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Autore: red queen    03/11/2008    7 recensioni
Un giorno relativamente tranquillo al quartier generale del CP9...Kaku ne approfitta per chiarirsi le idee sulla sua relazione con Lucci. Con l'aiuto involontario di Jyabura!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Cipher Pool 9
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia primissima Lucci/Kaku! E’ una coppia che adoro, ma sulla quale non mi sono mai cimentata, adesso però ho deciso di dare il mio minuscolo contributo all’altrettanto minuscolo fandom italiano. Nella speranza che cresca a dismisura ^__~

Adesso le solite avvertenze di rito…Perché i rompiBIIIP sono sempre in agguato ^^’

Non ci sono scene di sesso esplicito in questa fanfic, ma si parla pur sempre di amore omosessuale. Come sempre, se la cosa vi disturba, NON leggete, l’autrice ve ne sarà grata!

Edit: dimenticavo la cosa più importante!!! ^^' Questa fic è ispirata alla fanart della mia superadorata virtualsis, nonchè beta, Arikel. Potete ammirarla qui --> http://yaoi.y-gallery.net/view/444707/ Ma attenzione! E' NC17

Dopo uno dei soliti allenamenti di routine, Kaku si diresse verso il suo alloggio per fare una doccia con calma. Il pomeriggio assolato era immobile e quieto, nell’aria si sentivano solo suoni in lontananza. Ad Enies Lobby la vita continuava, ma lì, nel cortile che metteva in comunicazione gli edifici privati dove i membri del CP9 vivevano, lavoravano, si preparavano, tutto era pressoché immobile…A parte un boato con conseguente rumore di vetri infranti.

Un evento del genere avrebbe forse allarmato un altro uomo, ma Kaku aveva il controllo perfetto delle proprie emozioni, e il sangue freddo che era indispensabile nella sua professione. Si fermò a riflettere un istante. Kalifa e Blueno erano in palestra con lui fino ad un minuto fa, ed il rumore era arrivato dalla direzione opposta; Fukouru era via per una missione; il sonoro yoioiiii che aveva sentito non appena uscito dalla palestra gli aveva fornito informazioni per lo più accurate riguardo l’ubicazioni di Kumadori, che non poteva trovarsi in nessun modo vicino al luogo da cui era arrivato il boato.

Mancavano all’appello Jyabura e Lucci. Il che spiegava tutto.

Di Lucci si potevano dire tante cose, ma non che fosse una persona mite o incline al perdono e alla tolleranza, e Jyabura, era semplicemente Jyabura, e non poteva fare a meno di provocare neppure per salvarsi la vita.

Ordinaria amministrazione quindi, Kaku non aveva niente di cui preoccuparsi. Continuò sui suoi passi, che lo portavano nella stessa direzione dove i suoi due colleghi dovevano trovarsi, ma decise che sarebbe stato inutile intervenire, la lite si sarebbe risolta da sola, come sempre.

Tuttavia, sulla soglia dell’edificio dove si trovavano gli appartamenti dei membri del CP9, incontrò proprio Jyabura, spettinato, ansimante e con i vestiti tutti spiegazzati.

La sua innata buona educazione gli impedì di mettersi a ridere in faccia al collega più anziano, ma quest’ultimo gli sbarrò la strada, appoggiando un braccio allo stipite della porta ed impedendogli di attraversarla.

Ma che diavolo ci trovi in quel pazzo psicopatico?” chiese Jyabura, ancora col fiato corto.

Kaku si limitò a sorridergli in maniera enigmatica. La relazione che aveva con Lucci non era esattamente un segreto, ma neppure un argomento di cui parlare apertamente. Oltretutto Jyabura non era il tipo di persona che avrebbe scelto come proprio confidente, se mai ne avesse voluto uno.

Fece un passo in avanti invadendo lo spazio personale dell’altro uomo, nella speranza che questi cogliesse l’indizio e gli lasciasse libero il passaggio. Ma ovviamente il suo collega aveva deciso di essere difficile.

“Dico sul serio” continuò, infatti, senza retrocedere di un millimetro “è pieno di sé, prepotente e se ti aspetti che ti prenda sul serio…”

Ma Kaku non lo lasciò finire, “non sono affari tuoi” tagliò corto, e scostò con un gesto brusco il braccio del collega che ancora occupava la soglia.

Non aveva idea di cosa fosse successo tra lui e Lucci, questa volta, per provocare qual tipo di commenti, né gli interessava saperlo.

Ma ormai il pomeriggio era rovinato. La sensazione piacevole che provava dopo aver sfogato un po’ delle sue energie con gli allenamenti, si era trasformata in stanchezza pura e semplice, e poi la verità era che Jyabura, per quanto noioso fosse, aveva toccato un tasto dolente.

Kaku ammirava e stimava Lucci, in combattimento era semplicemente impeccabile e la sua dedizione alla causa della giustizia assoluta lo aveva ispirato da sempre. Era un modello, in pratica, fin da quando si erano conosciuti, da ragazzini. E sapeva inoltre che Lucci lo stimava a sua volta, anche se non era il tipo da fare apprezzamenti, ammirava il suo stile durante la lotta, e si fidava delle sue capacità.

Non per niente Kaku era implicitamente il suo partnerufficiale’ ogni qualvolta una missione richiedesse la presenza di due agenti.

Solo che per Kaku c’era di più. Molto di più. Ma il fatto che Lucci avesse accettato che diventassero partner anche a letto, oltre che sul lavoro, non voleva dire che provasse anche lui la stessa cosa.

Per di più se Lucci avesse mai pensato che i sentimenti, qualunque fossero, avessero potuto intralciare in qualsiasi modo il loro lavoro, non ci avrebbe pensato due volte a troncare la loro relazione. Paradossalmente Kaku avrebbe persino approvato una scelta del genere. Poteva non avere la freddezza di Lucci, ma era anche lui perfettamente consapevole di quale fosse il suo ruolo, e di quali dovessero essere le sue priorità.

E allora perché le parole di Jyabura l’avevano messo di cattivo umore?

Giunto ormai nel suo appartamento, liberatosi con calma dei vestiti, Kaku potè finalmente godersi una doccia calda. La sensazione era così piacevole che decise di rimanere a godersela un po’ più a lungo del solito. Così, mentre lasciava che l’acqua gli bagnasse il viso, scendesse sul torace e sulla schiena e in fine sulle sue lunghe gambe, rilassando i muscoli ancora tesi, riuscì a riflettere con più calma sulla conversazione di pochi minuti fa.

E realizzò che Jyabura si sbagliava.

Lucci non era tipo da sussurrare parole dolci all’orecchio dell’amante. Molte volte, dopo che avevano fatto sesso, era stato perfettamente capace di alzarsi e ritornare nella sua stanza, senza dire una parola.

Non avrebbe mai detto a Kaku che l’amava, e non l’avrebbe mai ammesso neppure con sé stesso.

Non gli avrebbe mai fatto un complimento dopo una missione andata a buon fine, tanto il successo era un obbligo scontato per i membri del CP9, né gli avrebbe detto di stare attento.

Non gli avrebbe preso la mano mentre erano per strada, e non perché a Lucci potesse minimamente interessare il parere degli altri, ma perché l’avrebbe considerata una smanceria inutile.

In pratica, non avrebbe mai avuto nessuno degli atteggiamenti che si potevano considerare perfettamente normali tra due amanti, a prescindere dal sesso o dalla professione.

E in fondo, ne assumeva pochi anche di quelli che si potevano considerare normali per un essere umano comune. Certamente Lucci era tutt’altro che una persona qualunque.

Però poi c’erano delle volte…

Quelle in cui Lucci lasciava che Kaku gli guardasse le spalle senza necessità di chiederglielo, perché sapeva che lui sarebbe stato lì, e metteva praticamente la propria vita nelle sue mani.

Quelle in cui lasciava che Kaku partisse da solo per qualche missione pericolosa, senza salutarlo, perché aveva la piena fiducia nelle sue capacità e sapeva senza ombra di dubbio che sarebbe tornato sano e salvo.

Quelle in cui era lui a rientrare dopo qualche missione, stanco, e lasciava che Kaku lo svestisse e lo conducesse sotto la doccia, l’unico a poter constatare di persona che in fondo, anche Rob Lucci aveva dei limiti fisici.

E c’erano quelle volte in cui Lucci restava a dormire, e Kaku si svegliava la mattina dopo con la testa appoggiata sulla sua spalla e un braccio attorno alla sua vita.

Soprattutto poi, c’erano quelle in cui Lucci lasciava che fosse Kaku a sdraiarsi sopra di lui, tra le sue gambe, che entrasse dentro il suo corpo, gli baciasse il collo e la bocca e gli passasse le sue dita agili e sottili tra i capelli.

C’era voluto del tempo, prima di arrivare a quel risultato, e ce n’era voluto ancora di più perché Lucci lasciasse che Kaku lo prendesse mentre era disteso sulla schiena, in modo da poter vedere quelle emozioni che trasparivano sul suo viso, e che non riusciva a tenere nascoste.

Quelle volte Lucci cercava di mantenere la sua fredda compostezza, ma finiva per conficcargli le unghie nella schiena, noncurante dei segni che sarebbero rimasti sulla sua pelle, e per affondare il viso tra il collo e la spalla del suo amante.

Tra i membri del CP9, nonostante tutto, c’era un legame speciale. Con il tipo di lavoro e di vita che facevano, anche se nessuno lo avrebbe detto ad alta voce, i colleghi diventavano l’unica famiglia e gli unici amici; i soli a conoscere le vere abitudini, la vera personalità, persino il vero nome gli uni degli altri.

Lucci però non aveva mai lasciato avvicinare nessuno, forse perché nessuno gli aveva mai insegnato come fare, o perché, come molti pensavano, non ne vedeva l’utilità.

Kaku era l’unica eccezione. E questo il ragazzo lo sapeva.

Bisognava arrivargli molto vicino davvero, per comprendere che anche Lucci aveva qualcosa da dare, e il fatto che in genere fosse così restio a farlo, la diceva molto lunga riguardo ciò che provava per Kaku. Perché a lui e solo a lui, Lucci stava donando qualcosa di importante, forse inconsapevolmente, perciò Kaku decise che quel dono lo avrebbe custodito con cura, sempre.

Quelle riflessioni avevano restituito definitivamente il buon umore al giovane agente, che rivestitosi dopo la doccia, decise che valeva la pena sfidare la sua buona sorte.

Andò a bussare alla porta di Lucci, lo trovò seduto in poltrona a leggere chissà quale rapporto su chissà quale lavoro, perfettamente impeccabile come sempre, come se lo scontro con Jyabura non fosse mai avvenuto, mentre l’inseparabile Hattori era appollaiato sulla sua spalla, assopito.

Lucci non si degnò di rivolgergli la parola, ma gli lanciò uno sguardo che prometteva sciagura, se l’avesse disturbato per qualcosa che non fosse di vitale importanza. Ma Kaku amava vivere pericolosamente.

Gli si piantò davanti, e chinandosi fino ad appoggiare le mani sui braccioli della poltrona, catturò la bocca dell’altro in un bacio che trasmetteva un messaggio inequivocabile.

Colto alla sprovvista, Lucci non trovò di meglio che ricambiare il bacio, ma quando dovettero separarsi per riprendere fiato, piantò i suoi occhi gelidi e scuri in quelli dell’altro, evidentemente decidendo la sua sorte.

Comunque, doveva essere il giorno fortunato di Kaku.

“Chiudi la porta” gli disse Lucci in un tono piatto, ma l’espressione del suo sguardo era decisamente differente.

Kaku obbedì immediatamente, mentre Hattori prendeva il volo fuori dalla finestra, tubando infastidito per il brusco risveglio.

   
 
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