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Autore: Seleyne    30/11/2014    1 recensioni
Come molti ragazzi che vivono nel mondo di Ao no exorcist il rischio di essere feriti e, se sfortuna vuole, uccisi a causa di un demone non è mai troppo basso e la famiglia di Shina Kogarashi non fa eccezione: non solo perché è morta principalmente a causa di un demone ma ha una parentela di sangue con uno di questi.
Come Rin e Yukio sanno bene, essere figlio di un demone è una vera sfortuna per chi vive in un mondo in cui queste creature vengono cacciate ed uccise tutti i giorni.
Assiah è quindi un posto difficile per gli abitanti di Gehenna, compresa Shina.
Allevata da uno dei migliori paladini e cresciuta per essere un esorcista ai massimi livelli, scoprire di essere in realtà uno di quei mostri a cui ha dedicato la vita e la lama della sua spada è uno vero schock per la ragazza.
La vita dell'orfana viene riempita con duri allenamenti, crescendo fredda, astiosa e poco incline a socializzare. Grazie però a persone speciali Shina avrà qualcuno per cui vale la pena lottare, questo vale finchè la natura demoniaca non decide di prendere il sopravvento.
Questo è la breve introduzione di The Wintry Wind, un'altra storia pubblicata. ^^
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arthur Auguste Angel, Mephisto Pheles, Rin Okumura, Un po' tutti, Yukio Okumura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non possiamo dire in quale preciso momento nasca l’amicizia.
Come nel riempire una caraffa a goccia a goccia,
c’è finalmente una stilla che la fa traboccare,
così in una sequela di atti gentili c’è n’è, infine,
uno che fa traboccare il cuore.


 



 

Nonostante volessi dormire fino a tardi, il dovere chiamava.
Al suono irritante della sveglia mi alzai, poco dopo il sorgere del sole, presi l’enorme asciugamano arancione steso fuori e, con ancora un occhio chiuso, andai in bagno e aprì l’acqua calda.
Mi divertì un po' a scegliere il sapone che avrei usato, in base unicamente al colore, e non appena la vasca fu quasi piena, presi il mio giocattolo di plastica e mi infilai completamente in quelle bolle color lavanda.
Mi sciolsi in quello stato vaporoso di beatitudine pura, allungai la mano gocciolante verso il mio delfino e iniziai a giocherellare con le bolle e con i miei capelli che si muovevano come serpenti neri.
Guardando l’ora con sbuffi e malavoglia mi sciacquai per bene ed uscì dal mio paradiso personale avvolta completamente nel mio asciugamano: sembravo più un verme arancione di cui si intravedevano solo i piedi e la parte alta della testa.
Una volta infilati un paio di comodi pantaloni, una maglietta ed una giacca, legai i capelli più alti in due codini, presi i miei libri e andai a fare colazione.
C’era più fermento del solito ma non ci feci molto caso. Quella mattina Arthur non c’era e così feci colazione con Shura che, più frequentavo, più ero d’accordo con il mio tutore su quanto fosse insopportabile, senza contare che praticamente era in giro mezza nuda cosa che mi dava un po’ fastidio. “Una maglietta potrebbe anche mettersela! Gliela compro per natale e son certa che anche Arthur sarà d’accordo!” pensai sorridendo tra me e me.
Dopo qualche chiacchera ed un paio di brioche mi diressi nella mia classe dove ci sarebbe stata una delle solite noiose lezioni teoriche sui diversi simboli dei Tamer.

«Ciao Mary, scusa il ritard… » Avevo appena varcato la soglia quando notai che la mia insegnate non c’era ma, al suo posto, trovai un bambino dai capelli scuri.
Rimasi ferma e imbarazzata in piedi vicino alla porta, sotto uno sguardo altrettanto timido di un paio di occhi già incrociati la sera precedente.
«Non si preoccupi, signor. Fujimoto, ci prenderemo cura del signorino Yukio, senza contare che può venire a trovarlo quando vuole e qui c’è un’altra bambina con cui potrà fare amicizia. Venga le mostro l’aula.»
Sentì distrattamente la voce della mia insegnante e quella di un altro uomo che si stavano avvicinando e che, presto, trovai alle mie spalle.
«Oh, Shina. A parlar del diavolo spuntano proprio le corna eh! Ahaha! Signorina non pensare che non abbia notato il tuo ritardo e le briciole di brioche, che non ho ancora mangiato, intorno alla tua boccuccia! Anche se oggi sei perdonata, siediti subito lì davanti che fra qualche secondo iniziamo. Come vede signor. Fujimoto qui…»
Ignorai il resto del discorso, presi in mano il mio libro e, facendo finta di ripassare, lanciai occhiate al ragazzino dietro di me.
Dopo qualche minuto la lezione iniziò ma, anche se cercavo di seguire, la mia attenzione era concentrata alle mie spalle e così non potei evitare qualche richiamo.
Al termine successe quel momento che avevo sperato per tutto il tempo che non si avverasse.
«Bene, ragazzi prima di lasciarvi andare a pranzare mi sembra educato che vi presentiate entrambi, su Shina sì gentile verso il nostro ospite e inizia tu: alzati e vieni qui davanti» anche se mi sentì subito in colpa verso il mio padre adottivo non potei evitare di pensare con tutte le mie forze ad un bel “Diamine!”
«Ciao, il mio nome è Shina, ho cinque anni, sono la figlia adottiva dell’esorcista Arthur Auguste Angel, vivo qui e sto cercando di diventare uno Knight, piacere di conoscerti» conclusi il mio impacciato discorso con un inchino altrettanto disastroso, non ero decisamente abituata alle buone maniere.
Ringraziai mentalmente la buona sorte quando, appena ebbi finito di parlare, il moro si alzò evitandomi così la possibilità di dover proseguire ancora.
«Ciao, è un piacere conoscerti. Il mio nome è Yukio Okumura, ho sette anni e sono stato mandato qui per imparare l’arte dell’esorcismo.»
“Bè a sentire lui il mio discorso non era poi così pessimo. Mi merito decisamente un bel pranzo ora! Mamma mia che fame!”
«Bene, bene. Siete liberi, Shina accompagna Yukio nella mensa. Signorino Yukio incontrerà lì il gestore delle camere e, dopo pranzo, ti accompagnerà alla tua camera. É stato un piacere ci vediamo!»
Senza una parola accompagnai Yukio per la sfilza di corridoi cercando di raggiungere il più in fretta possibile la mensa.
«Come mai ci siamo fermati? Qui non vedo la mensa…» Sentì a malapena le parole del ragazzo, la mia concentrazione era fissa sul riflesso dei miei occhi che erano scesi, di nuovo, di qualche tonalità.
«C-come? Ah sì, scusami è che mi sembrava di aver visto un Coal Tar. Era solo un’ombra, in fondo qui abbiamo le migliori barriere protettive quindi… Dai andiamo siamo quasi vicini alla mensa.»
Camminai in fretta e con un «Eccoci» feci capire a Yukio che eravamo arrivati a destinazione.
Appena fummo notati, il signore delle camere, così lo chiamavo io, venne a parlare con il ragazzino e ne approfittai per sedermi di fronte ad Arthur e a gustarmi il piatto che mi aveva, premurosamente, preparato.

I giorni passarono tutti un po’ uguali: al mattino facevo lezione con Yukio e al pomeriggio facevo le mie lezioni individuali con la spada.
Avevamo diverse occasioni per parlare ma entrambi, forse per via della comune timidezza, cercavamo di evitarci finché, un incontro notturno in cucina cambiò tutto.

«Cavolo non ci arrivo! Devo trovare una sedia!»
«Che stai facendo?» Erano le tre di notte e, a causa dei miei soliti incubi che avevo ogni tanto, non ero più riuscita a prendere sonno e, così, la soluzione migliore che avevo trovato da circa un mese era quella di infilarmi in cucina e mangiare un po' di schifezze. Quella sera avevo una voglia matta del gelato al cioccolato cosparso di cacao, peccato che quest’ultimo ingrediente riuscivo a malapena a sfiorarlo con le dita.
Al suono di una voce improvvisa, la timidezza provata precedentemente venne rimpiazzata prima dallo spavento e poi dalla rabbia.
«M-ma c-che… Ma sei scemo? ti rendi conto che mi hai spaventato da morire? Diamine! Che ci fai tu piuttosto» avendo, forse, usato un tono un po' troppo duro a causa del momento, il moro rispose con voce bassa, udibile a malapena.
«Sc-scusami, non era mia intenzione. Volevo preparami una tazza di latte, non riesco a dormire. Ora me ne vado, scusami ancora.»
“Diamine, di nuovo!”
«Hey! Yukio? Aspetta…» Mi allontanai dalla dispensa e raggiunsi il ragazzino sulla soglia della porta e cercai di rimediare al mio comportamento con un tono più dolce e pacato.
«Scusami tu, non dovevo inveirti contro. Anche io non riesco a dormire, e mi sto preparando un bel gelato al cioccolato con cacao. Che ne dici di accendere la tv, metterci un bel cartone animato, preparare del latte caldo e un po' di gelato?»
«S-sì, c-certo!» Col sorriso che gli era spuntato sulle gote rosse come un gamberetto, Yukio iniziò a cercare il latte nel frigo.
«Ehm, il latte è qui nella dispensa» sorrisi a causa del suo ironico disorientamento, in fondo era divertente vedere qualcuno rosso come il peperone alla sua sinistra che cerca un qualcosa senza sapere dove trovarlo «É qui alla mia sinistra… Ah, ehm, Yukio? potresti prendermi il cacao su quello scaffale? Dato che sei più alto di me dovresti arrivarci»
«C-certo, lo prendo subito»

Passammo una nottata divertente: mettemmo un bel cartone animato alla tv, grazie a cui abbiamo fatto battute e risate, abbiamo bevuto il latte con i cereali e del gelato con il sudato, da parte mia almeno, cacao.
Chiacchierammo per molto tempo, anche dopo che il cartone fu finito e anche se facevamo tardi, non c’è ne importava.
Per la prima volta dalla morte dei miei genitori, stavo legando con qualcuno della mia stessa età. Per un momento feci una connessione fra Arthur con i miei genitori e Yukio con la bimba da cui avevo dormito e così, per qualche istante, mi venne voglia di andarmene. Non volevo rischiare di deludere Arthur com’era successo con i miei genitori: non riuscivo a perdonarmi il fatto di essere stata via mentre morivano, di non aver vissuto i loro ultimi istanti, anche se sarebbero stati anche i miei. Più volte avevo desiderato di tornare indietro e, anche a costo di andarmene per sempre, passare con loro ciò che rimaneva della mia vita. In fondo, erano le uniche persone a cui tenevo e su cui sapevo di poter contare dato che non avevo altri parenti, tralasciando una vecchia nonna mai vista.
In ogni caso, per un breve istante mi persi nei miei pensieri in preda all’angoscia ma, promisi a me stessa, che un episodio come quello di quasi un anno fa non si sarebbe mai ripetuto, né con Arthur né con nessun altro: non avrei mai più abbandonato le persone a cui tenevo.
«Shina? tutto ok?»
«Si, scusa mi sono persa un po’»
«Sai mi ricordi mio fratello, e devo dire che la cosa mi fa piacere, mi manca un po’»
Molte persone mi dicevano che per la mia età era molto più acuta e sveglia di molte altre bambine, forse per il mio passato o forse per chissà quale altre motivo, ma sta di fatto che anche Yukio era più maturo degli altri ragazzini della sua età. “Che anche lui nasconda qualcosa? un triste passato come il mio magari?”
«Parlami un po' della tua famiglia, sono curiosa»
«Oh, bè non c’è molto da dire sai? siamo una famiglia un po' strana»
Yukio per le seguenti due ore e mezza mi raccontò di Fujimoto, l’uomo che avevo visto un paio di volte, di come lo avesse accolto e cresciuto come figlio suo, di suo fratello Rin e di una ragazzina che era nel mio stesso orfanotrofio ma che non mi sembrava di averla mai vista, Nagi, e percepì la sua tristezza  quando mi raccontò di non aver conosciuto i genitori.
Poi venne il mio turno: non raccontai tutti i dettagli perchè, anche se mi stava sempre più simpatico e mi stavo un po' affezionando, non me la sentivo di parlare con lui di certe cose… in fondo non ne avevo mai parlato nemmeno con Arthur. Non ero pronta: ogni volta che ci pensavo o ne parlavo tra me e me la ferita che pensavo stesse guarendo col tempo, si riapriva ancora più profonda di prima.
Parlai, fra qualche lacrima, della morte dei miei genitori, del mio periodo di isolamento personale all’orfanotrofio e del mio spaesante arrivo qui. Appena mi fui calmata e dopo che Yukio, senza alcuna domanda o curiosità, mi asciugò le lacrime con un tovagliolo che aveva sottomano, iniziai a lasciarmi andare e parlai di ciò che davvero mi faceva stare male: non la morte dei miei genitori, non il fatto che ero orfana… ma i ricordi.
Se un bimbo nasce orfano ha con sè sempre un vuoto dentro, e prova del dolore certo ma, sono sempre più convinta, che sia più facile nascere orfani che diventarlo. I ricordi, i ricordi felici, sono un peso che ti porti dietro per tutta la vita. Quei ricordi non sbiadiscono, perchè ci sei così attaccato, da quando i tuoi genitori muoiono, che non li dimenticherai mai, semplicemente perchè ogni notte, ogni sensazione, il più stupido oggetto che può andare da un coniglio di peluche o da un’altalena, può risvegliare in te quei ricordi accompagnati inevitabilmente da un dolore che pensavi, o meglio speravi, di non poter provare più.
Parlai di quando ero piccola, di mia madre che mi comprava le mie caramelle preferite al limone dalla vecchietta che teneva un bancone al mercato, di mio padre che, sfinito dalle mie insistenze, mi ricomprò il coniglio di peluche, ricordo di una vacanza, facendo quindi un viaggio di molti chilometri, che o avevo perso o rotto. Ricordai, anche a me stessa, i ricordi più dolci: le coccole prima di dormire, le fiabe raccontate sotto una finto accampamento di cuscini e lenzuola e le passeggiate in mezzo al bosco accompagnate dagli starnuti di mio padre allergico al polline trasportato dal vento.
Dopo il passato parlai anche dei bei momenti del presente, Arthur ne era il protagonista assoluto.
«Sai la fama di Arthur lo procede, ma non avrei mai detto che fosse il tipo da comprare giocattoli e peluche ad una bimba appena conosciuta»
«Anche se non lo dimostra Arthur è una persona molto affettuosa, devi solo scavare a fondo. Comunque che rimanga tra me e te, ma non chiamarlo Arthur o con nomignoli. É una cosa che non sopporta, anche se non si arrabbierà mai con te quanto si arrabbia con Shura»
Scoppiai in una breve risata e Yukio, anche non conoscendone bene il motivo, rise anche lui lasciandosi trasportare.
«Quindi si fa chiamare Arthur solo da te?»
«Oh, c-credo di s-si» Per la prima volta mi resi conto di quanto, il mio padre adottivo, mi volesse bene senza pretendere nulla in cambio, a cominciare da quando oliò l’altalena arrugginita fuori dal vaticano solo per farmi contenta.
«Shina, domani non abbiamo lezione giusto?»
«Oh, no grazie al cielo no! perchè?»
«Ti andrebbe di venire in camera mia? Voglio farti vedere le foto della mia famiglia e voglio vedere se ho ancora da qualche parte una cosa che vorrei darti»
«Oh, d’accordo»
Scoprì che la sua stanza era incredibilmente vicina a quella di una persona che si sarebbe decisamente arrabbiata vedendomi in giro a quell’ora.
«Yukio, facciamo piano, qui dorme Arthur» sussurrai al moro dopo averlo chiamato con un piccolo colpetto alla spalla.
La sua camera era molto simile alla mia, anche qui il colore prevalente era uno: non il blu ma il verde.
Ci sedemmo sul letto e mi mostrò le sue foto raccontandomi per ognuna l’episodio che riguardava.
A circa metà, Yukio si alzò e andò a prendere una cosa nell’armadio di fronte al letto.
«Tieni, questo è per te. Non preoccuparti è una cosa che ho trovato venendo qui, era per terra, ma lo raccolto perchè mi piaceva ma non ho legami affettivi, sarei molto contento se lo accettassi.»
«N-no, i-io n-non posso»
«Davvero, mi farebbe piacere. Non preoccuparti Shina accettalo»
Era un delizioso portachiavi: doveva essere caduto a qualcuno perchè era un po' rovinato dato che probabilmente è stato calpestato qualche volta, era leggermente impolverato ma, il coniglio di legno bianco era fra i più belli che avessi mai visto.
«Mi hai detto che i tuo genitori ti avevano dato un peluche di un coniglio bianco, e so che quello in camera tua regalatoti da Arthur è marrone. Così ora ne hai anche uno bianco no?»
Non dissi nulla, non potevo. So solo che le lacrime scesero furiose e che mi aggrappai a quel ragazzino come se mi avesse regalato la cosa più preziosa del mondo.
Forse per distrarmi, Yukio riprese il suo racconto con le fotografie rimaste ma la stanchezza sopraffece entrambi e, quasi senza accorgecene, ci addormentammo in quel letto verde. Mi dimenticai del fatto che, ancora una volta, mi stavo addormentando in un letto che non era il mio e che se fosse successo qualcosa, non me lo sarei perdonato. Mi dimenticai del gelato, ormai liquido, dimenticato sul lavello della cucina, chiaro segno, nonché prova, del mio passaggio. Infine, mi dimenticai della preoccupazione riguardante i miei occhi che, per tutta la notte fin da quando li intravidi dal cucchiaino del latte, erano di una graduazione più chiara del normale. 

 

 
   
 
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