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Autore: Larryx    28/11/2014    1 recensioni
Una raccolta di flashfic che narrano di vari eventi vissuti da uno schiavo di nome Geta nel corso della sua breve vita, fino a giungere a un finale tanto "felice", quanto tragico.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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La luna illumina la notte, la cena è ormai finita, gli invitati tornano alle proprie dimore.
Mi appresto a raccogliere gli avanzi da conservare nella dispensa, mi chino al suolo e afferro un pezzo di carne finito sotto il tavolo in qualche misterioso modo.
Adocchio qualcosa di luccicante sotto la sedia del padrone e la raccolgo.

Un anello d'oro, nel quale sono incastonate due pietre: una verde e una blu.
Mi chiedo se hanno un valore, se il padrone ha buttato quel gioiello perché stanco o se l'ha semplicemente perso.
Non faccio in tempo ad alzarmi che qualcuno mi afferra violentemente il polso della mano che teneva l'anello.
Senza lamentarmi, mi giro lentamente, fino a incontrare lo sguardo del mio signore. Non ho mai visto tanta malizia in un'iride umana.
Deglutisco silenziosamente, schiudo le labbra e cerco di giustificare il mio gesto.
Ho paura che possa pensare che io abbia preso l'anello per tenerlo per me.
Ma non è per questo che mi ha bloccato.
Mi dice che il momento di scontare il prezzo della mia bellezza è arrivato per poi chiedermi se voglio seguirlo in camera da letto; so bene cosa significhi: devo accettare.
Se non lo faccio, mi ucciderà.

Mi dà delle stoffe e m'indica una stanza, dicendo di andarmi a cambiare.
Annuisco e corro nel luogo indicatomi per seguire gli ordini.
Ho paura.

Spiego quei tessuti e, con orrore, trovo degli abiti da donna: un vestito lungo e rosso, pieno di merletti e bordature raffinate, un corsetto sul quale sono stati ricamati degli ornamenti eleganti, lana per imbottirlo e altri addobbi.
Mi vesto con riluttanza ed esco fuori dalla stanza guardando il pavimento.
Non voglio incontrare lo sguardo dei miei compari schiavi, mi vergogno.
Il padrone ride di gusto, mi afferra per un braccio e mi porta nella sua camera da letto.
Resto immobile, mentre lui gira attorno alla mia figura con fare sospetto, non riesco ancora a trovare il coraggio di guardare in alto, sento gli occhi bruciare; voglio gridare, ma non posso.

Ed eccolo, si avvicina a me, mi solleva il volto con una mano, stringendo forte la mia mandibola. Lo guardo negli occhi per poi distogliere subito lo sguardo.
Lui non sembra farci caso.
Con foga, s'impossessa delle mie labbra e insinua la sua sudicia lingua nella mia bocca.
Niente ha mai avuto un sapore più orrido di questa saliva.
Mi spinge con forza verso il letto, inciampo e cado sul soffice materasso, ma non ho tempo di godere della morbidezza del tessuto che lui si stende sopra di me e ricomincia a giocare con le mie labbra.
Non posso far nulla, sono inerme.

Mi sfila il vestito, non oppongo resistenza, dopotutto ha avuto il mio consenso. Ride.
Non mi toglie il corsetto, troppo eccitato da quell'imbottitura che, altrimenti, non esisterebbe.

E la mia purezza svanisce in un soffio.

Non posso evitarlo, devo obbedire.
Le lacrime bagnano il mio volto, mentre eseguo il lavoro più disgustoso del mondo.

Voglio vomitare, mi sento male.


Tutto questo non ha alcuna logica.


 

Note: 
  1. Servi sunt, immo conservi: “Sono schiavi, quindi compagni di schiavitù”. La “schiavitù” della quale si parla è quella della lussuria. L'uomo è schiavo del piacere carnale. In questo il padrone è “compagno di schiavitù” di Geta.
  
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