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Autore: TheDarkLightInsideMe    07/12/2014    2 recensioni
Anno 2003.
Protagoniste: tre ragazzine incaute con uno spiccato senso di giustizia.
Egle Sasaki dice di aver girato il mondo insieme ai suoi fin quando non è nata Helen. Da allora la loro famiglia si è stabilita in Giappone.
Federica Capuano è italiana, ma vive nella Terra del Sol Levante da sei anni, ormai.
La loro storia è parecchio conosciuta nel mio mondo, c'è stato un passaparola generale che è arrivato perfino ai piani alti. E per questo voglio farla conoscere anche a voi.
Piacere, il mio nome è Yuryu, e sono uno Shinigami.
(Aggiornamento mesile!)
Genere: Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Death Life.

 

Tre ragazze normali.


Come ogni mattina, anche quel giorno Federica si svegliò presto per andare a scuola. E come al solito, per non dimenticare le abitudini che aveva in Italia, fece prima colazione e poi si preparò per uscire: indossò la divisa scolastica e le scarpe marroni che era obbligata a mettere e si calò sul viso il cappuccio del giubbotto. Dopo prese la cartella nell’ingresso e recuperò l’ombrello dal fondo del portaombrelli.
Almeno stamattina piove pensò, ricordando a se stessa il suo amore per quelle lacrime dolci che cadevano dal cielo. D’altra parte, erano le uniche cose positive di quel lunedì tanto odioso, vista la faccia versione zombie che aveva appena sveglia, coi corti capelli castano scuro totalmente scompigliati che si ritrovava e gli occhi neri assonnati che rischiavano di chiudersi da un momento all’altro.
A differenza di molte altre sue coetanee, Federica detestava la scuola e tutti coloro che vi lavoravano, dal preside al più simpatico dei professori. E nulla, neppure l’essere capitata nella stessa classe delle sue due migliori amiche, le aveva fatto mai cambiare idea.
Non appena vide Egle e Helen che la attendevano all’ingresso nonostante la campanella fosse già suonata da un pezzo e nonostante la pioggia, però, un sorrisetto mezzo imbarazzato le fece capolino sul viso.
Egle era alta e snella, dai capelli lunghi fino a metà schiena –raccolti in una coda di cavallo– color castagna (non so se rendo l’idea) e gli occhi della stessa, identica sfumatura. Indossava la divisa, ovviamente, ma si notava da un miglio che avrebbe preferito una calda, lunga e confortante tuta invece di quella gonnellina azzurra a quadri e quelle calze marroni che la facevano sentire così a disagio.
Helen era un po’ più bassa della sorella ma ugualmente magra, e in realtà non le assomigliava per niente nei lineamenti: occhi leggermente a mandorla e molto grandi, anche se non sproporzionati al volto, un nasino piccolo che era diventato rosso dal freddo e delle labbra rosee da bambolina; gli occhi chiari, di un colore fra il grigio e l’azzurro ghiaccio, sembravano ancora più chiari sulla pelle mediterranea, mentre i lunghissimi capelli castani erano racchiusi in una crocchia alta che già si andava a disfare.
Si annuirono a vicenda, poi mossero i primi passi verso la propria aula, sperando che l’insegnante di matematica fosse, una volta tanto, in ritardo, o ancora meglio assente. Chiaramente, ciò non avvenne.
Dopo due noiosissime ore di algebra, una di letteratura e due di inglese, finalmente l’ultima campanella suonò, ricevendo decine benedizioni da parte degli studenti e, in particolare, da Federica.
Ma la giornata, chiaramente, non era ancora finita.
Come quasi ogni giorno, le tre furono fermate da un gruppo di teppistelli più piccoli che si credevano forti e intelligenti a dar fastidio alle ragazzine. E quell’anno, come se tutto il resto non bastasse, avevano preso di mira proprio le tre occidentali.
La prima cosa su cui le prendevano in giro erano i loro nomi, e allora Helen si salvava. Poi sui voti alti più della media che per degli idioti come loro simboleggiavano non avere una vita privata o essere dei figli di papà capricciosi e viziati. Ovviamente, i loro discorsi non avevano un minimo di senso logico.
Se però Helen la passava liscia sul fatto dei nomi, allora sotto quest’altro punto di vista era la più presa di mira, dato che era ben due anni avanti rispetto alle sue coetanee.
Di solito, Federica, Egle ed Helen si sforzarono di evitarli e di non dar peso alle loro parole.
<< Cos’è, Fede-chan? La tua ragazza ti ha lasciata? >>
Dopo quella frase e le risate che ne erano conseguite, però, quella non era più una giornata come al solito.
<< Avete rotto con questa storia! >> urlo lei, attirando l’attenzione di altri dieci studenti lì vicino.
<< Allora confermi che abbiamo ragione! Ti piacciono davvero le donne! >> continuò il secondo di quelli, tra una risata e l’altra. E per quanto Egle si sforzasse di dire all’amica che doveva ignorare quei bastardi, beh…
… il secondo ragazzino si ritrovò faccia al muro di cinta del cortile, con un braccio piegato dietro la schiena.
<< Azzardati a dire un’altra parola e “Fede-chan” ti spezza il braccino, l’hai capito? >> lo minacciò, facendogli il verso. Poi lo lasciò andare e fulminò gli altri con un’occhiataccia, avviandosi a passo svelto verso casa.
Helen la raggiunse subito, seguita immediatamente dopo dalla sorella.
<< Non dire che ho esagerato, Helen, perché non l’ho fatto. >>
<< Dico solo che devi smetterla di dare peso a quello che dicono! Ciò che sei e ciò che fai non sono affari loro, è vero, ma questo non deve causarti una sospensione come è probabile che farà adesso! >> affermò con sicurezza la più piccola. Era raro che si mettessero a discutere ma, come ho già detto, quella non era una giornata come un’altra.
Federica continuò a camminare rivolgendo sguardi solo al suo ombrello rosso, nonostante sapesse che le altre due la stessero seguendo; naturale, visto che dovevano andare a casa sua, quel giorno.
La verità era che Federica era sempre stata emarginata dalla società, da quando si era venuto a sapere della sua attrazione anche nei confronti delle donne. Certo, da lì a sfotterla ogni sacrosanto giorno…
Quando arrivarono all’abitazione –una casa singola con un ampio cortile costruita su due piani, con un modello che somigliava ma allo stesso di distaccava da quello tradizionale giapponese, a differenza del palazzo costruito sul modello occidentale in cui vivevano le due sorelle– la ragazza si precipitò dentro, togliendosi immediatamente le scarpe e i calzini fradici.
Dannata divisa scolastica! pensò, rinchiudendosi poi nel bagno per cambiarsi e lasciando le amiche con un palmo di naso.
<< Fede! >>
<< Un attimo, Egle! >>
<< No, “un attimo” un corno! Ci sono i panni stesi, fuori la finestra! >>
La ragazza si catapultò fuori ancora mezza nuda e con gli occhi sgranati, immaginandosi già la faccia che avrebbe fatto sua madre vedendo che lei aveva ignorato il bigliettino sul tavolo con su scritto –in stampatello maiuscolo, peraltro, come ad indicare un messaggio di massima importanza– “TIRA DENTRO I PANNI APPENA TI SVEGLI, CHE DOMANI PIOVE”
<< Mi sa che è meglio se li lasci fuori, a questo punto… >> commentò la più piccola, soffocando una risata alla vista della faccia sconvolta dell’amica. << E poi ti consiglio di andare a vestirti, se non vuoi prenderti la febbre. >>
<< Disse quella che gira per casa in canottiera! >> la riprese la sorella, facendole scherzosamente una linguaccia.
Federica le ignorò bellamente e tornò mogia nel bagno, infilandosi una maglia bianca a maniche lunghe e il pantalone di una tuta nera, la cui felpa era andata perduta tempo addietro. Poi si infilò i calzini –al diavolo la su avversità verso quell’indumento, quando fa freddo fa freddo!– e tornò in soggiorno, aspettandosi di trovare le due amiche ancora a farsi le smorfie a vicenda. Egle ed Eleonora, invece, erano già salite nella camera della ragazza munite di buste di patatine e merendine confezionate e una bottiglia d’acqua. Di certo i loro genitori sarebbero rabbrividiti al solo pensiero che quello sarebbe stato il loro pranzo.
Federica le raggiunse in fretta salendo le scale di legno silenziosa come sempre, tanto che quelle rischiarono di non sentirla arrivare.
<< Ah, comunque prima o poi dovrai darci una spiegazione a quello che è successo oggi, Fede-chan. >> Helen era ovviamente a conoscenza del fatto che Federica odiasse profondamente essere chiamata così, ma comunque non si tirò indietro quando fu raggiunta da un’occhiata di fuoco da parte dell’interessata.
<< Come se tu non lo sapessi, Helen. >> ribatté la ragazza, dando ad un pacchetto di patatine l’attenzione che avrebbe dato al cantante più famoso del mondo e poi aprendolo come se fosse l’ultimo rimasto sulla faccia della Terra.
<< Non devi prendere sul serio quei bulletti da strapazzo, te l’ho già detto. Prendono in giro anche me ed Egle, lo sai, ma noi non reagiamo come hai fatto tu… >>
Ecco che improvvisamente le patatine perdevano di interesse e Federica alzava il capo, mordendosi il labbro inferiore dal nervosismo.
<< Io sono diversa da voi e conosci bene il perché, Helen. Se quelli domani si azzardano di nuovo a prendermi in giro sul mio orientamento sessuale, ti giuro che mi arrabbio davvero! >>
Egle, che fino ad allora era rimasta zitta a sgranocchiare patatine, si alzò dal letto attirando l’attenzione delle altre due ragazzine su di sé:
<< Devi lasciarli perdere, lo capisci questo o no? Non puoi farti rovinare l’anno scolastico da dei teppistelli qualunque, soprattutto ora che siamo così vicine a quel momento! >>
Sentita quella frase, decine di brividi decisero di trasferirsi sulla schiena di Federica a tempo indeterminato. Già, mancavano sì e no cinque giorni al momento che tutte e tre stavano aspettando da anni.
<< Egle ha ragione, Federica. Se i nostri calcoli sono esatti, il tutto inizierà il 28 novembre. Tra cinque giorni esatti, ti rendi conto!? Tra cinque giorni esatti noi salveremo il mondo! >>
<< Non essere troppo affrettata, Helen. Potremmo benissimo sbagliarci, potremmo benissimo aver cambiato qualcosa arrivando qui… >>
La ragazza fece un cenno d’impazienza, un sorrisetto le increspava gli angoli delle labbra. << Smettila di essere così pessimista! Ricorda che, dopo tutto, la giustizia trionferà sempre! >>
Stavolta Helen fu fulminata da due paia di occhi e dovette zittirsi per forza, nonostante non ci trovasse nulla di sbagliato nel citare una persona che così tanto amavano.
Stava appunto per affermare questi suoi pensieri quando la sua attenzione fu catturata da qualcos’altro. E per “qualcos’altro” intendo un quadernino nero sospeso in aria vicino alla finestra.
Con la testa tremante indicò quel luogo a sua sorella e alla loro migliore amica, che dovette portarsi le mani alla bocca per non urlare.
No! No, no, no! Stava andando tutto così bene, maledizione!
Il quadernetto si sporse verso le tre, cadendo silenziosamente sul pavimento, e sia Helen che Federica ebbero il coraggio solamente di sfiorarlo.
Egle lo afferrò nello stesso istante, più o meno saldamente, con entrambe le mani e lo alzò verso le altre due ragazze, il tutto ad occhi chiusi. Quando li riaprì, vide con chiarezza chi –o forse è meglio dire cosa– avesse dato loro il quaderno.
La creatura doveva essere alta sui tre metri, se solo avesse avuto la schiena un po’ più diritta, e aveva un corpo pallido e proporzionato alla sua grandezza, ricoperto da una sorta di tunica/vestito nero con dei pendenti a forma di teschio sui fianchi. Le braccia erano pallide e scheletriche, ma ricoperte fino ai polsi dalle maniche della tunica, così come le gambe.  Il volto era pallido e sulla parte bassa di esso vi erano delle linee viola che partivano dalle labbra dello stesso colore. Sulle spalle aveva due ali nere sfilacciate, e al collo portava una sorta di catena argentata alla quale era collegata una penna nera ormata da minuscoli teschi d’argento.
Federica non lasciò neppure il tempo a quell’essere di parlare, che subito scattò in piedi:
<< Ora tu, razza di essere vestito in stile gotico, mi dici almeno una buona ragione per cui hai dato a noi questo tuo maledettissimo Quaderno dei Morti, okay?! >>
Per un attimo tutti nella camera rimasero interdetti, essere in nero compreso. Poi ruppe il silenzio:
<< Se vuoi solo una motivazione, ti direi che è perché amo le mele di questo mondo. Se ne vuoi due, allora è perché mi annoiavo. Se ne vuoi anche una terza, aggiungerei che è perché ho percepito in voi un sentimento che mi piace: la vendetta. E comunque è un piacere anche per me conoscerti, Federica. Il mio nome è Shuyo e, come avrai già capito, sono una Shinigami. >>





Angolino autrice.

Ed eccomi qui, sono approdata anche in questo fandom. :D
D'altra aprte, io c'ho provato a non scrivere nulla sul migliore fra tutti gli anime che conosco, ma L e Light mi stavano chiamando...
Ah, piccolo avvertimento, anche se sono certa che non servirà: sebbene i nomi delle tre protagoniste siano il mio e quello delle mie due migliori amiche, noi tre non assomigliamo per niente a questi personaggi, se non leggermente per l'aspetto.
Detto questo, spero davvero tanto che il primo capitolo (e l'introduzione!) vi siano piaciuti e vi abbiano incuriositi abbastanza. :)
A presto (se Kami vuole),

DarkLight.
P.S.: no, il mio nome non è legato in alcun modo a Light/Raito Yagami/I'm a gay (che i suoi fan mi perdonino, ma io lo detesto leggermente ^^' )
Okay, la finisco, prima di ritrovarmi mezzo fandom sotto casa. Alla prossima!
   
 
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