunto al momento di fare la tua scelta”.
Marco sollevò impaurito la testa dalle mani, ed invano cercò attorno a sé qualcuno.
Ma la voce continuò a proferire parole: “Se vuoi riavere la tua Marta non devi far altro che riuscire da dove sei entrato, senza voltarti finché non sarai fuori, o la tua Marta scomparirà per sempre, e non la rivedrai mai più”.
Marco, dopo un primo istante di inerme sbigottimento, risoluto rimboccò la via dell’uscita: teneva gli occhi strettissimi, quasi a farsi male, per paura che li avrebbe aperti. Il viso risultava imprigionato in una morsa ferrea, in cui i denti cercavano di trattenere le parole che avrebbe voluto dire. Intanto, stava continuando nella sua lenta camminata verso l’esterno: il tempo sembrava non passare mai. Quello sarebbe stato per lui l’Halloween più lungo di sempre.
Inaspettatamente, quando fu a metà strada, una voce dietro di sé lo chiamò suadente: “Marco!”. Era la voce di Marta: non c’era dubbio! In Marco la tentazione di voltarsi fu enorme: strinse i pugni al punto di far quasi sanguinare le mani. Ma non mollò, e continuò dritto per la sua strada.
Quella voce femminile dietro a lui però non smise di chiamarlo: ad ogni proferimento del suo nome, Marco sentiva sempre più vicina la resa. Ormai era deciso: si sarebbe voltato.
Mancavano pochissimi passi all’uscita, ma era troppo forte la voglia di rivedere anche solo per un istante Marta. E poi, se ne era convinto, quell’istante sarebbe durato per sempre: sarebbe stato un po’ come guardare in faccia Dio.
Così, mordendosi violentemente le labbra e lacrimando copiosamente, si arrese al destino, e si voltò di scatto. Di fronte a lui c’era lei in tutto il suo splendore: Marta.
Lei lo guardava commossa e sorridente: lui fece in tempo solo a dire singhiozzando “scusami…”.

Fece in tempo a dire solo questa misera parola, prima che Marta si gettasse in contro a lui, portando le braccia attorno al suo capo, e regalandogli un bacio tra le lacrime di entrambi.
“Sciocco! È tutto uno scherzo! Non l’avevi capito?”
A queste parole sussurrategli da Marta, Marco non seppe come rispondere, e la guardò un po’ stupito ed un po’ stordito.
“Era una prova d’amore! Ora lo capisci? Volevo vedere fino a che punto mi amavi!” disse ancora Marta.
Marco assunse un’espressione da citrullo: “Che vuoi dire?” chiese, al dunque.
E Marta, asciugandosi le lacrime, gli sussurrò: “Vuol dire soltanto che oggi ti amo un po’ di più”.
E scoppiò il bacio appassionato tra i due.



(HAPPY) END





NOTA DELL'AUTORE:
L'idea mi è nata pensando alle tante leggende che ruotano attorno ad Halloween, e risalendo nel tempo agli antenati primi delle leggende, e cioè ai miti dell'antichità (di cui quello di Orfeo ed Euridice ne è un exemplum). Sta di fatto che i tempi mutano, nel bene e nel male (forse più nel male...), e tutto va necessariamente ri-contestualizzato in un'ottica postmoderna affinchè la lezione(-morale) insita nel mito o leggenda non perda la sua genuina essenza. Così, rifacendomi anche alla mia attualità personale, ho pensato che oggigiorno l'Amore è cosa ben poco poetica (o meglio, sono sempre in meno a saperne fare poesia), e quindi - ispirandomi pure alla recente esperienza accaduta ad un mio amico, che mi ha voluto suo confidente - una prova d'amore oggi non è altro che un vezzo, un vuoto tentativo di rimpinguare un sentimento che si sente lontano. E dunque il tragico finale del mito ha dovuto piegarsi all'esigenze dell'attualità, trasformandosi un un happy end che in realtà ha ben poco di happy se ci si pensa bene, ma inevitabilmente dimostra la velleità di questi nostri tempi, così precari in tutto e per tutti. Anche per chi vuole amare.


  
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