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Autore: blackings    30/11/2014    1 recensioni
Dal capitolo 8:
«Scorpius, sconvolto dal racconto, non sapeva che fare: non aveva mai visto il padre così apparentemente fragile e impotente, e penava per lui come per le ragazze.
“Cosa possiamo fare?” chiese quando l’uomo si fu ripreso e, rindossata la sua maschera di padre autorevole e imperturbabile Malfoy, si andò a versare il terzo cicchetto di whisky.
“Non possiamo fare nulla, Scorpius”
“Ma ci dev’essere qualcosa che risolva tutto! Padre, dovete aiutarle! Dobbiamo aiutarle!” gridò scattando in piedi e afferrando il braccio del padre. Draco, sconvolto, gli tirò uno schiaffò in pieno viso, facendolo retrocedere. Il ragazzo stava quasi per barcollare e cadere a terra, quando il padre lo afferrò e lo strinse a sé. Che cosa stava facendo? Allontanava persino suo figlio, che gli chiedeva aiuto non per sé, ma per le sue sorelle? L’immagine di una Hermione Granger torturata gli attraversò la mente, e non riuscì a reprimere le lacrime. Reprimeva persino suo figlio, pur sapendo che presto gli sarebbe rimasto solo lui.»
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 11: “Io non ti conosco.”
 
“Loving you was the most exquisite form of self destruction.”
 
                                      
 
Rose allontanò Scorpius. Sapeva che Bellatrix se la sarebbe presa con lui, dato che non era riuscita a far fuori lei. E non voleva che gli succedesse nulla. Si chiuse in un muto dolore, perennemente appollaiata sul davanzale della finestra della sua stanza, il vetro freddo a ridestarla dal suo triste torpore. Vegliava sul campo da Quidditch immaginando le squadre che giocavano, ed era un passatempo divenuto per lei così gradevole che se ne privava solo quando da Lily le giungeva la notizia che Serpeverde doveva scendere in campo, allora si ritirava sul letto, accovacciandosi stringendo le ginocchia al petto. Prendeva in mano l’iPod babbano che la madre le aveva regalato per Natale e accendeva la musica. Parole dolci che scorrevano dalle cuffie nelle sue orecchie e le ricordavano i tempi andati. Che le ricordavano Scorpius, nonostante i suoi vani tentativi di non pensare a lui.
 
Scorpius, se possibile, cadde in una forma di depressione peggiore di quella di Rose. Si chiuse in uno stanzino che dava sul Lago Nero, uno di quelli con le pareti di vetro che lo lasciavano osservare tutto ciò che accadeva di fuori. Vedeva coppie beate di Tassorosso, coppie brillanti di Corvonero, di impavidi Grifondoro, e giuste coppie di purosangue Serpeverde sedersi sotto i rami del salice che cresceva in prossimità del Lago e ridere, ridere di gusto e baciarsi. Pensò a come sarebbe stato bello se i capelli di Rose fossero stati biondi, se il suo sangue fosse stato un po’ più puro, se la sua famiglia fosse stata un po’ più ricca e millenaria. Piangeva per ore interminabili, incidendo con la punta di una forbice sul legno del pavimento del suo rifugio rose senza spine e cadaveri senza dolore, come avrebbe voluto fossero stati lui e Rose, fiori piacevoli da toccare e morte dolce da assaporare, ma lì c’era solo dolore, solo distruzione. Aveva dimenticato Agnes, aveva dimenticato Lily, aveva dimenticato persino Bellatrix. Si concentrava sulle parole di Rose, su quel “Se stiamo insieme, uno dei due deve morire”,  su quel “Non puoi proteggermi per sempre”, sputato lì con tanto odio, con tanta disperazione. Pensava a cosa avesse fatto di male, per meritarsi quel trattamento pessimo, in cosa avesse sbagliato. Si tormentava al pensiero che Rose l’aveva lasciato, che non ce l’aveva più fatta a tenerlo con sé. E ne soffriva.
 
Lily Potter non riusciva più a riconoscere la cugina: rifiutava di scendere a lezione, di indossare le lenti a contatto per mascherare la sua cecità, non mangiava e non beveva più nulla, lo sguardo sempre fisso in un vuoto colmo di domande senza risposte, a detta della giovane Potter. Dopo un po’ di quel supplizio, fece ciò che era inevitabile: si allontanò dalla cugina in difficoltà. Non poteva più sostenere quella situazione di attesa perenne, lontano dagli schemi e dalle convenzioni dettate dal tempo. Rose non era più la stessa. Scorpius aveva smesso di vorticare intorno al dormitorio femminile della casa dei Grifondoro. Avevano persino smesso di cercare una soluzione alla maledizione.
 
Agnes Malfoy, nel quartetto colpito dalla furia di Bellatrix Lestrange, era colei che era rimasta più lucida e imperturbabile. Non potendo lasciare il dormitorio studiava in camera, lo sguardo perennemente vigile su Rose, come un’attenta infermiera su un paziente terminale. Era una ragazza calma per natura, che la severa educazione e le rigide regole avevano formato con un carattere mite e riflessivo, ma non per questo stupida. Così, un giorno, circa due settimane dopo il quasi suicidio di Rose, si alzò nel cuore della notte e, attraversando in silenzio i corridoi di una Hogwarts addormentata, giunse davanti all’ingresso della Sala Comune dei Serpeverde. Recitò la parola d’ordine che le era stata svelata da Scorpius e entrò, facendosi largo tra i divani di broccato e i tavolini di mogano. Guidata da quel filo che unisce i gemelli, spalancò col piede la porta dello stanzino in cui stava rintanato Scorpius e lo osservò, la sua schiena nera alla luce della luna.
“Scorpius…” sussurrò, entrando e sedendosi accanto a lui. Nessuna risposta. “Scorpius… sono io, Agnes”.
All’udire quel nome, il ragazzo si girò e, buttando le braccia al collo della sorella, affondò il viso nell’incavo tra la sua spalla e il suo collo e cominciò a piangere lacrime amare.
“Non mi vuole più, Agnes, mi ha lasciato! Mi ha lasciato per sempre!” singhiozzava. Agnes aspettò che si sfogasse e che, tornato in sé, riprendesse un po’ della sua dignità di giovane uomo Malfoy, poi intervenne.
“Non ti ha lasciato, Scorpius. Non credo che ti abbia lasciato”
“Beh, mi sa che dovrai ricrederti. Perché l’ha detto chiaro e tondo: non possiamo stare insieme”
“Una cosa è il non volere, una cosa è il non potere. E qualcosa mi dice che lei non abbia agito secondo sua volontà”
Scorpius ruotò la testa di scatto, fissando la gemella con sguardo interrogativo.
“Credo che tu non mi abbia detto tutta la verità, Scorpius. E credo che nostro padre c’entri qualcosa”. Agnes si raddrizzò sul davanzale della finestra e attese che il gemello parlasse.
Scorpius parlò. Parlò tutta la notte, non solo di ciò che Agnes gli aveva chiesto, ma anche di cose che, in quei mesi di lontananza, lei non poteva essere a conoscenza. Era la prima volta che nella vita dei gemelli Malfoy entravano degli elementi esterni così importanti, che li dividevano e li impegnavano. In quei mesi, con tutto il da fare per venire a capo di sì tanti problemi, non avevano avuto l’occasione di mancanza, ma allora, seduti contro il vetro freddo di una finestra che dava sul Lago Nero, tutta la sofferenza sfociava in un unico lago, e i fratelli si sentivano più distanti che mai, si mancavano più che mai.
Scorpius, da qualsiasi altra persona, si sarebbe aspettato un banale “perché non me l’hai detto?”, ma non da Agnes. Agnes non l’avrebbe mai posta in quel modo. E non lo deluse.
“Avevo ragione di credere che Rose non sia in sé. C’è stato un evento che potrebbe aver, in qualche modo, scatenato l’ira di Bellatrix nei vostri confronti?”
Scorpius si alzò, riluttante. Era la prima volta che provava vergogna nei confronti della gemella. Loro erano quelli che riuscivano a fare il bagno nella stessa stanza, nella stessa vasca, ancora a sedici anni; erano quelli che si raccontavano tutto, errori e buone azioni. Ma come avrebbe reagito Agnes alla notizia che aveva fatto l’amore con Rose Weasley? C’era solo un modo per scoprirlo. La prese da un polso e, in silenzio, la condusse nella stanza dove l’avevano fatto. Indicò il suo letto, il letto dove ormai non dormiva più da tre settimane, con le coperte intatte, ancora quelle dove una cieca e magnifica Rose era diventata donna.
“Ecco cos’è stato a farla scattare. Ha capito che con te non ha speranze, e ora che ha notato che sei così legato a lei vuole fare di tutto per distruggerla”
“Non l’avrà! Non l’avrà! Avrà la mia vita, avrà quella di papà, di Harry Potter e di Hermione Granger, ma non la sua!”
Scorpius uscì correndo dal dormitorio, inforcando le scale e salendole saltando gli scalini. Giunto alla torre di Grifondoro, spalancò la porta della stanza di Rose e, vedendola lì, finalmente, dopo settimane, perfetta alla luce della luna, si buttò ai suoi piedi, tremando per il pianto che gli scuoteva il petto, rabbioso come mai si era sentito prima.
“Rose! Rose! Sono io, sono Scorpius!”
“Chi sei tu? Io non ti conosco.”
   
 
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