Capitolo 20
Avevo
sborsato novanta sterline tra ingaggio, vestiti nuovi e pistola. Il tizio che
avevo scelto per l'attentato al nostro caro George corrispondeva al tipo di
uomo che serviva a me. Dall'aspetto non sospetto -solo una volta sbarbato e
ripulito-, agile e sveglio. Era un certo Robert Carter, avevo sentito parlare
bene di lui, da quelli dell'ambiente, ovvio.
Avevamo
appuntamento davanti al palazzo in cui si sarebbe tenuto il Congresso
Continentale, accompagnato da me e Charles non avrebbe dovuto aver problemi ad
entrare.
Il
dondolio della carrozza mi stava quasi facendo assopire, quindi mi misi in
posizione eretta per non addormentarmi. Guardai Charles con la coda
dell'occhio, notando che fissava con aria assente fuori dal finestrino.
«Agitato?»
Risi per alleggerire la tensione. Non rispose. «Che diavolo, nemmeno stessi per
scopare la prima volta» lo vidi serrare la mascella.
«Spero
solo vada tutto secondo il piano» si degnò di voltarsi, lo sguardo serio e il
volto teso. «Insomma, con vostro figlio tra i presenti…»
«Andrà
bene» tagliai corto «Connor non prevede il futuro,
magari cercherà di fare qualcosa, ma non credo riuscirà a salvare ancora il
culo a George» lo dissi più per convincere me stesso, in realtà.
La
carrozza frenò di colpo, prendendo in pieno una buca e sballottandoci sul
sedile. Non attesi che il cocchiere mi aprisse la portiera, quindi scesi
seguito da Charles.
«Come
avete detto che si chiama?»
«Robert»
risposi guardandomi intorno. Gli avevo comprato una camicia blu, ma in mezzo a
quella marea di gente mi sarebbe stato difficile trovare persino Connor e la sua tunica luminosa.
«Non
vedo vostro figlio»
«Se
Dio vuole» prima o poi il Signore mi avrebbe lasciato un giorno senza quella
piattola, no? «Ho visto Robert, seguimi» allungai il passo fino ad affiancare
il mio mercenario. Sussultò quando gli posai una mano sulla spalla.
«Eccovi,
finalmente. Credevo aveste cambiato idea, qui è pieno di guardie, cristo» gli
afferrai un braccio e lo portai con forza verso il portone spalancato,
sorvegliato da due uomini in divisa posti ai lati dell’entrata.
«Evita
questi discorsi qui, imbecille» sibilai a denti serrati. Superammo i due uomini armati senza difficoltà, non una
domanda, non uno sguardo sospetto. Ma cosa ci si poteva aspettare dai
protettori di George? O forse mi sottovalutavano?
Charles
mi affiancò, allentandosi il colletto con due dita.
«Calmati,
così peggiori solo la situazione»
«Voi
dite? A me sembra già critica» mi calmai. Potevo capire in parte come si
sentiva, se fosse successo qualcosa a Washington sarebbe stato il primo
sospettato, ne ero consapevole, ma che altro avremmo dovuto fare? Lasciare il
Continentale allo sbaraglio? Permettere che perdessimo la guerra? E per cosa,
poi?, per l’ipotesi che incolpassero Charles? Lo guardai con la coda
dell’occhio. Stava sudando freddo, anche se tentava di mostrarsi calmo.
Girammo
a sinistra, entrando nella prima stanza del corridoio, trovandoci nella sala
che avrebbe accolto il nostro onorevole comandante in capo. Diedi una rapida
occhiata, contando una trentina di tavoli.
«Siediti
lì» dissi a Robert dopo avergli dato una pacca sulla schiena, poi feci cenno a
Charles di seguirmi ad un altro tavolo. Non potevamo correre il rischio che
associassero l’attentato a noi, non sia mai.
Ne occupammo
uno sulla destra, uno dei pochi liberi, non che avessimo molta scelta. Charles
si sedette di fronte a me, dando la schiena a… mio figlio.
Feci
una smorfia. «C’è anche Connor, non voltarti, per
carità di Dio» sbuffò, appoggiandosi allo schienale imbottito. «E Adams è con
lui»
Ridacchiò
«Vanno in giro insieme come due sposini» sorrisi anche io, fissando la nuca di Connor e provando ad immaginare, solo per un attimo, a che
sarebbe successo se non fosse stato così cocciuto. Forse se non ci fosse stato
Achille di mezzo avrei avuto la strada spianata, ma quando mai un Kenway ha la vita facile, mh?
Mai.
«A
cosa sta pensando, Signore? Washington è arrivato» mi destai, volgendo lo
sguardo verso il fondo della sala.
Ed
eccolo lì, davanti a tutti noi, orgoglioso della divisa del Continentale
immacolata. Ovvio, no? Lui non andava a morire, non imbracciava fucili, non seguiva
i suoi uomini verso la gloria o la morte, no. Non conosceva l'ansia della
battaglia, il fiato della morte sul collo, il senso di colpa per aver ucciso un
tuo probabile assassino. Non sapeva nulla di tutto questo, eppure si atteggiava
da grand'uomo, da comandante valoroso, da eroe.
Lui
preferiva starsene al riparo nella sua tenda, da buon coniglio.
«Signori»
ci scrutò con quei suoi occhietti da roditore «Intanto vi ringrazio per essere
qui quest'oggi» oh, sì, che fantasia. «So bene cosa vi aspettate di sentire.
Dati i risultati abbastanza scarsi, crederete che voglia ritirarmi, o sbaglio?»
Charles
tamburellò le dita sul tavolo «Sarebbe l'ora, vecchio» borbottò.
«Ma
così sarebbe troppo facile, amici. Chiunque sarebbe bravo a lavarsene le mani e
lasciare il suo successore nei guai, ma non io. Io ho un onore, Signori miei.»
Oh, sì, lo stesso onore di una puttana a gambe aperte.
«Quante
stronzate. E la gente gli crede pure» ringhiò Charles.
«Calmo.
È solo un buon oratore, sa tenere la folla»
«Dalla
mia ho uomini forti, pieni di coraggio e valori. Vinceremo la guerra, questa è
una promessa. Vi garantisco che le cose miglioreranno» lanciai uno sguardo a Connor. Le mani giunte sul tavolo, il cappuccio tirato giù
e il volto teso. Sembrava dubitasse delle parole di George, come fossero le
solite promesse fatte da un bambino capriccioso e bugiardo. Che capisse,
diavolo. Ci speravo, era ancora recuperabile. Cacciai un colpo di tosse e, come
avevamo pianificato, Robert si alzò lentamente.
«Permettetemi,
Signori, di ringraziare a nome di tutti il nostro Comandante in capo» sorrise
folle, estraendo la pistola. «Lunga vita a George Washington!» I presenti
sbiancarono, qualcuno urlò, Sam Adams rimase pietrificato, l'unico lucido fu Connor, che in un secondo scattò verso il mio uomo,
colpendogli il braccio e deviando il colpo appena sparato.
«Cristo!»
Charles sbarrò gli occhi, io serrai la mascella mentre George cadde
all'indietro tenendosi il braccio ferito.
Mi
alzai, imitato da Lee che, profondamente dispiaciuto
per Washington, si precipitò a vedere se fosse in pericolo di vita. Non fece in
tempo a raggiungerlo che Robert Carter era già morto sotto la lama celata di Connor.
Strinsi
i pugni. Non potevo di certo andare lì e dargli una sberla per avermi fatto
buttare novanta sterline, no? Dio,
figliolo, prima di uccidere uno dei miei, fammi un fischio.
Gli
afferrai un braccio «Fermo, non peggiorare le cose. Rischieresti di scatenare
il panico» si strattono, come se il mio solo contatto lo infettasse.
«Sei
stato tu, vero?»
«Cosa?»
I suoi occhi accusatori tentavano di leggere i miei, ma confidavo ancora nel
mio autocontrollo «Credi davvero che sia io l’artefice di questa pagliacciata? Suvvia,
mi sottovaluti. Io non avrei certamente fallito» continuò a fissarmi dubbioso,
quindi giunsi le mani dietro la schiena. «Non starò qui a pregarti di credermi,
ho altro da fare, e visto che il caro George ha fallito anche qui, beh, ci si
vede» lanciai un’occhiata a Charles, ancora inginocchiato vicino a Washington,
e gli feci cenno di andare.
***
Seguii
Haytham verso l'uscita tentando di scansare la calca
in corridoio. Avevo i nervi tesi, l'indiano era riuscito a salvare Washington,
che se l'era cavata solo con una ferita sul braccio, e ad uccidere Robert.
Questa
Haytham non gliel'avrebbe perdonata. Avevo serie
difficoltà a capire la logica del ragazzo: si affaccendava tanto per proteggere
l’assassino della sua gente e che stava mandando a puttane l’indipendenza delle
colonie.
«Ehi»
mi sentii afferrare il braccio destro con forza. Mi voltai, trovandomi davanti
un mio collega «Ci sei anche tu, Charles» Artemas Ward serrò ancora di più la presa.
«Certo,
Artemas. Perché non dovrei?» Mi divincolai con un
leggero strattone. Mi fissò serio, indagatore, come se attribuire a me il fatto
che era appena successo fosse spontaneo. Beh, non aveva tutti i torti.
«Stai
attento a quello che fai, Lee. Potresti pentirtene» lanciai uno sguardo ad Haytham, bloccato dalla massa di gente qualche metro più
avanti.
Sbottai
«Che cazzo vuoi da me, eh? Non ho motivo di stare attento» divenni serio anche
io. Un peso nel petto mi fece inspirare a fatica. Che sapesse?
«Ti
ho visto qualche sera fa» ghignò, gelandomi il sangue. «Non fare casini di
nessun tipo, non vorrei che la tua amica si facesse male» lo afferrai per il
bavero della giacca, placando a fatica un'ira montata di colpo.
«Non
osare.» Replicai «Avvicinati a lei e sei un pezzo di carne morta. Mi sono
spiegato?» Tremavo di rabbia. Non doveva. Non doveva nemmeno avvicinarsi a Jennifer.
Punto. Credeva che non avessi il fegato di ucciderlo solo perché era un mio
pari? Non mi conosceva, allora. Non mi conosceva per un cazzo.
«Perché
ti allarmi tanto? Hai la coscienza sporca?» Sorrise di nuovo.
«Charles?»
Non mi voltai verso Haytham che mi chiamava,
preferendo di gran lunga continuare a fissare con sdegno e superiorità quel
coglione su due piedi «Andiamo.» Continuò.
«Tra
i due, devi stare attento tu. Avvicinati
e sei morto, spero di non dover avere un altro cadavere tra i piedi.» Lo mollai
malamente senza staccargli gli occhi di dosso.
Intanto mi scuso per il
ritardo *si sotterra*, ma ieri sono stata senza wifi
tutto il giorno, quindi non ho aggiornato per motivi di forza maggiore, ewe.
Cooomunque, il vecchio George se la
cava sempre, tzè.
Per chi non sapesse chi è Artemas Ward, fu un generale
statunitense dello stesso grado militare di Charles che Washington scelse come
suoi sottoposti –insieme a Philip Schuyler e Israel Putnam-.
Va beh,
la smetto, lol. Grazie a chi legge, segue, preferisce
e, soprattutto, recensisce :3
A lunedì.