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Autore: Nina Ninetta    27/11/2014    1 recensioni
*IN FASE DI EDITING*
L'avventura di tre giovani amiche - Teddy, Morena e Grimilde - si svolge in soli due giorni: un week end speciale che decidono di trascorrere in un resort per festeggiare l'addio al nubilato di Teddy, inconsapevoli che qui incontreranno i fantasmi del loro passato, con cui saranno costrette a confrontarsi, senza poter più rimandare.
PS. Il titolo è tratto dalla canzone "Per Sempre" di Nina Zilli.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13



 
Dopo aver chiuso la conversazione con Grimilde che stava assumendo una piega decisamente imbarazzante, soprattutto perché Nicolas era a un metro da lei, Teddy era rimasta seduta sul letto, inerme. Chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare, cosa avrebbe dovuto dire. Indecisa se fingere che non fosse accaduto nulla, o aprire l’argomento e togliersi quel sassolino dalla scarpa paurosamente fastidioso. Come sempre, tuttavia, la schiettezza di Nicolas non permetteva di progettare piani o preparare discorsi, tanto li avrebbe mandati all’aria.
Le si avvicinò e una nube grigia inghiottì ogni pensiero coerente che l’aveva tormentata negli ultimi minuti. Non osò alzare lo sguardo su di lui, il quale non si perse d’animo e le posò un dito sotto il mento, per sollevare il volto verso quello proprio:
«Riesci ancora a guardarmi negli occhi?» le chiese e lei riconobbe il chiaro riferimento alla domanda – che ora trovava idiota più che mai – che gli aveva rivolto mentre era chino sul suo corpo mezzo nudo «E se domani non riusciremo nemmeno a guardarci in faccia o a parlare?»
Teddy assottigliò gli occhi per sottolineare che lei non avrebbe abbassato lo sguardo, anche se si stava letteralmente sciogliendo dentro.
«E riesci anche a parlarmi ancora?» continuò, piegandosi sulle ginocchia per avere il volto all’altezza del suo. La ragazza si tolse l’indice da sotto il mento:
«Si e si» rispose poi, facendogli una smorfia di scherno.
Lui rise e si accomodò al suo fianco, sul comodo materasso ove avevano consumato il loro desiderio e si erano addormentati l’una sull’altro:
«Ti sei convinta adesso che tutte le tue prime volte importanti sono con me?» Teddy corrugò la fronte. Sull’aereo, appena prima che decollasse, le aveva sussurrato una frase simile mentre la teneva per mano «La tua prima volta in Italia …» proseguì lui, calando il tono e sporgendosi per lasciarle un bacio delicato sul collo « … la tua prima notte di passione in Italia»
«Sei troppo sicuro di te» continuò lei, spezzando di netto l’atmosfera che si era creata e sorridendo per l’espressione delusa che lesse sul viso di lui. Non gli avrebbe mai detto quanto le sue supposizioni fossero vere. Sollevò poi il babydoll e lo tenne fermo davanti allo sguardo scrutatore di entrambi, sentiva il disagio montarle dentro solo a guardarlo, figuriamoci ad indossarlo:
«Ho una amica che si preoccupa della mia vita sessuale» ridacchiò imbarazzata «Quante possono vantare una fortuna simile al mondo?» ma Romero non rispose e quando lei si voltò nella sua direzione, si accorse che teneva gli occhi fissi sull’indumento intimo, come se volesse incendiarlo con la sola forza dello sguardo «Che stai facendo?» gli chiese, dandogli un colpetto di gomito
«Mi sto sforzando di immaginartelo addosso» Teddy calò le braccia, come diavolo faceva a sorprenderla di continuo con le sue risposte?
«Se vuoi lo indosso …» aggiunse e Nicolas Antonio spostò l’attenzione su di lei, restio a credere alle sue parole:
«Lo faresti davvero?»
«Certo che no!» rise, posandogli un bacio veloce sulle labbra «Ma farei volentieri una doccia con te …» si alzò, lasciando cadere il babydoll dove l’aveva trovato e fermandosi sull’uscio del bagno, quindi si voltò indietro, osservando il ragazzo ancora seduto sul letto, lo sguardo indagatore di una persona diffidente «Non vorrai negarmi la mia prima doccia in Italia insieme? Dopo tutte le altre prime volte … con te.»
Romero la raggiunse lentamente, senza fretta e senza distogliere gli occhi scuri da quelli di lei, di una tonalità più chiara. Le circondò la vita con un braccio e l’attirò a sé, impossessandosi della sua bocca senza tanti complimenti, mentre con un piede colpiva la porta alle loro spalle, chiudendo il mondo fuori.
 
L’unica cosa che oramai le trasmetteva un po’ di pace era lo sghignazzare di Martin, il suo sorriso, i suoi occhietti che guizzavano da una parte all’altra della stanza osservando la sua mamma indaffarata. Quando poi la vedeva fermarsi a prendere fiato o a fissare un punto per qualche secondo, lui richiamava la sua attenzione battendo le mani sulla base solida del girello, nel quale era stato piantato, o sbattendoci sopra un giochino. Allora la sua mamma si voltava a guardarlo, concedendogli un sorriso che ultimamente riservava solo a lui, prendendo ad intonare una qualche canzoncina che  adorava.
Se le gambe di Morena non fossero state pesanti come piombo, probabilmente sarebbe scappata nel momento in cui Diego aveva bussato al campanello della loro casa, fatto che l’aveva insospettita. Non era riuscita neanche a chiedersi perché mai stesse bussando alla porta di casa propria quando questa si era aperta e una ragazza, con capelli troppo neri e lucenti per essere naturali, era comparsa dinnanzi a lei.
Morena non aveva tardato a riconoscerla: era la damigella di quel stramaledetto matrimonio a cui erano stati, la stessa che non aveva fatto altro che passeggiare avanti e indietro lanciando occhiate languide a Torres per tutta la durata della cerimonia.
Alla fine i suoi sospetti si erano rivelati con una tale forza e crudeltà che si era sentita la testa volteggiare, perlomeno Martin era beatamente addormentato nel passeggino, avvolto nella sua coperta preferita, quella azzurra con un orsacchiotto bianco dagli occhietti verdi. Il primo regalo che gli aveva comprato la sua mamma quando aveva saputo che sarebbe stato un maschietto.
«Oh, iniziavo a preoccuparmi per il ritardo» aveva detto la ragazza sulla porta, così magra da avere gli zigomi di fuori e le guance scavate.
Morena si era attaccata al collo del giubbino di Diego, tirandolo verso il basso e digrignando i denti gli aveva sussurrato che era un lurido bastardo, che non l’avrebbe avuta vinta lui, che gli avrebbe portato via suo figlio a qualunque costo. Poi aveva mollato la presa con una spinta e lui era rimasto così sbalordito dalla sua reazione che non era riuscito a spiccicar parola. Quindi si era messa alla guida del passeggino fissando negli occhi la ragazza italiana che balbettando l’aveva invitata ad entrare, ma Morena, senza preoccuparsi di calpestarle i piedi con le ruote, le aveva risposto:
«Non ho bisogno di un invito per entrare in casa mia!»
Dopo aver chiuso la porta della cameretta di Martin, identica a come l’aveva lasciata in una notte di miliardi di anni fa, Morena era tornata all’attacco, minacciando Torres di qualsiasi azione se quella zorra non avesse lasciato la casa nell’immediato.
Non l’aveva più rivista, né aveva avuto notizie di lei, ma non si illudeva che Diego l’avesse esclusa dalla sua quotidianità. Ogni volta che tardava lo immaginava con lei, magari a ridere di una stupida ragazza sudamericana che aveva dato di matto perché tradita.
 
Diego Torres si materializzò sulla soglia della cucina, Morena non l’aveva neanche sentito entrare. Le parole della canzoncina che stava tenendo buono Martin le morirono sulle labbra, il viso tornò serio e scontroso, gli diede le spalle fingendo di cercare qualcosa nel cassetto delle stoviglie.
«Prima o poi dovrai parlarmi» le disse e non ricevendo risposta sospirò rumorosamente, chinandosi per giocare con Martin «Si chiama Jessica. Ha 23 anni, lavora come fotomodella per pagarsi gli studi all’università. La sua passione sono i bambini. Dovevi vedere come era contenta di sapere che avevo un bimbo piccolo …»
Morena si lasciò scivolare un piatto dalle mani che si frantumò in mille pezzi sul pavimento, provocando un botto che fece scoppiare in lacrime Martin. Diego prese a cullarlo, osservando le spalle ricurve di Morena, china sul lavandino, al quale si era aggrappata per non accasciarsi sul pavimento.
Era più doloroso di tutto quello che aveva dovuto sopportare finora. Era un dolore che le ribolliva dentro come un fuoco, bruciava e pungeva, era come avere il cuore pungolato da migliaia di aghi bollenti. Vide le sue stesse lacrime gocciolare nel lavabo di acciaio splendente, avrebbe voluto ricacciarle indietro, fermarle, non dare a quel verme la possibilità di essere mosso da compassione per lei.
Perché stava accadendo tutto quello? Perché non potevano essere una famiglia felice? Perché proprio a lei? Perché Martin non poteva avere una mamma e un papà che si amavano e basta? 
«Morena …» iniziò lui, ma lei lo tenne lontano mostrandogli un palmo in segno di fermo
«Esci» riuscì solo a biascicare
«Jessica sarà qui fra poco»
Le annunciò, ma lei non riuscì ad aggiungere altro, le lacrime erano diventate ancor più copiose, il lavandino era ormai zuppo del suo dolore. Dopo un po’ sentì la porta della camera da letto chiudersi, poteva finalmente rannicchiarsi contro i mobili e dare libero sfogo al suo pianto.
 
Quando Teddy e Nicolas si erano recati alla reception per saldare il conto con l’albergo, la ragazza aveva captato qualche parola dalla conversazione dell’uomo dietro il bancone - lo stesso che li aveva accolti la sera precedente - con un altro cliente, al quale stava confermando la disponibilità di un intero piano libero con più di cinque stanze.
Aveva allora guardato Romero con aria interrogativa, tuttavia la sua espressione da cagnolino che supplica il padrone con gli occhietti di non prendersela con lui per le scarpe mangiucchiate, aveva attestato la veridicità dei suoi dubbi.
«Hai frainteso la frase!» aveva poi esclamato lui in macchina, percorrendo a ritroso il sentiero di montagna che li aveva portati fin lassù, con la luce del sole sembrava meno spaventoso:
«Mi avevi giurato che non aveva altre stanze libere!»
«Teddy, per favore! Avrai capito male!»
«Non conoscerò l’italiano, ma non sono scema!» aveva sbottato la ragazza, tirando una lunga boccata di fumo «Sei un maniaco» aveva aggiunto pacata e lo aveva sentito sbuffare «E anche un pervertito» poi si era avvicinata per lasciargli un bacio durevole all’angolo della bocca e aveva concluso «Per fortuna, direi.»
Nicolas Antonio Romero aveva sorriso, compiacendosi per la sua piccola bugia, un escamotage che li aveva condotti proprio dove desiderava lui, ovvero a riallacciare i rapporti con la sua ex fidanzata. Aveva provato ad arrivarci gradualmente, ma alla fine si era ricordato che con Teddy bisognava andare direttamente al nucleo delle situazioni, o avrebbe continuato ad indugiare per sempre.
Ora si trovavano di fronte a un palazzo di pochi piani, con ampie balconate molto più simili a terrazzini. L’aria era gelida, nonostante il sole, Teddy si strinse nel giubbotto e sprofondò metà viso nel calore e nella morbidezza della sciarpa, osservando Nicolas con un maglioncino scuro che spiccava al di sotto del giubbotto di pelle, tenuto aperto, invidiandolo per la sua autonomia contro il freddo.
All’interno del palazzo l’aria non era per niente migliore, invece di attendere l’arrivo dell’ascensore, il ragazzo s’incamminò lungo la rampa di scale, annunciando che l‘abitazione che cercavano era sita al primo piano.
 Quando vi giunsero, dopo una manciata di scalini, non furono costretti a bussare ad alcuna porta, poiché questa era già spalancata.
 
Gli occhi di Teddy si posarono su un grosso abete addobbato con decorazioni brillanti argento e blu, sulla punta spiccava un angelo con ali bianche fatte di piume e le braccia aperte, come a voler avvolgere tutto l’ambiente. Lentamente passò in rassegna l’intera stanza, priva di porte, con un ampio divano in stoffa, un tavolo con la superficie in vetro, pochi ma grandi quadri appesi alle pareti, una TV al plasma incastonata fra vetrine che celavano argenteria, DVD e qualche libro.
Spostò lo sguardo da Diego Torres, in piedi che guardava lei e Nicolas come se avesse visto un fantasma, a un viso smunto e imbrattato di fondotinta, fard e rossetto, gli occhi contornati da uno spesso strato di eyeliner, i capelli nerissimi e lucenti erano corti e sfilzati; al fianco di questa ragazza, che non aveva mai visto prima, ce ne era un’altra, magra quanto la prima, ma con un ammasso di riccioli dal colore improbabile, scuri alla radice e chiari alle punte. Tutti sembravano guardarla con quell’aria spaurita, eppure, la persona che cercava non c’era.
Morena non era lì.
Avvertì la leggera pressione della mano di Romero sui reni, mentre le bisbigliava qualcosa, indicandogliela. E proprio alle spalle di Diego, seduta al tavolo di vetro, con le mani a sorreggersi la testa, c’era lei. Morena. I capelli castani e mossi le ricadevano in avanti, era così ferma che Teddy si chiese se non fosse una statua di cera, poi si mosse, alzando piano gli occhi e quando i loro sguardi si incrociarono a metà strada, il viso pallido sembrò riprendere quel po’ di colore che l’aveva sempre distinta da Grimilde – ovviamente – ma anche da lei. Gli occhi erano incavati e lividi per la stanchezza, aveva l’aria di una persona che non dorme da molto tempo, le dita della mano sottili e le unghie, di cui era sempre andata tanto fiera, affermando che erano l’unica parte del suo corpo dopo i capelli che le piaceva, erano mangiucchiate fino ai polpastrelli.
Teddy la fissò per un breve lasso di tempo, quindi la vide formulare una parola semplice, a fior di labbra, ma che la fece scuotere come se le avessero suonato una tromba direttamente nell’orecchio: gracias.
«Cabron! Imbécile! Hijo de … » Teddy si lanciò verso Torres, strillando insulti che non sapeva neanche di conoscere, ma Nicolas fu lesto a trattenerla, sollevandola di peso, mentre lei allungava le braccia in direzione del compagno della sua amica, quasi a volerlo afferrare e graffiare con le unghie «Che cosa le ha fatto? Pedazo de mierda! Che cosa le hai fatto? Desgraciado!»
Ecco qual’era il problema di Teddy, pensò Nicolas faticando a mantenerla, non era capace di gestire la rabbia, per cui, se poteva, evitava di affrontare argomenti poco graditi, come lo era stato il loro silenzio durato per ben otto anni e cinque mesi.
 
 
Manco a dirlo, l’unica persona in grado di placare l’ira di Teddy fu Morena. E si era sentì così dannatamente in colpa, sarebbe dovuta essere lei a confortare la sua amica, invece era accaduto l’esatto contrario, con Morena che le prendeva il viso fra le mani e le diceva, con voce sommessa, che andava tutto bene, che lei stava bene, che sarebbe andato tutto alla grande.
Mentre la confortava, tuttavia, notò come Romero non smettesse mai di carezzarle la schiena, cosa che non aveva infastidito o imbarazzato Teddy, la quale si sarebbe sottratta a quel tocco, pensò Morena, se la situazione fosse stata normale, almeno che fra quei due non fosse accaduto qualcosa dopo la sua partenza da Santiago ...
«Diego …» la voce cantilenante di Jessica fece calare il gelo. Teddy e Nicolas la osservarono avvicinarsi a Torres e posargli una mano sull’avambraccio, quasi a cercare protezione, continuando a guardarli come se fossero stati degli alieni «Chi sono questi due?»
«Che ha detto?» bisbigliò Teddy, che della lingua italiana conosceva ben poche parole. Altro che l’inglese, avrebbero dovuto insegnare l’italiano nelle scuole del Cile, si disse. In ogni caso, nessuno delle due persone che avrebbero potuto farle da traduttore, ossia Morena e Nicolas, le risposero. La prima si rivolse a Diego, incurante della domanda della ragazza con i capelli dal taglio asimmetrico, scuri e lucidissimi:
«Sono venuti a prendere me e Martin»
«Martin non si muove da qui!» esclamò Torres, il nome di suo figlio aveva scacciato lo stordimento iniziale che l’aveva attanagliato, facendolo sentire confuso:
«Già!» intervenne ancora Jessica «Martin rimane con noi!»
Morena sospirò, alzando poi lo sguardo spossato su Nicolas Antonio, quando questo le posò una mano sulla spalla. Teddy non poteva fare altro che assistere impotente alla scena, captando pochissimi vocaboli e sforzandosi di metterli insieme per dare un senso compiuto a quelle frasi:
«Qual è il problema?» chiese lui, spostando lo sguardo da Morena al suo compagno e collega di nazionale Diego, il quale abbassò gli occhi, cosa che diede nuovo slancio alla mamma di suo figlio:
«Vogliono adottare Martin» disse, abbozzando un sorriso carico di sarcasmo «Capisci Romero? Vogliono prendersi mio figlio! Cosicché la bimbetta lì diventi la sua mamma e Diego … beh, lui rimane il padre imbécile che è!»
Nicolas guardò Morena a bocca aperta. Era assurdo, semplicemente non c’era un filo logico a quel discorso, a quella proposta, a qualsiasi cosa fosse stata, non c’era coerenza. Teddy lo strattonò un paio di volte per la manica del giubbotto, chiedendogli di spiegarle cosa si stavano dicendo, si sentiva così stupida. Lui glielo disse, in poche parole, e probabilmente la notizia la scombussolò talmente tanto che nemmeno lei riuscì a reagire.
«Morena» la chiamò Nicolas, tenendo gli occhi fissi in quelli di Torres «Prendi quello che devi per te e per Martin. Ce ne andiamo» concluse, pronunciando la frase nella sua lingua madre.
Teddy si sentì invadere da un senso di sollievo, combattendo contro la voglia di abbracciarlo, di baciarlo, di ringraziarlo. Invece si limitò a sorridergli con dolcezza e a seguire Morena, che non se lo fece ripetere due volte, oltre l’uscio di una porta.
 
Diego Torres si allontanò da Jessica per avvicinarsi a Romero, più basso di lui di parecchi centimetri, ma la cosa sembrava non turbarlo affatto, non indietreggiò neanche quando gli parlò con voce sprezzante e in spagnolo:
«Non sono cazzi tuoi!»
«Ti sto salvando il culo!» sbottò Nicolas «Perché quando tornerai strisciando da lei, forse il fatto che non le hai portato via suo figlio ti aiuterà a riallacciare un rapporto più o meno amichevole» Diego strinse i pugni, ferito nell’orgoglio:
«Io le voglio bene, ma non è la donna della mia vita»
«E chi sarebbe la donna della tua vita? Quella lì?» Nicolas Antonio sorrise cinico e indicò con il capo la ragazza alle spalle di Torres, così truccata da essere pronta per una serata come ballerina ad un night club scadente.
Questa volta Diego non rispose, gli lanciò un’ultima occhiataccia e si voltò per abbracciare Jessica e posarle un bacio sulla fronte, dicendole che si sarebbe aggiustato tutto, come se Martin le fosse appartenuto di diritto, come se non fosse stato figlio suo e di Morena.
Nicolas Antonio chinò il capo, quella scena proprio lo disgustava, ma confortato dal fatto che Teddy e soprattutto Morena non fossero presenti in quel momento. Si passò una mano sui capelli, la pettinatura rimase intatta, poi si sentì afferrare quella stessa mano e, sbalordito, si ritrovò a guardare l’altra ragazza – amica di Jessica – che in tanto era rimasta in silenzio per tutto quel tempo, mentre gli sorrideva a dieci centimetri dal viso. Gli girò il palmo all’insù e con i denti, che spiccavano dietro labbra carnose e dipinte di rosso, staccò il tappino di una penna, sputandolo poi sul pavimento. Allargò il sorriso,  prendendo a scrivergli sul palmo, alla stregua di un foglio di carta, un numero dietro l’altro: 3 3 9 4 5 . . .
«Questo è il mio numero di cellulare. Fammi uno squillo …»
«¿Qué estás haciendo?» intervenne Teddy, strappandole la bic di mano, muovendola poi davanti a quel viso che avrebbe preso volentieri a schiaffi.
La ragazza italiana la fissò con un’espressione tonta, spostando poi l’attenzione su Nicolas per chiedergli cosa avesse detto la sua “amichetta”, come l’apostrofò. Romero fece per risponderle, mentre era occupato a sfregarsi il palmo per cancellare l’inchiostro blu, quando Morena lo precedette, con Martin in braccio e il classico borsone azzurro con i pupazzetti a tracolla:
«Ha detto che se non ti allontani immediatamente dal suo ragazzo, sai dove te la ficca quella penna?!»
Teddy ovviamente non capì una parola di quello che aveva appena pronunciato la sua amica, ma vedendo l’espressione schifata e insieme spaventata della riccioluta, la quale si allontanò a testa bassa, fu assai soddisfatta. Qualsiasi cosa avesse detto aveva fatto centro! Nicolas tossì per nascondere un risolino, scambiandosi un’occhiata intenditrice con Morena.
 
Il momento dei saluti è sempre triste, ma in quella casa c’era qualcosa di ancora più doloroso, di malinconico. Quando Morena, con la sua solita fermezza, si avvicinò a Diego, evitando scrupolosamente di alzare gli occhi fin dentro i suoi, temendo che sarebbe potuta scoppiare in lacrime, fece sobbalzare con delicatezza Martin fra le sue braccia:
«Saluta papà» disse e questi lo prese in consegna, alzandolo e strapazzandolo come piaceva lui. Le risa di Martin risuonarono nella stanza e fu allora che Teddy si avviò sulle scale, asciugandosi gli angoli degli occhi con i polsini di maglia del giubbotto.
Come faceva? si chiese, come faceva Morena a resistere a tutto quello? Si ritrovò ad odiare Diego come non aveva fatto con nessuno mai. Romero la seguì con lo sguardo, ma restando dov’era.
Torres porse nuovamente Martin alla sua mamma:
«Morena, ascolta, io  ..» cominciò, ma lei lo interruppe
«Ringrazia te stesso se trascorrerai il primo Natale di tuo figlio senza di lui. E lui senza di te!» gli diede le spalle e uscì, seguita a ruota da Romero, il quale si chiuse la porta d’ingresso alle spalle.
A quel rintocco, Morena gli lasciò in custodia Martin e lui lo prese di riflesso, mentre lei si gettava fra le braccia di Teddy, scoppiando in lacrime. L’ aveva vista così poche volte piangere che non riusciva neanche a ricordare quando fosse stata l’ultima.
 
Durante il viaggio di ritorno Morena spiegò loro di come erano andate le cose, per filo e per segno. Partì dall’inizio, dal principio, da quel matrimonio ove Diego Torres e Jessica dovevano essersi conosciuti e innamorati, scherzò, ma nessuno rise. Ricordò dolorosamente le ore passate ad attenderlo, con quella sensazione di impotenza e di rabbia; della gioia di aspettare Martin, ma della tristezza perché sentiva che il suo compagno aveva un’altra. Questo era anche stato il motivo per cui non aveva detto alle sue amiche di essere incinta, si giustificò, temendo che si sarebbero precipitate a farle visita e allora avrebbero capito cosa stava accadendo e lei, infondo, aveva sperato fino alla fine che si stesse immaginando tutto quanto.
Disse loro che Torres si era presentato a casa di Grimilde, quella notte, e di averla ricattata di seguirlo, se non voleva che tornasse in Italia solo con Martin; di quando Jessica aveva aperto la porta di casa e di come si fosse impuntata affinché andasse via, almeno per qualche giorno non l’aveva vista, poi era ricomparsa quella mattina stessa. Alla fine li aveva ringraziati, concludendo di essere contenta di vederli di nuovo insieme e affiatati, come un tempo. Quando Nicolas Antonio e Teddy – rossa come un peperone – si erano lanciati un’occhiata imbarazzata, Morena aveva proseguito dicendo che si vedeva lontano un miglio che era successo qualcosa fra loro due, si era sforzata di ridere e di tranquillizzarli, affermando che lei non era come Grimilde, non sarebbe scesa nei particolari. Infine aveva chiesto proprio della biondina e allora era toccato a Teddy fare un resoconto completo di quello che era accaduto alla loro amica bionda: l’incidente al Viva la Vida, Martinez che la salvava dalla morte, l’ospedale, il fatto che aveva provato a contattarla per tutta la notte, trovando sempre la segreteria attivata, il risveglio e l’insistenza di Grimilde affinché lei e Romero partissero alla volta dell’Italia.
 
Il taxi che avevano fittato all’aeroporto di Malpensa li lasciò in una zona residenziale di una città chiamata Torino. Lungo il viale si stagliavano una serie di villette a schiera, stile inglese. Nicolas si avvicinò a una di queste, aprendo un cancelletto senza bisogno di usare la chiave. Le due ragazze, con Martin addormentato fra le braccia della madre, lo seguirono lungo un piccolo sentiero fatto di mattonelle ruvide. L’erbetta era incolta e stava crescendo fra una spaccatura del cemento e un’altra; gli alberi nel giardino erano spogli e i rami secchi; qualche foglia ingiallita giaceva su un sottile strato di neve. Se in Sardegna Teddy aveva avuto freddo, adesso quasi tremava.
Accucciata, con le spalle contro la porta d’ingresso, giaceva una figura ricurva, con un’enorme sciarpa bianca allacciata intorno al collo, in mano una bottiglia di vodka, vuota. Nicolas sbuffò, afferrando per la mano la sagoma e facendo leva sul gomito lo rimise in piedi. Visto dalla stessa altezza, non sembrava tanto vecchio, ma puzzava di alcool e qualcos’altro che le ragazze non riuscirono a decifrare. Forse, semplicemente, aveva bisogno di una doccia. Con grosso stupore si accorsero che era sveglio, la voce impastata dall’ubriacatura, barcollava e si manteneva a Nicolas, che fece una smorfia e tirò indietro il capo quando parlò:
«Romero!» esclamò, ridendo come uno stolto «Ti stavo aspettando …»
«Si, si. Entriamo che ti serve una rinfrescata …»
Poi gli occhi scuri del nuovo ragazzo puntarono oltre le spalle del compagno, goffamente si liberò dalla sua presa, incespicando prima verso Teddy, la quale indietreggiò lanciando uno sguardo di aiuto verso Nicolas, che scosse il capo affermando che era innocuo, poi si soffermarono su Morena. Le si avvicinò, piano, osservandola, studiandola, quindi strinse il suo viso fra le mani e la baciò.
 
 
 
 
 
  
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