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Autore: Shomer    28/11/2014    3 recensioni
Quando eravamo piccoli, le stelle le vedevamo ogni notte. Prima di andare a dormire, gli scienziati Sovrumani ci concedevano due ore di libertà in una specie di foresta grande almeno due chilometri quadrati, che però era recintata ai lati e superiormente da rete elettrificata.
In un posto come Città Regresso, invece, dove ci vivono tossici e ubriaconi, dove puoi morire come un cane in mezzo alla strada senza far voltare nessuno, dove la gente si accoltella nei vicoli... di stelle non ce ne sono mai.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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2.Mail

 

«Perché stai girando a vuoto?» domandai, guardando fuori dal finestrino le strade grigie e malfamate di Città Regresso.
«Secondo te?»
Il sopracciglio di Jay era pericolosamente alzato: faceva sempre così quando pensava che il suo interlocutore non stesse capendo cose che per lui erano ovvie.
«Non ne ho idea» sbottai, irritata dal suo tono seccato «Non dovremmo prendere l'autostrada?»
Jay fece tamburellare un paio di volte le dita sul volante, spazientito. «Dovremmo prenderla se le nostre intenzioni fossero quelle di uscire dalla città» spiegò.
Emisi un mugolio infastidito. «E non lo sono?»
«Evidentemente no, principessa» rispose, con un sorriso che di allegro non aveva proprio niente «Sto girando a vuoto per cercare di depistare eventuali inseguitori, cosa che si può evincere facilmente dalla velocità a cui sto andando. Poi potremo andare da Mail, anche lui è qui.»
«Cosa?» esclamai, sporgendomi verso di lui e afferrandogli il braccio sinistro «Mail? E che diavolo ci fa qui?»
Jay strattonò il braccio, facendo sì che glielo liberassi. Poi si voltò verso di me per un piccolo attimo, fulminandomi.
«Ci vive.» Scrollò le spalle.
Appoggiai nuovamente la schiena al sedile, confusa e sconvolta. Non avevo la minima idea che anche Mail fosse in quella città. Quante possibilità c'erano che la cosa fosse casuale? Quale percentuale di probabilità prevedeva che, quando ci eravamo lasciati due anni prima, lui avesse preso i miei stessi treni ad orari diversi e poi fosse sceso alla stessa stazione in cui ero scesa io? Assolutamente nessuna. Mail mi aveva seguita.
E ce l'avevo avuto così vicino per due lunghi anni, probabilmente c'eravamo anche incrociati, io da un lato della strada e lui dall'altro, senza che lo sapessi.
«Turbata?» mi domandò Jay, una nota divertita nella voce.
«Direi di sì» ammisi.
«Te l'avevo detto, che ti tiene d'occhio» disse stringendosi nelle spalle.
«Pensavo lo facesse tramite il computer o il telefono» borbottai.
Lui scosse la testa, ridacchiando. «Te lo dovevi aspettare» disse «Io me lo aspettavo. Lo conosci, Tì. Avrebbe mai potuto il prode cavaliere Mail abbandonare la sua principessa in una città malfamata come questa?»
Socchiusi gli occhi, pregando che Jay la smettesse di ridere con quella risata che somigliava ad un latrato. Pregando che la smettesse di lanciarmi occhiate che non riuscivano a nascondere tutto il risentimento e l'avversione.
Neanche lui era riuscito a dimenticare Mail. Non è una persona di cui ci si scorda facilmente, dopotutto. È una di quelle che lascia il segno, un'impronta marchiata a fuoco.
Era diverso da Jay e per certi versi lo preferivo a lui. Jay è una di quelle persone che si insinua nei tuoi pensieri di nascosto, furtivamente. E quando te ne accorgi, ormai è troppo tardi. Non puoi scacciarlo. Mail, invece, non lo vuoi scacciare: lui è uno di quelli che vuoi tenere sempre con te.
«Quando due anni fa mi ha detto che si era stabilito qui, avrei scommesso tutti i miei averi che c'eri pure tu e che non ne sapevi niente.»
«Ma perché non si è fatto mai vivo?» domandai, temendo la risposta.
Jay mi scoccò un'occhiata e io mi pentii di avergli posto quella domanda. Aveva quell'espressione. Quella di chi non si aspettava altro che una domanda del genere, quella di chi è pronto a vendicarsi. Lui è il tipo di ragazzo che mente dicendoti ciò che non vuoi sentire solo per guardare la tua reazione. Rabbrividii, perché lui mi aveva talmente in pugno che pur conoscendo questo lato del suo carattere, avrei creduto ad ogni singola parola che fosse uscita dalla sua bocca.
Ma quella volta disse la verità.
«Avevamo promesso» rispose con un'alzata di spalle «Non ci cerchiamo, non ci vediamo. Dividerci è stata la scelta migliore. E in una città grande come questa, se andate a vivere in posti che sono praticamente ai poli opposti... è come essere in due città diverse.»
«Già» mormorai.
Mi portai le ginocchia al petto, rannicchiandomi sul sedile della mia auto malandata. Jay guidava spedito, ad alta velocità, ma rispettando tutti i segnali stradali. Guardava spesso nello specchietto retrovisore, ma sul suo volto non c'era neanche l'ombra di una preoccupazione. Probabilmente era convinto che non ci stesse seguendo nessuno.
Aveva un ghigno amaro a deformargli la faccia, l'orrenda cicatrice dal colore innaturale che spuntava da sotto il colletto.
Quando quell'uomo gli aveva passato il coltello sulla gola, avevo pensato che sarebbe morto. E che se lo sarebbe meritato.
Tutti noi ce lo saremmo meritato. Morire come cani come gli uomini che avevamo ucciso per difenderci. È facile scherzare, dire “nessuno potrebbe spararti, Tì, tu gli puoi rimandare indietro i proiettili”, ma quando ti trovi costretta a farlo davvero... è tutta un'altra cosa.
Ricordo ancora l'espressione che aveva Jay mentre, con una mano premuta sul collo insanguinato, puntava la pistola contro l'ultimo di loro. «La prossima volta vi manderanno un esercito» aveva detto l'uomo. «Già» aveva risposto il mio amico «Non siamo così innocui senza sedativi, eh?»
La voce di Jay mi riscosse dai miei pensieri.

«Ma tu?» «Io cosa?» domandai, senza capire.
«Non hai nessuno?» fece, piatto.
«Trovami qualcuno disposto ad accettare che sia una ricercata e uno scherzo della natura e me lo prendo al volo.»
«Anche Mail è da solo» borbottò «A quanto pare l'unico fortunato in amore sono io.»

 

Mentre salivo le scale di quel palazzo fatiscente, con lo sguardo fisso sulla schiena di Jay che mi precedeva, pensavo a che cosa avrei potuto dire a Mail una volta che l'avessi rivisto.
Avrei dovuto arrabbiarmi perché mi teneva d'occhio oppure avrei dovuto chiedergli esattamente in che modo lo faceva. Mi seguiva? Aveva nascosto delle telecamere? Leggeva tutte le mie mail, ascoltava le mie telefonate? Conoscendo le sue abilità con i computer e con qualsiasi cosa in cui scorresse della corrente, le ipotesi erano tutte plausibili.
Avrei voluto arrabbiarmi perché non mi aveva mai cercata, ma sapevo di non poterlo fare.
Durante quei due lunghi anni, io avevo provato mille volte l'impulso di lasciare quello stupido lavoro improvvisato e l'appartamento malridotto per cercare lui o Jay. Come aveva fatto lui, a resistere, sapendo perfettamente dove mi trovassi?
Anche Jay aveva resistito, ma non contava, perché lui era diverso. Jay era sempre stato più freddo di noi, più calcolatore, riflessivo. Magari gliene importava poco della sua incolumità, ma non avrebbe mai messo noi in pericolo.
Mail invece no. Mail era un casino. La sua mente era dominata dal caos più totale, così come il posto in cui viveva, il suo cassetto della biancheria, le icone nel desktop del pc. Era esuberante, diceva cose senza senso, pensava ad alta voce, spesso dopo aver parlato. Altre volte se ne stava zitto per tempi lunghissimi, con gli occhi ridotti a due fessure, concentrato, ed era evidente che stesse cercando di mettere ordine nella sua testa.
Quando Jay si fermò sul pianerottolo e mi lanciò un sorriso storto, sentii le mie viscere contorcersi e feci una smorfia. Lui ghignò, si voltò e bussò alla porta quattro volte.
Aspettammo un po', agitati, mentre ci guardavamo intorno per assicurarci che non ci fosse nessuno sulle scale.
Io lanciavo occhiate nervose all'ascensore.
Poi, la porta si aprì di qualche centimetro, lasciandoci intravedere qualche ciuffo di capelli ricci e crespi di Mail.
«Ci avete messo una vita, cazzo» sbottò, facendo scivolare lo sguardo prima su Jay e poi su di me. Mi fece l'occhiolino, chiuse la porta, tolse tutte i catenacci e poi la riaprì, spostandosi per farci passare.
Jay si precipitò dentro casa, togliendosi il giubbotto per lanciarlo malamente e sdraiarsi sul divano.
Io esitai un attimo. Mail era, più o meno, come lo ricordavo. I riccioli neri erano sparati in tutte le direzioni, sembrava quasi che non li pettinasse da mesi. La pelle scura era quasi interamente ricoperta di orribili tatuaggi, cosa che mi fece storcere il naso. Come aveva fatto, in due anni, a riempirsi la pelle di schifo in quel modo?
«Che fai, adesso ti tatui anche la lista della spesa o cosa?» dissi, osservando dei fili che gli si intrecciavano sul collo e andavano a finire dietro l'orecchio «Non troverai mai un lavoro vero conciato in questo modo.»
Mail ridacchiò, con gli occhi scuri piegati e le fossette che gli si formavano sulle guance. «Beh, finché posso far sognare al mio capo tutte le cose atroci che gli accadrebbero se mi licenziasse...» fece, con un sorrisetto.
Io sbuffai e lo seguii all'interno. Avrei voluto abbracciarlo, dirgli che mi era mancato, che gli anni che avevo passato da sola erano stati atroci. Gli lanciai un'occhiata a cui rispose con una altrettanto significativa e il sorriso sparì dal suo volto. Alzò un braccio sfiorandomi il gomito con le dita.
Feci per dire qualcosa, ma mi bloccai. Sapevo che non era il caso, che non eravamo i tipi che si dicono le cose, che tutto quello che volevo dirgli lo sapeva già. Lui però mi guardava con gli occhi scuri che brillavano e in quel momento avrei solo voluto abbracciarlo e rimanere lì, con lui e Jay, in pace, per sempre.
A fatica distolsi lo sguardo.
L'appartamento era un delirio. Davanti a me c'era quello che doveva essere un salotto con angolo cottura, ma il pavimento era sommerso da libri e cartacce; c'erano posacenere piazzati nei posti più improbabili: ne notai uno sotto il tavolo, uno sopra la tv, un altro per terra al centro della stanza. C'era un divano con qualche maglietta abbandonata sopra, su cui adesso Jay aveva appoggiato i piedi senza farsi troppi problemi. Il tavolino davanti alla televisione contava, su di esso, due computer, una consolle portatile, tre cellulari e quattro telecomandi. A che cosa servissero quattro telecomandi, non me lo riuscivo a spiegare. Davanti alle finestre coperte con delle tende scure c'erano dei treppiedi che però tenevano su di loro dei binocoli, poi un telescopio, delle macchine fotografiche appoggiate per terra, un cartone vuoto di pizza. Sparse per tutta la stanza c'erano delle scatolette nere con dei piccoli schermi attaccati con lo scotch, probabilmente dovevano essere gli ultimi esperimenti partoriti dalla mente malata di Mail.
Alla mia destra, c'erano il bagno e la camera da letto, le cui porte aperte mi rivelarono essere nelle medesime condizioni della stanza in cui mi trovavo.
«Questa casa è l'inferno» mormorai, decisamente sconvolta.
Mail ridacchiò ancora, passandosi una mano tra i capelli crespi. Poi, sentii il rumore della porta che si chiudeva e delle catenelle che venivano rimesse al loro posto.
«Manca la presenza femminile, direi» disse Jay, con un ghigno, mentre mi fissava dal divano.
Io lo ignorai e mi tolsi cappotto e sciarpa, appoggiandoli sul tavolo da pranzo che era ricoperto di libri e giornali.
«Vuoi trasferirti tu da me, Jay?» lo provocò Mail, togliendo con poca grazia i suoi piedi dal divano e sedendosi con un tonfo.
Lui fece una smorfia e borbottò qualcosa sottovoce. Io ridacchiati: Mail era l'unico che riusciva a zittire Jay, e spesso lo faceva anche con cattiveria.
Mi avvicinai a loro e mi sedetti per terra, creandomi un po' di spazio tra le cartacce e i vestiti. Mail mi guardava in modo strano. Avrei voluto sedermi vicino a lui, passargli una mano tra i capelli, magari baciarlo, ma di solito nessuno dei due si lanciava in manifestazioni d'affetto davanti a Jay. Non l'avevamo mai fatto, neanche prima di renderci conto dei suoi sentimenti. Non eravamo abituati. Era meglio far finta di niente.
«So che fai l'investigatrice» disse Mail tranquillamente, come se non stessimo rischiando la vita.
«Già» dissi «Tu?»
Lui ghignò. «Gioco a poker, faccio le solite cose su internet, clono carte di credito...» buttò lì con leggerezza.
«Che cosa?» urlai sbalordita, alzandomi da terra.
Jay rise. «Te l'avevo detto che avrebbe gridato.»
«Clonare carte di credito!» esclamai, arrabbiata «Tu devi essere fuori di testa!»
I due ragazzi stavano ridendo come se avessi detto qualcosa di estremamente divertente e non accennavano a voler prendere sul serio la mia ira.
«Aspetta!» esclamai, assottigliando gli occhi «Come fai a sapere che faccio l'investigatrice?»
Jay si sbatté una mano sulla fronte e guardò in alto, scuotendo la testa. Mail fece un risolino isterico.
«Allora?» insistetti «Jay ha detto che mi tieni d'occhio. Sei diventato una specie di stalker o cosa?»
Jay si alzò dal divano e la sua espressione divertita fece posto ad una decisamente esasperata. Recuperò il giacchetto di pelle che aveva lanciato in precedenza e sbuffò. «Vado a prendere qualcosa da mangiare» disse «Voi ditevi tutte le cazzate che dovete dirvi, così poi magari possiamo parlare delle cose serie. Delle nostre vite, per esempio.»
Ci lanciò delle occhiatacce, fece una smorfia e si sistemò la pistola nei pantaloni.
«Sta' attento, imbecille» gli urlò dietro Mail. Lui fece sventolare il braccio con noncuranza, l'altra mano in tasca, e si chiuse la porta alle spalle con un
tonfo.

«Che gli è preso?» domandai «Prima rideva.»
Mail scrollò le spalle. «Lo sai che è un po' strano.»
Eravamo ricercati da una specie di boss della morte e della disperazione e quell'idiota andava a prendere da mangiare. Noi non eravamo meglio di lui, dato che ci mettevamo a parlare di cose così frivole in un momento del genere, ma uscire di casa così, senza motivo...
Certo, ancora non sapevamo se i Sovrumani avessero capito che abitavamo a Città Regresso, ma per non rischiare avremmo dovuto fare i bagagli una seconda volta e al più presto.
«Mi sei mancata.»
La voce di Mail era poco più di un sussurro e arrivò alle mie orecchie dolce e ovattata. Alzai lo sguardo su di lui, accorgendomi che stava abbozzando un piccolo sorriso. I suoi occhi scuri, circondati da piccole rughette precoci, brillavano.
Era completamente diverso da Jay: non aveva il fisico e il viso da ragazzino, non aveva un tocco delicato, non si tratteneva, non era tormentato.
Mail era così come lo vedevi: limpido come l'acqua, sereno, libero, anche se caotico e burrascoso, rumoroso, sboccato e a volte fuori luogo e fin troppo diretto nel modo di esprimersi.
Mi aspettavo che, non appena fossimo rimasti soli, mi avrebbe travolto in un abbraccio esattamente come avrei voluto fare io.
Non lo fece.
Rimase lì, seduto sul divano, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani strette l'una all'altra.
Io rimasi in silenzio a fissarlo, non capendo bene come comportarmi. Che cosa significava quel modo di fare?
«Ti trovo... bene» proseguì lui, con un piccolo accenno di esitazione che mi fu del tutto estraneo «Sai, so tutto di quello che hai fatto negli ultimi due anni. Non ti ho messo dei microfoni in casa, non fare quella faccia. Solo che ogni tanto passavo a controllarti, giusto per sapere se stessi bene. Io e Jay non abbiamo bisogno di protezione, ma tu...»
«Io non sono sveglia e furba come voi?» feci, con un sopracciglio alzato.
Non mi piaceva che Mail si fosse improvvisato uno stalker negli ultimi due anni, né mi piaceva pensasse che non fossi in grado di cavarmela da sola.
«No, non è questo» disse, scuotendo la testa e ignorando il mio tono irritato «È che tu... insomma, hai ucciso tre uomini quella notte. Avevo paura potessi dare di matto e fare qualcosa di stupido.»
Aprii la bocca, cercando di dire qualcosa, ma non ci riuscii. Dunque era quello l'unico motivo: era preoccupato per la mia stabilità mentale. Aveva forse paura che mi consegnassi?
Ci avevo pensato durante ogni notte trascorsa da sola in quella casa mezza distrutta. Ogni sera, prima di andare a dormire, pensavo che avrei dovuto pagare per quello che avevo fatto e che uccidermi sarebbe stato troppo facile. Avrei voluto consegnarmi sul serio, lasciare che i Sovrumani mi sezionassero viva, che mi attaccassero elettrodi al cervello. Era quello che mi meritavo.
L'unico motivo per cui non lo avevo fatto, era che sapevo che con la forza mi avrebbero estorto che anche Mail e Jay avevano delle capacità. E avrebbero rafforzato le ricerche, mettendo le loro foto ad ogni angolo, aumentando spropositatamente le taglie che già c'erano sulle loro teste.
«Avevi paura che vi tradissi?» domandai alla fine, assottigliando gli occhi «Pensi davvero che sarei capace di una cosa del genere?»
Mail scosse ancora la testa. «No, Tì» disse stancamente «Avevo paura che andassi a cercare Jay, mettendo così in pericolo tutti e due.»
«E perché mai sarei dovuta andare a cercarlo?» esclamai senza capire «Abbiamo giurato!»
Lui fece un sorriso amaro e appoggiò la schiena al divano, puntando lo sguardo alla sua destra. Improvvisamente mi accorsi che era esausto.
Non l'avevo mai visto così: lui era sempre pieno di vita, non esitava, non cercava mai le parole giuste da dire, parlava e basta. In quel momento, invece, sembrava tormentato. Sembrava quasi Jay, con gli occhi fissi su un punto imprecisato, i pugni serrati e l'espressione tesa.
«Quando hai un problema, di qualsiasi natura, vai sempre a cercare Jay» mormorò.
«Non è vero. Sono sempre venuta da te.»
Mail si girò e mi guardò fisso negli occhi. «Ti sbagli» disse, col tono di chi non ammetteva repliche «Ma non importa. È sempre stato così e sarà sempre così, e tutti ci abbiamo fatto l'abitudine. È un gran casino... ma non dovremmo pensarci più, giusto? Tra qualche giorno ognuno di noi riprenderà strade diverse. Questa volta per sempre.»
Avevo immaginato che sarebbe successa una cosa del genere, ma le sue parole mi ferirono. Un conto è ipotizzare, dentro di te sperare che uno di voi trovi la soluzione per non dovervi dividere più, un conto è sentirsi sbattere in faccia la realtà con un tono così fermo e distaccato. Sentii gli occhi che cominciavano a pizzicarmi.
«Che ti è successo, Mail?» mormorai «Quando sei diventato così?»
Lui distolse lo sguardo e non rispose. Fece un profondo sospiro, si passò una mano sulle labbra e sul mento e alzò gli occhi al soffitto.
«Non voglio fare questo discorso, Tì» disse.
«Ma che significa?»
«Non ci vediamo da due anni e questa probabilmente è l'ultima occasione per stare insieme. Lasciamo perdere tutto. Non parliamo. Non voglio portarmi dietro un brutto ricordo.»
Lo guardai senza capire. «Un brutto ricordo? Ma che stai dicendo?»
«Lascia perdere.»
«No.»
Mail mi guardò a lungo e strinse le labbra. «Secondo te è stata una mossa intelligente, quella di Jay?» domandò, poi «Venire qui non appena si è reso conto che l'avevano trovato.»
«È venuto qui per avvertirci» risposi immediatamente «Così non avrebbero trovato anche noi.»
Mail ridacchiò senza traccia di allegria. «E che cosa ti fa pensare che avrebbero trovato anche noi? Magari erano solo sulle sue tracce. Anzi, al novanta per cento è così. Venendo qui ci ha solamente messi in pericolo. Non credi?»
«Jay non lo farebbe mai!» esclamai.
«Jay non lo farebbe mai!» mi scimmiottò lui «Stai sempre a difenderlo, qualunque cosa faccia. Anche quando abbiamo scoperto come riusciva ad ottenere tutti quei soldi... l'hai fatto perfino dopo come ti ha trattata al Centro 23! E lo fai anche adesso, negando i fatti evidenti.»
«Stai parlando a vanvera» dissi, decisa «Lo fai sempre, Mail. Non capisco dove tu voglia arrivare!»
«Mi trovi bene, vero?» domandò «Sicuramente sono più in forma di quando ci siamo lasciati.»
Lo guardai senza capire. Lui ammiccò e proseguì. «Forse era la competizione ad avvelenarmi il sangue. Ci ho pensato a lungo e l'unica spiegazione che mi sono dato è questa.»
«Di che cosa stai parlando? La competizione con chi?»
«Con Jay» rispose semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Quello che dici non ha senso...» scossi la testa.
«Ha perfettamente senso, invece» disse «Guardaci, Tì. Io e te, tu e Jay, Jay e me: se le nostre vite fossero una fiction, sarebbe la più scadente di tutte.»
«Smettila con queste stupidaggini!» sbottai, alzando la voce «Ti devo forse ricordare di un particolare fondamentale? A Jay non piacciono le donne, Mail! E anche se gli piacessero, non gli piacerei io. Siamo io e te, nessun altro! Questo discorso è ridicolo...»
Lui si alzò all'improvviso e così feci io. Per un lungo istante ci guardammo negli occhi senza parlare.
«Sono stato io a dire a Jay di venire qui. Prima mi hai chiesto quando sono diventato così. Beh, te lo spiego: stando lontano da voi per tutto questo tempo, ho capito tante cose. E ho capito che questa storia va avanti da troppo e che io non starò bene finché non sarà tutto finito. Non starò mai bene finché voi due non ve ne sarete andati dalla mia testa. Ho fatto molte passeggiate nei tuoi sogni, Tì. E sai che cosa ho visto? Jay. Sempre e solo Jay. Di me, non c'era mai traccia.»
Le sue labbra erano piegate in un sorriso carico di risentimento e amarezza. Non dissi niente e aspettai che lui ricominciasse a parlare.
«Così, alla prima occasione utile, ho detto a Jay di venire qui. In modo di portarci anche loro. Ho un piano per chiudere tutta questa storia, e funzionerà. A quel punto, forse, potrò ricominciare ad avere una vita.»
Mail mi guardò assottigliando i suoi grandi occhi scuri. Poi voltò il capo in direzione della porta, rendendosi conto che qualcuno stava armeggiando con la serratura. Dal colletto della sua maglietta riuscivo a veder spuntare il disegno di una piccola clessidra, proprio sopra la clavicola destra. Mi domandai se, alla prima occasione utile, avrebbe cercato di cancellare anche quello, magari coprendolo con qualcos'altro.
Stavo giusto per chiederglielo, volevo sapere se davvero aveva intenzione di lasciare tutto ciò che ci riguardasse, ma nell'istante in cui feci per aprire bocca sentii la porta della sua camera che sbatteva e quella dell'ingresso che si apriva.
Quando Jay entrò in casa, la sua espressione ferita mi fece capire che aveva sentito tutto ciò ci eravamo detti. Ma io, al contrario di lui, avevo anche visto lo sguardo di Mail. Lo sguardo di qualcuno che mi aveva dimenticata.

 

Jay non disse niente. Appoggiò la busta con il cibo nel tavolino stracolmo di cianfrusaglie, si tolse la giacca di pelle e si lasciò cadere sul divano passandosi una mano tra i capelli cortissimi.
Io rimasi ferma al centro della stanza, lo sguardo che vagava da lui alla porta chiusa di Mail, mentre ancora riuscivo a sentire il frastuono che aveva fatto nello sbatterla.
Gli occhi mi pizzicavano.
Dunque era questo che eravamo diventati ai suoi occhi: un incubo ridicolo. Uno di quelli che, ripensandoci a posteriori, fa solo ridere. Me lo immaginavo mentre, con i capelli brizzolati e degli occhiali a mezzaluna, sorrideva amareggiato dicendosi che con noi aveva solamente perso tempo e sanità mentale.
Un po' come facevo io quando pensavo alla cotta che mi ero presa per Jay da piccola. “Che cosa stupida”, mi dicevo, “Totalmente insensata. Uno spreco di energie senza nessuna logica”.
E quando mi accorgevo che se lui mi guardava lo stomaco mi si contorceva, mi convincevo che era dovuto solo al mio orgoglio che ancora era ferito per aver fatto la figura della stupida, della ragazzina, della debole.
In quel momento non potevo fare altro che odiare Mail per aver riaperto quella ferita. E odiavo anche Jay, che se ne stava lì zitto senza degnarmi di uno sguardo, che sicuramente mi disprezzava per avergli messo contro Mail.
Dentro di me sentivo nascere un uragano. Il sangue mi scorreva più velocemente nelle vene, la pelle del mio viso era diventata incandescente, le labbra mi tremavano.
Tutto quello che, nel corso di quegli anni di lontananza, avevo faticosamente messo in ordine nella mia testa adesso era fuori posto, in rivoluzione.
Mail aveva distrutto la mia pace. La nostra pace. E per questo non l'avrei mai perdonato.



Mail uscì dalla sua stanza dopo qualche ora. Aveva con sé uno dei suoi computer, un blocchetto per gli appunti e una penna. Si sedette sul divano tra me e Jay senza degnarci di uno sguardo, poggiò il portatile sul tavolino e lo accese.
«Dobbiamo parlare del piano» disse «Quello per liberarci dei Sovrumani. Secondo i miei dispositivi, saranno qui in meno di trentasei ore.»
Rabbrividii nel sentire quelle parole e mi portai una mano alla bocca.
Mail era impassibile mentre batteva le dita sulla tastiera del pc, digitando stringhe di codici che per me erano incomprensibili. Jay lo fissava serio e composto, con l'espressione di chi avrebbe fatto tutto ciò che occorreva per lasciarsi questa storia alle spalle. Il fatto che, probabilmente, tra meno di due giorni saremmo finiti rinchiusi in una stanza bianca con degli aghi conficcati nel cervello, non sembrava scalfirlo più di tanto.
«Che cosa intendi con “dispositivi”?» domandò.
Mail sembrò rifletterci un attimo. «Intendo...» cominciò «dispositivi. Ho microtelecamere a infrarossi piazzate a tutte le uscite della città, in questo modo controllo le auto dei Sovrumani che entrano ed escono. La loro “polizia” in genere ha divisa arancione, ma i cacciatori di taglie vestono di nero. Ho fatto ricerche approfondite e gli unici fuggiaschi qui siamo noi, quindi, se entreranno in città, entreranno per noi. Conosco uno storpio che conosce uno storpio che è cugino di un tale la cui fidanzata abita vicino ad un tizio Rieducato che pulisce i cessi della loro stazione di polizia, e tramite questa via ho scoperto che ieri una telecamera di sicurezza ha ripreso un ragazzo che gettava una moto nel fiume. Dal colletto della sua giacca si intravedeva una cicatrice particolare, una di quelle che solo i coltelli speciali dei Sovrumani possono fare. Dovevi stare più attento, Jay.»
Jay imprecò, diventando tutto rosso in faccia.
«Non ti preoccupare» continuò Mail senza degnarlo di uno sguardo «Il piano è proprio questo. Condurli qui da noi così da chiudere questa storia.»
«E come hai intenzione di fare?» domandai, temendo un pochino la sua risposta.
Lui continuò a battere velocemente le dita sulla tastiera finché non si aprì quella che sembrava una ripresa di una telecamera di sorveglianza. Ingrandì il punto che gli interessava e poi si appoggiò allo schienale del divano, per permetterci di guardare.
Io e Jay avvicinammo il viso al monitor del pc, socchiudendo gli occhi per cercare di capire cosa contenevano quelle immagini sgranate.
In bianco e nero, si intravedeva una gigantesca fossa nel terreno. E dentro quella fossa, c'erano corpi. Tantissimi corpi. Uomini e donne, di tutte le età, morti. Mail aveva piazzato una telecamera per sorvegliare una fossa piena di cadaveri.
«Che cosa significa?» mormorò Jay, con voce rotta.
Riuscii a staccare lo sguardo dallo schermo per posarlo su Jay, che ancora guardava quella distesa di gente morta con gli occhi sgranati. Che cosa aveva intenzione di fare Mail?
«Sentite, lo so che è orribile» disse «Ho passato anni a cercare una soluzione a questo problema, e l'unica praticabile è questa. I miei poteri possono aiutarci, certo, ma momentaneamente... ai Sovrumani dovrà rimanere in mano qualcosa.»
«Che diavolo stai dicendo, Mail?» sbottò Jay, staccando finalmente gli occhi dal monitor e posandoli su di lui «Spiegaci che cazzo vuoi fare.»

Mail sospirò. «Dobbiamo fare finta di morire» disse.





 








Buonasera a tutti, anche il secondo capitolo è finito!
Ringrazio tutti coloro che hanno commentato, che hanno messo la storia tra i seguiti, e anche tutti i lettori silenziosi! Grazie davvero :)
Il terzo e ultimo capitolo arriverà il prossimo finesettimana :)
Un abbraccio

   
 
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