Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: suni    02/11/2008    10 recensioni
Rin voltò la testa di scatto, per nascondergli le lacrime che le stavano offuscando la vista. Chinò la testa mordendosi le labbra più forte che poteva.
“Non è giusto,” mormorò con voce rotta.
“Molte cose non sono giuste,” rispose Kakashi, grave. “Nemmeno la guerra è giusta. Mi è stato dato uno strumento per il bene del villaggio, Rin. Non voglio più essere spazzatura, non m’importa più di essere stimato individualmente, voglio solo difendere i miei.”

Omaggio a un eroe.
Genere: Generale, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gai Maito, Kakashi Hatake, Rin, Yondaime | Coppie: Tenzo/Yamato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Buondì.

Scusate le tante licenze che mi sono presa e le incongruenze, ma non è facile parlare di questo periodo di cui non sappiamo pressoché nulla. A parte il poco letto nel Kakashi Gaiden, dell’epoca del team Minato non ci sono notizie e ho improvvisato.

Le seguenti pagine vogliono essere un piccolo omaggio a quello che ritengo essere il miglior personaggio di Kishimoto, il mio preferito in assoluto – e di gran lunga.

Un eroe. Anzi, Eroe.

A Kakashi dello sharingan.

Buona lettura

 

 

 

 

 

 

“Io mi chiamo Kakashi Hatake, i miei gusti non sono affari che vi riguardino e non avrebbe alcun senso parlare dei miei sogni, in quanto agli hobby ne ho diversi.”

 

 

Oltre gli occhi

Ritratto d’eroe

 

 

Rin a volte pensava di odiarli tutti quanti, indistintamente. In quei momenti le veniva voglia soltanto di urlare, sentiva ancora la mano quasi esanime di Obito stretta nella sua e quella decisa e energica di Kakashi che la afferrava e la strappava via, un secondo prima che la frana sommergesse anche lei. Un groppo pesante le ostruiva la gola, allora, mentre la malinconia le scoppiava in testa come una bolla e il senso d’ingiustizia le divorava lo stomaco.

Davvero, in certi momenti li detestava tutti.

Detestava i loro sguardi che si facevano vagamente sprezzanti quando il ragazzo voltava loro le spalle e si allontanava, le smorfie superiori dei veterani e il loro fastidio la cui vera causa, ne aveva concluso lei, non era altro che l’invidia. Pura e semplice invidia nei confronti di quello shinobi che, ancora ragazzino, superava tutti loro in abilità di una spanna. Potevano pure dire che fosse inesperto, precipitoso e troppo esigente, ma la verità era che Kakashi valeva semplicemente più degli altri. Lo sapeva lei e lo sapeva Minato sensei. Tutti gli altri potevano anche impiccarsi, per quanto la riguardava.

Non che tutti quanti lo deprecassero. Maito Gai sembrava aver deciso che fosse un portento e cercava a tutti i costi di dimostrarsi all’altezza e Asuma-san continuava a sbalordirsi, ammirato da ogni nuova tecnica. L’Hokage stesso non nascondeva il compiacimento per la serietà con cui Kakashi portava sulle spalle la responsabilità di quel potere fuori dal comune. 

Ma certe volte lei pensava di spaccare tutto. Sentiva la gente dire “bravo, ottimo lavoro,” con espressione compiaciuta e poi, un attimo dopo, mormorare perfidamente che “certo, è facile fare un buon lavoro con quell’occhio”. “Chiunque può diventare un grande shinobi, se gli piove dal cielo uno sharingan.” “Non era poi così in gamba fino all’anno scorso, non è vero?”

E giù risatine, cattive e odiose.

Loro non ne sapevano assolutamente nulla. A sentirli sembrava quasi che Kakashi si beasse nella fortuna straordinaria che gli era capitata, approfittandone per mettersi in luce e far parlare di sé. Che fosse un borioso arrivato, capace soltanto di vantarsi di abilità non sue e darsi arie da grande guerriero quando quel che aveva fatto, in fin dei conti, era stato lasciar morire il suo compagno di squadra e impossessarsi del suo potere. Non si davano nemmeno la pena di guardarlo in faccia per scoprirlo più cupo, più dolente e apatico di quanto fosse mai stato.

Quelle che loro chiamavano arie, Rin lo sapeva, non erano che manifestazioni della naturale riservatezza di lui. E quanto al mettersi in mostra, Kakashi non faceva niente del genere. Il suo impegno quasi maniacale nel portare scrupolosamente a termine le missioni con arditezza e sprezzo per il rischio non era dovuto alla volontà di apparire, ma al senso del dovere che da sempre lo contraddistingueva. Se mai Kakashi era cambiato, dal giorno della battaglia sul ponte, non era certo perché fosse diventato superbo. Soltanto più malinconico.

L’unico vero cambiamento che lei vedeva era positivo. La morte di Obito era stata una lezione che il compagno sopravvissuto, acuto e intelligente com’era, aveva imparato a proprie spese. Non rimaneva certo indietro con i compagni in difficoltà per mostrare che se la cavava meglio di loro, ma perché piuttosto che rinunciare a una sola delle vite di chi gli era accanto sarebbe morto nella maniera più orrenda. E questo, nell’opinione di Rin, era tutto fuorché deprecabile.

E li odiava.

Odiava anche lui, perché non reagiva. Se fosse stata lui li avrebbe rimessi a posto una volta per tutte, facendoli tacere e possibilmente umiliandoli. Kakashi invece faceva orecchie da mercante e fingeva di non accorgersi dello scherno che gli cresceva intorno di pari passo con l’aumento della sua forza. Stava per i fatti suoi, oppure con il sensei per allenarsi, qualche volta con lei.

Un pomeriggio decise di parlargliene. Non erano molto in confidenza, nonostante fossero compagni di team, perché la venerazione a senso unico di Rin la portava a provare una strana forma di soggezione verso l’amico, ma quel giorno i commenti sussurrati da un capannello di giovani ANBU presuntuosi le avevano fatto davvero perdere le staffe. Si era allontanata senza dire niente, stringendo soltanto i pugni con rabbia, e proprio dopo qualche decina di metri percorsi nel corridoio, puntando all’esterno del quartier generale, si imbatté nel ragazzo di ritorno da una breve missione.

Rin,” la salutò, compassato come sempre.

Kakashi-kun,” rispose lei, cercando invano di celare il fremito di rabbia della propria voce. Il giovane guerriero la guardò con l’unico occhio scoperto tinto di vaga perplessità.

“Tutto a posto?” chiese con distratta partecipazione.

Aveva iniziato a essere premuroso con lei, Kakashi. Le sue maniere distaccate lo celavano, in parte, ma dalla morte di Obito sembrava sempre che Kakashi si preoccupasse che le potesse succedere qualcosa. Dopotutto, era per lei che l’Uchiha si era lanciato in quella che s’era poi rivelata una sortita suicida.

“Sì. No,” biascicò irritata. “Non importa.”

Ci fu un educato, perplesso istante di silenzio durante il quale lui non fece che guardarla imperscrutabile, annuendo senza convinzione.

“Certo,” commentò vago.

Rin sospirò, scuotendo la testa.

“Facciamo due passi?” propose titubante, sentendo crescere un po’ d’ansia. Non riusciva, davvero non riusciva ad essere naturale con lui. Kakashi era…troppo.

Lui annuì di nuovo, incamminandosi al suo fianco. Finché non furono fuori non scambiarono una parola e anche per un breve pezzo di strada, nel centro affollato del villaggio, continuarono semplicemente ad avanzare fianco a fianco, in silenzio. Soltanto giungendo sulla via che costeggiava il lago Rin rallentò il passo, con un sbuffo. Lo scrutò di sottecchi, scoprendolo intento a fissare davanti a sé senza espressioni particolari.

“Sei migliorato molto, quest’anno,” osservò, senza sapere da dove iniziare.

Kakashi, stranamente, non fece che annuire di nuovo.

“Hai imparato…molti jutsu negli ultimi mesi,” osservò ancora lei, fermandosi a osservare l’acqua increspata da riflessi di luce, senza più guardarlo.

Kakashi si cacciò le mani in tasca, stringendosi nelle spalle.

“Non è che sia molto difficile, con quest’occhio,” commentò schernendosi.

Rin fu sollevata che fosse stato lui a citare per primo lo sharingan. Era un argomento che non sapeva mai toccare, così come le riusciva difficile parlare di Obito stesso in generale. Ma ora che Kakashi aveva introdotto il soggetto poteva osare.

“Sai, c’è chi…tende a sminuirti per questo,” iniziò incerta, fissando a terra.

Kakashi tacque per un istante.

“Lo so,” commentò atono. “Ma non ha importanza.”

Rin serrò la mascella irata, si voltò con sguardo fiammeggiante.

“Come puoi dire così? Dopo tutto l’impegno e gli sforzi che hai fatto, dopo…”

Rin,” la interruppe lui, grave. “A me non importa, davvero. In fondo, che per me ora sia più facile è un dato di fatto.”

Lei si accigliò ulteriormente, il cuore gonfio di collera e dispiacere.

“Non basta uno sharingan a fare di un mediocre un grande shinobi!” protestò veemente. “Se tu non fossi stato già forte non…”

“Ma che differenza fa se la gente parla?” osservò lui, senza perdere la flemma. “Non è questo che conta.”

Rin ristette, spiazzata. Lo osservò per un istante in viso e Kakashi accennò un sorriso bonario, il primo che gli vedeva fare da molto tempo.

“Se ne parlano è perché effettivamente sta dando buoni frutti,” continuò lui con serietà. “E’ questo che conta. Obito…avrebbe fatto buon uso di quest’occhio, ne sono certo. E ora ne farò buon uso io al suo posto.”

“Ma la gente non ti riconosce…”

“Non è per il riconoscimento, Rin,” fece lui, più acceso. “Voglio essere il guerriero che lui sarebbe stato. Quest’occhio…è un gesto di generosità per il bene altrui. E io lo userò per il bene altrui, non c’è altro da dire. Lo sharingan non appartiene a me, ma a Konoha.”

Rin voltò la testa di scatto, per nascondergli le lacrime che le stavano offuscando la vista. Chinò la testa mordendosi le labbra più forte che poteva.

“Non è giusto,” mormorò con voce rotta.

“Molte cose non sono giuste,” rispose il ragazzo, grave. “Nemmeno la guerra è giusta. Mi è stato dato uno strumento per il bene del villaggio, Rin. Non voglio più essere spazzatura, non m’importa più di essere stimato individualmente, voglio solo difendere i miei.”

Rin si accorse delle lacrime che ormai libere le rigavano le guance soltanto quando percepì il suono soffocato dei suoi stessi singhiozzi. Nascose il viso tra le mani, vergognandosi di quella debolezza. Kakashi era sempre stato molto severo su quel punto, le emozioni non erano cosa da shinobi.

Invece, inaspettatamente, sentì la mano del ragazzo posarsi sulla sua spalla con insolita delicatezza, confortante.

“Dai, Rin,” la riscosse lui, bonario. “Non devi prendertela. Si accorgeranno che non sono un esaltato, basta dar loro tempo. Per il resto, adesso posso essere davvero utile ed è l’unica cosa che m’interessi.”

La pena le traboccò dentro e non poté più trattenersi. Gli gettò le braccia al collo, piangendo disperatamente. Per Obito, per lui e per tutto quanto.

Kakashi la lasciò fare pazientemente, dandole qualche leggera pacca che rivelava il suo profondo imbarazzo. E Rin si rese conto che su una cosa avevano ragione, i pettegoli: Kakashi Hatake era davvero molto cambiato dal giorno della battaglia sul ponte Kannabi. Era diventato un adulto.

Somigliava a Minato sensei, adesso.

 

 

“Mi raccomando, cercate di mantenere un basso profilo. Non dobbiamo scatenare una battaglia, ma verificare quali sono i loro mezzi.”

La frase di Minato sensei rimbombava nella mente di Kakashi come una minacciosa condanna. Nella polvere accecante sollevata dalle esplosioni gli sembrava di scorgere il suo silenzioso rimprovero, mentre lo scontro violentissimo imperversava a pochi metri da lui. Il suo Goukakyuu spazzò via un avversario mentre si guardava intorno con entrambi gli occhi spalancati, pronto a scattar via per evitare gli attacchi.

Masao sama era caduto da qualche parte, Tenzou stava lottando a pochi metri di distanza da lui, sembrava cavarsela bene. Doveva essere ferito, ma non in modo grave, mentre Junichi-kun pareva molto più in difficoltà. Esitò per un paio di secondi, con l’altro ANBU che si difendeva alla meglio da un duplice attacco. Avrebbe potuto usare il chidori, ma non avrebbe potuto utilizzarlo una seconda volta, e RinRin non era lì.

Non avrebbero dovuto dividersi. Sarebbe stato meglio se la squadra di supporto fosse rimasta a distanza d’orecchio. Aveva provato a farlo notare ma Masao sama gli aveva risposto che non spettava a lui decidere e che non bastava saper fare qualche jutsu più degli altri per diventare un leader. Aveva stretto le labbra, ingoiando il risentimento e la collera, e si era attenuto agli ordini come di consueto.

“Sta’ attenta,” aveva mormorato preparandosi a separarsi dagli altri.

Rin aveva annuito, decisa.

“Anche tu, Kakashi-kun.”

E ora c’era quella dannata battaglia e non riusciva a capire dove si trovassero gli altri. C’era Gai, con Rin, o almeno lo sperava. Anche Norihide sapeva il fatto suo e si augurava che nessuno di loro l’avesse lasciata sola.

Kawarimi!” mormorò nell’istante in cui uno shuriken lo colpiva al fianco, sparendo in una nube leggera mentre un ramo cadeva in terra al suo posto. Un istante dopo, l’incauto nemico che lo aveva attaccato finiva sotto i suoi colpi.

Doveva aiutare Junichi, il ragazzo quasi non si reggeva più in piedi.

Nel giro di pochi secondi uno degli aggressori si trovava affondato nella terra fino al collo per il suo Dotono, lasciando così al compagno la possibilità di finirlo. L’altro cadde sotto il suo Turbine di Sabbia, appena copiato dai nemici stessi. L’ultima cosa che quell’uomo fece fu sgranare gli occhi e osservare il ragazzo con terrificato stupore. Evidentemente non si aspettava di trovarsi davanti uno sharingan.

“Tutto bene?” chiese ansimando, mentre Junichi traballava e poi annuiva.

“Andiamo,” intimò quindi Kakashi con urgenza. “Tenzou! A cercare il secondo team!”

“Sì, senpai!” rispose quello, fermo.

Ma non era semplice muoversi. Quel commando era troppo numeroso, semplicemente troppo. Doveva usare una delle tecniche di Minato sensei, anche se questo avrebbe significato consumare un’ingente quantità del chakra che gli rimaneva. Non sarebbero riusciti ad avanzare, se non avesse fatto qualcosa di decisivo.

A meno che non fosse riuscito a chiamare Pakkun. Non era facile, in quel momento, ma i cani avrebbero ritrovato Rin sicuramente più in fretta di lui.

Tenzou!”

L’altro ANBU non poteva sapere cosa avesse in mente, ma intuì la sua necessità e gli si parò davanti, coprendolo e iniziando ad attivare la sua abilità del legno. Kakashi si concentrò per qualche secondo e poi, piantata la mano in terra, si vide circondato da tre dei suoi compari a quattro zampe.

Uee-eehi…” esclamò Pakkun appiattendosi a suolo. “Che brutta situazione!” aggiunse, notando l’infuriare della lotta.

“Dovete trovare Rin!” ordinò lui senza badargli troppo. “La ragazza che sta con me, ricordi?” aggiunse sbrigativo.

“La tua ragazza? Amici, ha una ragazza e non ce lo dice!”

“Muoviti, Pakkun,” sbottò lui, grave, con un sospiro. “Tornate a darmi indicazioni e attenti.”

La bestiola sembrò prenderlo sul serio e si preparò a scattare, imitata dai due compagni.

“E non ha nemmeno negato…” commentò distrattamente, prima di trottare via.

Bunshin no jutsu!”

Doveva prendere tempo. Tenzou sembrava della sua stessa idea, a giudicare dall’intricata prigione di legno che stava tirando su come se niente fosse.

Non avrebbe ricordato molto bene come si fossero svolti i fatti, in seguito. Ci fu un momento in cui lui e Tenzou tennero a bada tutti quelli che potevano, poi Junichi che cadeva, un altro Katon per difenderlo, il ritorno di Pakkun. Il cagnetto che lo guidava via, approfittando della distrazione guadagnata coi cloni e della copertura dell’incrollabile Tenzou, mentre i due quattro zampe più corpulenti si adoperavano per trascinare via il ferito.

Poi una voce nota che sbraitava “Ura renge!” con tono da invasato.

Gai.

Almeno lui era vivo.

E in forma, a giudicare da quella tecnica. Peccato non averla vista dal principio, perché quando lo raggiunsero era già in piena effettuazione.

“Dov’è Rin?” urlò, affiancando il collega.

“Kakashi!” esclamò lui, apparentemente entusiasta. “A quanti sei?” Attese solo un secondo, notando la sua perplessità. “Quanti ne hai stesi?” si spiegò, calciando via un tizio con tanta forza che probabilmente nemmeno un suo singolo osso era ancora intatto.

“Ma chi…Dov’è Rin?” sbraitò il ragazzo, allibito, schivando un’ondata di sabbia che Gai spezzò con un colpo di braccio.

“Di qua, ragazzo,” osservò Pakkun, puntando dietro le loro spalle.

Norihide sembrava nei guai, Rin gli stava contro la schiena, si proteggevano a vicenda.

Katon!” iniziò Kakashi.

Il kunai lo centrò in piena schiena senza che se ne accorgesse, preso dall’ansia per la compagna di squadra. Sentì la fiammata del dolore tra le scapole e il gusto ferrigno del sangue sulla lingua, prima di sputare un grumo rossastro. Le ginocchia gli traballarono, ma si portò la mano alla schiena e tirò via la lama, stringendo i denti. Gli si stava appannando la vista.

“Quello è un pezzo grosso!” commentò Gai, puntando il guerriero che attaccava i due ragazzi feriti. “Giovani, addosso!” aggiunse agguerrito, scagliandosi in quella direzione.

Kakashi vedeva soltanto Rin. Era l’unica cosa che occupasse il campo visivo. Aveva la fronte e le guance sporche di sangue, un braccio inerte abbandonato lungo il fianco esile. L’uomo della sabbia lanciò via Gai come se fosse stato un moscerino e Kakashi si rese conto che quello era un avversario troppo forte. Il suo mare di sabbia che stritolò Norihide un attimo dopo gliene diede conferma.

Gai si lanciò di nuovo contro l’avversario, interponendosi tra lui e Rin. Era quello di cui Kakashi aveva bisogno e si affrettò a preparare il Mille Falchi. Non doveva sbagliare, non avrebbe avuto una seconda occasione.

Pakkun se l’era svignata. Pusillanime cagnaccio.

Chidori!”

Centrò in pieno il nemico mentre la sua sabbia si raggrumava intorno a Gai. Tranciò il suo torace in due, sotto lo sguardo estatico e allibito del campione di taijutsu.

Le gambe gli cedettero definitivamente, facendolo crollare sulle ginocchia senza fiato.

R-rin…”

L’apprendista medico stava già incespicando verso di lui, per occuparsi della ferita. Quando Kakashi vide l’uomo alle sue spalle tutto quel che poté fare fu sgranare gli occhi.

Sapeva chi era, lo sapevano tutti. Quell’uomo aveva fatto a pezzi i compagni di squadra di suo padre otto anni prima, aveva imperversato da un campo di battaglia all’altro seminando il panico a Konoha. L’unico shinobi con cui aveva accuratamente evitato di scontrarsi era il Lampo Giallo, il sensei Minato.

Asase no Temabo. Il guerriero della duna.

“Gai!”

Il ragazzo in verde si lanciò in avanti con la consueta sicurezza, come se si fosse trattato di un tizio qualunque. Non servì – prevedibile – a rallentarlo ma anzi, Gai fu colpito da un tale jutsu che Kakashi disperò di vederlo mai rialzarsi.

Non aveva quasi più chakra, ma doveva provarci lo stesso. I tentativi finora avevano dato risultati così scarsi da sfiorare il ridicolo, però non c’era scelta. Concentrò quel che rimaneva del chakra nella sua mano, mettendolo in rapido movimento. Non seppe nemmeno come gli riuscì di alzarsi in piedi davanti al muro di sabbia e lame che stava cadendo su Rin, né come riuscì a proseguire quando la prima di esse lo colpì. Doveva mirare a un punto vitale, seppe mentre schivava un altro kunai sabbioso e sfruttava la velocità copiata da Gai. Era l’unico modo. il colpo non sarebbe stato abbastanza forte, altrimenti.

Sentì Rin gridare di dolore. La vista gli si stava già oscurando quando urlò con ogni forza, spingendo il braccio in avanti.

Rasengan!”

E poi fu tutto nero.

 

 

“Kakashi! Senpai, mi senti?”

Era la voce di Tenzou, ne era abbastanza certo, anche se sembrava provenire da un punto troppo lontano per udirla nitidamente. Poi un filo di luce sfiorò le sue pupille, quindi si rese conto di stare cercando di aprire gli occhi. Mosse le labbra per parlare – o meglio ci provò, erano secche e troppo pesanti. Al secondo tentativo andò molto meglio.

“Sì,” sfiatò roco.

“Hai steso Asase no Temabo. Come ci sei riuscito?” stava dicendo Tenzou, che iniziò a intravedere nella nebbia dei suoi occhi. La testa gli faceva un male cane, aveva usato lo sharingan per ore. Tenzou aveva una strana voce. Più che sollevato sembrava desolato, cauto.

“E’…morto?” esalò lui, stremato.

“Gli hai bucato la testa,” confermò Tenzou spiccio.

Un buco in testa, tutto lì. Come rasengan faceva veramente schifo, ma era servito all’occorrenza. Se Minato sensei fosse stato presente forse avrebbe vomitato per la pena, comunque.

Non riusciva a respirare. Era l’ansia, forse paura. Cercò di parlare ma le labbra lo tradirono di nuovo. Strizzò gli occhi, radunando le energie.

Rin?”

Una mano si poggiò sulla sua spalla.

“Sei stato fichissimo, Kakashi.” Questo era Gai, mezzo tramortito e con tono un po’ gracchiante e troppo serio. “Veramente giovane. Ma il suo era un colpo troppo forte. Mi…mi dispiace.”

Chiuse di nuovo gli occhi, pensando che non li avrebbe riaperti per nessuna ragione. Voleva soltanto piangere, soltanto questo. Aveva fallito di nuovo, aveva di nuovo lasciato cadere qualcuno che amava. Se Obito lo avesse visto, se fosse stato lì, sarebbe stato così deluso da lui che per la disperazione un singhiozzo gli sfuggì comunque, insopprimibile.

“Le ho tenuto la mano,” continuò Tenzou, di cui continuava a non distinguere i lineamenti. “Mi ha detto…mi ha detto che crede in te e che voleva sapessi che non sono gli occhi a fare un eroe, e che tu l’hai dimostrato.”

Singhiozzò ancora. Stupida Rin, lui non era un eroe. Era un perdente.

“Quello ci avrebbe uccisi tutti se non ci fossi stato tu,” continuò Tenzou, nemmeno gli avesse letto nel pensiero. “Junichi se la caverà, e anche noi due. E tu, ovviamente. Adesso ti riportiamo a casa.”

“Sicuro!” fece Gai incoraggiante. “Non vi preoccupate, siete nelle mani del grande Maito Gai! Chiunque si avvicina, lo faccio a fettine!”

“Lei…lei…”

“La portiamo con noi,” lo rassicurò Tenzou gentilmente. “Gai-kun l’ha presa in spalle. Adesso i tuoi cani prenderanno te. A Junichi ci penso io.”

Kakashi gli fu in qualche modo riconoscente per la sua presenza rassicurante. In qualche modo, perché per il resto il dolore per la nuova perdita lo stava soffocando e quello fisico lo ottundeva completamente.

Pakkun?” mormorò inebetito.

Yo,” fece il cane, accanto al suo orecchio. La sua linguetta ruvida gli solleticò la guancia, con un inusuale slancio per nulla tipico del suo amico cane poco canino. Kakashi allungò la mano e Pakkun era morbido, aveva il pelo caldo. Piegò la testa nascondendo gli occhi contro il fianco ansante e tiepido dell’animale e scoppiò in lacrime. Ogni singhiozzo sembrava una nuova lama che si conficcava nella ferita alla schiena, ma non aveva importanza.

“Moccioso frignone,” borbottò Pakkun burbero. Gli tremava la voce.

Poi si lasciò portare via. Nel giro di pochi minuti era così stremato da sfiorare la mancanza di conoscenza, quindi si addormentò completamente.

 

 

“Buongiorno, Kakashi.”

Minato.

“Sensei…” mormorò, socchiudendo le palpebre con incertezza.

E per poco non perse i sensi di nuovo.

Cosa ci faceva Minato sensei con quel pastrano bianco da…Hokage?

Il maestro sembrò percepire il suo sbigottimento, perché sorrise sornione.

“Hai dormito per tre giorni. Nel frattempo c’è stata una piccola novità,” annunciò grattandosi la testa, impacciato.

Yondaime?” mormorò Kakashi incerto.

Minato annuì spiccio.

“Già.”

Per qualche secondo sembrò non poter parlare nessuno dei due. Kakashi si sentì investire dalla meraviglia, l’incredulità e l’esaltazione, poi il sorriso di Rin gli bucò la mente e richiuse gli occhi, abbandonando la testa sul cucino con uno spasmo disperato.

“Lei…”

“Lo so,” lo interruppe Minato, grave e amaro. “Tenzou-kun mi ha raccontato tutto. Sembra inoltre che qualcuno abbia ucciso l’uomo delle dune con un jutsu molto particolare…” continuò vago.

“Faceva pietà,” mormorò Kakashi assente.

“Non direi. Ha funzionato, dopotutto,” lo contraddisse il maestro incoraggiante.

“Non abbastanza.”

“Non è colpa tua,” sospirò l’adulto, incupendosi. “Avrei dovuto venire con voi. È la seconda volta che commetto questo errore, ma purtroppo non potevo lasciare Konoha, anche se ci ho provato.”

“L’ho lasciata morire,” sussurrò Kakashi con voce rotta.

“Hai salvato altre tre persone. Sei un umano, non pretendere da te stesso l’impossibile,” osservò Minato, grave. “Ti stanno aspettando tutti per festeggiare.”

“Festeggiare che cosa?” rispose seccamente lui, riaprendo gli occhi.

“Festeggiare il numero uno di Konoha. Beh, il numero due, se contiamo me,” rispose Minato, tra lo scherzoso e il desolato. “Tenzou ha raccontato a tutti del tuo Turbine di Sabbia. Sai, adesso quando dicono ninja copia abbassano la voce, con rispetto. Era quello che voleva anche Rin…”

Kakashi poté soltanto annuire.

“Se ce la fai a sederti, ti porto fuori. C’è qualcuno che ti vorrebbe dire qualcosa,” continuò il sensei, misterioso. Il ragazzo fece un tentativo, scoprendosi meno debole di quanto avrebbe creduto. La schiena resse il peso e lui fece cenno di aiutarlo. Minato gli tese una mano e, con attenzione, lo issò sulla sedia sistemata accanto al suo letto. Kakashi trattenne un gemito di dolore mentre le spalle poggiavano contro lo schienale, poi si lasciò spingere verso il balcone.

Era una stanza al primo piano, si accorse quando poté spingere lo sguardo al di là del parapetto. E di sotto c’era un sacco di gente. Quasi tutti gli ANBU, altri shinobi, cittadini comuni. C’era la madre di Rin, con un sorriso bagnato di lacrime e una mano alzata appena in saluto. Kakashi si guardò intorno spaesato, e trattenne il fiato quando il suono dell’applauso raggiunse le sue orecchie, prima attutito e poi scrosciante.

“Non puoi essere infallibile, Kakashi. Ma puoi essere un pilastro per questo villaggio. Io credo in te,” mormorò Minato quasi solenne, chinando la testa vicino alla sua.

Lui annuì di nuovo, nell’applauso e le esclamazioni d’ammirazione. Minato sama credeva in lui, come Rin. Forse non serviva a nulla, ma sarebbe bastato.

Sarò un eroe davvero, Rin, te lo prometto. Gli occhi non c’entrano niente.

 

 

 

 

 

 

    

   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: suni