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Autore: Karan Haynes    06/12/2014    1 recensioni
Dopo essere entrato con la mia borsa e le gambe gelatinose nella cabina, ricordo una luce chiara.
Una luce che mi attraversò il corpo rubandomi le energie e, se la stanza era illuminata da poche luci, ora vedo solo il buio più totale.
― tratto dal secondo capitolo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Third Chapter

 




Un raggio di luce mi colpisce il viso e qualcuno mi è davanti, facendomi ombra. Mi metto a sedere e riesco a scorgere che è un poliziotto.
«Mi scusi…»
«Signore ha bisogno d’aiuto?», il poliziotto un poco paffuto me lo chiese con estrema gentilezza.
«Non si preoccupi, sto bene è solo… che ero stanco e dopo essere entrato qui mi sono addormentato di colpo!» un po’ titubante gli chiesi un favore, «E se non l’è di troppo disturbo, potrebbe indicarmi un motel ha basso costo, per favore?»
«Ce n’è uno qui vicino, l’accompagno… è così pallido che non vorrei che svenisse», mi allungò una mano e mi aiutò a rialzarmi.
Qualche metro più distante alla cabina, in una via secondaria si trovava un motel a due stelle.

Lungo il breve tragitto non chiese niente, di chi fossi o del perché ero lì dentro.
Entrati nella hall, una ragazza piccola venne incontro al poliziotto, sorridendo.
«John che bello vederti! Ti fermi per la colazione?»
«No, sono in servizio, ma penso che il mio amico abbia bisogno d’aiuto», la ragazza si girò verso di me scrutandomi dalla testa ai piedi. «Dove hai pescato questo straniero?» «Hanno segnalato che un ragazzo stava dormendo in una cabina qui vicino, pensavo fosse uno dei soliti sbandati, invece…»
«Capisco».
«La vecchia Beth mi aveva detto che avevate bisogno di una mano qui, magari potreste dare vitto e alloggio a questo ragazzo in cambio di lavoro!» disse dandomi una pacca sulla spalla.
La ragazza sembrò pensarci un attimo e in meno che non si dica mi prese per il braccio.
«Lo porterò da zia Beth, grazie Jonh!» e con un gesto veloce della mano lo salutò!
Mi portò verso le scale secondarie e salimmo. I gradini si susseguivano e sembrano infiniti, ma arrivati al pianerottolo, sulla sinistra, si trovava una porta, massiccia e scura – e il colore non c’entrava nulla con quello delle pareti.
«Zia Beth! Jonh ci ha portato un potenziale lavoratore, ma ha bisogno di vitto e alloggio».
Pareti e pavimento erano in legno e la stanza era abbellita con colori pastello e mobili di buon gusto – e non c’era il contrasto che vidi nel pianerottolo. Il soffitto – basso e con travi alternate – mi fece intuire che eravamo in una mansarda.
«Davvero? Ragazzo, voglio sapere di dove sei e come ti chiami».
«Sono nato a Seoul, Corea del Sud… il mio nome è Kim Kibum, signora!»
«Ho conosciuto pochi asiatici così belli e dimmi Kibum, cosa sai fare?»
«So fare tutti i lavori di casa e tempo addietro feci il cameriere».
Alla signora – piuttosto ordinaria – brillarono gli occhi e ciò mi spaventò un poco, poi si alzo e mi diede la mano.
«Congratulazioni ragazzo, sei stato fortunato… ci serviva proprio un cameriere», sorrisi leggermente.
Mi sballottò fuori dalla stanza e in breve tempo mi fece vedere tutto l’edificio, la stanza in cui avrei alloggiato e quali fossero gli orari di lavoro.


*****



Mi feci una doccia e poi misi la divisa da cameriere portata gentilmente da una cameriera – o qualcuno che lavorava lì.
«Ehi, sei pronto?», la ragazza di prima, Sarah – solo dopo si era presentata – aprii con poco garbo la porta della stanza.
«Sì!», usciti dalla stanza la seguii fino alla sala.
Quando feci il giro non la vidi bene, ma ora con tutte le luci accese e i tavoli arredati, trovavo la stanza davvero accogliente. Pareti calde, fiori in vasi decorati ai lati. Per non essere un motel lussuoso non era sporco o brutto, ma accogliente e semplice.
Dalla cucina uscii Ramon – Sarah ne parlava in continuazione, non tralasciando nemmeno un centimetro di come fosse fatto – che, vedendomi gli venne naturale esclamare «Oh, Platypus, c’è un tuo compaesano!» e ricevetti una pacca sulla spalla. Lo guardai storto, ma non perché mi avesse paragonato a un qualsiasi asiatico senza sapere la mia nazionalità, ma per il semplice fatto che mi avesse rivolto tutta quella confidenza, senza presentarsi… Dio, le buone maniere – per certi individui – erano state tirate nello sciacquone?
Poco dopo Ramon mi portò in cucina, perché secondo lui dovevo vedere come lavoravano i ragazzi e di quanto fossero alettanti alle ragazze che ci lavoravo. Onestamente mi importava ben poco delle ragazze che civettavano come ossesse solo per aver un contatto fisico o altro con uno di loro.
Tuttavia, dovetti ammettere che Platypus non era affatto un brutto ragazzo, tutt'altro.
Era il tipico ragazzo che piace – carino, solare e con muscoli pronunciati −, ma il bello è che, quando lavorava ci metteva sentimento, lo si percepiva.
Dopo il cicalio incensante di Ramon, su come era bravo il suo amico come cuoco, lui, mi guardò solo di sfuggita, per poi riprendere l’amico, intimandolo a lavorare.

Per quanto quello fosse il mio primo giorno lavorativo andò bene, più di quanto sperassi, soprattutto i miei colleghi – che mi fecero anche i più sentiti complimenti.


*****



Presi le chiavi che aveva lasciato sul tavolo, vicino al bicchiere di birra appena finito e accorsi di fuori per la porta del personale; con tutta la buona volontà e convinzione urlai “Platypus” e un attimo dopo volermi sotterrare per la faccia stranita e forse un po’ per il fatto che fosse irritato – il nomignolo che viene usato dai suoi colleghi e l’atto di essere chiamato così, da uno sconosciuto, non era il massimo −, mi guardò male e mi rispose.
«Umm?», aveva gli occhi lucidi, probabilmente per l'alcool che aveva bevuto. Mi avvicinai e senza volerlo incominciai a balbettare.
«E-ecco… hai dimenticato le chiavi…» e senza guardarlo troppo glieli feci vedere. Le afferrò con non troppo garbo per poi girarsi e andarsene.
«M-mi dispiace se ti ho… chiamato così, m-ma è che… non so il tuo nome».
«Fa niente e… se vuoi saperlo è Jonghyun» biascicò, ma non ebbi tempo di riprendere fiato che aggiunse «per essere stato il tuo primo giorno, non è andato male!»
Ne fui felice – e se anche avrei voluto strozzarmi perché sembravo come quelle ragazze che gli sbavano dietro – non feci in tempo ad andare alla porta che lo sentii cadere a terra, come un sacco di patate. Mi girai e andai verso di lui. Son sicuro che il troppo alcool l’abbia fatto collassare, per fortuna che non si è messo alla guida.




Tic toc e il tempo scorre, ogni momento prezioso sfugge via e non ci si accorge di quanto effimero, il tempo, sia.
E restar son solo 48 ore, tic toc.


**********



Angolo Autrice: Sono tornata a rompervi la balle uwu
Dopo tanto tempo mi sono decisa di aggiornare e mi piacerebbe dirvi che ho ripreso a scrivere, ma l'unica cosa che ho scritto è una flash comica che di comico ha ben poco, e che non vedrà mai la luce del sole. Però spero mi venga voglia di finire questa mini long ed esultare, ma impegnata come sono mi sto chiedendo cosa sia scrivere... si mangia? Detto ciò mi eclisso e visto che non penso di pubblicare qualcosa... vi do i miei auguri di buon natale e fine anno nuovo ♥
   
 
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