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Autore: Aon di Kale    01/12/2014    0 recensioni
“Sono morto?” chiesi debolmente. Non riuscivo più a respirare, ero libero dalla forza di gravità. Il battito frenetico del mio cuore si era fermato all’improvviso, come se avesse deciso di dedicarsi a qualche attività più divertente. Attività a cui io non avrei potuto partecipare.
Non so a chi avessi rivolto quella domanda e non mi aspettavo una risposta. Il mio era stato solo uno sciocco tentativo di avere una conferma.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aprii gli occhi lentamente. La luce mi investì completamente. Mi sentivo completamente nudo, come se al posto dei fasci di luce fossi stato trafitto da mille lame così, in preda al panico, mi liberai dal freddo abbraccio di Martina e corsi in bagno: era molto piccolo, c’era solo un lavandino, una mensola dove erano riposti tutti gli accessori per il mantenimento dell’igiene personale, uno stretto box doccia e uno specchio.
Mi toccai il viso, mentre osservavo il mio riflesso. Al tatto sembrava tutto normale, le mie guance erano sempre piene e coperte da una barba curata, con tonalità che passavano dal biondo cenere al rossiccio, ma il riflesso mostrava qualcosa di completamente diverso.
Lo specchio riproponeva parte del mio volto ustionato e all’altezza del mio petto strati di pelle erano neri, come se fossero stati inceneriti. Contemplai quell’immagine di me con riluttanza, incredulo. Io non  ero così, non potevo esserlo.
Cosa stava succedendo? Chi c’era nel mio corpo? Stavo vivendo la vita di un altro? C’era solo un modo per scoprirlo: parlare con lei. Lei mi aveva ridotto così, quindi doveva avere tutte le risposte. Uscii di corsa dal bagno, sbattendo la porta. Da quando ero stato trascinato di nuovo nel mondo dalla figura incappucciata mi sentivo male, vedevo tutto con una prospettiva diversa, più profonda. Era come se tutta la pace che avevo finalmente raggiunto fosse svanita, costringendomi ad affrontare nuovi misteri, a pormi domande che vanno oltre alla comprensione umana. Prima di tutto, cos’ero? Cosa intendeva la figura misteriosa quando parlava di “sangue della fenice”? 
Ritornai in sala. Mi guardai intorno, ma non vedevo più Martina. Sentii una parte di me ruggire e poi un terremoto di emozioni scuotermi completamente. In un attimo, senza sapere spiegare quello che stava succedendo, mi ritrovai a testa in giù, con i piedi attaccati al soffitto. Stavo volando?
Chiusi gli occhi e venni avvolto da un calore sovrannaturale. Eppure, non ero infastidito: quel tepore e quelle fiamme mi avvolgevano come un’armatura.  
Mi sentivo libero e pieno di energia. Ero molto concentrato, talmente tanto che non mi accorsi che le lingue di fuoco da cui ero circondato stavano corrodendo il filo che teneva il lampadario di cristallo appeso al soffitto. Prima che potessi fare qualunque cosa, il lampadario cadde proprio sul lungo tavolo di legno che tenevamo in sala, nel caso avessimo qualche ospite. Un atroce dubbio mi invadeva. E più questo si faceva strada dentro di me, più la scia infuocata diventava potente.
Martina, cosa sta succedendo? Dove ti nascondi?” pensai.
Era tutto troppo strano: dentro di me era come se ci fosse qualcun altro, ed ero pronto a scommettere che quella ragazza non era Martina. Il nostro aspetto era quello di un tempo, ma dentro eravamo completamente diversi. Eravamo anime estranee in contenitori usurati.
Sentii un alito di vento gelido venire dalla cantina. Ormai incurante del fatto che stavo infrangendo qualsiasi legge della fisica planai verso quell’aria gelata, ma qualcosa mi stringeva le caviglie, facendomi cadere a terra. 
“Fenice, ti sto aspettando…” La voce nella mia testa diventava sempre più invadente, accompagnata da un forte senso di preoccupazione e smarrimento.
Non  ero disposto a vivere così. Mi piaceva la mia vita normale, tranquilla. Non pretendevo molto, mi bastava stare al fianco di Martina, vivendo del nostro amore e della frenetica danza in cui le nostre anime si intrecciavano continuamente, diventando una sola.
Eravamo io e lei, senza maschere né paranoie, due anelli della stessa catena. Ci conoscevamo da quando eravamo bambini, avevamo frequentato le stesse scuole e le stesse località balneari. Non so dire quando sia iniziato tutto: l’amore è un fiore nell’immenso prato della vita, siamo noi che decidiamo se nutrirlo giorno dopo giorno o lasciarlo appassire. Per quanto riguardava noi, ci eravamo dedicati l’uno all’altra senza sosta e avremmo continuato anche ora, in quel limbo in cui ci trovavamo. Aprii la porta.
La stanza era buia, le finestre avevano le serrande spalancate e fuori nevicava. Le mura della cantina erano crepate, grosse ragnatele coprivano gli angoli delle pareti. Al centro della stanza, notai il tavolo dove tenevo tutti gli attrezzi che usavo in casa. La cassetta era aperta e sul tavolo giacevano un cacciavite, diverse viti, una pinza e un trapano elettrico. Dietro il tavolo, lei.
Martina fluttuava in aria e mi guardava con silenzioso sgomento. Sentivo il suo sguardo guardare oltre. Oltre quei miei occhi tanto profondi quanto malinconici, altro quel contenitore che teneva ogni mia parte del corpo legata all’altra, permettendomi il movimento. Volevo muovermi e dire qualcosa, ma mi sentivo imbavagliato e attorno a me comparvero pesanti catene.
Mi dimenai a lungo, senza riuscire a liberarmi da quella morsa opprimente. Volevo spiegazioni, volevo andarmene, ma non ne avevo più la forza. Forse era davvero arrivato il momento di arrendersi.
Fu in quel momento che sentii il fuoco divampare in me, scorrendo dalle tempie fino alla punta dell’alluce, passando attraverso gli arti e avvolgendo il mio cuore. Sentii la mia anima urlare chiaramente, protetta dal fuoco della volontà. Volontà di lottare fino all’ultimo, volontà di capire, volontà di esistere. Senza pensarci due volte mi avventai su colei che aveva le sembianze di Martina, sicuro che non potesse essere veramente lei.
Non mi accorsi del martello che mi stava puntando alla testa e che aveva lanciato con una velocità che andava ben oltre le mie possibilità. Poi, tutto cambiò: dalla finestra della cantina irruppero i più caldi raggi di sole che avessi mai sentito, investendomi completamente.
Sentii attorno a me il calore delle fiamme. Erano verdi e viola, molto calde e circondavano Martina, proprio come quelle del misterioso incendio che aveva distrutto la nostra casa, privandoci delle nostre vite. Dunque, le cose stavano così.
Martina si coprì gli occhi con l’avambraccio e mi sussurrò: “Perdonami, Anima di Fuoco. Mi ha usata, voleva incontrarti.”
 Non avevo capito cosa stesse succedendo, almeno fino a quel momento. Ma ora, tutto era chiaro.
Cercai di stringere le mani della ragazza, ma questa si dissolse troppo velocemente, come troppo in fretta si era spento il nostro sentimento.
Dunque, ero diventato questo: Anima di Fuoco. Ma, chi voleva incontrarmi? Senza che me ne rendessi conto, tutto attorno a me era sparito: la cantina, gli attrezzi, Martina. Sentivo che anche il mio corpo poco a poco stava perdendo i suoi legami terreni, privato ancora una volta del mio legame terreno.
“Ciao, Alessio.”
Non fui sorpreso di trovarmi ancora una volta davanti la figura incappucciata, ma questa volta c’era qualcosa di diverso: riuscivo a distinguerne perfettamente la voce. Era una voce che riempiva le mie lunghe giornate e popolava i miei incubi. L’unica in grado di proferire parole tanto severe quanto incredibilmente potenti, al punto tale da riuscire a convincermi. Per questo non fui sorpreso quando la figura decise di rivelare il suo volto, togliendosi il cappuccio. Capii subito che avremo avuto molto di cui parlare, Io ed Io. 
  
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